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Autore: Lalani    21/09/2009    3 recensioni
“La ragazza si voltò di nuovo verso la tavolata, mentre le lacrime si dissolvevano, e tornò a guardare lo strano spettacolo delle luna spiona e dei fuochi d’artificio scintillanti. E, per l’ennesima volta, si sentì una prigioniera in una gabbia di cristallo. Proprio come lei, la principessa invisibile. In fondo, a Lavinia non è stato permesso scegliere.”
Fan fic su Hinata e sulla crudeltà della vita reale. Tributo a Lavinia, la principessa invisibile.
PRIMA CLASSIFICATA AL CONTEST "I CAN'T STAY WITHOUT MUSIC" DI ONLY_ME
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Atto Quarto: Jillian, our dream
ended long ago.
One Days to death


 Cuz out there I'm always wrong.




“Ma non sembrano anche te una coppia decisamente fastidiosa!Insomma, persino a livello cromatico sono inguardabili!”
“M-ma N-aruto, quando s-si ama n-non si pensa ai colori!”
“Si, ma almeno un po’ di rispetto per i nostri occhi! È come se mi tirassero un pugno!”.
Ma purtroppo Sakura e Sasuke erano troppo impegnati a coccolarsi nel loro nuovo mondo per preoccuparsi degli occhi altrui. In quei giorni, persino il freddo Uchiha sembrava più sereno mentre guardava ogni gesto della sua nuova ragazza. Alcuni dei loro compagni di classe gli rimproveravano di essere troppo taciturno e distaccato con Sakura, ma Hinata, che forse balbettava ma vedeva molto meglio di tanti chiacchieroni, vedeva gli occhi color ebano di Sasuke che si soffermavano su ogni leggera sfumatura di Sakura: di come si arricciava ai capelli, annoiata, durante le lezioni di storia; di come sorrideva impacciata ma soddisfatta ad ogni buon voto; dello scintillio che animava i suoi occhi di smeraldo, ogni volta che lo sorprendeva ad osservarla. Sakura, in quei giorni pieni di vento che avevano preceduto un apocalittico Maggio di intenso sole, era radiosa come l’estate che si avvicinava sempre più, di giorno in giorno. Hinata l’aveva vista uscire dal gelo dell’inverno, dell’infanzia e aprire le corolle verso il sole dell’amore, che le aveva dato l’energia e il calore per crescere, maturare. Hinata aveva sempre pensato a Sakura come un magro e nodoso Ciliegio; di quelli sottili come ciglia, ma ben radicati al loro suolo d’origine. Sakura non aveva mai permesso che le radici del suo amore lasciassero il cuore di Sasuke; né vento né pioggia l’avevano smossa, né sole né notte l’avevano convinta ad abbandonare il vero amore per un volgare sostituto. Sì, Sakura era sbocciata nella primavera della sua vita. E Sasuke, come uno Scoiattolo, si era rifugiato tra i rami accoglienti, pieni di fiori.
 “E poi la povera Sakura non sa in che guaio si è cacciata!Perdere la testa per quel mezzo emo…ma come si fa??” aveva mormorato per l’ennesima volta Naruto, digrignando i denti come se stesse cercando di non sputare veleno su i suoi due migliori amici. Hinata sapeva che Naruto ci avrebbe messo del tempo a smaltire la collera per il “tiro mancino” che gli avevano giocato il suo eterno amico/rivale e la ragazza che da tempo lo affascinava, con il suo sorriso sincero e le sue gote di pesca.
Così Hinata lo aveva accolto nel suo angolo isolato e timido, nel suo banco accantonato al muro, nel suo nido in cima alla classe, in modo che smaltisse la delusione lontano dai banchi dei neo-fidanzati; e ne aveva di astio da smaltire, sembrava una ragazzina alle prese con i chili di troppo. Per la prima volta, Hinata poteva osservare senza sforzo e senza pudore quegli occhi infantili che si stavano tingendo delle sfumature adolescenziali, più scure, più serie. Ma il suo carattere era ancora un frutto acerbo.
“Hinata, ma li hai visti? È disgustoso!” aveva mormorato durante l’ora di storia, mentre guardava con puro odio uno sguardo particolarmente intenso di Sakura e uno seccato ma compiaciuto di Sasuke che aveva attraversato metà classe.
Hinata aveva sollevato gli occhi madreperlacei dagli appuntì che svolazzavano impazziti al vento di Aprile e si era soffermata per un’eternità sul broncio di Naruto prima di rispondergli.
“è-è vero, Naruto: q-quando s-si ama, è difficile n-non essere amati” mormorò, imbarazzata, le dita che si intrecciavano convulse.
Naruto la guardò stupito, distogliendo gli occhi celesti dal suo bersaglio.
