The Dope
Show
Aprì gli
occhi.
La luce
straniante dei lampioni in strada filtrava attraverso le finestre sbarrate,
fredda e debole, eppure fastidiosa.
I suoi
occhi si abituarono in fretta al buio, ma questo non le servì a riconoscere né
il letto su cui giaceva, né la stanza in cui si trovava. A dire il vero, non
poteva giurare di non aver mai visto quel luogo: era sdraiata su un fianco,
troppo spossata e debole per girarsi e guardare dall’altra parte, né l’aiutava
nei movimenti il fatto che avesse le mani legate dietro la schiena.
Sapeva per
certo che qualcuno l’aveva stordita e portata lì, ma era solo una deduzione ,
non serbava ricordo di alcun fatto che potesse collegarla a quello scenario.
Dopo un
po’ cominciò ad avere sete: sul comodino accanto al letto c’erano un bicchiere
ed una bottiglia d’acqua,ma non aveva la più pallida idea sul come
appropriarsene ed era troppo stanca per provare soltanto ad architettare
qualcosa.
Si
addormentò con un unico nitido pensiero: da quanto tempo si trovava lì?
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Diverse
ore dopo, la luce del sole la strappò dalle braccia di Morfeo.
Un
fastidioso dolore iniziò a salirle lungo la schiena e le spalle, la sete tornò prepotentemente.
Guardava
nervosamente le pareti spoglie e ingiallite dal passare degli anni; illuminata,
la stanza perdeva completamente i contorni misteriosi della sera prima e si
rivelava in tutto il suo squallore.
Dai rumori
che ben presto cominciarono a rimbombare in tutto l’edificio, capì che doveva
trovarsi nella zona in demolizione della città, anzi, era probabile che la
palazzina stessa in cui si trovava sarebbe stata abbattuta nel giro di poco
tempo.
Cercò di
concentrare la vista attraverso le fessure delle ante diroccate della finestra;
le sembrò di riconoscere alcuni elementi del triste paesaggio e un nome le
venne in mente: Rei Ayanami.
Dopo
alcuni minuti si convinse di poter affermare con certezza di trovarsi nella
stessa zona in cui abitava lei.
Cercò di
collegare quel nome tanto odiato alla serie di avvenimenti che potevano averla
condotta lì, ma nulla da fare.
Solo
l’istinto la portava a credere che la First era coinvolta nell’intera faccenda.
All’improvviso
una mano trattenne la sua testa sul cuscino per impedirle di voltarsi
dall’altra parte: stupidamente si era lasciata prendere dai ragionamenti e non
aveva badato a prestare attenzione a tutti i possibili movimenti nella stanza.
Maledicendo
se stessa, pensò che qualcuno poteva averla vegliata tutta la notte e si
arrabbiò per non aver udito i passi della sconosciuta ( che lei però credeva di
aver identificato) e per non aver avuto la prontezza di evitare di rimanere
così bloccata.
Mentre una
benda nera veniva stretta attorno al suo capo per evitare che usasse la vista,
le sue ipotesi venivano ,se non demolite , quantomeno confuse da un
particolare: un profumo.
Un profumo
lieve e familiare, non per questo facilmente riconoscibile.
Quello che
era certo era che non poteva essere la First la persona accanto a lei.
La First
era come un’astrazione, non aveva mai indosso un profumo che non fosse quello naturale della sua fresca pelle di
quattordicenne.
Aveva
avuto modo di conoscerlo bene il suo odore, negli spogliatoi in cui passavano
tanto tempo insieme controvoglia.
Rei aveva
un profumo indescrivibile, debole e tuttavia forte e deciso. Una volta aveva
letto la descrizione di un profumo su un giornale, che poteva ben rappresentare
l’idea che lei stessa aveva dell’odore di Rei Ayanami : seta cangiante mista a
latte dolcissimo.
Provò
indivia a pensare a quell’odore naturale meraviglioso , pur non potendo negare
alla sua vanità di ammettere che lei stessa aveva un odore sublime.
