Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |       
Autore: slice    28/09/2009    3 recensioni
Kiba è un semplice ragazzo che fa il poliziotto, nella stessa centrale dove lavorano madre e sorella, per pagarsi gli studi universitari. Shikamaru è un vampiro, un ragazzo morto secoli prima che ha perso speranze e fiducia in quasi tutto, specialmente nell'umanità. Non hanno niente in comune, apparentemente, ma scavando un po' si scopre che entrambi stanno cercando qualcosa di preciso, qualcosa che troveranno nell'altro. A farli incontrare ci penserà una serie di eventi ed omicidi notturni. Questa fic ha partecipato - stendiamo un velo pietoso sul risultato - al contest "dark behind the light... vampires" di theforgottendreamer.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kiba Inuzuka, Shikamaru Nara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Autore: slice.
Frase scelta: “si muore una volta sola ma per tanto tempo” Molière.
Titolo: vivere nella cenere.
Personaggi: Shikamaru, Kiba, Ino, Chouji, Shino, Hidan, Kakuzu.
Pairing(s): Shikamaru/Kiba.
Genere: drammatico, romantico, triste.
Rating: arancione.
Avvertimenti: AU, yaoi. Alcune scene possono essere un tantino forti, ma il rating è arancione perché niente di quel che ho scritto mi ha fatto pensare al rosso.
Breve introduzione alla storia: Kiba è un semplice ragazzo che fa il poliziotto, nella stessa centrale dove lavorano madre e sorella, per pagarsi gli studi universitari. Shikamaru è un vampiro, un ragazzo morto secoli prima che ha perso speranze e fiducia in quasi tutto, specialmente nell'umanità. Non hanno niente in comune, apparentemente, ma scavando un po' si scopre che entrambi stanno cercando qualcosa di preciso, qualcosa che troveranno nell'altro. A farli incontrare ci penserà una serie di eventi ed omicidi notturni.
Note dell’autore: le vicende sono trattate in tre capitoli distinti. Il momento in cui si incontrano, le circostanze e il rifiuto di Shikamaru ad ogni contatto, tratto poco di loro due assieme in questo primo capitolo, ma molto di più singolarmente e nel loro ambiente, la loro 'famiglia'. Mi è servito a mostrare il loro reale comportamento, il loro essere, al naturale, per poi far risaltare l'anomalia comportamentale quando nel secondo capitolo si vedranno assieme. Nel terzo ho tirato le somme, credo di averlo fatto senza fretta, facendovi gustare anche quello che è di contorno senza per forza farlo prevalere, ma mi rimetto alla Giudicia. Altre vicende, apparentemente inutili, sono servite da contorno e da piedistallo per la storia che regge il pairing. Il secondo capitolo è meno segmentato e più vissuto dai due, più intenso e decisamente pregnante, il terzo non può che essere denso di colpi di scena e ovviamente risolutivo. Credo di aver esagerato con le comparse, ma sono convinta anche del fatto che togliendoli avrei reso la storia più sterile e meno affascinante. Magari è una cosa soggettiva e la riscontro solo io, ma nel dubbio ho preferito gestire la storia in termini più ampi, e rischiare di andare fuori tema, piuttosto scrivere qualcosa che non sentivo fluire bene, che non sentivo mio. Tanto sarei arrivata comunque decima u.u!

Non mi appartiene niente e non c'è lucro.




Image and video hosting by TinyPic



Prologo



L'aria gelida venne inquinata da uno sbuffo di fumo, l'oscurità della notte si screziò di tentacoli chiari, la sigaretta ebbe un fremito e della cenere cadde sul manto bianco dell'inverno; un piccolo animale, forse una lepre o un coniglio, fece frusciare dei cespugli vicini prima di scappare rincorso solo dalla sua paura.
Dita magre, che stringevano il filtro, si avvicinarono nuovamente alle labbra di un ragazzo che ad occhio e croce non avrebbe potuto avere più di una ventina d'anni.
Un lieve alito di vento scompigliò le cime degli alberi che, guardiani di tanta quiete, non osarono lamentarsi.
La maglia scura a maniche lunghe creava un netto contrasto con la neve, che invece andava a sposarsi con la pelle candida del suo ospite; l'abbigliamento semplice e blando per quel freddo avrebbe dovuto far tremare il ragazzo, invece lui sembrava curarsi solo dello sfrigolio che gli investiva le orecchie, ogni volta che aspirava una boccata di fresco veleno.
Passi leggeri si unirono a quel suono sedante e poco dopo una seconda figura fece la sua comparsa.
“Non dovresti stare qui, è quasi l'alba. - Sussurrò quello che, sotto un mantello nero con annesso cappuccio, sembrava essere un ragazzo in carne più o meno della stessa età - Lei si preoccuperebbe se sapesse.” L'altro dette l'impressione di smettere anche di respirare per un'istante, la temperatura sembrò scendere ulteriormente.
“E tu non dirglielo.” Sbuffò in fine senza poggiare gli occhi sul suo interlocutore, troppo impegnato a guardare le stelle sopra la sua testa, oltre le fronde appesantite di gelido candore.
“Dico davvero Shikamaru, dovremmo rientrare.” Guardò con sconsolato rammarico il cielo che andava schiarendosi ad est, prima di voltarsi ed incamminarsi verso un luogo più buio e nascosto di quanto avrebbe voluto.
“Chouji... - la sigaretta lasciò le sue dita e sì posò senza rimbalzo sulla neve con un ultimo agonizzante sfrigolio, le spalle si staccarono dal tronco dell'albero, ma il ragazzo non si mosse, come non tolse il suo sguardo dalla volta ancora stellata - Cosa daresti per vedere l'alba ancora una volta?” L'altro si fermò senza voltarsi.
Il silenzio quasi li corrose in quei pochi attimi in cui l'aria andava riscaldandosi leggermente, in cui tutto si illuminava di vita. Chouji chiuse gli occhi e si morse il labbro, aggrottando le sopracciglia in un'espressione addolorata, alzò il viso permettendo a quella poca luce di sfiorargli i lineamenti paffuti.
“Morirei.” Scandì prima di riprendere a camminare, lasciando quella risposta nell'etere, come se avesse avuto troppa poca importanza ciò che lui avrebbe voluto.