“P-però l-l’amore non muore m-mai…può a-accrescere e aff-f-f” sospirò, maledicendo quella lingua tremante “affievolirsi,  ma non muore. P-può mutare, ecco, c-cambiare sog-getto, ma non muore. Mai” concluse, con le gote imporporate di soddisfazione, come una bambina a Natale. Non poteva crederci: stava parlando con Naruto, cercava di fargli capire il desiderio impellente del suo cuore.
Hinata ricordava quel momento con amore ed eccitazione, perché sapeva che proprio da quella frase, in quel giorno pieno di vento, che spazzava via le sporcizie dell’inverno, era nata la scintilla del loro amore.
Loro, perché quella di Hinata era nata e cresciuta fin dai primi giorni di scuola: l’anno in cui lei, la ragazzina di cristallo, la luna cieca, aveva incontrato il re del cielo, il sole splendente. Aveva imparato a memoria le sua abitudini, le sue battute preferite, i suoi gesti, tentando di assomigliarli…finché la sua idolatria non si era tramutata in amore sofferto.
Quel pomeriggio, il pomeriggio della scintilla, Naruto, allo scoccare della campanella l’aveva affiancata, e assieme avevano camminato fino alle pendici della collina sormontata dalla villa Hyuuga. Frustati dal vento, erano riusciti a scambiarsi qualche parola e qualche sorriso; Hinata era imbarazzata ed estasiata, mentre vedeva i suoi desideri, pieni di speranza e paura, avverarsi.
“Se vuoi faremo la strada assieme più spesso” aveva detto Naruto, con il vento tra i capelli e gli occhi incerti, quasi timorosi: probabilmente si stava chiedendo cosa fosse quella nuova stretta al cuore, quanto fosse profondo l’affetto di Hinata nei suoi confronti, per quanto tempo li avesse covati per vederli schiudersi, se poteva esistere la possibilità di ricambiarli. Nei giorni seguenti erano circolati molti pettegolezzi circa le deviazioni di Naruto e le menti dei loro compagni di classe erano intasate dal perenne traffico di pensieri che potevano formulare su quella strana coppia: gli opposti, vetro e metallo, che camminavano assieme sotto il sole. Tutti spettegolavano, ma in fondo credevano che Naruto avesse cambiato strada solo per non incrociare la coppia che prima di lui era stata oggetto di scoop vari, Sasuke e Sakura. Ma Hinata sapeva che non centrava solo l’astio di Naruto verso la coppia o il suo amore tradito da Sakura, oggetto del suo cuore da tempo. Naruto, dietro i suoi scherzi e le sue battute, stava cercando di riordinare i suoi sentimenti: dove disporre un’amicizia perduta, un legame con Sasuke che voleva recuperare? In quale cassetto nascosto poteva pigiare il ricordo di Sakura? Voleva buttarlo o solo nasconderlo, per conservarlo? Dove appoggiare l’affetto infinito che aveva letto recentemente gli occhi limpidi di Hinata?
Alla fine aveva deciso di metterlo metaforicamente in primo piano, sul comodino, assieme all’unica foto dei suoi genitori, alla sveglia che non riusciva mai a destarlo, alla presenza del suo tutore Jiraya, che nonostante il suo modo duro era rimasto tante, troppe volte, era rimasto a vegliarlo quando era stanco o malato.
“E un giorno volerò proprio lassù” aveva esclamato Naruto, quell’innocente ventuno di Marzo, mentre tornavano a casa. Il suo viso arrossato era una maschera di gioia. “Non sai come sarà bello volare in mezzo alle nuvole!Certo non sarà facile, ma alla fine riuscirò a diventare il pilota più in gamba di tutti i cieli, proprio come mio padre!”. Hinata aveva continuato a guardarlo, concentrata e ammirata, mentre gli occhi di Naruto si confondevano con il cielo.
“Allora s-sei sicuro? Non h-hai paura di volare, di r-rischiare, di rimanere n-nel vuoto?Non h-ai paura di r-rimanere da solo?” gli domandò impensierita. Naruto si era voltato e l’aveva guardata confuso: non comprendeva la sua paura, non riusciva a capirla. Ma una cosa poteva farla: poteva salvarla, da quella paura ignota.
Le si era avvicinato e lei lo aveva aspettato, come sempre, nella realtà come nei sogni. Naruto le aveva sorriso, mentre entrambi stavano ringraziando di essere sotto lo stesso cielo, di respirare la stessa aria, di essere così uniti.
“All’inizio sarà difficile” cominciò, con il sorriso ammantato della solita, irrefrenabile allegria “ma dopo aver imparato sarà tutto più facile: la prima volta è sempre così: ci sentiamo soli e possiamo contare solo su noi stessi, mentre temiamo di cadere nel vuoto. L’assenza di aiuto può essere devastante all’inizio, ma poi si impara. Bisogna solo rischiare”.
