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Autore: pomal    19/09/2009    2 recensioni
a volte,l'importante è sincronizzare gli orologi..
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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html xmlns:o="urn:schemas-microsoft-com:office:office" xmlns:w="urn:schemas-microsoft-com:office:word" xmlns="http://www.w3.org/TR/REC-html40"> “Arrivati a questo punto, non si torna più indietro” – le dissi con un filo di voce, senza guardarla negli occhi

     “Arrivati a questo punto, non si torna più indietro” – le dissi con un filo di voce, senza guardarla negli occhi. Semplicemente non ne avevo il coraggio.

     A quelle mie parole, seguii il silenzio. Non so precisamente quanto durò, non contavo i secondi, ma i suoi respiri. Ne fece tre, molto profondi, lenti. Quei respiri che solitamente fai prima di dire qualcosa di importante, di difficile o, semplicemente, quando non vorresti dire niente.

     “Perché allora non ce ne stiamo un po’ qui, fermi, a goderci il momento?” – mi rispose dopo il terzo, interminabile, sospiro.

     “Potremmo rimanere qui anche tutto il giorno, ma tanto lì, prima o poi, dovremmo andarci.” – replicai secco, indicando lo spazio che si estendeva davanti a noi. Immenso.

     “E’ triste.”

     “E’ dannatamente triste. E maledettamente giusto.”

      Non ho mai saputo bene il significato di giusto. O meglio, io ho inteso sempre il significato di giusto come quello di buono, bello, interessante. Chi può dire cosa è giusto e cosa non lo è? C’è per caso un manuale che lo spiega? Qualche libro, una videocassetta, un dvd per bambini? Non ho mai avuto niente di tutto ciò, però un’idea ero riuscito a farmela. Ho sempre sorriso nel sentire frasi del tipo “Ho fatto la cosa giusta” oppure “E’ stato giusto così”. Mi sono sempre sembrate frasi incomplete. Frasi a metà. Giusto, certo, ma per chi? Io quelle frasi ho sempre cercato di completarle: “Ho fatto la cosa giusta per me”, “Per te, è stato giusto così”…sempre, ma non quel giorno. Non c’era bisogno di completarla quella frase. Questa volta, andava bene così.

     “Secondo te, perché siamo arrivati fino a qui?” – mi chiese, dopo una pausa ancora più lunga della precedente.

     “Sono giorni che me lo domando anche io. Eppure non riesco a trovare niente di sbagliato in quello che ho fatto. Ogni singolo momento, ogni singolo gesto, io lo rivivrei daccapo, lo rifarei nuovamente con ancora più convinzione. Non rinnego niente, se è questo che vuoi sapere. Probabilmente, non abbiamo sincronizzato gli orologi. Ecco perché siamo qui.”

     “Spiegati meglio.”

     “Una volta, un po’ di tempo fa, pensavo che esistessero solo persone giuste e persone sbagliate. Per dirla facile, non credevo nel destino. Ho sempre pensato alla fortuna, al fato, come un’invenzione dei perdenti, come una scusa. Un po’ come Dio. Basta guardarti intorno per vedere gente che si lamenta con Dio, discute, litiga, impreca. Pur di non accettare l’idea di aver fallito, danno la colpa a Dio. Ecco, la fortuna è il Dio degli atei. Chi si è sempre professato un non-credente, non poteva certo permettersi di dare la colpa a Dio, no? Sarebbe stato ridicolo. E allora ecco che entra in gioco la fortuna, il destino, una forza oscura che non si può comandare. Mi è sempre sembrato ridicolo che Dio, o questa fantomatica fortuna, fossero etichettati solo come causa di una sventura, o di una tragedia. Mai un ringraziamento, mai una lode. Non trovi sia strano?”

     “Vai avanti.”