Vivere nella cenere

di slice

Capitolo 1



Indubbiamente odiava la scuola. Senza possibilità di eccezioni, la odiava, tutta. Odiava i professori, i supplenti, gli stupidi pochi gradini per entrare in mensa. Odiava anche le aule e quelle porte odiosamente scassate dei bagni che non si chiudevano mai, o all'occorrenza ti ci intrappolavano dentro e neanche i pompieri potevano sperare di aiutarti. Odiava il portone che nelle mattine più sonnolente gli appariva come una bocca piena di denti aguzzi ed odiava, odiava, odiava lui. Più di tutti, odiava quell'essere strano che continuava a strusciarsi impunemente sulle sue preziose gambe.
“Va via, maledetto gattaccio.” Sibilò, scocciato.
Il gatto si limitò a sbadigliare e prese in pieno un adorabile calcio nei denti.
“Kiba.” Venne ammonito dall'ameba che lo accompagnava da che avesse ricordo. L'ameba, come lo chiamava scherzosamente da anni, era il migliore amico per eccellenza, quello delle fiabe e dei film, la classica persona che per te si getterebbe nelle fiamme, ma anche un pizzico atipica con quell'aria impassibile ed impossibile che predominava sulla sua indole. Cosa avessero in comune quei due sfuggiva alla comprensione umana.
Shino, l'ameba, era un ragazzo alto, moro, con gli occhiali da sole incollati al viso; era buono oltremodo e pacato all'inverosimile. Una di quelle persone calme, che si prendono tutto il tempo necessario e anche qualcosa di più per fare ogni genere di cosa, dal bere il caffè a scrivere una relazione, uno di quei tipi che possono snervare fino a farti venire le bolle, ma che poi ti rendi conto non vorresti cambiare con nessun altro, tanto meno qualcuno più nevrotico.
“Senti, se le cerca. Con tutta la gente e lo spazio che c'è, perché cavolo deve sempre venire tra i piedi a me che lo odio?”
Kiba invece era il classico casinista, l'anima della festa e assolutamente non aveva niente di pacato, nemmeno i capelli, che sembravano andargli in ogni direzione senza tanti sforzi o aiuti gelatinosi. Anche lui l'amico delle fiamme che si butta per te nei film... ma solo dopo un paio di gin tonic e una serata in discoteca, perché prima di morire è d'obbligo. Spesso veniva soprannominato cagnaccio perché passava dall'adorazione per il sonnellino fino ad arrivare direttamente al maniacale bisogno di movimento, saltando tutto ciò che ci poteva essere nel mezzo.
Kiba, inoltre, sembrava avere l'olfatto e l'udito un po' più sviluppati del normale e spesso, quando erano bambini, il loro gioco preferito era nascondersi e farsi trovare da lui bendato, per mettere alla prova i due sensi anomalmente più presenti.
“Forse si è innamorato.” L'occhiataccia che seguì fu assorbita con invidiabile e snervante calma.
“Sai cosa dovresti fare tu? Provare a correre come un invasato per tutto il cortile, urlando a pieni polmoni qualcosa come 'vi odio tutti e quando meno ve lo aspetterete sarò lì per gioire pacatamente del vostro dolore, inflitto ovviamente da me e la mia schizofrenia latente', secondo me rimorchieresti di brutto!” Ci fu un attimo di quasi assoluto silenzio rotto soltanto dalle fusa del gattaccio, poi la campanella della prima ora suonò.
“Magari un'altra volta.” Rispose quello alla fine evitando di scomporsi.