Un altro dei suoi sorrisi splendenti…come poteva essere così imperfettamente giusto per lei?
“E poi, io non sarò mai solo quando volerò: i piloti di linea non volano mai senza il loro secondo” aveva riso con sicurezza “Io sono stato fortunato: in vita mia non sono mai stato solo”.
“N-neanche quando t-ti sei allontanato d-da Sakura e Sasuke??” aveva chiesto Hinata timida, ancora intimorita dalla presenza della ragazza rosata nel cuore di Naruto. Ma lui l’aveva guardata con sorpresa, come se si tesse seriamente chiedendo se l’amica avesse qualche problema di connessione.
“Bè, no!Ero con te” aveva risposto sicuro, con il sorriso spensierato di un bambino e sincero di un adulto. Si erano baciati lì, in mezzo alla strada falciata dal vento di quel Marzo festante, con il profumo dei fiori imprigionati nei vasi e qualche ciclista che li aveva guardati incuriosito e sereno, prima di affrontare la discesa dopo la curva. Aveva ragione Naruto, come sempre: era bello volare e lasciarsi andare, dopo aver imparato, dopo essersi tenuti per mano.
Sembravano passati secoli, dal quel Marzo pieno di sogni.
Hinata, rinchiusa nella sua stanza, allungò la mano, ma non trovò quella calda e forte di Naruto, come le aveva promesso.
 “Non ti lascerò mai, ti condurrò attraverso i tuoi passi. Se tuo padre non è capace di fare il padre e Hanabi di fare la sorella, io sarò entrambi” le aveva detto pochi giorni dopo il bacio, sempre su quella strada piena di vento.
Promesse sfaldate, distrutte.
Hinata allungò di nuovo la mano, ma tutto quello che riuscì ad afferrare fu un raggio di luce invisibile, che filtrava con intraprendenza nella stanza buia. Un'altra fitta di nausea, e l’esofago in fiamme. Hinata gemette, nel suo letto, tra le coperte sudate, agognando il sonno ma senza riuscire a raggiungerlo. Era stata troppo tempo chiusa in casa per ricordarsi cosa fosse la fatica e il godimento di un sonno ristoratore dopo di essa. Si sentiva gli occhi gonfi di una fatica confusa e i sensi intorpiditi dall’apatia.
Avevi promesso che mi avresti accompagnato sul cammino della vita, mano nella mano, senza lasciarmi, perché dovevo imparare a camminare davvero. Ma ora dove sei? Dovevi insegnarmi ad amare, a non balbettare, a vivere. Perché ti hanno mandato via?
Hinata aveva sempre pensato di essere stata più prudente di Sakura e di Sasuke, che mostravano il loro tenero amore con i gesti più disparati e sinceri. Alla fine erano giunte le prime problematiche, e Hinata non ne era rimasta sorpresa, anche se era stata colta dalla tristezza e dall’amarezza.
 Per loro fortuna, Fugaku Uchiha era troppo impegnato a combattere la causa di furto di cui era accusato Itachi per controllare il figlio minore, che usciva con una ragazzina di basso ceto e che aveva avuto accesso al prestigioso collegio solo grazie a una generosa borsa di studio. Anche Mikoto Uchiha, la madre di Sasuke, aveva accolto la presenza di Sakura senza repliche; aveva fatto un sorriso breve e con voce candida aveva mormorato: “Basta che non la sposi!”.
Hinata e Naruto, invece, erano costretti a percorrere chilometri e chilometri per trovare un piccolo paradiso riparato dove coltivare il germoglio del loro neonato amore. Ma Hinata vedeva sempre più spesso il paradiso, lucente e ameno, perché, fondamentalmente doveva avere due sole caratteristiche: essere lontano da Villa Hyuuga e nello stesso posto in cui si trovava Naruto. Era incredibile come ogni sciocchezza, ogni sorriso, ogni bambinata di quel ragazzo che cresceva, incostante e insicuro, in quel bagno di ormoni, riuscisse a renderla serena.  Si sentiva cullata e protetta, come se sua madre fosse finalmente tornata, e Naruto riuscisse a sbloccare i ricordi della sua infanzia: il sapore del latte caldo, le ninne-nanne della mamma, le labbra paffute di Hanabi che succhiavano dal suo seno. Ogni gita al parco, al mare,a un negozio, a un bar erano esperienze nuove che Naruto riempiva di allegria, chiacchiere e insegnamenti: Hinata gli aveva chiesto di aiutarla ad uscire dalla sua conchiglia di timidezza. All’inizio Naruto era rimasto spiazzato: gli sembrava una cosa innaturale, come dover estrarre un paguro dalla sua casa. Però alla fine si era convinto e, quando Hinata era riuscita ad eliminare quasi del tutto il suo balbettio( almeno con lui) ne era rimasto affascinato ed entusiasta.
