Note: Mi sa che c’è bisogno di qualche
avviso, prima di tutto. Questa songfic è sì ambientata nel mondo di Harry Potter, ma in maniera molto
relativa. Il personaggio cui faccio capo è una mia
creazione in un GdR (Gioco di Ruolo) della suddetta saga, un personaggio cui
tengo moltissimo. In realtà ho smesso da anni di giocare in quella land, anche
se ogni tanto devo ammettere che mi manca, e ogni volta che ascolto questa
canzone (Home, di Micheal Bublè) è
come un ritorno al passato.
Qualche
appunto su nomi e personaggi. Sephta Thyran è il nome del mio pg, e fa capo ad
Aidan Flaherty, la persona per lei più importante.
Gli altri nomi che verranno accennati saranno Jaidyn,
il gemello di Aidan nonché confidente di Sephta; Allhy e Glory sono compagne di
scuola e amiche, specie la prima; Vanille è una professoressa con cui Sephta è
entrata molto in confidenza. Rosacroce è il Vicario di Hogwarts, ovvero il vice
direttore, naturalmente questo nel GdR.
Vi sono
inoltre molti accenni ad avvenimenti nel GdR, che non posso
certo star qui a spiegare. La lettura non ne sarà comunque
influenzata.
Questa songfic si svolge nel momento in cui ho
lasciato il GdR, e in on il mio pg si è trasferito da Hogwarts alla scuola in
Francia, Beauxbatons.
Ho
preferito lasciare solo il testo della canzone, senza una traduzione che
avrebbe comunque appesantito lo scorrimento della fic.
Spero
vi piaccia!
HOME
I’m coming back
home
Another
summer day
has come and gone away
In
but I wanna go home
Chiuse il cassetto. Quel dannato francese
era così incomprensibile, già pronunciarne una sola parola era un inferno, una
frase intera rappresentava praticamente l’impossibile. Eppure, con tutta la
forza che racchiudeva nel suo piccolo corpo, cercava di corrugare le labbra in
quella maniera così imbarazzante e di non far sentire il suo accento
tipicamente scozzese, nella sua tenace lotta contro quell’infame lingua.
Faceva un caldo pazzesco, lì
in Francia; le estati in Scozia erano umidicce, non cambiavano granché
dall’inverno, tranne quando faceva così caldo che i vestiti si appiccicavano
addosso. Lì era semplicemente troppo caldo, un caldo afoso e secco, e la divisa
estiva che avevano era così… così orribilmente femminile…
Che disagio, quando la
indossavano. Le altre ragazze di Beauxbatons sembravano così carine e
aggraziate con quelle gonne corte a pieghe e le camicette con le maniche a
sbuffo e i fiocchi sottili, sembravano tante fatine, mentre lei invece sembrava
la strega cattiva che voleva confondersi tra loro, invano. Mancava il foruncolo
su un enorme naso e il travestimento sarebbe risultato davvero inconfondibile.
Incrociò le braccia sulla
scrivania di mogano e appoggiò la testa nell’incrocio dei polsi, tenendosi le
tempie fra le mani. I capelli li portava corti, con gran disappunto delle
professoresse dell’Accademia, che ci tenevano all’acconciatura delle loro ragazze,
con quei toupet così ben fatti, nessun capello fuori posto e tanti fermacapelli
floreali o fatti di stoffa con fili di perline pendenti… Insomma, lei risultava
un piccolo mostriciattolo saltellante in quell’ambiente che proprio non le si
addiceva.
I ciuffi più lunghi ai lati
del viso erano forse l’unica traccia di femminilità che ancora le rimaneva; i
capelli, più in generale, erano il punto del suo corpo che più curava, perché
ricordava i commenti di tutti a Hogwarts sul cambio di pettinatura e voleva che
almeno quello le ricordasse i tempi che erano stati.
L’altro ricordo che
conservava a dir poco gelosamente, era la collanina.
Il regalo di Aidan.
Maybe surrounded by
a million people I
still feel all alone
I just wanna go home
I miss you, you know
«Sephta, non vieni a letto?»