La notte perdura anche nel giorno se si sceglie come dimora una cripta di un vecchio cimitero fuori da ogni qualsivoglia centro abitato.
I pochi lembi di luce in quell'atmosfera spettrale erano delle candele; il loro tremolio, grazie a qualche spiffero, creava giochi di luce sulle pareti grezze e spoglie, fredde, cupe. Una bellissima tomba deflorata con molto poco rispetto per chi ormai non temeva più ire divine.
Una stanza fredda con due giacigli e un sacco di libri più o meno vecchi che formavano pile, a volte fino al soffitto, comunque non troppo alto, era tutto quello che si potevano permettere di avere e dopo qualche decennio non era nemmeno poi così male. Una piccola porta di un legno marcio e bucherellato che odorava di muffa, come solo la muffa stessa poteva fare, era l'unica cosa che spiccava. Pochi scalini, che formavano una leggera curva, portavano ad una seconda piccola stanza. Qui la porta rimaneva sempre chiusa e da dietro di essa spesso arrivavano strani lamenti; forse il vento giocava con le fessure del legno malconcio, oppure qualcuno cantava una nenia, a far compagnia a chi non vedeva la luce da secoli.
Un letto somigliante ad un vero baldacchino, nonostante fosse stato creato con un materasso vecchio, cuscini vari e teli di ogni genere, stava al centro della stanza dove la concentrazione di candele andava diminuendo e la nenia cresceva d'intensità.
Shikamaru si avvicinò aspettando di essere notato e, poco dopo, infatti, la canzone cessò.
“Ciao!” Molta enfasi per un tono fin troppo lieve, quasi impercettibile.
“Ciao. - Non c'era allegria nella sua voce anche se davvero avrebbe voluto che ci fosse, magari solo per un momento - Dovresti dormire, è l'alba.”
“Vieni!” La voce soave della fanciulla si fece udire ancora, soffice come una brezza calda in quella stanza morta.
Lui le si avvicinò piano e prese delicatamente la pallida manina scarna che fuoriusciva dalle coltri. Ciocche chiare macchiavano d'oro le federe dei cuscini di un rosso molto scuro, come piaceva a lei.
Ino un tempo era una ragazza allegra, solare, vivace in modo quasi irritante, forse a volte un po' ingenua, ma indubbiamente semplice e genuina, di un'intelligenza fine e volutamente poco sfruttata. Figlia di un personaggio di spicco nel suo amato villaggio, aveva un occhio di riguardo ovunque e da chiunque anche dal momento che era la veggente di corte.
Una notte, tornando a casa dopo un importante seduta con il Daymio, Ino si era trovata davanti, all'alba dei suoi vent'anni, una persona malvagia e poco incline a voler vedere il suo splendido sorriso. Il suo insegnante Sarutobi Asuma sentendone le grida cercò di soccorrerla, ma ottenne solo lo stesso trattamento della giovane. Shikamaru e Choji amici d'infanzia della ragazza, ed entrambi cresciuti sotto l'ala dello stesso maestro, dopo attenta e irritante vivisezione della faccenda, chiesero a gran voce la stessa fine per mano proprio di quest'ultimo: mai avrebbero lasciato sola la piccola Ino, mai avrebbero permesso che vivesse un'eternità accompagnata solo dai suoi ricordi.
Asuma purtroppo non ebbe vita lunga: il villaggio aveva iniziato già da tempo a dare la caccia a quelli come loro, e l'uomo si frappose proprio tra gli abitanti muniti di forconi e la fuga dei propri allievi.
“Come ti senti oggi Ino?” Le capacità della ragazza, mischiate con il nuovo sangue e i nuovi poteri, avevano creato come un sovraccarico nel minuto corpo della ventenne, dando inizio ad una penosa malattia senza fine grazie all'immortalità della sua specie.
Tutto ciò che successe dopo fu uno scappare da una parte all'altra del globo fino a quando le notizie su di loro non divennero semplici leggende, innocue favole tramandate per sollecitare il sonno dei propri pargoli.
“Come sempre, ma grazie di continuare a chiedermelo.” Due occhioni blu come solo – Shikamaru lo ricordava a stento - il mare di giorno poteva essere, fecero capolino da dietro una pesante coperta dello stesso colore dei cuscini.
“Forse dovrei smettere e vedere che succede, magari allora staresti meglio.” Accennò un sorriso, contento di scorgere il suo viso illuminarsi, mentre una risata di bambina riecheggio gioviale e corroborante in quel nulla che loro chiamavano casa.





“Dovrei rigargli la macchina.” Kiba si stiracchiò contro lo schienale di una delle tante panchine del parco che frequentava di solito con gli amici, nel dolce-far-niente del doposcuola. Un autobus si fermò poco distante da loro e un ragazzo biondo ne uscì con una ragazza mora subito al seguito.
“Dovresti metterti a studiare.” Shino aveva un modo unico di fare dell'ironia, tanto che spesso Kiba pensava neanche fosse vera ironia, probabilmente il suo era umorismo inglese, vai a capire. L'irrequieto ragazzo si voltò con un sopracciglio alzato, mentre i due nuovi venuti si scambiavano tenere effusioni prima di unirsi a loro.
“Ma tu da che parte stai?” Chiese al compagno di peripezie, guardando male la mano del suo amico Naruto sul sedere della vecchia compagna di giochi, Hinata. Chissà che espressione avrebbe fatto il padre della suddetta davanti ad una scena del genere?, pensò distrattamente prima di venir preso dalle parole dell'amico.
“Era solo un'idea.” Shino celò un po' di disappunto dietro ai suoi spessi occhiali da sole, per la solita mano di Naruto, ed evitò di guardare i lineamenti del compagno deformati da una smorfia d'incomprensione.
“Le tue idee fanno schifo.” Decise quello, prima di salutare i due piccioncini ormai divisi da ben dieci centimetri di neutra aria.
Naruto ed Hinata si sedettero in mezzo ai due vecchi amici.
“Allora?, questa festa? Eh?” La voce squillante ed inconfondibile del biondo fece sorridere un poco Shino, che si parò nel suo giubbotto visto solo dalla piccola Hinata, la sola a cui erano concessi certi privilegi.
“Ci sarà ovviamente! Il prossimo Venerdì sera, tra una settimana esatta, al capannone alle nove. Non è obbligatorio portare niente, ma se proprio devi, fa' che siano alcolici!” Sbraitò quasi Kiba ampiamente dimentico di tutto il resto e soprattutto del brutto voto appena ricevuto.
“Fantastico! Ci saremo! Hinata ha detto a casa che dorme da un'amica, eh!”
Hinata era figlia del famoso imprenditore Hiashi Hyuga e ovviamente 'decoro' era la parola d'ordine, dove questa si collocasse nell'immagine d'insieme che offriva il biondo non era affar loro.
“Grande Hina-chan! Perfetto allora, ci vediamo là!” Effettivamente dire che aveva pensato ad altro per tutta la settimana oltre che alla festa, era davvero ridicolo, per lui, ma anche per gli altri che conoscendolo non ci avrebbero creduto nemmeno per mezzo insignificante secondo.
I due piccioncini si alzarono, di nuovo pronti ad un'altra lunga serie di effusioni e si incamminarono per il loro sdolcinato giro nel parco, mano nella mano.
Breve ma intenso, avrebbe detto Shino se la voce di Naruto non fosse stata ancora ad un volume coprente, anche a decine di metri di distanza, mentre li salutava.
“Hinata la sentivamo poco già prima: adesso, con Naruto intorno che urla la metà del tempo, e solo perché l'altra metà mangia e dorme, credo che non la sentiremo parlare mai più.”
Kiba sorrise, erano cambiati tutti: dalla piccola Hinata che balbettava prima di svenire al solo nominare il suo principe azzurro, a quell'imbecille del suo amico che ora spiccicava qualche parola in più.
“A te non succede mai.” Ecco, qualche parola di troppo, a volte.
“Quasi quasi rigo la tua di macchina.” Sorrise ferino l'Inuzuka, senza preoccuparsi dell'aura omicida che emanava l'amico.