“Bravissima! Allora le mie lezioni servono a qualcosa” aveva esclamato con il suo solito sorriso pieno di luce, e l’aveva baciata con impeto, anche troppo.
E Hinata aveva imparato ad amare, a volare, a dare un nome a quell’eccitazione che le esplodeva nel cuore e tra le mutande, anche se cercava pudicamente di nasconderla. Ma non era riuscita a controllare il suo desiderio: la voglia, il bisogno di essere amata nella sua interezza. Cosa ne sapevano i frigidi Hyuuga dell’amore passionale, degli sguardi che nascondono sogni segreti? Cosa ne sapevano dei desideri, della necessità psicologici e fisici di una ragazza cresciuta come una pianta in una serra, senza la vera luce, senza la vera pioggia? Cosa ne sapevano del suo cuore che batteva ogni giorno, furioso e frustrato, senza trovare una valvola di sfogo per riversare tutto l’amore che in anni di desolazione era rimasto imprigionato nel suo animo?
Hinata si era sempre sentita sbagliata, nel mondo degli Hyuuga: sbagliata, coi suoi voti mediocri e le interrogazioni farcite di balbettii, con la sua timidezza che sfociava nel vero e proprio terrore per le relazioni umani, dell’eccessiva bontà con cui trattava i suoi sottoposti. Solo tra le coperte di Naruto, solo fra le sua braccia forti che fasciavano il suo corpo maturo, solo con il cielo sopra la testa, tagliuzzato nel soffitto, si sentiva a casa. Ma bastava attraversare la porta e tornare in strada, perché si sentisse sbagliata, per gli Hyuuga, per la sua città, per la relazione con Naruto. Aveva sempre torto, nel mondo. Eppure non trovava nulla di scandaloso e vergognoso guardare il ragazzo che amava dormire e rigirarsi tra le coperte, accarezzare il suo profilo nella penombra, sfioragli la mano, stare abbracciati sotto il cielo splendente che si rifletteva nella finestra sul soffitto della camera. E ogni volta che passava un aeroplano, era una festa.
“Un giorno sarò lassù” esclamava Naruto, mentre indicava la scia candida che striava il cielo e Hinata osservava il lenzuolo leggero che mostrava gli addominali del ragazzo.
“Però mi lascerai da sola: tu sarai in cielo e io rimarrò a terra” aveva mormorato Hinata, impensierita.
“Bè, potrai sempre essere la mia hostess” aveva proposto Naruto, con appena un lampo di malizia negli occhi sereni, mentre guardava Hinata che, imbarazzata, si rifugiava sotto il lenzuolo che comunque non nascondeva il suo rossore.
Ma la profezia di Hinata si era rivelata esatta: lei era una figura terrena, condannata a rimanere ancorata al suolo, al fango, mentre Naruto poteva innalzarsi in cielo.
Una nuova fitta di nausea. Hinata sentiva la desolazione inondare quella stanza buia: quasi colava, dalle pareti in penombra. Era stata smascherata e tradita; era stata cacciata dal suo piccolo paradiso, come una schifosa peccatrice.
Non avrebbe mai dimenticato gli occhi carmini e infestati di spettri della professoressa Kurenai, quando li aveva sorpresi a baciarsi in aula vuota, durante l’intervallo, al riparo dai pettegolezzi e dalla furia che la loro relazione avrebbe scatenato. L’insegnante era rimasta avvilita e attonita: il suo viso e il suo copro florido in quei giorni erano stati sfasciati dal dolore per la perdita del marito e per l’inizio della gravidanza. Ogni parte di lei sembrava gridare, soffocata: i rimasugli del trucco, seccati sotto le palpebre, le labbra tirate e pallide, i capelli ingarbugliati, come vele nella tempesta. Eppure il suo improvviso e terribile lutto non avevano impedito al suo orgoglio di riportarla al suo dovere, e come i fili di una marionetta l’avevano riaccompagnata a scuola, dove non aveva mai permesso alla sua disperazione di evadere. Ma Hinata aveva riconosciuto la gelosia, affamata di rancore, l’ingiustizia che sentiva nell’animo al pensiero che mentre lei stesse vivendo l’inferno due suoi studenti potessero amarsi indisturbati.
Hinata, imbambolata, era tornata a casa con una vergognosa nota in cui era scritto che aveva avuto un comportamento irrispettoso e osceno in ambito scolastico. Ma cosa c’era di osceno, di peccaminoso, nell’amore semplice e puro, che aveva unito due anime opposte, come cielo e mare?
Cosa c’era di osceno in un bacio, manifestazione fisica della sua salvezza?
