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Autore: Aslinn    26/09/2009    2 recensioni
Ma Brian Molko non prega nessuno, ottiene tutto semplicemente schioccando le dita, o piangendo. Perché Brian Molko ottiene tutto.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VICIOUS ATTENZIONE: Nessuno dei seguenti personaggi reali (Brian Molko e Stefan Olsdal) mi appartiene (T_T), non mi pagano, non ci guadagno nulla a scrivere. E' tutto inventato.
Note: La seguente storia è un po' frammentaria e a balzi forse difficile da seguire perché non prosegue per una struttura logica lineare. Alemno così mi pare XD Ma è semplice e senza troppe pretese, un po' per divertimento. C'è del quasi comico (il comico non credo mi riesca bene). E' una situazione breve che mi è servita per saggiare il personaggio, una storiella e basta.
Detto questo, come sempre graditi commenti, consigli e critiche.
Enjoy it ;)

Vicious


“Quando ti comprerai una nuova maglietta, decente?”
“Quando la smetterai di guardare ciò che indosso.”
“Preferisci che fissi i manichini?”
“Umm…piano…Sono il tuo manichino, non dimenticarlo.”
“Sì, Bri, tutto quello che vuoi…”

“Cosa cazzo significa “una maglia decente”?”

Il sole era freddo, nelle mattine londinesi di quell’anno, o forse ero io a vederlo così, a sentirlo sulla pelle. Steso tra le coperte che sapevano di lillà campagnoli e sesso, Stefan non sembrava far caso all’onda di luce che dalle tende gli proiettava un mare sul volto sonnolento.
L’avevo stancato, certo, ero fenomenale, vero?
“Smettila di poltrire, uomo!”
Mi alzai poggiando una mano sul suo sterno, sentendolo grugnire come un adorabile orso svedese a digiuno.
Lo fissai e sbuffai.
“A questo punto dovresti dire “smettila di scassare, donna!” o qualche stronzata simile.”
“Umm.”
Si voltò portandosi il cuscino sul volto e decisi che c’era ben poco da fare, e che non avevo voglia di farla comunque.

“Vuoi tenerti i tuoi sicuramente interessantissimi pensieri tutto il giorno per te? Ci starei pure, ma sbuffi come un toro, e non che fuori dalle coperte ti riesca tanto bene. Cioè, con quella faccia faresti paura a tutti, ma poi se te ne stai così a camminare come un Hitler demodé chi ti crede più. Non che si possa credere in qualcosa in questo mondo. Oh guarda quel tipo, e a me parlavi di maglie…Ma che ora è? Il tè non si prende alle cinque di mattina, no? Gli inglesi sono tutti strani. Poi odio metterci il latte, il latte è odioso. Però è buono.”
“E checcazzo, Bri, un po’ di pietà per la mia mente!”
Certo che ce n’ha messo per fermarmi, e ora ho una scusa per incazzarmi io, pensai.
“Che maleducato!”
Che insolente quel bestione.
Non che fosse tanto fenomenale a letto.

“Te l’ho detto che sei fenomenale a letto?”
“Sì, certo…”
“Sai, sei così…brutale. Come mi piace!”
“Sì, ok.”
“Voglio dire, quando sei entrato per poco non pensavo di fuggire via.”
“Bri…”
“Dai, ammettilo, sei davvero fenomenale, ma tutto grazie a me!”
“Bri, per favore…”
“Dovresti riconoscermi qualcosa! Diamine, quelle grida! Chi sa urlare meglio di me?”
“Brian!”
“Che c’è? Che mi urli? Ecco, ora quella vecchietta ci guarda male, visto? Non sai proprio essere un gentiluomo.”
La vecchietta raggrinzita senza un minimo di desiderio da tempi immemori si accigliò ancor più.
“Cristo, Bri, non c’era mica bisogno di urlare i nostri amplessi sul tram.”
Il bisbiglio di Stef era ormai inutile.
“Lo scusi” dissi fingendo che Stef non mi udisse e io non sentissi lui. “Sa, non conosce le buone maniere. E’ svedese.”
Che frigida donna, pensai davanti al suo disgusto piegato nei baffetti accurati.