Tsume Inuzuka era una donna in gamba, di carattere non per forza dittatoriale, ma con il pugno indubbiamente di ferro. Era stata anche dolce e permissiva un tempo, più di quanto fosse diventata con l'abbandono da parte del marito per lo meno. Lo era stata con i suoi figli e col marito stesso, ma evidentemente non era bastato a farlo rimanere.
Era successo tutto piuttosto in fretta: Kiba aveva ricordi confusi perché era ancora troppo piccolo, mentre sua sorella maggiore Hana si ricordava tutto molto bene. Era maggio e c'era un leggero tepore, nonostante in quel luogo non ci fosse mai una temperatura tale da poter chiamare caldo. C'era mamma che piangeva sul letto e c'erano le valigie di papà vicino alla porta. C'era un silenzio fastidioso e c'erano due occhioni e un pollice in bocca tra le sue braccia. Kiba se ne stava lì a guardare il padre osservarli con rammarico per un'ultima volta, attraverso le fessure del legno delle scale che portavano al piano di sopra. Il ragazzo aveva ben chiaro in mente quel momento, perché stava correndo ad abbracciare suo padre e magari chiedergli di rimanere con loro. “Sarò più buono, non ti disturberò!”, aveva già detto qualche ora prima, tra le lacrime. Invece la sorella lo aveva preso in braccio a metà scalinata e si era seduta lì a guardare il genitore con malcelato odio, stringendo sempre di più il bambino che, rimasto senza lacrime, stanco e triste, si succhiava il pollice e faceva di tutto per non far cedere le palpebre su una visuale così buia e liquida.
Erano passati più di quindici anni, ma ancora tutto ciò bruciava, dentro, nascosto, ma presente.
Kiba raggiunta la maturità, per pagarsi gli studi universitari senza gravare sulle spalle della genitrice single, aveva fatto domanda con successo nel corpo della polizia, nella stessa stazione della madre e della sorella.
Il ragazzo entrò nell'ufficio della donna con l'irruenza tipica della loro famiglia e le lanciò un foglio sulla scrivania, proprio sotto al naso.
Tsume lo guardò con sospetto, lesse le prime righe e dopo lo accartocciò.
“Te lo scordi.” Soffiò riprendendo a leggere alcuni rapporti datati.
Kiba arricciò il naso, sapeva già che sarebbe stata quella la prima reazione, si era preparato.
“Ragiona. Ti serve aiuto, hai pochi uomini a disposizione, senza contare che io e mia sorella abbiamo già un'intesa particolare, per ovvie ragioni; conosco il caso, perché ho duplicato le chiavi dello schedario l'altra settimana. Non fare quella faccia. Siamo all'inizio dell'anno scolastico ed ho tutto il tempo che vuoi. Infine, invece di pensare alla mia inesperienza e basta, pensa a quanto ti possono essere utili il mio fisico ed i miei riflessi di ventenne.”
Ci fu un attimo di silenzio in cui il figlio prese fiato e la madre lo trattenne.
Il caso sembrava orribilmente semplice: c'era uno squilibrato che se ne andava in giro a dissanguare persone nel cuore della notte, con cosa lo facesse o perché le mordesse prima, era ancora un tremendo mistero. All'inizio avevano ipotizzato fosse opera di un animale di grossa taglia, magari scappato a qualche zoo o circo, ma nessuno ne aveva denunciato la fuga; in più, le indagini che seguirono non rilevarono impronte ferine nella neve fresca, ma bensì umane. Le autopsie, inoltre, avevano confermato che quella che rimaneva sul collo delle vittime, morse sempre nel solito punto, era saliva umana. La ricerca nel database non aveva però dato nessun riscontro del DNA e si brancolava - era il caso di dirlo - nel buio assoluto.
Sua madre sembrò pensarci su, non era andata così male dunque?
“No. - Rispose alla fine con un tono che non ammetteva repliche - Esci, devo lavorare.” Irremovibile, come sempre.
“Già! - Borbottò il ragazzo, uscendo sconsolato - Anch'io, in teoria.” Ma non fece in tempo a chiudere la porta a vetri con su scritto “Capitano”, che la voce della donna lo richiamò.
“Kiba, delinquente, lascia qui le chiavi che hai duplicato.” Meno male che ne aveva fatte più di una copia, si disse, mentre poggiava quelle che aveva dietro, sulla caotica scrivania della madre.