“Così mia figlia, la mia primogenita, discendente della nobile famiglia Hyuuga, si è fatta sorprendere mentre faceva la puttana con il protetto di quel maiale di Jiraya??” aveva urlato Hiashi, con le mani attaccate al tavolo e le nocche bianche, per trattenere la sua ira. Il mondo di vetro degli Hyuuga si piegò, sofferente, sotto quell’urlo pieno di ira. Hiashi era freddo, statico, glaciale, non urlava mai: eppure quella volta l’onta subita era troppo scandalosa.
“Pensi davvero che adesso potrai stare con lui, e passeggiare per strada come se fossi la sua sgualdrina gratuita??” aveva continuato, terribile nel suo odio “Te lo proibirò! Il protetto di Jiraya, ti rendi conto?? Quel pervertito che poggia il culo su cuscini comprati con gli incassi dei suoi libri…porcate, schifezze! E tu frequenti il suo teppista!”.
Hiashi era andato avanti per ore, ore che scorrevano lente e ansimanti, ore dove gli occhi terrorizzati di Hinata erano rimasti fissi sulle sue mani tremanti( sembravano così vuote senza quelle di Naruto intrecciate ad esse). Hanabi, dall’altra parte del tavolo, una statua di sale di fianco al padre fuori di sé, guardava la sorella con disprezzo e disgusto.
“Perché quel demente, Hinata??” urlò di nuovo Hiashi.
Perché, principessa, ti sei innamorata del drago, invece del cavaliere dall’armatura lucente?
Perché, Lavinia, ti sei innamorata di Turno, invece di Enea, il principe preannunciato dal fato?
Hinata sapeva la risposta: perché Naruto era il nome della rondellina del Ramen. Era il nome di un ingrediente fondamentale per quel cibo, il preferito di Naruto, con il suo succoso sugo di carne, gli spaghetti sottili e le verdure cotte. Naruto amava il suo nome perché aveva un sapore, una fragranza a cui essere associato; se lo poteva magiare, il suo nome. Era il nome di un cibo, caldo, dissetante, che poteva far esultare, che poteva attendere un lavoratore dopo un lungo giorno di fatica, che poteva salvare una vita. Hinata aveva potuto sentire il suo profumo, forte e speziato, e associarlo al suo amore, aveva potuto rammentarle i momenti di pace trascorsi con lui. L’avevano mangiato assieme, dopo che Naruto l’aveva contagiata con quella sua strana passione per la cucina orientale, e aveva dato un odore, un sapore fisico alla loro relazione. Naruto era un nome che dava sostentamento alla vita, al copro, e, nel caso di Hinata, alla sua anima. Lei era stata avvolta da quel Vortice di amore e speranza, che l’aveva risucchiata nel fiume dell’amore.
“Spero almeno che tu non ti sia spinta oltre! Che vergogna per la casata, sapere che sei davvero una puttana!” aveva detto Hiashi, un’altra ondata di insulti che non aveva mai pronunciato.
Gliel’avevano dovuto tirare fuori con le tenaglie, quel segreto prezioso, il sacrificio della sua verginità per il vero amore, e, per averne conferma l’avevano trascinata dal medico.
E lì Hinata aveva ricevuto un altro duro colpo.
“C-come sarebbe?” aveva domandato al ginecologo, che aveva frugato nel suo corpo come solo Naruto aveva avuto il permesso di fare. Maledetto balbettio, perché era tornato? Non era morto, seppellito, defunto, con il tremore alle mani?
“Non ci sono dubbi, signorina, mi dispiace. Ha avuto un rapporto non protetto?” chiese il ginecologo, un piccoletto con i capelli brizzolati incollati al cranio. Hinata scosse la testa, appena appena, come se fosse una sonnambula che si era svegliata sull’orlo di un dirupo.
“Allora suppongo che il vostro anticoncezionale fosse danneggiato. Lei è incinta di quasi un mese, signorina, e questo è quanto” concluse il ginecologo, senza sapere che aveva lasciato la corda della lama che stava ghigliottinando la vita di Hinata. La ragazza boccheggiò, avvilita, confusa, terrorizzata. Si portò una mano all’addome, ancora piatto, ancora intatto: era la sua creatura ad averle fatto venire gli attacchi di nausea qualche giorno prima? Non era stata la paura? Era un bimbo nato dall’amore a farla soffrire. Un mese prima…possibile che quel rapporto, intenso e magnifico, appena dopo il ciclo, avesse comportato la nascita di un seme che stava crescendo di giorno in giorno, riscaldato dal suo sangue innamorato e sfamato dal suo stesso cibo? Possibile che non avesse controllato il profilattico, lei che si era vantata di essere stata più prudente e scaltra di Sakura e Sasuke?
