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Autore: KyleMcDale    01/06/2005    0 recensioni
La paura restava sempre l'emozione più forte che Julian avesse mai provato in tutta la sua vita. Già la sua vita, perché questo era stato il problema sin dall'inizio. Quale vita, quale esistenza poteva considerare tale, quella tranquilla ed agiata, quasi mortalmente paranoica di prima, senza passioni o stimoli; o quella tormentata di adesso, piena di cose nuove, piena di brivido, d'imprevisti, d'eccitazione, ma anche di pericolo, di perdizione, di male, di morte, di malvagità, e soprattutto di paura.
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BLOOD!

” Un luogo senza tempo, popolato di gente senza Dio.

Nessuno scampo per le povere anime ignare, che osano avventurarsi sulla strada della vita.

Il peggio era ormai passato, ma ora nascondersi era imperativo.
La paura restava sempre l'emozione più forte che Julian avesse mai provato in tutta la sua vita. Già la sua vita, perché questo era stato il problema sin dall'inizio.
Quale vita, quale esistenza poteva considerare tale, quella tranquilla ed agiata, quasi mortalmente paranoica di prima, senza passioni o stimoli;
o quella tormentata di adesso, piena di cose nuove, piena di brivido, d'imprevisti, d'eccitazione,
ma anche di pericolo, di perdizione, di male, di morte, di malvagità, e soprattutto di paura.
La luna spoglia e pallida era alta nel cielo,
coperta solo da qualche lembo di nube, i suoi passi risuonavano agitati, irregolari come il suo respiro affannoso.
Il cuore gli batteva all'impazzata, dominato perlopiù dal terrore e dall'angoscia tremenda per la tragedia appena consumatasi.
Con le mani grondanti sangue e le vesti lacere, si rifugiò in un vicolo lì vicino, dove l'entrata per la rete fognaria giaceva semi nascosta, coperta da un mucchio di spazzatura.
Prima di entrare volse un ultimo sguardo alle sue spalle, ma lo spettacolo che rivide, anche se solo per qualche istante,
fu talmente raccapricciante che fu assalito da un ennesimo attacco di paura. Sparì nella notte come solo uno della sua razza sa fare.