La città era un grumo di luci, rumori e frenesia che rimaneva su uno sfondo scuro e stellato, silenzioso ed immobile. Spesso stavano delle ore a fissare i grattacieli più alti: le piccole lucine che indicavano le finestre, spegnersi poco alla volta e i fari sulla cima dove, se erano abbastanza fortunati, potevano scorgere un elicottero atterrarvi. Il rumore aveva un ché dei primi fucili che la storia aveva partorito, ma era anche così lontano da risultare quasi rilassante.
Shikamaru sbadigliò indolente, cercò di scorgere la figura dell'amico, ma di lui non trovò alcuna traccia. Era convinto fosse nei paraggi.
Si stiracchiò allora e fece per alzarsi, pur contro voglia, deciso ad andargli incontro, ma non fece in tempo a raddrizzarsi che Chouji gli si presentò davanti; il respiro veloce, doveva aver corso, e un'espressione decisamente pocoda buona notizia.
Nara aggrottò la fronte in una muta richiesta di chiarimenti.
“Ino... è scomparsa.” Il viso del giovane uomo mutò rapidamente da perplesso ad angosciato, e poi tornò ad essere perplesso.
“Scomparsa? Chouji, Ino è malata. Non so neanche se i suoi muscoli siano in grado di tenerla eretta, com'è possibile che sia scomparsa?” L'altro pensò un momento, freneticamente; scosse la testa, infine si arrese con aria di incredibile dispiacere.
“Non so cosa dirti Shikamaru: a letto non c'è, nella cripta non c'è, ho girato tutto il cimitero e non c'è, o almeno, non riesco a trovarla.” Concluse più irritato e sconvolto di quanto potesse trasparire.
“Ok, senti, analizziamo la situazione: nessuno sa che siamo qui, non possono averla rapita, senza contare che avrebbe comunque cercato di difendersi e avremmo sentito il fragore dello scontro. Magari si è svegliata, non c'era nessuno e aveva fame o semplicemente, senza i suoi due simpatici carcerieri“Di sicuro non può essere lontana?” Chiese tra il retorico e il fiducioso. Shikamaru si guardò intorno prima di cogliere l'ansia nel tono dell'altro.
“Non preoccuparti, la troveremo; magari si è stancata troppo e si è fermata per riposarsi un momento. Se non dovessimo trovarla tornerà lei, in ogni caso l'alba è lontana. Dividiamoci.” Chouji annuì ancora, l'aiuto del Nara era sempre stato prezioso come la loro amicizia e da secoli la sua presenza, non faceva altro che rassicurarlo. E, Chouji non aveva dubbi, rassicurava anche lei.
“Che seccatura...” Sentì il Nara sbuffare ed uscì dalla nebbia di pensieri e preoccupazione in cui la sua mente lo costringeva, poi avvertì lo spostamento d'aria che segnalava il salto spiccato dall'amico e l'inizio delle ricerche.





C'erano un sacco di porte che davano su quel corridoio, buio e deserto grazie all'ora tarda, ma lui conosceva l'esatta ubicazione di ogni singolo ufficio e/o spogliatoio. Si guardò rapidamente attorno prima di spingere la porta, una volta dentro chiuse piano e tirò fuori la torcia. Non che gli servisse poi a molto, dal momento che conosceva anche la posizione dell'armadietto di sua sorella, infatti ci si diresse a colpo sicuro e lo aprì. La combinazione era da sempre, nonostante il suo proclamato odio per quell'essere, la data di nascita di loro padre.
All'interno l'armadietto era spoglio, privo di foto o qualsivoglia monito cartaceo, non c'erano cianfrusaglie, ma solo oggetti in dotazione o comunque utili al servizio. E anche un infinità di proiettili di scorta, un po' nascosti dietro il giubbotto anti-proiettili, ma c'erano. Era proprio da Hana: semplice e indispensabile.
Sua sorella era di pattuglia quella sera, assegnata allo stesso caso che avrebbe voluto lui; prese un piccolo blocco, insignificante, adagiato nella desolazione di quell'armadietto, e lo sfogliò alla ricerca di dettagli. Si annotò mentalmente un paio di strani avvenimenti ed altrettante descrizioni delle vittime, poi udì delle voci in avvicinamento.
Ripose il blocco, chiuse l'armadietto senza fare alcun rumore e, spegnendo la torcia, si nascose nella zona docce. Un secondo dopo la porta si aprì e la luce fu accesa.
“Quel dannato moccioso ci farà diventare matte entrambe.”
“Non lo pensi, tua madre è sempre felice di averlo intorno e quando si allontana un po' di più diventa insopportabile. Solo che tu e tua madre vi assomigliate molto e dovete per forza ringhiare a tutti.”
“Vuoi un pugno Hatake? Dillo subito invece di girarci intorno.” Hana agitava un pugno nella sua direzione, quando vide dei ciuffi castani oltre il muro che separava la zona spogliatoio dalle docce.
“No no, grazie, mi accontento di guardarlo da qui. Senti che ne dici se andiamo subito invece di attendere?”
“Ci sto... Come mai così arzillo oggi Hatake? Stai attento a non tirarmi brutti scherzi.” Ed ecco di nuovo quel famoso pugno davanti al suo naso.
Kakashi tirò su le mani in segno di resa.
“Promesso!” Disse sorridendo e socchiudendo gli occhi.
Mentre uscivano Kiba pensò che chi sopportava sua sorella avrebbe avuto bisogno di un incentivo statale oltre che di un aiutino divino. Poi, realizzando che lui era tra i candidati, si passò una mano sugli occhi, teatralmente affranto.
Uscì con discrezione e si diresse verso la zona della periferia indicata dagli appunti del mastino.





