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Autore: Mitsukai    29/05/2005    0 recensioni
«...La sera di quel novembre freddo e buio continuavo ad essere triste finché non ti incontrai per strada quasi decisa a chiederti scusa, anche se di colpe credo, di non averne mai avute. Tu eri in compagnia di qualche tuo amico che salutai educatamente, ma quando arrivai a te mi sentii un nodo in gola… Ti abbracciai come non avevo mai fatto con nessuno e quasi piansi sulle tue spalle... la mia testa era piena di domande del tipo «Perché fai così?», tu ti scusasti timidamente per la mattina passata a scuola, lo ricordo come se fosse ieri. Rimanemmo abbracciati per un lungo istante, non volevo lasciarti più. Rimanemmo abbracciati, come due amici...»
Genere: Malinconico, Poesia, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premetto che questa lettera la dedico davvero ad un mio amico, perché per me è una persona importantissima

Premetto che questa lettera la dedico davvero ad un mio amico, perché per me è una persona importantissima. Spero di non annoiarvi troppo per la serietà con cui l’ho scritta, ma davvero, vi giuro che quelle parole mi sono venute dal cuore… lascio a voi il resto…

 

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Caro Alberto,

rieccoci qui, ancora a litigare mentre le giornate continuano a trascorrere monotone sotto i nostri occhi.

E poi magari durante la notte ci stringiamo il cuscino forte forte al petto per fuggire dai rimpianti che ci assillano da mesi. Alberto, sei stato importantissimo per me una volta, e lo sei anche adesso dopo le ultime litigate che  hanno soppresso tutti quei momenti meravigliosi che abbiamo trascorso insieme. Come due amici.

Conoscerti e scoprire in te quell’identità di bambino capriccioso che continuava a infastidirmi è stato un inizio. Ricordi il primo giorno della prima media? Quando ti guardai fui colpita da qualcosa… ma certo…i miei occhi ti avevano già visto da qualche parte… nelle recite di Natale che facevamo all’asilo…quella corona di cartoncino che portavi in testa ti donava e la faccia da bimbo ti si addiceva così bene, vorrei che la indossassi di nuovo per dirti grazie. Grazie per avermi capita, qualche volta, grazie per avermi offesa e magari pure disprezzata. Mi hai insegnato a diventare più grande. Non m’interessa ricordare quante lacrime abbia versato per colpa tua, l’importante è che tu mi abbia insegnato a difendermi e a diventare più forte, alle volte più sensibile. Eri così indispettito che preferivi evitarmi e piuttosto cacciarmi addosso parole pesanti, invece di aiutarmi ad illudere su un qualcosa di impossibile. Come ad esempio, è stato difficile per te, accettare che mi ero presa una bella cotta per il tuo amico, esattamente… un anno e mezzo fa.

Ricordo che mi ero appena dichiarata a Giuseppe e la sera stessa mi beccai una brutta influenza che mi costò una settimana di assenza a scuola. Volevo non tornarci più in quella classe, perché sapevo che c’eri tu a lanciarmi colpe addosso, perché sapevo che avresti reagito male, come in ogni mio espediente.

Non avevo calcolato che tu ti saresti messo fra me e Giuseppe, ti saresti impegnato più a fondo nel piano “riduciamo a pezzi la dignità di Valeria”. Un po’ pesantoccio come programma, almeno queste furono le parole che pensavo quando ero alla inizio della mia battaglia contro di te.

Tu mi avevi dichiarato guerra ed non feci altro che accettare senza neanche conoscere il motivo di tutto questo.