Si diede
della stupida. Pensava a paragonarsi alla fragranza del legno di rosa e del
narciso mentre quel qualcuno provvedeva ora a legarle strette le gambe ed i
piedi: era evidente che voleva evitarsi qualche calcio a sorpresa.
Un brivido
di freddo la sconvolse nel sentire il peso di “quel qualcuno” adagiarsi
mollemente sul materasso.
Una marea
di stupidaggini affollarono la sua mente per scacciare in maniera illusoria la
preoccupazione che in quel momento sarebbe potuto accaderle qualcosa di male;
pensò al materasso , che le era sembrato nuovo ,poiché non bitorzoluto
nonostante l’arredo spoglio e vecchio della stanza, al lenzuolo bianco, che
aveva visto immacolato sul far del giorno, al frastuono che proveniva dalla
strada e che avrebbe coperto le sue eventuali grida.
Si chiese
perché cavolo non le fosse venuto in mente di urlare , appena riacquistata un
briciolo di lucidità.
Gelò al
contatto con l’altra persona.
Per sua
fortuna, “quel qualcuno” si limitò ad accarezzarle le gambe e il ventre prima
di accoccolarsi contro di lei e appoggiare la testa contro la sua schiena.
Sentì il
suo respiro calmo e regolare; le parve quasi soddisfatto e questo le provocò un
moto d’ira, che comunque rimase soffocato: in fondo, era meglio non rischiare
di peggiorare la situazione.
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Dopo
un’attesa che le parve interminabile, finalmente la sua “compagnia” abbandonò
il materasso.
Sentì i
suoi passi allontanarsi in una direzione che ,intuibilmente, era quella della
porta.
“Acqua”
Non
parlava da diverse ore, da più di un giorno forse, e le sue code vocali
produssero quel suono in un immane sforzo.
Poiché il
suo interlocutore era rimasto immobile, provò a formulare la richiesta in modo
più chiaro e convincente .
“Solo un
po’ d’acqua, la prego. La sete mi sta divorando”
Si odiò
per aver dovuto pregare per una cosa tanto stupida, proprio lei che nella sua
vita non aveva sentito mai il bisogno neppure di ringraziare per un qualsiasi
enorme favore ricevuto.
L’individuo
si avvicinò quel tanto per versarle da bere e aiutarla a dissetarsi.
Poi la sua
mano le scostò delicatamente i capelli dal viso .
Sentiva
che erano sciolti, privi di quei fermagli tanto originali che le ricordavano
ogni giorno che aveva almeno un buon motivo per continuare a vivere. Scoprire
di non averli più significò ricordare che quel motivo era svanito, andato in
fumo.
Ricordò
chiaramente il suo nuovo status: era un essere inutile, ormai.
Non aveva
adempiuto ai suoi doveri, non era più in grado di essere un buon pilota e
quindi smetteva automaticamente di avere ogni minima attrattiva agli occhi del
mondo, tornava ad essere semplicemente un rifiuto, uno scarto.
Allora che
importava se era finita nelle mani di un folle che magari l’avrebbe uccisa un
giorno o l’altro, dopo essersi divertito un po’ con lei a giocare al gatto col
topo in trappola?
Eppure
quella mano era davvero delicata e dolce, e continuava ad accarezzarle il viso
con devozione.
Quel tocco
le trasmise, oltre ad una comprensibile paura, la sensazione di essere ancora
una persona speciale.
Peccato
che lei era abituata a credere semplicemente nell’illusione di essere
“speciale”, non sperava di poterlo essere davvero.
Aveva un altissimo quoziente intellettivo, questo si… era capace di una certa autonomia , come adolescente e come combattente… ma questo non era una cosa di cui essere orgogliosi: se tutti ti lasciano sola , devi imparare per forza a fare affidamento sulle tue sole forze, no? Non è una scelta, è una questione di sopravvivenza. Era bella e di questo era consapevole… Ma da qui a sapersi “speciale”, dai… ne passa!