Davanti a lui si ergevano le prime abitazioni, dopo la desolazione e la bellezza della campagna, la periferia sembrava così caotica da non volerci entrare nemmeno sotto compenso; girava infatti intorno ad essa, avvicinandosi e poi ritraendosi, come un animale che studia il nemico. Così poco abituato a tutta quella vita si agitava sbirciando nelle vie senza davvero guardarci, come se avesse potuto nuocergli. Come se da tanto fervore non potesse venire niente di buono.
La città di notte, addormentata nei mesi più freddi, diveniva un formicaio nelle serate più calde e così anche la periferia vomitava in strada stormi di ragazzi e ragazzini, più o meno spensierati. Settembre era un mese che sfornava un'aria ancora mite e, in quell'ultimo sprazzo d'estate, le feste dei giovani si trovavano, confusionarie ed alcoliche, un po' ovunque.
Avevano regole precise nel loro piccolo e strambo gruppo: nessun contatto con esseri umani, eccezion fatta per casi estremi e, se succedeva, gli altri dovevano essere messi al corrente.
Avevano visto l'umanità crescere, evolversi e smarrire la strada sempre di più, sempre più lontani da un qualsivoglia buon senso, sempre più vicini ad essere massa piuttosto che individuo. Si erano fidati poche volte e, pur fornendo il loro sovrannaturale aiuto, l'unica moneta di ricambio era sempre stata la persecuzione; e, forse per distinguersi dallo sfacelo umano, si erano impegnati per imparare dagli errori decidendo a conti fatti di volerne, o doverne, rimanere fuori. Il loro intervento in quell'epoca non sarebbe stato nemmeno giusto, loro non avrebbero dovuto esistere, non avrebbero dovuto essere lì e quindi interagire avrebbe significato alterare il corso degli eventi. Di contro, Shikamaru credeva ché entrare nel mondo dei viventi un privilegio che a loro non spettava più. In fondo erano solo vampiri, si nutrivano di quella stessa vita tanto bramata, come parassiti. No, Shikamaru ne era convinto, non sarebbe stato giusto.
Il suo istinto gli diceva che Ino era là in quei campi coltivati a materialismo e consumismo, forse era davvero uscita a farsi due passi, ma allora perché non avvertirli?
Prese a camminare verso quel marasma di frivolezze e luci al neon, sbuffando e imprecando a denti stretti; non aveva mai adorato particolarmente il caos dei centri abitati, nemmeno quando il sole poteva rischiarare la sua pelle senza procurargli l'incenerimento della cute, con conseguenti dolorose ustioni.
L'aria fredda e l'oscurità facevano sì che dalle sue labbra uscisse del vapore molto somigliante al fumo.Perché fingere?, pensò infilandosi una sigaretta tra le labbra.





La radio dava solo schifezze a quell'ora e, all'ennesima canzoncina rigurgitata dalle classifiche di venti o trenta anni prima, decise che ne aveva avuto abbastanza; portò la mano in basso, e fece per spegnere, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Un uomo ed una donna, abbastanza anziani, correvano, abbracciati e singolarmente scossi.
Kiba accostò la macchina, accese la torcia e si diresse nel vicolo da cui aveva visto uscire i due.
C'era abbastanza luce, ma essa veniva tagliata bruscamente, creando una fetta di oscurità dal momento che il lampione stava al di là del muro di cinta di una villetta. A terra un uomo era riverso a faccia in giù in una pozzanghera, poco sangue aveva dato una tinta rosea all'acqua stagnante. Dissanguato. Un altro. E il ragazzo era arrivato decisamente troppo tardi.
Nel rammarico e la frustrazione del momento, il piccolo rumore che seguì gli sembrò un enorme frastuono. Si voltò di scatto, puntando la torcia e l'arma d'ordinanza in faccia ad una ragazza bionda, coetanea avrebbe detto, seminascosta dietro ad un palo della luce.
“Ciao. Tutto bene? - Fece qualche passo verso di lei, dopo aver riposto l'arma, cercando di avere un tono il più gentile possibile, scrutandola per vedere se aveva segni di maltrattamento sulla sua esile persona - Stai bene?” Chiese ancora, sentendo il silenzio addensarsi ed appesantirsi nelle orecchie. Si fermò poi vedendola indietreggiare, gli parve così fragile che si meravigliò stesse in piedi da sola. Piedi. Solo ora notava la ragazza fosse scalza. Inoltre la veste di seta che indossava, per quanto graziosa, non doveva essere stata una scelta azzeccata per la temperatura.
“Sei al sicuro adesso, sono della polizia, non avere paura.” Kiba tese una mano senza avvicinarsi oltre, lasciandole intuire che poteva decidere lei se prenderla o meno, ma la ragazza rise, realmente divertita e l'Inuzuka pensò che era davvero una risata da bambina, solo un po' più fine e composta.
“Come ti chiami?” Chiese all'improvviso la giovane.
“Kiba. - Attimo di smarrimento - e tu?” Si sentì chiedere prima ancora di capire cosa c'entrassero le presentazioni.
“Mi piace il tuo nome.” Non vi fu risposta, ma un'altra risata gioviale e composta, poi quando tornò il silenzio, lei si appoggiò al palo e finse un mancamento.
L'Inuzuka, preoccupato, le si fece subito vicino per sorreggerla, abbracciandola quasi.
Ino sorrise tra il dolce e il birichino, appoggiò le mani sugli avambracci del ragazzo, lo annusò sul collo avvicinando le labbra ad esso.
“Ino.”
La voce di Shikamaru risuonò bassa e monocorde nel vicolo scuro e freddo, tanto che Kiba sentì un brivido correre amorevolmente lungo la spina dorsale.
La ragazza tra le sue braccia sembrò rimpicciolirsi e quasi guaire, dispiaciuta di qualcosa che sfuggiva al poliziotto, la vide rintanarsi al suo petto, ma senza paura alcuna.
Si voltò fissando l'oscurità da cui aveva sentito provenire quella voce atona.
“La conosci?, credo sia sotto shok: è pallida e chiaramente in stato confusionale.” Un movimento nel buio catturò la sua attenzione.
Shikamaru lo guardò a lungo, con sospetto, prima di entrare nel fascio di luce del lampione.
Kiba lo osservò a sua volta, camminare lentamente mentre scrutava la vittima e una nota stonò: non sembrava allarmato, spaventato o scomposto alla vista del cadavere. Questo lo insospettì.
“È molto che siete qui?” Domandò con tono pacato.
Nara non rispose, ma seguì i suoi movimenti mentre cercava di sostenere meglio Ino senza rischiare di toccare dove non avrebbe dovuto. Ma notò anche che questo non era motivo di imbarazzo per il poliziotto.
“Sentite, dovreste venire in centrale con me. Niente di strano, solo qualche domanda.” Kiba contemplò il viso di Ino che le era così vicina e alla quale ancora non aveva prestato la dovuta attenzione. Aveva una fisionomia graziosa, con qualcosa di audace nel nasino all'in su e nelle guanciotte rosee rispetto all'incarnato pallido. Era una ragazza molto magra, non anoressica, ma indubbiamente con qualche problema alimentare, stava per chiederle se mangiava abbastanza quando venne interrotto bruscamente.
“No.”
Kiba ci mise qualche secondo a riprendere il filo del discorso poi, passandosi una mano sulla fronte, sospirò comprensivo.
“Lo so che non è stata una serata da ricordare, ma sareste d'aiuto per le indagini.” Neanche chiuse la bocca che l'altro sbuffò, quasi fosse annoiato da tutto quello.
“Non ci interessa aiutare, non è affar nostro.” L'Inuzuka storse il naso, stordito da quell'affermazione, ma come se l'altro stesse giocando sulla tempistica del suo comprendonio, non ebbe tempo di aprire bocca. Lo vide avvicinarsi alla ragazza e di contro sentì lei irrigidirsi e ritrarsi leggermente, emettendo un altro mugolio dispiaciuto.
“Ino. Non sono arrabbiato. Andiamo.” Lei ridacchiò mettendo la sua piccola manina candida in quella dell'amico.
Kiba assistette a tutto con una strana sensazione addosso, come se fosse di troppo, come se stesse vedendo qualcosa che non avrebbe dovuto.
Vide i lineamenti del ragazzo distendersi, forse rasserenato dal sorriso dell'amica e pensò di getto che fosse davvero molto carino. Lo sentì rilassato al punto che, gli venne il dubbio, prima fosse teso perché l'amica era tra le sue braccia.
“Sono un poliziotto. E anche se non lo fossi stato... Che volevi che facessi?” Mormorò credendo di averlo solo pensato. Si riscosse vedendo i loro occhi su di sé e riprese il filo della conversazione con le risatine della ragazza nelle orecchie ed uno strano gridolino che assomigliava troppo ad un “ pensa che sei davvero molto carino”.
“Come sarebbe? Non vi interessa prendere lo squilibrato che sta facendo questo?- Domandò quasi retorico, ignorando forzatamente la ragazza e indicando il cadavere ad un paio di metri da loro -non volete aiutare la polizia a proteggere i civili?”
“No.” Kiba si stranì ulteriormente.
“Vuoi dire che la cosa non ti tange minimamente? - Chiese ancora, facendo qualche passo verso la vittima - Lo hai guardato prima, ho visto che lo hai guardato. Ci sono dei fori sul collo. Contusioni su tutto il corpo, segno che era ancora vivo quando lo hanno aggredito ed ha cercato di difendersi. Quest'uomo non sembra aver bisogno di aiuto per difendersi. Tutti i cadaveri sono stati ritrovati in periferia, non oltre. Quindi, ricapitolando, abbiamo un uomo, perché mi rifiuto di credere che una donna possa avere tanta forza, un uomo ben piazzato, un camionista forse, che nella sua follia non vuole destare sospetti... un maniaco depressivo con manie di persecuzione? Un gigantesco maniaco depressivo con manie di persecuzione che morde le sue vittime sul collo.” Ci fu un attimo di silenzio in cui i due ragazzi si guardarono in faccia, come studiando l'altro.
“Non ci prendiamo in giro. Non può esistere, non regge, per quanto mi sforzi, e sembri incredibilmente assurdo, non riesco nemmeno a trovare spiegazioni razionali, ma solo logiche: non è umano. E questo è semplicemente ridicolo.”
Ino sobbalzò leggermente nel blando abbraccio di Shikamaru ed iniziò a piagnucolare e a strofinare il viso sulla spalla dell'amico.
“Se dovete dirmi qualcosa, sarebbe bene voi lo faceste ora, prima che capiti di nuovo. - Kiba guardò la ragazza prima di aggiungere qualcosa che fece stringere i denti a Shikamaru tanto da fargli male - Prima che possa succedere a qualcuno che conoscete.”
In quel preciso istante la sirena di una volante in avvicinamento fece voltare la testa all'Inuzuka di riflesso, lasciando il tempo al Nara di levare le tende. Quando Kiba tornò su i due strani individui trovò solo il vicolo deserto davanti a lui.