     “Beh, insomma, per farla breve, io prima non credevo in tutto questo. Poi ho incontrato te. O meglio, ti ho incontrato di nuovo. E questo mi ha fatto pensare. Mi dicevo che, probabilmente, non ci eravamo mai persi, che era stato un gran colpo di fortuna ritrovarsi per caso, che forse Dio, il destino o chi per loro, mi aveva fatto un grosso regalo. Mi sono trovato improvvisamente a pronunciare frasi neanche mai pensate. Non che non credessi in Dio, ci mancherebbe, ma non gli ho mai chiesto niente, se non di proteggere le persone a cui volevo bene. E allora mi sono ricreduto. Non parlo ancora di fortuna o sfortuna, di aiuto o punizione divina, sono ancora convinto che gran parte della nostra vita stia nelle nostre mani. Però riconosco che esiste qualche forza misteriosa che ogni tanto ci mette lo zampino, magari per creare situazioni apparentemente impossibili. Poi, sta a noi sincronizzare gli orologi.

     “Ho capito il tuo discorso, ma che cosa c’entrano questi benedetti orologi?”

     “Vedi, per come la penso io, prima o poi noi ci saremmo dovuti incontrare di nuovo. In un modo o nell’altro, questa forza misteriosa avrebbe nuovamente incrociato le nostre vite. Tuttavia, il quando, il dove, il come e il perché non era scritto da nessuna parte. Probabilmente, dovevamo deciderlo noi. A quanto pare, però, non lo abbiamo deciso nello stesso momento. Uno ha anticipato l’altro, oppure qualcuno è arrivato troppo tardi rispetto all’altro, non lo so di preciso. So solo che siamo arrivati sfasati, a orari diversi. Diciamo un po’ come la persona giusta al momento sbagliato. O la persona sbagliata al momento giusto. Quello che so, è che non credo che nessuno di noi abbia particolari colpe, se non quella di non aver controllato bene il proprio orologio.

      “Non so cosa dire. Non vorrei essere banale, non vorrei essere patetica, non vorrei essere spietata. Anzi, se devo essere sincera, non vorrei nemmeno essere qui. Vorrei essere lì.” – e indicò un punto lontano, alle nostre spalle. Un posto che avevamo passato poco tempo prima. Insieme.

      “Se solo potessi, ti riporterei lì di corsa. Immediatamente. Mi accontenterei anche di andare avanti guardando fisso lì – risposi indicando a mia volta il punto di cui lei parlava – ma, lo sai meglio di me, non sarebbe giusto. Non nascondo che ne sarei felice, almeno per un po’. Ma non sarebbe giusto.” – e anche qui, non ci fu il bisogno di completare la frase.

      “Io non so dove andare. Non c’è un sentiero, non c’è una strada, non c’è niente di niente. Come faccio a essere sicura di non perdermi?

      “Tu non ti perderai, stai tranquilla. Mi ricordo quando abbiamo iniziato questo cammino. Eri insicura, inciampavi su ogni masso, su ogni radice fuori posto. Ti perdevi tra gli alberi. Sei riuscita a perderti anche mentre seguivamo il fiume, ti ricordi?”

       Non mi rispose. Fece solo una piccola smorfia con il viso, una smorfia di approvazione mista a imbarazzo. E allora io continuai:

      “Più andavamo avanti, però, e più ti ho vista sicura, decisa, determinata. Senza che te ne accorgessi, hai iniziato a saltare i massi, evitare le radici, imboccare senza paura anche i sentieri più oscuri. Forse non te ne sei accorta, ma alla fine, sei stata tu che hai guidato me. Sei stata tu a portarmi fin qui.”

      La vidi pensierosa. Non capivo se non sapesse bene cosa dire o se stesse ancora assimilando le mie parole. Poi, all’improvviso, col suo sorriso migliore, quello più bello, quello più dolce, quello che tante volte mi ha fatto perdere la testa, mi guardò e mi disse:

     “E ora?”

     A quel punto le sorrisi anch’io, e risposi:

     “Arrivati a questo punto, non si torna più indietro.” E, prendendola per mano, la spinsi un’ultima volta verso il suo cammino.

  
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