La stessa Rei Ayanami non era da meno, anzi! Era decisamente più brava di lei a fare i conti con la propria solitudine e se aveva scelto di farsi comandare a bacchetta , non da tutti ma da un unico uomo, non era certo per mancanza d’autonomia o di capacità. Lei l’aveva studiata attentamente nei mesi trascorsi: Rei obbediva non agli ordini, ma ad un invisibile filo rosso che la legava a quell’uomo. E lei le aveva invidiato, oltre a tutto quello che si può invidiare in una persona che si dimostra nettamente superiore senza neppure sforzarsi di esserlo, il fatto che qualcuno la ritenesse così importante per la salvaguardia della sua stessa esistenza da arrivare ad immolare il sangue del suo sangue pur di proteggerla.
E per lei,
invece, non l’avevano fatto uscire, quello stupido compagno di battaglie!
La verità
è che nemmeno come pilota era riuscita a diventare essenziale .
Credeva di
poter essere la salvatrice dell’intera umanità , credeva di poter rendere la
sua esistenza essenziale per chiunque… invece, anche in quel caso, qualcuno le
si era dimostrato superiore per puro talento naturale, senza nessuno sforzo.
Lei era
stata anni a massacrarsi per diventare la numero uno solo per scoprire che per
certe cose ci vuole affinità naturale e non serve a niente sforzarsi perché non
si acquisisce un dono che madre natura non ci ha donato spontaneamente.
Shinji
aveva un talento particolare, lei no .
Rei non
aveva bisogno neppure di una propensione particolare per superarla, le era
superiore e basta.
A che
serviva allora esistere?
Per una
frazione di secondo incolpò se stessa della cattiva riuscita della sua vita,
almeno per quello che riguardava il suo importante lavoro di pilota esclusivo
dello 02.
Originariamente,
lei voleva essere notata ed essere indispensabile al prossimo, ma non era così
ossessiva con se stessa da voler essere a tutti i costi la migliore.
Si ricordò
di quello che avrebbe voluto dire a sua madre il giorno in cui, invece, la
trovò a penzolare da un freddo soffitto: “ Farò parte di un elite”.
Un elite è
comunque un gruppo, per quanto ristretto ed esclusivo.
Poi gli
eventi avevano seguito il corso del Karma e si era completamente dimenticata
del gruppo: lei voleva la leadership.
Passato
questo pensiero, passò anche il senso di colpa.
Era nata
semplicemente sbagliata, per questo tutti avrebbero fatto bene ad abbandonarla.
Non
avrebbe potuto in nessun caso cambiare la sua sorte, quindi non era colpevole
di nessun errore: qualunque passo avesse tentato di compiere, il risultato non
sarebbe cambiato. Si sentiva finalmente innocente.
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Lo
sconosciuto , o la sconosciuta, aveva lasciato la stanza, probabilmente
l’intero appartamento.
L’aveva
lasciata ben legata poiché aveva intuito che la sua vittima si era
completamente ripresa dallo stordimento.
Dovevano
essere le 10 , o forse le 11 di mattina e nuovi ragionamenti erano iniziati nel
suo cervellino di ex-bambina prodigio.
Imprecò
contro il servizio di sicurezza della Nerv : possibile che fosse passato del
tutto inosservato il suo rapimento a degli agenti preposti a seguire tutti i
piloti 24 ore su 24?
Poi pensò
che , visti il suo stato fisico e mentale e l’impossibilità di utilizzarla in
battaglia, era probabile che i capi avessero deciso di allentare la
sorveglianza su di lei.
Anzi,
magari speravano proprio in una sua fuga per potersene liberare!
O meglio
ancora: il Comandante Ikari aveva decretato la sua sostituzione con un nuovo
pilota e aveva ordinato la sua eliminazione ad un agente, che aveva riferito al
consiglio dei vecchi di averla uccisa, salvo poi averla in realtà rapita.
