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Autore: Lord Ace    26/09/2009    2 recensioni
Seconda fic del mio progetto. Dopo aver visto la tragica vita di Kuchiki Byakuya, adesso ci occuperemo di quella di Zaraki Kenpachi. Anche questa si interromperà nello stesso momento della precendete, ma devo avvertirvi del cambiamento di linguaggio. Non potevo far parlare Zaraki come Byakuya, quindi aspettatevi parolacce al posto delle virgole e insulti al posto dei punti.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Biografie del Gotei XIII'
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Chiamatemi Zaraki Kenpachi, e non fingete che io vi piaccia perché non me ne frega niente. Per gli idioti che stanno leggendo queste pagine, sappiate che è un' autobiografia, dettata da me ad un uno qualunque perché non ho alcuna voglia di mettermi a scrivere. Ho ricevuto l’ordine dal capitano Yamamoto di far scrivere un' autobiografia, dopo che fosse stata pubblicata quella della femminuccia ops Capitano Kuchiki. Credo che queste parole di introduzione bastino, anche perché voglio fare una cosa breve e andare al più presto a trovare qualcuno con cui divertirmi.

Sono nato nel distretto del Rukongai che gli sfigati chiamano Zaraki, ma che la gente come me chiamava casa o più semplicemente parco giochi. Mio padre era un ladro ubriacone impotente, e mia madre una puttana da quattro soldi. Fui abbandonato non appena toccai terra, perché mia madre si rifiutava di avere un bambino e quindi mi lasciò lì in balia del mondo. La mia sfiga fu anche la mia più grande fortuna; infatti venni trovato subito da un vecchio, che aveva visto morire tutti i suoi figli e che non aveva seppellito il suo interesse per i mocciosi. Credo che anche uno stupido capirebbe che è stato lui ad allevarmi come un cavallo, ma non con la carota e il bastone, ma con il bastone e la spada. Il vecchio era un tipo violento e amava bere, per questo motivo furono molto frequenti le volte in cui mi picchiò a sangue e dovetti rintanarmi a leccarmi le ferite. La mia non è stata certo un infanzia tutta rosa e fiori come quella delle principessine! Crescendo nella violenza di risse e scazzottate, ho sviluppato un corpo straordinariamente resistente al dolore, probabilmente dovuto al fatto che i miei nervi si rifiutavano di trasmettere il dolore al cervello, perché sapevano che non sarebbe servito a niente. Meglio così comunque, non mi sarei sopportato se avessi avuto un corpo da mollaccione o da grassone. Iniziai a combattere stabilmente il giorno in cui compii sedici anni e il vecchio mi regalò una spada nuova, doveva aver rubato e ucciso parecchio per comprarla, ma io gli ero grato per quell’unico regalo che mi aveva fatto come se bastasse a giustificare un’infanzia infernale.

Presi ben presto il vizio delle risse, che sfociavano presto nel sangue più totale. Ma lo Zaraki era fatto così, la legge la dettava chi aveva ragione, e la ragione l’aveva chi picchiava di più. Furono anni bellissimi quelli in cui ero debole, perché mi potevo lanciare sempre in nuove appassionanti sfide senza sapere se sarei arrivato a sera. Riuscivo già allora a trarre piacere nel combattere, nel farmi tagliare e nel tagliare a mia volta, e ancora adesso mi chiedo come facciate tutti voi a non lasciarvi trasportare dall’ebbrezza che solo il sangue può dare.

Il vecchio morì quando io avevo circa vent’anni, e da quel momento fui solo, perché nessuno condivideva la mia filosofia e nessuno voleva stare con un pazzo come me. Se avessero saputo che i veri pazzi erano loro, forse mi avrebbero guardato in maniera differente. Fu all’incirca un mese dopo che incontrai il proprietario del titolo Kenpachi. Era un matusa, doveva avere una quarantina d’anni ma combatteva predicando l’ordine e la riflessione durante la battaglia. Stronzate in pratica, perché io non ci credevo e non ci avrei mai creduto. Sapevo che quello che tutti consideravano un campione organizzava tornei per guadagnarsi da vivere, tornei nei quali il vincitore avrebbe avuto l’onore di sfidarlo. In qualche modo che non ho sbatta di descrivervi riuscii a procurarmi i soldi necessari all’iscrizione, e non appena ebbi il permesso mi fiondai all’interno di un arena costruita un po’ male, ma poteva bastare per combattere. Sinceramente non ricordo neanche tutti gli sfigati che ho dovuto affrontare, ragazzini impauriti che non avevano la più pallida idea di cosa significasse lottare, e per questo motivo persero in un batter di ciglia.