Alzò la testa dalla scrivania, l’aria sperduta per un
momento, come se non ricordasse dove si trovava. E ci mise anche qualche
secondo a decodificare il francese.
«Ah… sì, arrivo.» bofonchiò
svogliata, e soprattutto in quella lingua orribile, infilando alla rinfusa le
pergamene e le piume d’oca nel cassetto, cercando di non rovesciare tutto
l’inchiostro.
Si guardò nello specchio
appeso all’armadio, lì di fianco. Sembrava una bambolina vestita a festa, con
abiti presi dall’armadio della sorella gemella molto più carina. La camicia
bianca a sbuffo era semplicemente ridicola, indossata da un maschiaccio come
lei; come pure la gonna, che non sapeva neanche come si portava, oppure i
calzettoni, uno che arrivava sotto il ginocchio, l’altro sistematicamente sceso
sulla caviglia.
Per fortuna Beauxbatons era
un’Accademia femminile; quando si chinava a sistemare la calza, la sua
biancheria era sempre di dominio pubblico per le altre studentesse.
Il suo lato positivo era che
non se la prendeva mai per le prese in giro, che infatti avevano smesso di
circolare dopo poco. Con le altre studentesse aveva un rapporto di conoscenza,
o erano semplicemente estranee; le uniche cui dava uno scampolo di confidenza
erano le compagne di dormitorio, visto che erano le più carine e gentili con
lei e disponibili ad aiutarle con l’infido idioma.
«Sephta?»
Quando la capo dormitorio si
era fiondata a controllare che cos’avesse la piccola ex-Corvonero, perché non
venisse a letto, l’aveva trovata accovacciata accanto il quarto cassetto della
scrivania, sfilato dal vano e rovesciato, e la vide addormentata in mezzo a un
mare di pergamene.
And I've been keeping all the letters
that I wrote to you,
each one a line or two
I'm fine baby, how are you?
I would send them but I know that it's just not enough
my words were cold and flat
and you deserve more than that
Caro Aidan,
Io sto bene. E tu come stai?
E poi diverse righe
cancellate.
Qui è orribile, non capisco una parola di questo
stupido francese e mi riesce difficile anche comunicare con le mie compagne.
Subito dopo, di nuovo un “sto
bene”, un altro “come stai?” e altre confessioni cancellate, premute sulla
pergamena fino a bucarla, in certi punti.
Le lettere non duravano più
di domanda e risposta, nonostante la famosa indole chiacchierona della piccola
Thyran.
Tutto quello che voleva dire
ad Aidan era stato cancellato da una riga o da enormi x al centro della pagina,
con diversi scarabocchi per coprire ulteriormente le parole.
Stratagemmi inutili, visto che
quelle lettere risultavano non spedite, visto che
erano nel cassetto della sua scrivania.
Caro Aidan,
come va? Tutto bene? Io sto okay.
Aidan,
va tutto bene? Con Jaidyn? E Glory? E tutti gli altri?
Io sono a posto.
Ehi Aidan.
Ciao, Aidan,
Dan,
Aidan…
«Aidan…» mormorò confusamente
il nome, agitandosi sul letto.
Scostò da sé le lenzuola,
soffrendo atrocemente il caldo.
All’improvviso spalancò gli
occhi nella penombra del dormitorio, fissando ansimando la finestra ad
inferriate che lasciava entrare un bianchissimo fascio di luna, che cadeva
sulla scrivania, sui cassetti, sulle lettere sparpagliate. La
capo dormitorio doveva averla trovata lì per l’ennesima volta, presa in
braccio e messa a letto con dolcezza.
Le venne da piangere e
pianse, nascondendosi nel cuscino e facendo preoccupare tutte le compagne di
dormitorio, che si rigirarono nel letto fremendo dalla voglia di andare a
coccolarla ma trattenendosi, per lasciarle la privacy e l’illusione di piangere
e sfogarsi in solitudine.
Let
me go home
I’m just too far
From where you are
I wanna come home
Era stanca.
