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Autore: Vala    26/09/2009    0 recensioni
Quante ore devo ragionevolmente far passare prima di perdere del tutto la speranza che lui mi risponda a quel dannato messaggino? Due? Tre? Cinque?
Guardo agitata il cellulare con l’ansia nel cuore, quasi volessi costringere con la sola forza di volontà quel telefono a squillare, a illuminarsi, un accenno di vibrata…insomma, non pretendo che si alzi in piedi e cominci a declamare i messaggi con una rosa in mano, mi basta che dia un qualche segno di vita!
E...beh, è un auto-dedica in un certo senso. Ma è dedicata anche a tutte quelle ragazze quasi donne che vengono colpite improvvisamente dalla piaga della cotta, una malattia contro la quale non esiste rimedio...tranne forse una craniata colossale (trad: un "no" secco).  Perché "satirico"?: è fin troppo facile prendermi in giro su questo argomento.
Bentornata alla ragazzina in me, era da tanto che non si faceva viva (come si stava bene senza di lei...-.-')!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quante ore devo ragionevolmente far passare prima di perdere del tutto la speranza che lui mi risponda a quel dannato messaggino? Due? Tre? Cinque?
Guardo agitata il cellulare con l’ansia nel cuore, quasi volessi costringere con la sola forza di volontà quel telefono a squillare, a illuminarsi, un accenno di vibrata…insomma, non pretendo che si alzi in piedi e cominci a declamare i messaggi con una rosa in mano, mi basta che dia un qualche segno di vita!
“Squilla…squilla…squillaaaaa…” sembro una spiritata mentre muovo le mie mani a cerchio sopra lo schermo di quel piccolo indispensabile strumento di comunicazione dal quale non mi separo da ormai la prima superiore “andiamo…e squilla!” e le mie mani ricadono depresse sopra il cellulare, lo afferrano, lo girano, lo aprono e richiudono, vedo l’ora ma basta posare il telefono sulla coperta del letto che subito me la sono dimenticata, e ancora con quella scusa lo riapro nonostante basterebbe far illuminare il display esterno per controllare lo scorrere inesorabile del tempo.
Mi butto riversa di schiena, sbaglio mira e colpisco con il collo la testiera del letto. Ma dove ho il cervello ultimamente? Mi sto trasformando in un animale da riproduzione interessato solo all’accoppiamento? …oh my God, non starò diventando come un uomo?!
E inorridita al solo pensiero mi alzo da quella posizione scomoda e dolorante mi dirigo in bagno scegliendo di proposito, nonostante molta fatica, di abbandonare lo strumento muto dove l’ho gettato.
Mi guardo allo specchio, due cerchi neri mi incorniciano gli occhi facendomi sembrare oltre che matta anche drogata. Drogata d’amore. E tutto per un messaggio che potrebbe essere anche un puro eccesso di amicizia. Con un sospiro mi sciacquo il viso e torno sconsolata al letto. Sfioro dolcemente il telefono con due dita, lo apro, e rileggo per l’ennesima volta quel messaggio dolcissimo che mi ha mandato lui. Un altro sospiro. Se fosse estate potrei fare da ventilatore alla famiglia per quanta aria priva di suono esce dalla mia bocca ultimamente.
“Adesso basta!” urlo tra le mie quattro mura, mentre mio fratello dalla stanza accanto picchia il pugno contro il muro come a dire di farla finita. Quante volte me l’avrà sentito dire nel giro di una notte? Sì perché sono sveglia e incapace di addormentarmi dalle 23.47 del giorno prima, ed ora sono le 17.47. Ho ripetuto puntualmente quella frase ogni 60 minuti da quel momento fatidico, da quel messaggio frutto di sadismo da parte sua.
Ma adesso davvero basta. La mia testa mi sta dicendo da ore che sono una imbecille senza speranza, ormai sono passate ore ed ore dall’ultimo messaggio, perché mai dovrebbe rispondere? Conversazione finita, ci si rivede tra 15 giorni a lezione. 15 giorni senza dormire e mangiando malissimo? Ma non esiste! Sei una donna, che cavolo! Tira fuori un po’ di orgoglio femminile e spegni quel telefono! Non hai più l’età per essere un’adolescente infoiata al minimo segnale, vai all’università, vivi in un appartamento in un’altra città lontano dai tuoi, hai perfino cercato un lavoro part-time per le spese extra! Le bambine alla prima cotta non lavorano per mettere da parte i soldi per un viaggio in aereo dall’altra parte del mondo!
17.51. E sono furiosa. Appoggio quasi sbattendo il telefono sul letto ed esco dalla stanza. Mia madre mi guarda in viso, è tentata di chiedermi cosa mi faccia ringhiare come un animale in gabbia, poi si ricorda e scuote la testa. Eh devo sembrare una stupida anche a lei, essere così tesa per qualcosa di insignificante come un “…coccole…” a fine messaggio.
Spalanco la porta di casa, gli ultimi raggi del sole mi feriscono gli occhi, quasi scivolo lungo le scale per la fretta di raggiungere il prato e la bici.
“Io vado a fare un giro!” urlo alla finestra della cucina, c’è sempre qualcuno da quelle parti a qualunque ora. Infatti mio padre che legge il giornale scuote appena la testa per controllare che mi sia infilata le scarpe da ginnastica e non esca in modo indecente, poi torna alla cronaca, sani articoli su incidenti e casi tristi.
