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Autore: AcchanBaka    21/09/2009    1 recensioni
Questa storia utilizza biecamente Harry Potter come setting, ma non si svolge ai tempi del maghetto, ben sì parecchi anni dopo.
Lo sfondo è un Gioco di Ruolo, e il personaggio è creato da me, sebbene adesso risulti ben più che abbandonato.
Spero possa piacervi!
Genere: Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note: Mi sa che c’è bisogno di qualche avviso, prima di tutto. Questa songfic è sì ambientata nel mondo di Harry Potter, ma in maniera molto relativa. Il personaggio cui faccio capo è una mia creazione in un GdR (Gioco di Ruolo) della suddetta saga, un personaggio cui tengo moltissimo. In realtà ho smesso da anni di giocare in quella land, anche se ogni tanto devo ammettere che mi manca, e ogni volta che ascolto questa canzone (Home, di Micheal Bublè) è come un ritorno al passato.

Qualche appunto su nomi e personaggi. Sephta Thyran è il nome del mio pg, e fa capo ad Aidan Flaherty, la persona per lei più importante. Gli altri nomi che verranno accennati saranno Jaidyn, il gemello di Aidan nonché confidente di Sephta; Allhy e Glory sono compagne di scuola e amiche, specie la prima; Vanille è una professoressa con cui Sephta è entrata molto in confidenza. Rosacroce è il Vicario di Hogwarts, ovvero il vice direttore, naturalmente questo nel GdR.

Vi sono inoltre molti accenni ad avvenimenti nel GdR, che non posso certo star qui a spiegare. La lettura non ne sarà comunque influenzata.

Questa songfic si svolge nel momento in cui ho lasciato il GdR, e in on il mio pg si è trasferito da Hogwarts alla scuola in Francia, Beauxbatons.

Ho preferito lasciare solo il testo della canzone, senza una traduzione che avrebbe comunque appesantito lo scorrimento della fic.

Spero vi piaccia!

 

 

 

HOME

I’m coming back home

 

 

 

 

Another summer day
has come and gone away
In
Paris and Rome
but I wanna go home

 

Chiuse il cassetto. Quel dannato francese era così incomprensibile, già pronunciarne una sola parola era un inferno, una frase intera rappresentava praticamente l’impossibile. Eppure, con tutta la forza che racchiudeva nel suo piccolo corpo, cercava di corrugare le labbra in quella maniera così imbarazzante e di non far sentire il suo accento tipicamente scozzese, nella sua tenace lotta contro quell’infame lingua.

Faceva un caldo pazzesco, lì in Francia; le estati in Scozia erano umidicce, non cambiavano granché dall’inverno, tranne quando faceva così caldo che i vestiti si appiccicavano addosso. Lì era semplicemente troppo caldo, un caldo afoso e secco, e la divisa estiva che avevano era così… così orribilmente femminile…

Che disagio, quando la indossavano. Le altre ragazze di Beauxbatons sembravano così carine e aggraziate con quelle gonne corte a pieghe e le camicette con le maniche a sbuffo e i fiocchi sottili, sembravano tante fatine, mentre lei invece sembrava la strega cattiva che voleva confondersi tra loro, invano. Mancava il foruncolo su un enorme naso e il travestimento sarebbe risultato davvero inconfondibile.

Incrociò le braccia sulla scrivania di mogano e appoggiò la testa nell’incrocio dei polsi, tenendosi le tempie fra le mani. I capelli li portava corti, con gran disappunto delle professoresse dell’Accademia, che ci tenevano all’acconciatura delle loro ragazze, con quei toupet così ben fatti, nessun capello fuori posto e tanti fermacapelli floreali o fatti di stoffa con fili di perline pendenti… Insomma, lei risultava un piccolo mostriciattolo saltellante in quell’ambiente che proprio non le si addiceva.

I ciuffi più lunghi ai lati del viso erano forse l’unica traccia di femminilità che ancora le rimaneva; i capelli, più in generale, erano il punto del suo corpo che più curava, perché ricordava i commenti di tutti a Hogwarts sul cambio di pettinatura e voleva che almeno quello le ricordasse i tempi che erano stati.