Forse era
stata la Seele, quella organizzazione il cui tremendo nome aveva conosciuto in
Germania senza poter approfondire i suoi legami con Gehirn prima e Nerv dopo, a
volerla eliminare.
O forse
era semplicemente paranoica: nessuno l’aveva più calcolata e un pazzo venuto
dall’esterno ne aveva approfittato per farle del male.
Questa era
l’ipotesi più realistica.
Nessuno si
curava più di lei, nessuno l’avrebbe più fatto in futuro.
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Si ritrovò
a pensare a tutte le persone conosciute dal suo arrivo in Giappone; provò una
sensazione strana: poteva definirsi malinconia?
Hikari.
Quei
pervertiti di Toji e Kensuke.
La
dottoressa Akagi.
Maya,
Makoto, Aoba.
Su tutti
loro trovò un pensiero gentile da formulare, nonostante nella vita quotidiana
avesse avuto un reale rapporto solo con Hikari.
Si
interrogò nuovamente su Rei, come faceva ogni giorno da quando l’aveva vista la
prima volta.
Pensò al
Comandante Ikari, che forse a stento si ricordava che il Second Children avesse
un nome.
Pensò a
Misato.
E a Kaji.
E si
arrabbiò al pensiero di saperli insieme, spensierati e del tutto indifferenti
alla sua scomparsa.
Poi iniziò
ad agitarsi in preda al ricordo… Il signor Kaji non c’è più!
-Sei
sempre il solito stupido!-
-Come devo
dirtelo, Asuka? Il signor Kaji non c’è più!-
Kaji era
morto, morto!
Questa era
la realtà che il suo subconscio cercava di nasconderle!
Peccato
che dietro quella realtà si celasse anche il ricordo della dinamica del suo
rapimento.
Aveva
avuto una discussione con Shinji, lui le aveva sbattuto in faccia la verità su
Kaji.
Era
scappata in camera sua, aveva provato a piangere, ma le lacrime che avrebbe
voluto versare le erano rimaste tutte dentro.
La casa
sembrava deserta, eppure sapeva che Shinji non era uscito, era in camera sua
con gli auricolari nelle orecchie come al solito, forse.
Si sentiva
veramente infelice, come mai si era sentita in vita sua; si era trascinata
nuovamente in cucina , dove aveva atteso invano l’arrivo di Misato per
chiederle la conferma dei fatti appena appresi.
Misato non
era arrivata , in compenso Shinji doveva essere nuovamente in preda ad una
crisi di coscienza: era tornato anche lui in cucina, pentito per il suo
comportamento di poche ore prima.
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Non si
mosse sentendo i timidi passi del ragazzo, continuò a guardare il tavolo come
se avesse un’attrattiva irresistibile.
“Scusa…
Io… Io non volevo…”
Per
l’ennesima volta Shinji Ikari aveva utilizzato la sua straordinaria capacità di
mandarla in bestia; nonostante tutto non lo diede a vedere e continuò a fissare
un punto imprecisato del mobile a cui era appoggiata.
Shinji ne
approfittò per avvicinarsi.
“Io non
volevo ferirti, dicendoti cose tanto gravi in un modo così aggressivo. Non ero
completamente in me.”
Continuò
ad ignorarlo, accrescendo il senso di inadeguatezza del ragazzo.
“E’ la
situazione… Non fa che peggiorare e io non so più come uscirne… Non devi fare
caso al mio atteggiamento di poco fa, non volevo giuro….”
Lui non
riuscì a notare che gli occhi della ragazza si stavano socchiudendo in sottili
fessure e la sua espressione iniziava a farsi sempre più corrucciata.
Era troppo
distante.
A volte
anche pochi centimetri possono equivalere a miglia e miglia, se la distanza
fisica trova sfogo nella distanza spirituale.