Finalmente arrivai al grande scontro; infatti dopo aver vinto il torneo, non chiesi neanche qualche minuto di pausa e pretesi il mio incontro con il Kenpachi, dato che ero ansioso di affrontarlo per capire come combatteva. Le ferite sul mio corpo erano state pochissime, anzi direi di poterle chiamare addirittura graffietti superficiali, di quelli che ti fai anche facendo giardinaggio!

Quando mi vide rimase stupefatto, probabilmente perché non si aspettava di trovare un avversario così giovane. Non mi importava niente, io volevo soltanto combattere e dimostrargli che tutte le sue storielle sul combattere erano solo stupidate dettate dalla sua mente malata. Non appena il giudice ci diede il via, partii subito all’attacco con un fendente, che mi permise di incrociare le lame col mio avversario. Notai subito che aveva una buona muscolatura perché riuscì a parare il mio colpo senza alcun problema. Meno male, perché quello era solo l’inizio e se avesse ceduto per così poco, avrebbe dimostrato che non era altro che storia passata. Ammetto che quello è stato uno dei miei combattimenti migliori, perché mi sono divertito come non mai e ho dato tanto dolore quanto ne ho ricevuto. Se lo avessi combattuto adesso, lo avrei senza dubbio considerato insipido e insignificante, ma allora era stato un duello memorabile. Avevo cominciato ad attaccarlo, preso dalla mia solita euforia, senza lasciarli un attimo di tempo per contrattaccare. Ma la sua tecnica difensiva era troppo perfetta per essere bucata, così presi la decisione di staccarmi un attimo da lui, per trovare il modo di fregarlo. Improvvisamente però lui cominciò a parlarmi.

-Come ti chiami ragazzo?-

-Non ho un nome, nessuno me ne ha mai dato uno-

-E da dove vieni?-

-Sono di qui, dello Zaraki-

-Allora tu incarni lo spirito di questo luogo, e come tale da oggi in poi il tuo nome sarà Zaraki, e se mi batterai, potrai fregiarti del titolo di Kenpachi-

-Hai intenzione di chiacchierare ancora per molto?-

Mi annoiavo a parlare, preferivo combattere

-Capisco, quindi tu hai un demone dentro, un demone che ti fa vivere per la lotta, spero davvero di sconfiggerti, perché almeno ti farò trovare la pace nella morte, una pace che non raggiungerai mai in altro modo-

Detto ciò mi attacco con un affondo velocissimo, diretto probabilmente allo stomaco, povero pirla, credeva davvero che con un attacco del genere mi avrebbe colpito? Pazzo, pazzo furioso doveva essere. Ma improvvisamente mi venne un’idea, perché dovevo schivare?

Non feci altro che fare un passo di lato e afferrai con la mano sinistra la spada del campione

-brutto errore vecchio, io non temo il dolore-

Detto ciò con uno strattone tirai la spada nella mia direzione, con la conseguenza che mi ritrovai il vecchio praticamente addosso. Bastò mettere la spada tra me e lui per fargli un bel buco nello stomaco, esattamente dove lui voleva farlo a me. Gettai via la sua spada, ormai non mi serviva più e mi faceva schifo non usare la mia. Ormai lo guardavo dall’alto in basso, perché lo avevo battuto, perché era in ginocchio, perché era in mio potere!

-Hai perso vecchio, il titolo di Kenpachi non può più essere tuo, da oggi in poi sarà mio, da oggi sarà di Zaraki Kenpachi!-

Dovetti spaventarlo molto, perché comincio a gridare di follia

-Un demone, tu sei UN DEMONE! UCCIDETELO! NON PERMETTETEGLI DI VIVERE!-

Urla di un vecchio sconfitto pensai, e per dargli la pace che lui voleva dare a me, gli staccai la testa con un colpo della mia katana. Ormai era finita la sua era, ed era iniziata una nuova, la mia era, l’era di Zaraki Kenpachi!

  
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