L’altro ricordo che conservava a dir poco gelosamente, era la collanina.

Il regalo di Aidan.


Maybe surrounded by
a million people I
still feel all alone
I just wanna go home
I miss you, you know

 

«Sephta, non vieni a letto?»

Alzò la testa dalla scrivania, l’aria sperduta per un momento, come se non ricordasse dove si trovava. E ci mise anche qualche secondo a decodificare il francese.

«Ah… sì, arrivo.» bofonchiò svogliata, e soprattutto in quella lingua orribile, infilando alla rinfusa le pergamene e le piume d’oca nel cassetto, cercando di non rovesciare tutto l’inchiostro.

Si guardò nello specchio appeso all’armadio, lì di fianco. Sembrava una bambolina vestita a festa, con abiti presi dall’armadio della sorella gemella molto più carina. La camicia bianca a sbuffo era semplicemente ridicola, indossata da un maschiaccio come lei; come pure la gonna, che non sapeva neanche come si portava, oppure i calzettoni, uno che arrivava sotto il ginocchio, l’altro sistematicamente sceso sulla caviglia.

Per fortuna Beauxbatons era un’Accademia femminile; quando si chinava a sistemare la calza, la sua biancheria era sempre di dominio pubblico per le altre studentesse.

Il suo lato positivo era che non se la prendeva mai per le prese in giro, che infatti avevano smesso di circolare dopo poco. Con le altre studentesse aveva un rapporto di conoscenza, o erano semplicemente estranee; le uniche cui dava uno scampolo di confidenza erano le compagne di dormitorio, visto che erano le più carine e gentili con lei e disponibili ad aiutarle con l’infido idioma.

«Sephta?»

Quando la capo dormitorio si era fiondata a controllare che cos’avesse la piccola ex-Corvonero, perché non venisse a letto, l’aveva trovata accovacciata accanto il quarto cassetto della scrivania, sfilato dal vano e rovesciato, e la vide addormentata in mezzo a un mare di pergamene.


And I've been keeping all the letters
that I wrote to you,
each one a line or two
I'm fine baby, how are you?
I would send them but I know that it's just not enough
my words were cold and flat
and you deserve more than that

 

Caro Aidan,

Io sto bene. E tu come stai?

 

E poi diverse righe cancellate.

 

Qui è orribile, non capisco una parola di questo stupido francese e mi riesce difficile anche comunicare con le mie compagne.

 

Subito dopo, di nuovo un “sto bene”, un altro “come stai?” e altre confessioni cancellate, premute sulla pergamena fino a bucarla, in certi punti.

Le lettere non duravano più di domanda e risposta, nonostante la famosa indole chiacchierona della piccola Thyran.

Tutto quello che voleva dire ad Aidan era stato cancellato da una riga o da enormi x al centro della pagina, con diversi scarabocchi per coprire ulteriormente le parole.

Stratagemmi inutili, visto che quelle lettere risultavano non spedite, visto che erano nel cassetto della sua scrivania.

 

Caro Aidan,

come va? Tutto bene? Io sto okay.

 

Aidan,

va tutto bene? Con Jaidyn? E Glory? E tutti gli altri?

Io sono a posto.

 

Ehi Aidan.

 

Ciao, Aidan,

 

Dan,

 

Aidan

 

«Aidan…» mormorò confusamente il nome, agitandosi sul letto.

Scostò da sé le lenzuola, soffrendo atrocemente il caldo.

All’improvviso spalancò gli occhi nella penombra del dormitorio, fissando ansimando la finestra ad inferriate che lasciava entrare un bianchissimo fascio di luna, che cadeva sulla scrivania, sui cassetti, sulle lettere sparpagliate. La capo dormitorio doveva averla trovata lì per l’ennesima volta, presa in braccio e messa a letto con dolcezza.

Le venne da piangere e pianse, nascondendosi nel cuscino e facendo preoccupare tutte le compagne di dormitorio, che si rigirarono nel letto fremendo dalla voglia di andare a coccolarla ma trattenendosi, per lasciarle la privacy e l’illusione di piangere e sfogarsi in solitudine.