Lo sguardo del ginecologo fu l’unico pieno di comprensione e pietà che le fu rivolto in quei giorni. Mentre si avvolgeva le braccia attorno alla gambe tremanti, non sapeva ancora che Hiashi avrebbe girato in tutta la casa imprecando contro quella stramaledetta puttana della figlia maggiore, dopo aver ricevuto la notizia della gravidanza indesiderata.
Hinata era tornata a casa, segregata nella sua stanza troppo grande e vuota, senza poter vedere il cielo sul soffitto. Avrebbe abortito: al solo pensiero di uccidere la creatura concepita dal suo immenso amore, colei che era una parte di entrambi, colei che sarebbe nata e avrebbe potuto regalarle il sole, si era sentita morire ed era stata presa dal desiderio di seppellirsi nel suo dolore, ma non aveva altre alternative.
Hiashi tuttavia aveva altri progetti, e Hinata li aveva scoperti il mattino a dopo, che si era tinto di un silenzio orripilante.
“N-non potrò a-abortire?” sussurrò come una condannata durante la sua ultima confessione.
“Non permetterò che nella mia famiglia avvenga un ulteriore scandalo. Se si venisse a sapere, sarebbe un’onta che non potrei sopportare!Inoltre” continuò freddo Hiashi “potremmo volgere questo espediente a nostro vantaggio”.
Hinata guardò il padre, con gli occhi bollenti e gonfi di lacrime, l’ignoto che si spalancava sotto i suoi piedi. Stava per svenire, lo sentiva.
“Non posso fidarmi di te: non metterai più piede in quella scuola…con gli schifosi individui che ne fanno parte” piegò Hiashi, le labbra serrate dall’odio, come se volesse sminuzzare e distruggere quegli ultimi, scandalosi giorni. “Studierai a casa. E ovviamente dovremo trovare una giustificazione per la tua… situazione” continuò mentre indirizzava un’occhiata disgustata al ventre della figlia traditrice e ingombrante.
Sbagliata.
“Stai per sposarti”.
Hinata era avvolta in una lunga veste turchina, larga e sformata, come se ci fosse già stato qualcosa da nascondere.  Il suo viso era stato chiazzato di trucco: una luna inquinata da smog e fumi.
Dopo i suoi ultimi penosi giorni di scuola dove aveva cercato di inviare SOS disperati, quella sera, caratterizzata da un caldo atroce, avrebbe conosciuto Itachi Uchiha, suo futuro marito, il nuovo padre del bambino. Non aveva avuto scelta, quel ragazzo taciturno e apatico, dato che Hiashi Hyuuga aveva aiutato Fugaku a liberare il giovane dalle accuse che gravavano su di lui.
Hinata attendeva l’inizio della cena, ammantata di candore e lucciole appena nate, mentre le cameriere le appuntavano gli ultimi gioielli. Pesavano, la trascinavano verso il fondo, verso il buio delle iridi di Itachi. Poteva suo padre aver scelto uno sposo così diverso dal suo vero amore? Poteva aver dato sposa alla luna la notte invece che al sole? L’aveva fatto intenzionalmente, per vederla guardare quei lineamenti incavati e non trovare quelli marcati di Naruto?
Naruto…negli ultimi giorni di scuola l’aveva cercato invano, nei corridoi deserti e nelle aule accaldate, tra i mattoni roventi, e, per trovare un minimo di conforto, aveva alzato gli occhi al cielo e cercava, tra il sole incandescente, il cielo blu. Aveva pregato per il suo aiuto, per la sua spalla che le aveva sempre offerto, per le sue braccia protettive e i suoi impavidi sogni.
Il loro sogno era morto, assassinato, lasciato a marcire, ad affogare, nel suo sangue. Naruto era volato via, tra le nuvole, tra i suoi sogni: Hiashi aveva avvertito Jiraya che quel delinquente doveva sparire e non disturbare ulteriormente gli ultimi giorni di Hinata. Così la ragazza aveva dovuto sopportare in solitudine non solo i pettegolezzi ma anche lo sguardo preoccupato di Sasuke per l’improvviso fidanzamento del fratello, le domande di Ino, che aveva sentito la professoressa Kurenai sgridarle lei e Naruto per il loro comportamento indecoroso, gli aiuti vani di Kiba e Neji, e infine, la terribile decisione di assumere della droghe da Gaara, nel disperato tentativo di abortire.
“Il nostro sogno è morto” mormorò, terrorizzata e angustiata, mentre prendeva posto vicino ad Itachi, sotto gli sguardi perfetti degli Hyuuga.
Voleva Naruto, voleva il suo sguardo il suo sorriso…perché non le permettevano di vederlo?