L'ascensore avrebbe scricchiolato e cigolato e ruggito abbastanza da svegliare tutto il palazzo, così prese le scale, con grande gioia dei suoi piedi doloranti.
Girò la chiave con lentezza, cercando di fare meno rumore possibile, quando la serratura fece il suo dovuto scatto, entrò senza accendere la luce. Si richiuse il portone dietro con la stessa calma e la stessa accortezza.
“Dove diavolo sei stato?” La luce si accese e lui quasi cadde a terra incespicando nella coda di Akamaru, suo fedele ed inimitabile compagno di giochi, ozio e passeggiate.
“Che cavolo, che ci fai ancora alzata?” Tsume digrignò i denti mentre suo figlio guardava ovunque tranne che nella sua direzione.
“Non cambiare discorso Inuzuka, dove sei stato?” Le unghie curate e un po' lunghe picchiettarono velocemente, a scalare dal mignolo all'indice sul bracciolo della poltrona di pelle.
“In giro.” Temporeggiò, accarezzando il fidato amico perpetuamente scodinzolante.
“In quel tipo di giro che ti fa portare appresso arma e torcia? Ti avevo detto di starne fuori, mi sembra.”
Kiba sbuffò spostando di poco il deretano del peloso quadrupede e sedendosi sul divano. Fin da piccolo gli era sempre sembrato che quella poltrona fosse usata per incutere timore, sua madre ci si sedeva sempre per sgridarlo e anche sua sorella negli ultimi anni aveva preso a rompere dall'alto di quell'accozzaglia di stoffe floreali. Oltretutto quel pezzo stonava col resto dell'arredamento, quindi il motivo per il quale ancora si ergeva in quel suo tetro angolino, era per incutere un po' di sano timore. Solo un po', perché il resto ce lo metteva volentieri quel soldato sadico che era sua madre.
“Perché non posso semplicemente essere stato a fare un giro con Shino e gli altri?”
“Perché Shizune-san e Tenzo-san ti hanno visto correre via dalla scena dell'ultimo delitto.”
“Uffa... Chi è di turno stasera a parte loro?”
“Non sono affari tuoi. Comunque Hana è stata incaricata di parlare alla famiglia e di farsi dare informazioni, magari le vittime sono scelte in base ad una qualche logica.”
La luce tremò e lo sguardo di entrambi si posò su una falena, con il suo sbattere le ali vicino alla luce creava forme strane sul muro.
“O magari no.” Borbottò il ragazzo osservando la farfalla appoggiarsi sul pezzo di stoffa dell'abat-jour.
Tsume lo guardò aggrottando le sopracciglia. Si grattò la testa ed ispirò.
“C'è qualcosa che non so e che dovrei sapere?” Indagò senza tanti preamboli, facendo sobbalzare il figlio che si alzò dirigendosi verso la sua stanza.
“No no, dicevo così, per dire.”
“Certo. Kiba. - La donna lo richiamò con un filo d'apprensione nella voce e lui si fermò lanciandole uno sguardo neutro ed assonnato - Sta’ molto attento. E non voglio assolutamente che tu e i tuoi amici andiate in giro da soli di notte, anche in centro, potrebbe essere solo un caso che le vittime siano state ritrovate in periferia. Sono stata chiara?”
“Sì, signora.”





