bar
Siete
mai stati in un bar? Si? Beh, francamente, mi stupirei del contrario.
Ma
siete mai stati in un vecchio bar di periferia, durante una fredda
giornata di
pioggia? Scommetto che il campo si restringe leggermente.
Voglio
darvi altri indizi, per farvi capire meglio ciò che sto per raccontarvi.
Quello
di cui parlo, non è un posto alla moda, con le luci soffuse, la musica,
le
bariste sorridenti, i barman giocolieri e quello che vi pare.
No.
Quello
di cui vi parlo è un locale malamente illuminato da lampadari polverosi
e
ronzanti, con un lungo bancone di legno macchiato dal tempo e da
qualche goccia
di bevande più o meno alcoliche, versate in tempi di maggior sfarzo.
Quello
di cui vi parlo è un locale con uno specchio sbeccato dietro al
bancone,
incorniciato da scaffali vuoti con poche bottiglie dalle etichette
sbiadite
dagli anni.
Quello
di cui vi parlo è un locale il cui parquet di legno scuro porta incisi
i segni
dei tacchi di giovani donne, le tracce lasciate dagli scarponi da
scalatore di
alcuni rocciatori di passaggio e le strisciate delle sedie fatte dai
clienti
più rudi. I tavoli ci sono, sono anche loro in legno. Alcuni sono
sbeccati,
altri traballano, ma sono dei bravi tavoli. C’è molto legno in questo
bar,
sapete? Eppure non ci sono foreste nelle vicinanze. Non più. Ormai il
bar è
circondato da capannoni e complessi industriali.
Ne
è passato di tempo da quando questo posto era il punto di ritrovo per
tutti gli
avventurieri, che facevano tappa lì prima di arrampicarsi per impervi
sentieri
tortuosi, o appena tornati, pronti a raccontare a tutti le loro grandi
imprese,
imbellite da quel pizzico di esagerazione che non guasta mai.
Ne
è passato di tempo da quando i fidanzatini venivano a comprare qualcosa
da
sgranocchiare durante una romantica passeggiata sulla riva del
laghetto, ormai
prosciugato, magari sedendosi ad uno dei tavoli ed incidendo, di
nascosto dal
proprietario, le iniziali della coppia come augurio di eternità, senza
sapere
che il proprietario se ne accorgeva sempre, senza mai dire una parola,
orgoglioso che volessero condividere la notizia del proprio amore con i
futuri
avventori del locale.
Questo
è ciò che era e che è adesso il bar. Come dite? Se questo bar ha un
nome? Certo
che ce l’ha, che domande fate?!? Ah, volete saperlo, il nome? Fidatevi
quando
vi dico che vorrei tanto saperlo anch’io. Qualcuno ancora se lo chiede,
passando qui per caso, ma nessuno sembra avere la risposta.
Di
insegne luminose all’esterno neanche a parlarne, figuratevi piattini
personalizzati o roba del genere! No, no gente, avete completamente
sbagliato
genere! Il nome di questo posto non viene più pronunciato a memoria
d’uomo. Per
tutti è diventato la “bettola”, e
sapete una cosa?
Ai
clienti abituali il nome non fa poi tutta questa differenza, a quelli
non
abituali...bah, non si vedono più facce nuove da queste parti da anni.
Comunque sia, se sarete così
gentili da
sprecare qualche minuto del vostro tempo, avrei piacere a raccontarvi
un
aneddoto curioso, capitato qualche anno fa a Chiara, a quei tempi
l’unica barista
della “bettola”.
L’ultima barista
della “bettola”, se dobbiamo proprio
essere
sinceri.
Angolo
autrice
Salve
a tutti brava gente...son tornata!!!! Intanto volevo ringraziarvi per
aver
seguito in tante la mia storia “Un incontro fortunato” perchè se questa
storia
è stata pubblicata significa che ho abbattuto la soglia delle 100
recensioni!!!
Come
sempre la storia ruota intorno a Nick, ma che volete farci sono una
delle tante
NickJonasDipendenti, quindi non vi rimane altro che sopportarmi e
recensire.
Almeno per dirmi se continuare o no this story!!!!
I
Jonas Brothers non sono di mia proprietà (ma perchè lo devo scrivere
ogni
volta? Non è già abbastanza doloroso senza doverlo precisare ogni due
per
tre???) e questa storia non è scritta a scopo di lucro. Ogni
riferimento a
cose, fatti o persone realmente esistenti è da considerarsi puramente
casuale.
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