A lezione non riuscì a
seguire neanche una virgola di quello che la prof cercava di spiegare alla
classe, la sua mente era altrove, era oltre Manica, era in Scozia in un
castello nascosto alla vista di chi non possedeva il Dono.
Certi giorni si svegliava con
la voglia di fuggire via da quel luogo, sentiva di non appartenere a nulla,
dalla pietra delle mura al più piccolo filo d’erba nel giardino. Tutto le
risultava estraneo, nuovo, diffidava da ogni viso, da ogni sguardo, non
riusciva a riconoscersi in nessun angolo dove di solito la si poteva trovare
accoccolata a lavorare a maglia – a Hogwarts, quanti le erano inciampati
addosso, non vedendola…
Nulla le scaturiva dolci ricordi,
nulla le faceva salire un sorriso tenero sul viso, nulla era considerato così
importante da starci male al sol vederlo.
Semplicemente, nulla era
abbastanza pieno di Aidan per poter essere considerato vitale.
Semplicemente, Aidan era
troppo distante da lì.
Semplicemente, lei era troppo
distante da Aidan.
Niente era fondamentale per
lei se non possedeva un ricordo.
Per esempio, la collanina
risaliva al suo primo compleanno a Hogwarts, il suo primo compleanno in una
nuova scuola, con nuovi amici.
E Aidan, conosciuto
relativamente da poco, era riuscito a sorprenderla con un regalo semplice, ma
sincero e praticamente insostituibile.
Quando gliel’aveva gettata
contro, preda degli istinti di un bracciale incantato, ripensarci era stato un
incubo. Grazie ad Ashton, che suo malgrado era stato una guardia del corpo
infallibile, l’aveva recuperata, chissà come, e da allora non se ne separava
mai.
And I feel just like I'm living
someone else's life
it’s like I just stepped outside
when everything was going right
La partenza da Hogwarts per
Beauxbatons era stata a dir poco tragica. La forza di volontà sufficiente a
trascinare il baule giù per il sentiero le mancava totalmente, così che il
guardiacaccia si era visto costretto a prendere in braccio sia l’oggetto, sia
lei, così piccolina e fragile da fargli temere di poterla spezzare per
disattenzione.
Lei piangeva senza ritegno,
guardando il castello allontanarsi e volgendo le spalle – per forza di cose –
ai genitori che la aspettavano alla stazione di Hogsmeade per tornare a casa.
Guardava Hogwarts attraverso un velo di lacrime, un torrente inarrestabile di
tristezza che rendeva i contorni indefinibili. Non aveva salutato nessuno, per
non dover piangere ulteriormente, ma quella decisione le pesava addosso come non
mai.
L’unica, stupida lettera che
era riuscita a spedire con tutte le sue forze, era stata vergata a Beauxbatons
e ci aveva messo dentro tutto il senso di colpa che provava.
Aveva scritto lettere tutti i
giorni, di appena tre righe, perché nel momento in cui si rendeva conto di star
parlando solo dei suoi drammi interiori, buttava la pergamena in un cassetto,
nello stesso cassetto che, dopo qualche settimana, ogni sera prendeva a
rovesciare. Rileggeva tutte quelle parole fino allo sfinimento, finché non si
addormentava e la paziente capo dormitorio doveva prenderla in braccio come una
bambina e portarla a letto.
Il problema che aveva quella
piccola scozzese, non era tanto aver lasciato Hogwarts.
Era aver lasciato la sua vita
lì quando tutto si era aggiustato.
Dopo quel periodaccio causa
bracciali maledetti, dopo aver passato settimane ad ignorarsi o lanciarsi
insulti, erano tornati a parlarsi.
Aidan aveva accettato di
andare al ballo di Yule con lei e, nonostante i guai che invitati come
Blumarine Moore o quello strano vecchietto inquietante avevano causato, erano
riusciti a ballare insieme, a tenersi per mano e a guardarsi – imbarazzatissimi
– negli occhi. Avevano passato il compleanno dei gemelli in allegria, alla fine
erano rimasti solo lei, Aidan e Jaidyn in giro per Hogsmeade, specie da
Mielandia, dove avevano trascinato il povero DanDan.