La sensazione agrodolce dell’amarezza impastava la bocca di Hinata: si sentiva una bambola, una marionetta, che era stata manovrata per il prestigio della casata, e presto sarebbe stata usata da Itachi. Eppure Naruto non le aveva insegnato a volare, a non balbettare, ad amarsi nel sua imperfezione? Ma gli insegnamenti di Naruto, come l’orizzonte, si potevano ammirare, si potevano sognare, ma non erano fisicamente raggiungibili. Per uno sprazzo della sua lunga, troppo lunga, esistenza era vissuta in un sogno, un sogno dove l’inferno degli Hyuuga aveva lasciato il posto al paradiso dell’amore. Ma poi la sua anima dannata era stata richiamata negli abissi dei tradimenti e degli inganni: chi erano gli Hyuuga se non demoni falsi, che avevano stravolto il mondo per rimettere quella piccola anima dannata al suo posto? E solo perché la nobiltà e la ricchezza scorrevano nelle loro vene. Hinata aveva cercato di trovare un mondo alternativo, dove il valore di una persona si calcolava con l’amore e con sua perseveranza, con i suoi sogni e non con il nome o cognome. Ma nome e cognome erano i custodi del destino, scritto e ricopiato nella vita di ogni persona. Destino, infame destino, crudele parca che aveva reciso troppo presto la vita di Hinata. Naruto era lontano, oltre i monti e gli oceani, ma Hinata sapeva che non l’avrebbe mai lasciata sola: i suoi sogni, sogni concreti, sarebbero rimasti. Nostalgiche fantasie, e nulla di più. Sarebbe ritornato, o gli Hyuuga gli avrebbero impedito di giungere da lei? Avrebbe mai visto la sua creatura? L’avrebbe riportata nei suoi sogni infiniti? Ora ad Hinata rimaneva soltanto quella piccola creatura senza forma, nata dall’amore…avrebbe avuto i sogni e gli occhi coraggiosi di suo padre?
Gli occhi perlacei e spenti di Hinata volarono verso l’alto, nell’infantile tentativo di trovare il cielo blu
Ma il sole, con i suoi colori allegri, era tramontato. Era rimasta la luna, signora della notte.
La signora del nero. La dama eternamente sola.

A Hinata non era mai piaciuto veramente il suo nome: semplicemente non lo aveva accettato, e un giorno sperava di poterlo cambiare, per mutare il suo destino…anche perché il nome Hinata le faceva venire in mente sogni, immagini e colori in contrasto con il suo animo. Certo, le due “a” le davano un accento decisamente delicato e femminile, e la “i” iniziale sembrava il canto di un usignolo che celebrava il ritorno della primavera.
Hinata significava portatrice di grazia. Solo quello.
Altre donne portavano quel nome come una corona e avevano il riso negli occhi, le labbra sorridenti di quella grazia naturale che si prostrava ai loro piedi. Riuscivano a donarlo al mondo, l’eleganza e la grazia che le contraddistinguevano: regalavano gentilezza e timidezza, senza chiedere denaro o riconoscenza. Ma Hinata non era mai riuscita ad esternare la sua generosità senza sentirsi usata, senza sentire la terribile sensazione che i suoi sentimenti si prostituissero ai desideri altrui. Dalla famiglia e dai conoscenti, che interpretavano la sua sensibilità come segno di debolezza. Solo Naruto era aveva accettato con un sorriso sincero la sua grazia, la sua purezza, e aveva cercato di farla venire alla luce, al mondo.
Il suo nome, ormai, non aveva più significato. Era la portatrice di una grazia ormai defunta, inutile.
Era come Lavinia: etimologicamente, non voleva dire un  bel niente. Era un nome inventato da Virgilio, estratto a caso dalla sua mente piena di idee. Eppure il sommo poeta non aveva dato spazio o spessore alla caratterizzazione della principessa invisibile. Non si era mai chiesto cosa volesse dire essere destinati a sposare l’uomo scelto dal fato, ben sapendo che non era la persona con gli occhi celesti che aveva atteso per tutta la vita. Non si era mai chiesto se Lavinia avesse preferito Turno, ad Enea. Solo gli uomini, i maschi, con le loro imposizioni, con le loro guerre, con le loro violenze, con le loro ricchezze e con la loro superiorità ingiustificata potevano decidere la sorte di un amore sballottato dall’oceano dei sentimenti.
Alla fine, Hinata e Lavinia erano due gusci vuoti, abbandonati e sepolte come conchiglie nel cimitero del mare: la spiaggia.
Lavinia non voleva dire niente.




Eccoci alla fine^^.