Da quanto stavamo insieme? No, quello non era un termine appropriato. Scopavamo da un anno, ecco questo è il modo più adatto di definirci. Attenzione, non che passassimo tutte le notti sotto le lenzuola, per carità! Lo avrei fatto volentieri, ma il mio sedere non avrebbe retto, e Stef aveva quelle crisi da uomo sposato che “ho mal di testa, per favore lasciami in pace.” Quindi si combinava qualcosa una media di due notti su sei, inizialmente, su otto poi. E ora erano passati dieci giorni, e cominciavo ad alterarmi. Io, stavolta.
Non mi era certo difficile trovarmi qualcuno, ero attraente. I cazzi erano suoi.

Così dieci giorni dopo il sole freddo e le onde sul volto di Stef, dieci giorni dopo la maglia indecente, dieci giorni dopo la vecchietta frigida, decisi che davvero m’ero stancato. Stefan si era chiuso nel suo appartamento, che era anche mio malgrado non lo pagassi, e non ne usciva. Dormiva. Che scena da film, dove poi lui uccide tutti. In un ragionevolissimo raptus di follia, perché lui era “un bravo ragazzo, non ci posso credere, lo conoscevamo da anni qui a Londra”, e chissene se era svedese e non londinese.
Ero euforico quella sera, e non me ne fregava di lui. Potevo trovarmi di meglio. Entrai in quel locale gay, perché lo sanno tutti che li rimorchi di sicuro. Anche un cesso ci rimorchia lì dentro. E se entri sei pronto a venderti il culo, a volte nel vero senso della parola.
Ma io sono Brian Molko, e il mio culo è d’oro, coglioni!
Questo pensai entrando nel locale asfissiante, tutte quelle luci, così divertenti.
Balli, sudi, scarichi, lecchi, baci, mordi, bevi, balli, sudi, scarichi, lecchi, baci, mordi, scopi. C’era un tipo, volevo lui. La selettività della preda non è paragonabile a quella del predatore, insaziabile e nella maggior parte dei casi tanto eccitato da dimenticare la logica della scelta. Quindi facilmente conquistabile, il rovesciamento dei ruoli. Sulla base di questo pensiero mi strusciai contro un ragazzo in disparte, scuro credo, non ricordo. Volevo che lui volesse me.
Ma quello mi guardò stranito e mi respinse.
“Cosa cazzo ti prende?”
Dovetti urlare ben sopra il rumore della musica, grazie alla mia voce d’oro.
Lui mi guardò interrotto nella sua identica domanda.
“Smamma, frocetto!”
Mi ribolliva tutto.
“Frocio? Ma ti sei visto intorno, siamo tutti froci qui, checazzo è un locale gay non la sala di un pescivendolo!”
Ma anche, pensai divertito.
Irritato, sempre, ricordai a me stesso. Non mi si poteva rifiutare!
Che coglione, pensai, questo non sa cosa sia un organo maschile.
“Ma ti sei visto tu, stronzetto? Vai a nanna, che è meglio, io non ti scopo di certo.”
“Ahahaha, sai quanto me ne frega!”
Si stava per voltare, così infierii.
“Tanto anche stanotte ti ritroverai a farti le seghe con uno di quei cessi di Happy Days, come un cretino. Non comprendi le doti dell’umana bellezza, sei così cieco, forse troppe seghe? Deve essere frustrante non saggiare la materia prima, fatta come si deve.”
Mi spinse contro il muro.
Fui trascinato fuori, in un vociare di risate, scaraventato a terra da un solo pugno, il sangue mi affluì veloce sostituendosi al torpore. Mi bruciava tutto, dal naso alle guance, come se avessi sniffato naftalina.
Un peso mi fermò il respiro. Aprii un occhio lucido-piangevo perché era una reazione normale, certo…-e vidi quel tizio che mi teneva un piede sullo sterno.
“Che femmina, la vergogna dei gay, ecco cosa siete voi ragazzini imbecilli. Non sei neanche degno d’essere pestato. Che patetico.”
Uno sputo mi sciacquò la faccia lì dove mi bruciava, poi il freddo.