Jaidyn le faceva forza per
un’eventuale dichiarazione e diceva che sarebbe andato tutto bene, perché lo
assicurava lui – “e sai che assicurazione” rispondeva lei a tono, beccandosi un
finto calcio.
Poi, la lettera dei suoi
genitori.
E il mondo le era piombato
addosso.
And I know just why you could not come along
with me
this was not your dream
but you always believed in me...
Sephta, figliola, abbiamo scoperto tracce della nostra
famiglia in Francia. Ti trasferirai a Beauxbatons entro due settimane. Prepara
le valigie, amore.
Le smancerie in quella
lettera erano tali da farle venire il voltastomaco. Ciononostante, per cause
legali era costretta a seguirli oltre Manica e aveva preparato i bagagli e
parlato con il vicario Rosacroce.
Il trasferimento a
Beauxbatons era stato ultimato e lei aveva tempo qualche giorno per imparare
almeno rozze basi di francese.
Non salutò nessuno.
Non salutò Glory, con la
quale aveva imparato a parlare un po’ di più.
Non salutò i Corvonero, i
suoi compagni di casa.
Non salutò le altre Case.
Non Allhy, la sua unica e
migliore amica. Non Vanille, una bellissima persona poco professoressa e molto
sorella, madre, amica. Non Jaidyn, confidente e migliore amico.
Non Aidan.
Aidan, più importante
dell’aria.
Soltanto, non trovava le
parole per esprimere il magone che le chiudeva la gola ogni volta che doveva
affrontare il discorso.
Così decise di lasciare di sé
un ricordo come tanti, una Sephta Thyran sorridente, impacciata e logorroica,
con gli occhi che brillavano.
Solo che, quell’ultimo
giorno, non brillavano di gioia, ma di lacrime.
Semplicemente, non l’aveva
fatto notare a nessuno.
Another winter day
Has come and gone away
in either Paris or Rome
and I wanna go home
Let me go home
And I'm surrounded by
A million people I
still feel alone
Let me go home
Oh, I miss you, you know
Let me go home
L’inverno, a Beauxbatons, era
freddo e pungente. Ma lei, abituata alle temperature della Scozia, non aveva i
problemi delle compagne. Poteva fare a meno del doppio maglione, ma usare solo
il canonico mix di guanti, sciarpa e giacca, magari copriorecchie per quando
faceva davvero freddo.
Il freddo che lei sentiva,
era dentro il suo cuore. Quello che la faceva vibrare di tristezza accanto alle
alte finestre gotiche, quello che la faceva scoppiare a piangere nei momenti
meno opportuni.
Era una tristezza unica e
irreparabile.
I’ve
had my run
Baby,
I’m done
I’ve gotta go home
Let
me go home
Cerimonia di diploma.
Pieni voti.
Un francese impeccabile.
Una strega di prim’ordine.
Ciò che era diventata, ciò
che dimostrava al mondo, ciò che i suoi genitori volevano.
Ma lei, dentro, fremeva dalla
voglia di fuggire da lì, fuggire di nuovo a Londra, fuggire a ritrovare la sua
vecchia vita che ancora non aveva abbandonato, nel profondo del suo animo.
Sognava ancora la cioccolata
calda del Paiolo, le giornate in giro per Diagon Alley, gli scherzi nei negozi
e la voglia di vivere che influenzava piacevolmente gli altri.
It’ll
all be alright,
I’ll
be home tonight
I’m
coming back home
Neanche il tempo di fermarsi
a casa che aveva preparato le valigie di corsa.
«Tesoro, vai già via?» ancora
il francese, ancora il tremendo francese. I suoi avevano persino acquisito una
sorta di accento che le dava ai nervi.
«Yeah, mom.» rispose in uno sfacciato inglese.
«I’m coming back home.»
~Owari
Dedicated to “my” Aidan
Non so perchè, ma c'è un problema con l'html. Mi scuso per l'inconveniente, ma ci provo da mezz'ora e sono anche quasi le due del mattino ^^" Perdonatemi!