Inforco la bicicletta, la sensazione del vento tra i capelli mi calma. Lo facevo anche quando ero alle medie, afferravo la bici e scappavo di casa quando la situazione si faceva pesante. L’aria fresca sul viso mi piace, mi dà quasi l’impressione di volare, lontana dai problemi economici, lontana dai problemi scolastici, lontana dai problemi degli amici…ed ora lontana dai problemi amorosi. Oddio no, io non sono innamorata! Mi rifiuto che una simile malattia mi abbia colpito! Non ci credo! È una cotta, è solo una cotta passeggera che dura da…fine febbraio. Sì ma solo una cotta, il fatto che quando mi sfiora io perdo la cognizione del mondo attorno a me è solo un caso. È un caso anche che prima di dormire me lo immagino scherzare con gli altri del gruppo. È un caso anche che nel mio cellulare abbia conservato i messaggi che ci siamo scambiati durante l’estate. Oddio, qualcuno mi sopprima, temo sia più grave del previsto.
Le ruote scivolano sul ghiaietto, ma non ci faccio caso mentre aumento la pedalata per prepararmi al meglio alla discesa e…via! Appena il pendio si fa più certo tolgo i piedi dai pedali e chiudo gli occhi. Sotto di me non c’è una bici, non c’è nulla. Sono solo io ed il vento, io ed il rumore dell’acqua del torrente sul cui ponte sto passando a tutta velocità. Pochi attimi, la discesa è finita ed io riemergo al sellino duro della bicicletta ed ai pedali che mi urtano contro le caviglie prima di venire di nuovo soggiogati dal movimento.
Sudo, sono sudata come l’ultima volta che l’ho visto, quando mi è venuto a salutare fuori dall’esame e ci siamo abbracciati, io sudata per la fatica della prova, lui sudato per avermi aspettato sotto il sole. Frustrata, aumento la pedalata sentendo i muscoli farmi un po’ male, come la volta che la mia amica per allontanarmi da lui seguendo le mie istruzioni di non abbandonarmi mi ha costretto ad uno scatto improvviso per parecchi metri. Scuoto i capelli che mi accecano e ricordo come lui me li abbia scostati con un sorriso dopo un accenno di lotta amichevole. Sono davvero grave. Mi viene quasi da piangere per la mia pateticità.
Fermo la bicicletta. Non ha più senso scappare, non ha più senso correre via lontano. Il problema non può essere evitato fuggendo, non stavolta. Uscire di casa mi allontana dalla famiglia, dai doveri scolastici, dagli amici che mi cercano…ma non da qualcosa che è nella mia testa…o in qualunque altro posto dentro di me. Sconfitta, giro il mezzo e riprendo la via di casa con la morte nel cuore. Non c’è rimedio, non c’è speranza. Devo accettare la cosa. Come l’acqua che scorre sotto il ponte, passerà anche questa. Ma quando?
Giù il cavalletto, su per le scale. Un gradino alla volta, la mia ossessione ritorna. Il cellulare è in camera mia, sul mio letto. Ci sarà qualche novità? Mio padre non alza nemmeno la testa quando passo davanti la cucina, mia madre in corridoio con i panni stirati mi sorride appena passandomi un mucchio di biancheria.
“Mi è sembrato di sentire il tuo telefono poco fa…” mi dice, sul suo viso è riflessa la mia gioia carica di aspettativa. Sarà lui? O qualche amica? O è davvero lui? Mio fratello esce in corridoio, mi guarda divertito e mi mostra la lingua.
“Beh, non corri a vedere se…?” non ha fatto in tempo a finire la frase che io sono in camera mia, ho buttato la roba stirata sulla sedia e mi sono gettata a pesce sul letto afferrando il cellulare. I volti dei miei cari dalla porta sorridono scuotendo la testa. Faccio pena, ma chissenefrega! Sono una ragazza ritornata all’adolescenza, me lo posso permettere di essere patetica!
Le mie mani tremano mentre apro il cellulare. Uno, due, tre…conto nella mia testa prima di aprirlo. Un nuovo messaggio. Salto sul letto, ma la mia mente mi dice di stare calma, che potrebbe non essere lui, che non devo precipitare le cose, che…al diavolo la mente! Siamo nella fase del cuore, ragazza! Una cosa che non ti capitava da una vita! Dando l’ok alla lettura il mio cuore perde un colpo. È lui!
“Kyaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!” urlo indemoniata ballando in mezzo alla stanza, mio fratello che scoppia a ridere e torna in camera sua, mia madre che con una scrollata di spalle torna alle faccende domestiche. Ed io continuo a ballare come un’idiota. Perché sono una idiota. Una idiota cotta di un altro idiota che non vede l’ora di rivedermi e abbracciarmi, un idiota che scrive “mi manchi”. Io gli manco…? Io gli manco! Lo urlerei al mondo, lo scriverei con le nuvole in modo che tutti possano vederlo, lo scolpirei sulle montagne perché resti nei secoli a venire, lo brucerei nei campi di grano, lo…un momento…panico! E ora cosa gli rispondo?!
  
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