I segni della battaglia erano ancora presenti su di lui. Si sedette in un angolo, i topi gli giravano intorno con aria poco rassicurante.
Il battito divenne più regolare, smise di tremare. L 'intenso miasma che emanava il rivo nero della fogna non gli permetteva quasi di respirare,
ma ora era il meglio che poteva permettersi. Si guardò le vesti a pezzi e macchiate di sangue, le mani sporche, rovinate. Pianse.
Ripensò alla sua esistenza, quella di prima, quella che stava inorridendo ora guardandolo rintanato come un ladro, un assassino,
un essere senza vita né gloria, maledetto, forse braccato.
Gli tornarono in mente gli anni passati nella grande casa nella periferia di Londra,
quando la servitù della residenza Shelley si prendeva cura di lui, quando i cavalli ed i libri gli facevano compagnia.
Ricordò il circolo al quale i suoi genitori lo portavano, frequentato dall'alta società Vittoriana. Feste e ricevimenti si susseguivano,
intervallati da decisioni banali sulla scelta di un vestito per il pranzo o la cena, oppure sul tipo di sella migliore per la caccia alla volpe.
Rifletté molto sul tempo passato al collegio di Birmingham, dove apprese che la povertà era qualcosa di deplorevole, e che chi ne era colpito non aveva diritti.
Il ricordo vivo di come nei pomeriggi d'estate posteriori ai suoi sedici anni, cominciò a dilettarsi, con i suoi compagni più abbienti,
a schernire gli altri ragazzi che provenivano dai ceti poveri, ragazzi i genitori dei quali si toglievano il pane di bocca per permettere ai propri figli un'istruzione ad un buon livello.
Le estati nelle quali la perfidia, unita all'accidia, lo portava a scherzi atroci persino nei confronti degli amici più cari.
Ogni nuova esperienza era buona solo per tediarlo di più. Stanco di quella vita che riteneva inutile, della letteratura, dell'arte che lo circondava,
dall'aria di perbenismo nella quale era cresciuto, Stanco di tutte le così dette novità che i soldi di famiglia potevano procurargli,
provò tutto quanto era nascosto, proibito e letale, cercando di sfuggire alla condizione di morte interiore che cominciava a farsi strada dentro di lui.
Era triste e non se ne rendeva conto. Incolpando la vita e la gente, sfogava la sua rabbia in giochi sempre più malvagi e violenti, pericolosi per se stesso e per gli altri.
Spesso in preda all'alcol ed alla droga si lasciava andare ad efferatezze indicibili, arrivando, in una sera maledetta, all'omicidio del padre,
che distrutto dallo sbando al quale il figlio era giunto, aveva tentato di destarlo dal torpore della maledizione.
La fuga. La disperazione. La fame, il freddo, l'umiliazione; il vagabondare senza meta, la solitudine,
l'inquietudine, l'incertezza, la sensazione di non essere più padrone degli eventi, la consapevolezza d'essere maledetto.
La paura! Ora aveva ottenuto quello che voleva, l'unica sensazione che in tutta la sua vita aveva sempre cercato ma non aveva mai provato e che lo terrorizzava e lo attraeva al tempo stesso.
Rumori! Lo distrassero dai suoi pensieri.
Cambiò posto, inoltrandosi sempre di più nello stomaco di quella che poteva essere la sua balena. Sedette.
Ora l'unica sensazione rimasta era il freddo. Ora era al sicuro, ma da cosa, i suoi nemici non erano più!
La battaglia non aveva lasciato superstiti, quando entrava in frenesia non ce n'era più per nessuno, era il diavolo in persona.
Entrava presto ed in modo violento, trasformandosi in un mostro; e forse fu proprio per questo che il suo sire lo scelse.
Fissò un grosso ratto nero che attraversava il rivo fetido nella congiunzione con un canaletto di scolo laterale,
illuminato da un raggio di luna che, probabilmente, filtrava da un tombino. Non era sicuro di sapere dove si trovava, prima di sedersi aveva camminato molto inquietato dai rumori che aveva sentito.
Aveva cambiato molti posti. Si addormentò coperto di cartoni e foglie, pensando che forse peggio di così…
Sognò, l'ultima notte che passò da comune mortale. La tristezza e la rassegnazione, il rovistare tra i rifiuti, il dover lottare con gli animali per il cibo.
Poi quella presenza. Quello sguardo penetrante e caldo che incuteva timore e rispetto, ma che lo attraeva al tempo stesso.
Lord Sad. Era impossibile scordare quella notte di luna piena.
Quando si avvicinò non ci fu animale che si mosse, pareva che avesse il controllo sulla natura.