Non potevo tornare in appartamento così. Presi tempo accendendomi una sigaretta, ma la dovetti buttar via perché presi a tossire saliva. Mi premetti la maglia sul labbro, constatando che era quello rotto e non il naso, per fortuna. Nulla di irreparabile.
Mi sedetti a terra.
Che essere patetico, non c’era altro aggettivo. Mi guardavo le mani, quelle stronze tremavano. E avevo freddo, quella notte di solito cielo scuro londinese era così pesante, come una cappa. Odiavo Londra, odiavo quella cazzo di strada, odiavo ciò che stavo facendo. Vendermi così, per cosa poi? Autoglorificazione? Egocentrismo? Lussuria?
Sarei finito all’inferno, se ci avessi creduto. Ma lo vivevo. E non mi valeva a nulla pensare che “c’è chi sta peggio di te”.Bhe cazzi suoi, io non lo conosco, e non è qui a confortarmi o farsi confortare. Siamo soli.
Mi ero seduto in una pozzanghera.
Odiavo la pioggia inglese estiva.
E non ero invitante. Ero grassottello in volto, quelle guance senza forma, e la pelle così bianca non piaceva a nessuno, avevo il naso troppo grosso, una palpebra più stanca dell’altra, i capelli odiosamente sottili e incatenati dalla loro non-forma, avevo messo peso,  pancetta e fianchetti.
E faceva tutto schifo ora.
L’erba che mi tirava su, il fumo che mi impediva di impazzire, le pillole che mi stendevano la notte, fare l’amore -che non era amore- con Stef. Faceva tutto schifo.
E’ per questo, o forse per l’alcol e il dolore, che vomitai vicino a un cassonetto, senza neanche alzarmi.
Puzzerò da far schifo quando mi ritroveranno, pensai, come quei cadaveri del cinema. La puzza non la sentivi, e non riuscivi neanche a immaginarla. Ma ora mi veniva facile, delle mosche giravano nel buio-le potevo sentire nel brusio di una notte/giorno londinese- sulla carcassa di una budella. Gatto, topo, o barbone.
Siamo tutti budella.

Quando ritrovai il coraggio di tornare all’appartamento sembrava essere passato un anno, ma era ancora notte inoltrata, così aprii la porta con la mia copia delle chiavi e scivolai nel letto. Pregai che Stef non si svegliasse, ma ero sfigato da far paura.
“Che hai fatto?” chiese subito quando ebbe acceso la luce, fissandomi il labbro.
Tremai di freddo, perché avevo tolto la maglia ma ricordavo il sangue che mi aveva congelato il volto.
Cosa potevo fare? Attaccare quando più mi sentivo attaccato a mia volta.
“Bhe che ti aspettavi? Lasciarmi tutto solo perché non ti va di accudirmi…che razza di uomo sei? E ora guarda, queste labbra che tanto ti faceva schifo baciare. Ti piacciono ora?” Non fu difficile sprigionare una faticosa lacrima. “Uno come me non ha scampo lì fuori, pieno di omofobi. Erano quattro, ti rendi conto? Contro uno solo! Non è giusto. Perché non mi hai difeso?”
Piansi e mi coprii il volto per risultare credibile.
Lui mi afferrò le spalle e mi strinse a sé.
“Scusami, Brian. Non meriti tutto questo.”
Sorrisi contro il suo petto caldo, saggiando il sale della sua pelle e l’amaro delle mie lacrime, un po’ troppo dolci. Cosa importava se in realtà ero uscito per tradirlo?
“No, non lo merito” sussurrai baciandogli la pelle e carezzandogli i fianchi.
E anche quella notte ottenni ciò che volevo.
Mentre Stefan mi sussurrava con inutile discrezione il suo amore e la mia bellezza, mentre poi elencava le mie stesse doti, mentre urlava quanto fossi meraviglioso, pensai che quello stronzo che mi aveva pestato era solo un codardo che si era arrabbiato nel vedersi rifiutato. Certo, non c’era altra soluzione: lui voleva che lo pregassi.
Ma Brian Molko non prega nessuno, ottiene tutto semplicemente schioccando le dita, o piangendo.
Perché Brian Molko ottiene tutto.

  
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