“ So come
ti senti… So quanto tenevi al Signor Kaji… Voglio aiutarti, dammene la
possibilità! Voglio aiutarti e stare con te per sempre…”
Il viso di
lui era ora tremendamente vicino al suo. Non riuscì a sopportarlo.
“Allora
stai lontano da me e non cercarmi mai più!”
In un moto
d’ira si alzò dalla sedia e lo costrinse ad allontanarsi.
“La verità
è che tu non capisci niente! Tu sei solo estremamente spaventato… da me ,ma
anche da Misato e da Rei. Per non parlare di tuo padre e del ricordo di tua
madre!”
“Non è
vero! Io ti capisco… Ho provato almeno, ma come faccio se tu non ti esprimi!
Non mi parli, non mi dici mai niente di quello che pensi!”
“Sono solo
scuse… sono scusa che hai usati per fuggire da tutti, per fuggire da me!”
Lo seguiva
per la stanza con lo sguardo carico d’odio, l’astio per quel ragazzo che si era
dimostrato più forte di lei nonostante l’apparente fragilità era al culmine ora
che si era lasciata scappare il reale motivo di tanto risentimento.
Per
fortuna lui non sembrò far caso alle
ultime parole che aveva pronunciato, quindi sentenziò implacabile:
“Io ti
odio con tutta me stessa! NON VOGLIO VEDERE MAI PIU’ LA TUA FACCIA RIVOLTANTE!”
Lo spinse
con violenza. Lui cadde urtando un la brocca del caffè, che andò a versarsi sul
pavimento; si coprì il volto con le braccia e continuò a parlarle implorante ai
suoi piedi.
Tutto
questo le diede una meravigliosa sensazione di predominanza.
“Non posso
più farcela…Non posso andare avanti così… Se non vuoi il mio aiuto , ti
capisco: a chi servirebbe l’aiuto di uno stupido come me… Però non mi negare il
tuo…”
Iniziò a
rialzarsi molto lentamente, ciondolando e sbandando.
“Non posso
più… Ti prego, Asuka, aiutami… mi sei rimasta soltanto tu…”
L’egoismo
di quella persona le fece ribollire il sangue nelle vene. Le fu subito chiaro
che mai e poi mai l’avrebbe aiutato ad uscire dalla vicenda terribile che li
vedeva tutti coinvolti. Anzi, avrebbe goduto di quella confessione, era
contenta di saperlo sofferente! Dopotutto, lei non era l’unica a meritarsi
l’annientamento mentale a cui stava consapevolmente andando incontro.
Quello che
vide dopo arrivò inaspettato come la neve ad agosto.
“Non
ignorarmi! Non ignorarmi! NON UCCIDERMI!”
Tavolo
capovolto, sedie spaccate: la frustrazione di Shinji Ikari stava esplodendo in
tutta la sua pericolosità.
Lei lo
sapeva, ma mantenne tutto il suo contegno. Se andava fuori di matto, voleva
dire che era sull’orlo del baratro proprio come lei.
E lei
l’avrebbe spinto giù…
“No.”
Ecco, una
piccola spinta… E non sarebbe più stata la sola a precipitare.
Quello che
non poteva prevedere era il moto interiore di quell’individuo tanto strano che
era il suo co-inquilino.
Le si avventò
contro con una furia tale da renderle impossibile una benché minima difesa.
Ebbe l’occasione di sentire vicinissimo l’odore della pelle di lui…
Perché
difendersi poi?
Se era
nuovamente tornata una nullità, tanto valeva morire e farla finita…
Ringraziò
Dio per avere finalmente la possibilità di smettere di soffrire.
Chiuse gli
occhi…
*************************
Questo
l’ultimo ricordo nitido, poi il nulla.
Si era
risvegliata in quel posto dimenticato dagli uomini, legata e stordita.
Non sapeva
come , ma era stato Shinji a portarla lì.
Finalmente
sapeva dove aveva già sentito l’odore dello sconosciuto di poco prima.