Con la speranza che non vi sia venuta l’angoscia(improbabile^^’) eccoci all’epilogo. Dunque, non sono riuscita a capire in che anno sia stato legalizzato l’aborto in Giappone, ma dato che negli anni Novanta hanno istituito la pillola-anticontraccetiva, presumo che sia stato introdotto negli anni Ottanta. Hiashi Hyuuga però è di mentalità antica, e considerava l’aborto uno scandalo. Dato che si tratta di una famiglia potente non dev’essere stato troppo difficile per gli Hyuuga mettere tutto a tacere e a combinare un matrimonio( anche da noi succede!Quanti ragazze sono costrette dalle loro famiglie bigotte a tenere il bambino, e i loro fidanzati a prendersi le loro responsabilità?). Inoltre, Hinata solo con Naruto era riuscita ad essere forte…ma senza di lui è rimasta succube delle minacce paterne(anche se si fosse ribellata dubito che sarebbe finita bene=_=). Ho preferito dare a Itachi del criminale per avere una motivazione per il matrimonio(o ti sposi o finisci in galera…il succo è questo), perché non mi sembra un personaggio che si fa mettere i piedi in testa. Ho parlato anche dei problemi di Sakura e Sasuke perché non credo che a una famiglia nobile facesse piacere che il figlio stesse con una ragazzina di medio ceto, anche se erano gli anni novanta(l’ho visto in un film…ma non ricordo quale^^’).  Naruto in questo pezzo è orfano ed è stato allevato da Jiraya, il suo tutore, che è un uomo ricco(infatti Naruto è iscritto al college dei “ricconi”), ma solo perché scrive libri su un certo argomento^_-. E Hiashi, che fa parte della vecchia nobiltà, non avrebbe mai accennato un simile matrimonio. Naruto è stato allontanato da Jiraya, perché gli Hyuuga avrebbero potuto trascinarlo in tribunale, per violenza o altre accuse( false, ovviamente). Infine, ho analizzato il nome di Hinata e di Lavinia; quest’ultimo non significa davvero niente, è proprio un nome inventato. E Hinata sente che anche il suo nome è vuoto, se non riesce ad usare la sua grazia innata per sé e con gli altri. Il titolo è preso dalla canzone “Jillian” dei Within Temptation.
Spero che sia tutto chiaro^^
Ecco i significati dei nomi richiesti da Shatzy:
Naruto: il nome indica la rondellina del Ramen, un ingrediente fondamentale per questo piatto giapponese. Uzumaki invece significa vortice.
Hinata: significa “portatrice di grazia ed eleganza”.
Hanabi: significa “fuoco d’artificio”.
Itachi: significa “marmotta” o “faina”, animali di malaugurio.
Gaara: significa “amore per sé stessi”.
Temari: sono le palline di seta giapponesi, usate come gioco.
Ino: significa “cinghiale”, e Yamanaka “attraverso i boschi”.
Shikamaru: Shika significa “cervo”.
Chouji: Cho significa “farfalla”.
Kurenai: indica un colore identificabile con il rosso smagliante, mentre il suo cognome, Yuhi, significa “momento della giornata in cui tramonta il sole”
Kiba: significa “zanna”
Rock Lee: ispirato a Bruce Lee
Ten Ten: significa “qua e la”
Neji: significa “vite”…quella di ferro^^
Sakura: significa “fiore di ciliegio”
Sasuke: significa “scoiattolo”.
Grazie mille a:
damis: guarda, anche a me piacciono gli happy-ending^^…ma ho deciso di sottolineare il fatto che anche pochi anni fa                                                           (ma anche oggigiorno) e perisno nei paesi più moderni nelle famiglie possono avvenire dei fatti abominevoli. Io credo che si sarebbe potuto evitare tutto questo dolore, ma purtroppo Hinata non è stata abbastanza forte. Questo però non è per colpa sua, ma della famiglia Hyuuga. Credo che sia ancora più tragico il fatto che una persona sviluppi un certo tipo di carattere solo per paura o per costrizioneç_ç Grazie mille per avermi seguita!!!Bacioni!!
Shatzy: ciao carissima^_^ Sono felicissima di leggere il tuo commento^^!Comunque, hai ragione, ho deciso di descrivere prima i personaggi più lontani da Hinata e poi i più vicini!Spero che ti sia piaciuto il NaruHina(anche se drammatico) di questo capitolo! Mi piace che Kiba ti faccia tenerezza, io l’ho sempre visto come una persona leale e fedele sotto quella scorza da belva selvatica^^. Poi bè, io in questa storia parlo di lui e Hinata come due amici, ma in realtà sono una fervente KibaHina*_*. Guarda, in verità a me Hanabi piace molto( per quanto possa piacere un personaggio che abbiamo visto sì e no cinque minuti^^’) e mi dispiace trattarla in questo modo. Ai miei occhi però appare come una persona ambiziosa e orgogliosa, che farebbe di tutto per non avere rivali nell’azienda di famiglia.  No, Hiashi non vuole aiutare la figlia anzi>_> brutto schifoso! Ho messo l’elenco dei nomi, per qualsiasi dubbio basta chiedere!Alla prossima, bacioni!

Grazie per l’attenzione,
LaLa
  
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