Non feci apposta a lasciare che Giuseppe si influenzasse alle tue idiozie, d’altronde era tuo amico e tu potevi conoscerlo meglio di me. Io ricordo quando stava per finire la seconda media; la professoressa voleva interrogare i migliori per sistemare i voti poiché essi non erano stati interpellati durante l’anno. Ti sentisti malissimo perché il tuo nome non comparì nella lista degli interrogati ed io venni a consolarti così affettuosamente. Piangesti davanti a tutta la classe ed io non volevo che ti avessero mancato di rispetto, forse perché potevo fidarmi solo di te per avvicinarmi a Giuseppe, anche se tu eri il primo ad ostacolarci, anche se tu eri quello che mi insultava con maggior sentimento. Ma a me non importava. In quel momento, così istintivamente, ti dissi che tu avevi avuto già le tue buone interrogazioni con buoni giudizi e ti calmasti un poco quando ti dissi che io non avevo studiato manco mezza pagina e che quel week-end lo avrei trascorso china su sessantadue pagine, ossia cinque capitoli del libro di storia. Ti porsi un fazzoletto e tu asciugasti le tue lacrime mentre inclinavi la testa verso il banco quasi sorpreso di quel mio comportamento. Ed in fondo capisti che poi non ero così spregevole come sembravo e che forse avresti potuto chiedermi scusa per tutto quello che mi avevi fatto. Quando iniziò la terza media, ti vedevo più cambiato e sereno.

Iniziammo a parlare come se fossimo amici e poi lo diventammo sul serio. Iniziammo a parlare di quello che avevamo passato l’anno prima e tra un sorriso e l’altro i miei giorni di scuola si facevano sempre più motivati.

Ogni giorno ti portavo qualche chewing-gum e numerose goleador alla coca perché a te mi ci ero affezionata.

Sembrava quasi che mi fossi innamorata di te, ma non lo era affatto, anzi eri l’unico a cui voler bene per davvero. Come due amici. E come due amici passammo anche dei brutti momenti insieme.

Ricordo che avevamo litigato per non so quale motivo, e a scuola la prof ci stava raccontando un suo episodio vissuto da giovane. Ci disse che quando era adolescente, in classe schiaffeggiò un cretinetto che continuava a darle fastidio e ciò nonostante si beccò una bella punizione, ma ne era valsa la pena, perché si era tolta un grosso peso. Ironizzai chiedendole se avevo la possibilità di prendere a ceffoni “qualcuno” in classe ed evidentemente la tua coscienza ti fece sentire in colpa perché ti sentisti chiamato.

Magari era vero, volevo schiaffeggiare te, perché tu mi dicesti «Lo so che quello schiaffo è riservato a me, puoi anche farlo adesso, io non mi oppongo», così tristemente. Il senso di colpa ti faceva male, ti rodevi dentro ed io lo avevo notato. Ti risposi così «No, guarda che ti sbagli, non sono così stupida come credi». Non ci parlammo per tutto il giorno. Ma avevamo litigato anche qualche sera prima e quell’episodio non era altro che una conseguenza. La sera di quel novembre freddo e buio continuavo ad essere triste finché non ti incontrai per strada quasi decisa a chiederti scusa, anche se di colpe credo, di non averne mai avute.

Tu eri in compagnia di qualche tuo amico che salutai educatamente, ma quando arrivai a te mi sentii un nodo in gola… Ti abbracciai come non avevo mai fatto con nessuno e quasi piansi sulle tue spalle... la mia testa era piena di domande del tipo «Perché fai così?», tu ti scusasti timidamente per la mattina passata a scuola, lo ricordo come se fosse ieri. Rimanemmo abbracciati per un lungo istante, non volevo lasciarti più. Rimanemmo abbracciati, come due amici.

Ma i mesi che seguirono quella serata furono duri e laceranti. Non so come, né perché, ma cambiasti atteggiamento nei miei riguardi e quei mattoni dell’amicizia che avevamo così ordinatamente disposto uno sull’altro, crollarono davanti ad entrambi. Avevamo dimenticato di fissare il cemento, così come avevamo dimenticato di dirci  almeno un “ti voglio bene”, o di scambiarci qualche sorriso durante le lezioni.