“Non è questo il punto Ino.” Urlò guardando la compagna arretrare e imbronciarsi, miagolando scuse.
“Avevi detto di non essere arrabbiato.” Gli ricordò, con una nota di fanciullesco risentimento nella vocina leggera.
Il ragazzo si massaggiò una tempia respirando a fondo e pentendosi di aver alzato la voce.
“Lo so. Ed è vero! Scusa, non dovevo alzare la voce.” Le disse, realmente dispiaciuto, mentre le prendeva una manina portandosela oltre il collo e la abbracciava, con la sua risatina felice e senza tempo nelle orecchie.
All'incirca quattro ore più tardi Ino dormiva nella sua stanza, dopo aver mangiato. Il sole era ormai sorto da una decina di minuti. Chouji, incaricato di far provviste, aveva svolto bene il suo compito e si era messo ad ascoltare tutto con malcelata apprensione, prosciugando un intero piccolo ed indifeso capriolo. Shikamaru seduto davanti a lui aveva riassunto l'episodio con una strana espressione sul viso e non aveva toccato cibo.
“Quindi fammi un favore Chouji: - stava finendo di dire il Nara - Non lasciare sola Ino per nessun motivo, a maggior ragione quando sarò fuori, dobbiamo trovare chi miete vittime in tempo, prima che la cosa diventi troppo grande e faccia scoprire anche noi.” Il ragazzo cicciottello di fronte smise improvvisamente di ingozzarsi e, tutto sporco di sangue, pose una domanda irritante:
“Allora intendi aiutare davvero quell'umano?”
Shikamaru si toccò la fronte e il suo sguardo vagò per la stanza. Al centro della suddetta un raggio di luce filtrava dal tetto crepato della vecchia cripta; spesso veniva circondato da pile di libri o da cerchi di candele più o meno alte per evitare di incapparci, magari sovra pensiero, ma a volte niente recintava quello spruzzo di luce che, come fosse animato, illuminava un minimo quell'antro buio.
Quell'umano sembrava davvero come quel raggio di luce e, qualcosa nel suo insieme, lo attirava quasi più del sangue, che perdeva attrattiva al confronto con il suo odore.
“Che seccatura.” Soffiò, facendo sorridere l'altro anche al ricordo di quello che Ino aveva detto, a proposito dei pensieri dell'umano.





Nell'oscurità di una fognatura qualcosa si muoveva, agitandosi e grugniva, scontento.
“Smettila di fare tutto questo baccano idiota, mi stai irritando.” La voce bassa e pacata non destava però sicurezza, ma intensi brividi, a volte persino al suo compagno di viaggio.
“Kakuzu! Non penserai che oltre a mangiare poco debba anche evitare di lamentarmi?” Un pugno si agitò nell'aria con distinta ferocia.
“Ho fame anch'io, ma non per questo sbraito e mugolo tutto il tempo. Inoltre credevo di averti spiegato che siamo già troppo in vista così, senza fare decine di vittime come vorresti tu.” Il tono spazientito e leggermente più veloce, unico segno di alterazione, venne ignorato dall'interlocutore.
“Una volta non era così...” Piagnucolò ancora, lasciandosi scivolare sul pavimento umido, chiudendo gli occhi su un fascio di luce che filtrava da un tombino poco più in là.
“Hidan, una volta non eravamo nel ventunesimo secolo.” Puntò gli occhi al cielo, soffiando però un tono invariato.
“Mi piacevano di più quei tempi! Era anche semplice cavarsela, un gioco da ragazzi!” Sorrise quello, mettendosi seduto e ricordando forse bei tempi andati, fatti di luoghi da scoprire e carneficine a cui partecipare.
“Parla quello che si è fatto staccare la testa.” Hidan in un attimo si fece serio.
“E sta’ zitto. - Sbraitò tornando sdraiato -anche senza testa ce l'ho fatta ad evitare il paletto.”
“Complimenti.” Commentò con poca intonazione e nemmeno il minimo interesse, il gigante seduto accanto a lui.
Fuori di lì l'aria andava riscaldandosi.





Sono arrivata ultima T.T ergo mi servirebbe un po' di supporto morale (leggersi: vi prego, commentate!). Grazie.

  
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: slice