 

Let me go home
I’m just too far
From where you are
I wanna come home

 

Era stanca.

A lezione non riuscì a seguire neanche una virgola di quello che la prof cercava di spiegare alla classe, la sua mente era altrove, era oltre Manica, era in Scozia in un castello nascosto alla vista di chi non possedeva il Dono.

Certi giorni si svegliava con la voglia di fuggire via da quel luogo, sentiva di non appartenere a nulla, dalla pietra delle mura al più piccolo filo d’erba nel giardino. Tutto le risultava estraneo, nuovo, diffidava da ogni viso, da ogni sguardo, non riusciva a riconoscersi in nessun angolo dove di solito la si poteva trovare accoccolata a lavorare a maglia – a Hogwarts, quanti le erano inciampati addosso, non vedendola…

Nulla le scaturiva dolci ricordi, nulla le faceva salire un sorriso tenero sul viso, nulla era considerato così importante da starci male al sol vederlo.

Semplicemente, nulla era abbastanza pieno di Aidan per poter essere considerato vitale.

Semplicemente, Aidan era troppo distante da lì.

Semplicemente, lei era troppo distante da Aidan.

Niente era fondamentale per lei se non possedeva un ricordo.

Per esempio, la collanina risaliva al suo primo compleanno a Hogwarts, il suo primo compleanno in una nuova scuola, con nuovi amici.

E Aidan, conosciuto relativamente da poco, era riuscito a sorprenderla con un regalo semplice, ma sincero e praticamente insostituibile.

Quando gliel’aveva gettata contro, preda degli istinti di un bracciale incantato, ripensarci era stato un incubo. Grazie ad Ashton, che suo malgrado era stato una guardia del corpo infallibile, l’aveva recuperata, chissà come, e da allora non se ne separava mai.


And I feel just like I'm living
someone else's life
it’s like I just stepped outside
when everything was going right

 

La partenza da Hogwarts per Beauxbatons era stata a dir poco tragica. La forza di volontà sufficiente a trascinare il baule giù per il sentiero le mancava totalmente, così che il guardiacaccia si era visto costretto a prendere in braccio sia l’oggetto, sia lei, così piccolina e fragile da fargli temere di poterla spezzare per disattenzione.

Lei piangeva senza ritegno, guardando il castello allontanarsi e volgendo le spalle – per forza di cose – ai genitori che la aspettavano alla stazione di Hogsmeade per tornare a casa. Guardava Hogwarts attraverso un velo di lacrime, un torrente inarrestabile di tristezza che rendeva i contorni indefinibili. Non aveva salutato nessuno, per non dover piangere ulteriormente, ma quella decisione le pesava addosso come non mai.

L’unica, stupida lettera che era riuscita a spedire con tutte le sue forze, era stata vergata a Beauxbatons e ci aveva messo dentro tutto il senso di colpa che provava.

Aveva scritto lettere tutti i giorni, di appena tre righe, perché nel momento in cui si rendeva conto di star parlando solo dei suoi drammi interiori, buttava la pergamena in un cassetto, nello stesso cassetto che, dopo qualche settimana, ogni sera prendeva a rovesciare. Rileggeva tutte quelle parole fino allo sfinimento, finché non si addormentava e la paziente capo dormitorio doveva prenderla in braccio come una bambina e portarla a letto.

Il problema che aveva quella piccola scozzese, non era tanto aver lasciato Hogwarts.

Era aver lasciato la sua vita lì quando tutto si era aggiustato.

Dopo quel periodaccio causa bracciali maledetti, dopo aver passato settimane ad ignorarsi o lanciarsi insulti, erano tornati a parlarsi.

Aidan aveva accettato di andare al ballo di Yule con lei e, nonostante i guai che invitati come Blumarine Moore o quello strano vecchietto inquietante avevano causato, erano riusciti a ballare insieme, a tenersi per mano e a guardarsi – imbarazzatissimi – negli occhi. Avevano passato il compleanno dei gemelli in allegria, alla fine erano rimasti solo lei, Aidan e Jaidyn in giro per Hogsmeade, specie da Mielandia, dove avevano trascinato il povero DanDan.