Sognò il castello del suo sire, il cibo decente, caldo, un bagno, i vestiti puliti, un balsamo per i lunghi capelli biondi, della musica…
dopo mesi passati nei bassi fondi, denigrato, affamato, sporco, questa gli pareva la vita più desiderabile. Ma il suo ospite voleva essere pagato.
Vivo era in lui il ricordo delle mani forti di Sad. Il ricordo del dolore, della sua carne che si lacerava in quel bacio mortale,
che gli avrebbe dato una nuova esistenza, della sua candida camicia di seta sulla quale spiccavano macchie come rose rosse che sbucano dalla neve.
Era umido, il bordo della banchina della fogna era gelido, decise che sarebbe uscito in cerca di qualcosa di più comodo.
Il timore era meno forte, la stanchezza era al limite, l'animo rassegnato; raccolse le proprie forze ed il proprio coraggio cercando un posto migliore fuori,
se proprio doveva morire lo avrebbe fatto da uomo, o almeno quello che ne restava.
Erano trascorse molte ore dalla sua fuga.
Pensò che non vi fosse più motivo di nascondersi così in profondità, visto che lì sotto aveva percorso molta strada. Riuscì a trovare un tombino.
Si guardò e maledisse se stesso.
Lord Sad lo aveva illuso promettendogli una nuova vita, fatta di potere, d'eternità, di benessere, di rispetto. Gli credette.
Ma dopo i primi tempi si accorse di cos'era diventato, s'accorse che non era tutto rose e fiori. Conobbe la fame.
Quella fame che lo faceva stare male, che lo spingeva ad uccidere per sopravvivere, quella fame che non gli permetteva di approfittare degli animali che avevano così tanto amaro in corpo, che si raffreddavano subito, che lottavano per non morire.
Il suo sire gli aveva omesso i particolari della sua nuova esistenza, che lui scoprì fatta di morte, di dolore, perdizione, dannazione, vergogna, terrore, notte, sangue e paura.
Indugiò sui pioli della scala che portava al tombino d'uscita, ripensando ai 230 anni di pellegrinaggio, passati nei maggiori salotti delle grandi capitali.
Alle lotte contro la propria coscienza, contro il suo sire, contro se stesso; alle lunghe fughe dai villaggi inferociti, agli anni d'esilio che la maledizione gli aveva portato,
alle battaglie nelle quali Lord Sad l'aveva trascinato per dovere di sangue. Alle mostruosità che la sua anima di non morto aveva dovuto sopportare,
alle lacrime di migliaia di madri, mogli sorelle e figlie. Indugiava piolo dopo piolo, mentre le immagini si susseguivano nella sua mente, arrivando sino al mese prima,
quando stufo di essere schernito da colui che lo rese immortale, decise di fuggire, di nascondersi di cambiare vita.
Non si rese conto che sarebbe riuscito a sfuggire ad un Cainita di quarta generazione.
Quando venne trovato cercò di non reagire per tenere fede al proprio giuramento, ma Lord Sad conosceva bene i suoi punti deboli, e lo schernì sino al puto di non ritorno.
Quello che il sire non poteva immaginare era sino a che punto poteva spingersi la sua ferocia una volta innescata.
Mancavano pochi pioli, e le scene della lotta, ancora vive, impresse a fuoco nei suoi ricordi, lo fecero inorridire. Un brivido gli percorse la schiena.
Gli sovvenne di come, entrato in frenesia, si avventò contro Sad, di come gli ridusse la gola,
di come fece a brandelli i primi due servitori che gli si fecero incontro; impressionante fu per lui scoprire come le immagini erano così reali,
di quando colpì Glaahf con così tanta violenza da fargli volare la testa dall'altro lato della strada, di come cacciò in gola a Jolehn il cuore strappato dal petto di Kroven.
Rivisse in quei pochi attimi tutto l'orrore della sua ferocia, della strage compiuta poc'anzi, dei corpi dilaniati,
dell'ira che lo colse e che gli fece fronteggiare, da solo, le quindici guardie più potenti del suo sire, compreso lui.
Era fuggito dalla morte, ed era seriamente intenzionato a starle il più lontano possibile.
Lord Sad l'aveva sfidato ed egli era riuscito ad eliminarlo, un'impresa mai riuscita ad altri prima d'ora.
Era un Lasombra, e questo non avrebbe potuto cambiarlo mai, come non avrebbe potuto sfuggire alla notte,
ma questo non gli avrebbe impedito di tentare di condurre una vita più normale, lontano dall'abominio che contraddistingueva la sua gente dai secoli dei secoli.
Raccolse le sue ultime forze e sollevò a fatica il tombino. Si accertò che non vi fosse nessuno intorno. Uscì.
Il chiarore della luna gli fece socchiudere gli occhi, la brezza gelida della notte lo intirizzì.
Era stanco, infreddolito, le ossa a pezzi, e cominciava a sentire la fame, ma ora era contento, era finalmente convinto di poter ricominciare,
nell'ombra, ma ricominciare. Si erse in piedi.
Un sibilo, un fruscio, un tonfo sordo. Una testa rotolò. Il suo corpo cadde sulle ginocchia d'un colpo secco, quindi stramazzò a terra.
Una lama sporca di sangue accompagnò un'ombra mentre usciva dall'oscurità di un muro poco distante.

<< Non potevi pensare di eliminarmi così facilmente, io sono un Cainita di quarta generazione, e tu un povero stupido.
Non basta la ferocia a fare di un bamboccio un Lord. Non hai voluto ascoltarmi, pensavi di poter sfuggire alla tua sorte,
ma tu eri sempre e comunque una creatura della notte, destinata a mietere vittime, tra i comuni mortali, un mostro, come amavi definire me.
Io altro sono Lord Sad, signore della landa di GhJon, padrone delle brughiere di Hohgral, Sire dei miei trecento figli che, al contrario di te,
sono orgogliosi di essere VAMPIRI ! >>

Due passi, un battito d'ali poi il silenzio.

                                                         
  
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