Mi sentivo disgustata del fatto che tu mi avessi completamente “dimenticata”, mi sentiva un’idiota e continuava a chiedermi… “Ma perché a me?” oppure “Cosa gli prende?” e domande del genere senza ottenere alcuna risposta, forse per paura di avere una rovente sentenza che mi avrebbe fatto soffrire, oppure per colpa dell’orgoglio, maledetto orgoglio…

Iniziasti di nuovo a prendermi in giorni con isoliti, inutili appellativi e certe sere scoppiavo in lacrime perché pensavo tu mi avessi usata come uno straccio, pensavo anche alle belle cose che rendevano felici e ai litigi a cui tenevo sempre testa.  Mentre ora mi ritrovavo completamente impotente, stanca di ripetere le stesse cose, perlopiù sconvolta di tutto questo. 

Mi ero ripromessa che mi sarei vendicata di quel tuo così radicale comportamento e avevo chiesto a Lidia di appoggiarmi con tutta se stessa. Lei aveva accettato, non solo perché ero sua amica, ma anche perché, come vedi, c’era qualcun altro che oltre a me non ti sopportava più. Inoltre, avevo chiesto a lei perché lei aveva quasi preso il mio posto, quando, ipoteticamente, potevo essere una minuscola parte di te, forse quella più sincera e dolce che avessi nel tuo essere. Ti sentivi male quando ai tuoi insulti rispondeva Lidia al mio posto, ed ogni volta abbassavi la testa verso il pavimento senza risponderle. Come avevo prefissato.

Poi le chiedesti perché Lidia si comportava in quel modo e lei ti rispondeva che assumevi comportamenti infantili e che tu eri uno stupido. Forse te ne rendevi conto anche tu. O meglio, la tua coscienza.

Decisi che avrei fatto la festa di compleanno e che avrei invitato alcuni miei amici , compreso Giuseppe, e tutta la mia classe... escluso te.

Amara realtà, ma le cose dovevano andare proprio così. Ed ogni volta che in classe qualcuno ti chiedeva se ci venivi alla mia festa, (perché giustamente loro non sapevano se ti avevo invitato o meno) tu rispondevi sgarbatamente di no, quasi a convincere quel qualcuno che la mia poteva essere una festa da schifo.

Ieri invece no. Abbiamo ripreso a parlare. Proprio come due amici.  E una fitta mi ha attraversato lo stomaco, come una spada che trafigge il cuore della Vergine Maria. Ed ecco: mi ero ripromessa che non ti avrei invitato, ma sull’ultimo proprio sull’ultimo l’ho fatto e non me ne pento.

Te lo chiesto e tu avevi fatto una faccia sorpresa. Non te lo aspettavi, eh? Sono contenta che tu ci venga anche perché mi sono tolta un peso che avevo sull’anima. Alberto, ti voglio tanto bene. Per me sei parecchio importante, ma tu non vuoi rendertene conto. E non sai nemmeno come mi sono sentita quando ti sei fidanzato con quella Carla. Mi sono sentita vuota. E invidiosa. Ma per un certo aspetto felice, perché così almeno tu avresti provato sulla pelle cosa vuol dire innamorarsi. Sono invidiosa di lei, perché non me lo aspettavo. Tu mi piaci. Ma come amico. E io potrei piacere anche a te. Come amica.

Ti ringrazio di aver ricominciato a parlare con me, perché sono davvero felicissima.

Ed oggi pomeriggio mi hai persino dato un sostegno morale. Hai convinto persino Giuseppe di venire alla mia festa, te ne sono grata; dopo potrò anche dirtelo di persona, perché sono convinta che tu non leggerai mai questa lettera… ma forse un po’ ti renderai conto che ti voglio bene. E questa volta per davvero.

Sono già le otto e cinque e tra mezz’ora ci vedremo alla mia festa. L’occasione migliore per abbracciarti ancora…

Affettuosamente…

….tu Valeria

 

 

 

Allora vi è piaciuta? O vi ha fatto letteralmente schifo?

Fatemelo sapere…RECENSITE!! ^O^ Ringrazio di cuore a tutti quelli che lo faranno!!

 

Ah… un’ ultima cosa…

 

 *Alberto*
ti voglio
*tanto bene*

  
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