Jaidyn le faceva forza per un’eventuale dichiarazione e diceva che sarebbe andato tutto bene, perché lo assicurava lui – “e sai che assicurazione” rispondeva lei a tono, beccandosi un finto calcio.

Poi, la lettera dei suoi genitori.

E il mondo le era piombato addosso.


And I know just why you could not come along with me
this was not your dream
but you always believed in me...

 

Sephta, figliola, abbiamo scoperto tracce della nostra famiglia in Francia. Ti trasferirai a Beauxbatons entro due settimane. Prepara le valigie, amore.

 

Le smancerie in quella lettera erano tali da farle venire il voltastomaco. Ciononostante, per cause legali era costretta a seguirli oltre Manica e aveva preparato i bagagli e parlato con il vicario Rosacroce.

Il trasferimento a Beauxbatons era stato ultimato e lei aveva tempo qualche giorno per imparare almeno rozze basi di francese.

Non salutò nessuno.

Non salutò Glory, con la quale aveva imparato a parlare un po’ di più.

Non salutò i Corvonero, i suoi compagni di casa.

Non salutò le altre Case.

Non Allhy, la sua unica e migliore amica. Non Vanille, una bellissima persona poco professoressa e molto sorella, madre, amica. Non Jaidyn, confidente e migliore amico.

Non Aidan.

Aidan, più importante dell’aria.

Soltanto, non trovava le parole per esprimere il magone che le chiudeva la gola ogni volta che doveva affrontare il discorso.

Così decise di lasciare di sé un ricordo come tanti, una Sephta Thyran sorridente, impacciata e logorroica, con gli occhi che brillavano.

Solo che, quell’ultimo giorno, non brillavano di gioia, ma di lacrime.

Semplicemente, non l’aveva fatto notare a nessuno.


Another winter day
Has come and gone away
in either Paris or Rome
and I wanna go home
Let me go home

And I'm surrounded by
A million people I
still feel alone
Let me go home
Oh, I miss you, you know
Let me go home

L’inverno, a Beauxbatons, era freddo e pungente. Ma lei, abituata alle temperature della Scozia, non aveva i problemi delle compagne. Poteva fare a meno del doppio maglione, ma usare solo il canonico mix di guanti, sciarpa e giacca, magari copriorecchie per quando faceva davvero freddo.

Il freddo che lei sentiva, era dentro il suo cuore. Quello che la faceva vibrare di tristezza accanto alle alte finestre gotiche, quello che la faceva scoppiare a piangere nei momenti meno opportuni.

Era una tristezza unica e irreparabile.

 

I’ve had my run

Baby, I’m done

I’ve gotta go home

Let me go home

 

Cerimonia di diploma.

Pieni voti.

Un francese impeccabile.

Una strega di prim’ordine.

Ciò che era diventata, ciò che dimostrava al mondo, ciò che i suoi genitori volevano.

Ma lei, dentro, fremeva dalla voglia di fuggire da lì, fuggire di nuovo a Londra, fuggire a ritrovare la sua vecchia vita che ancora non aveva abbandonato, nel profondo del suo animo.

Sognava ancora la cioccolata calda del Paiolo, le giornate in giro per Diagon Alley, gli scherzi nei negozi e la voglia di vivere che influenzava piacevolmente gli altri.

 

It’ll all be alright,

I’ll be home tonight

I’m coming back home

 

Neanche il tempo di fermarsi a casa che aveva preparato le valigie di corsa.

«Tesoro, vai già via?» ancora il francese, ancora il tremendo francese. I suoi avevano persino acquisito una sorta di accento che le dava ai nervi.

«Yeah, mom.» rispose in uno sfacciato inglese.

«I’m coming back home.»

 

 

 

 

~Owari

 

 

 

Dedicated tomy” Aidan






Non so perchè, ma c'è un problema con l'html. Mi scuso per l'inconveniente, ma ci provo da mezz'ora e sono anche quasi le due del mattino ^^" Perdonatemi!
  
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