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Autore: Hikari Horaki    14/09/2003    2 recensioni
A metà strada tra i fatti dell'episodio 24 della serie regolare e le "visioni" del film "The end of Eva"...
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Asuka Soryou Langley, Shinji Ikari
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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The Dope Show

 

Aprì gli occhi.

La luce straniante dei lampioni in strada filtrava attraverso le finestre sbarrate, fredda e debole, eppure fastidiosa.

I suoi occhi si abituarono in fretta al buio, ma questo non le servì a riconoscere né il letto su cui giaceva, né la stanza in cui si trovava. A dire il vero, non poteva giurare di non aver mai visto quel luogo: era sdraiata su un fianco, troppo spossata e debole per girarsi e guardare dall’altra parte, né l’aiutava nei movimenti il fatto che avesse le mani legate dietro la schiena.

Sapeva per certo che qualcuno l’aveva stordita e portata lì, ma era solo una deduzione , non serbava ricordo di alcun fatto che potesse collegarla a quello scenario.

Dopo un po’ cominciò ad avere sete: sul comodino accanto al letto c’erano un bicchiere ed una bottiglia d’acqua,ma non aveva la più pallida idea sul come appropriarsene ed era troppo stanca per provare soltanto ad architettare qualcosa.

Si addormentò con un unico nitido pensiero: da quanto tempo si trovava lì?

 

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Diverse ore dopo, la luce del sole la strappò dalle braccia di Morfeo.

Un fastidioso dolore iniziò a salirle lungo la schiena e le spalle, la sete tornò prepotentemente.

Guardava nervosamente le pareti spoglie e ingiallite dal passare degli anni; illuminata, la stanza perdeva completamente i contorni misteriosi della sera prima e si rivelava in tutto il suo squallore.

Dai rumori che ben presto cominciarono a rimbombare in tutto l’edificio, capì che doveva trovarsi nella zona in demolizione della città, anzi, era probabile che la palazzina stessa in cui si trovava sarebbe stata abbattuta nel giro di poco tempo.

Cercò di concentrare la vista attraverso le fessure delle ante diroccate della finestra; le sembrò di riconoscere alcuni elementi del triste paesaggio e un nome le venne in mente: Rei Ayanami.

Dopo alcuni minuti si convinse di poter affermare con certezza di trovarsi nella stessa zona in cui abitava lei.

Cercò di collegare quel nome tanto odiato alla serie di avvenimenti che potevano averla condotta lì, ma nulla da fare.

Solo l’istinto la portava a credere che la First era coinvolta nell’intera faccenda.

All’improvviso una mano trattenne la sua testa sul cuscino per impedirle di voltarsi dall’altra parte: stupidamente si era lasciata prendere dai ragionamenti e non aveva badato a prestare attenzione a tutti i possibili movimenti nella stanza.

Maledicendo se stessa, pensò che qualcuno poteva averla vegliata tutta la notte e si arrabbiò per non aver udito i passi della sconosciuta ( che lei però credeva di aver identificato) e per non aver avuto la prontezza di evitare di rimanere così bloccata.

Mentre una benda nera veniva stretta attorno al suo capo per evitare che usasse la vista, le sue ipotesi venivano ,se non demolite , quantomeno confuse da un particolare: un profumo.

Un profumo lieve e familiare, non per questo facilmente riconoscibile.

Quello che era certo era che non poteva essere la First la persona accanto a lei.

La First era come un’astrazione, non aveva mai indosso un  profumo che non fosse quello naturale della sua fresca pelle di quattordicenne.

Aveva avuto modo di conoscerlo bene il suo odore, negli spogliatoi in cui passavano tanto tempo insieme controvoglia.

Rei aveva un profumo indescrivibile, debole e tuttavia forte e deciso. Una volta aveva letto la descrizione di un profumo su un giornale, che poteva ben rappresentare l’idea che lei stessa aveva dell’odore di Rei Ayanami : seta cangiante mista a latte dolcissimo.

Provò indivia a pensare a quell’odore naturale meraviglioso , pur non potendo negare alla sua vanità di ammettere che lei stessa aveva un odore sublime.

Si diede della stupida. Pensava a paragonarsi alla fragranza del legno di rosa e del narciso mentre quel qualcuno provvedeva ora a legarle strette le gambe ed i piedi: era evidente che voleva evitarsi qualche calcio a sorpresa.

Un brivido di freddo la sconvolse nel sentire il peso di “quel qualcuno” adagiarsi mollemente sul materasso.

Una marea di stupidaggini affollarono la sua mente per scacciare in maniera illusoria la preoccupazione che in quel momento sarebbe potuto accaderle qualcosa di male; pensò al materasso , che le era sembrato nuovo ,poiché non bitorzoluto nonostante l’arredo spoglio e vecchio della stanza, al lenzuolo bianco, che aveva visto immacolato sul far del giorno, al frastuono che proveniva dalla strada e che avrebbe coperto le sue eventuali grida.

Si chiese perché cavolo non le fosse venuto in mente di urlare , appena riacquistata un briciolo di lucidità.

Gelò al contatto con l’altra persona.

Per sua fortuna, “quel qualcuno” si limitò ad accarezzarle le gambe e il ventre prima di accoccolarsi contro di lei e appoggiare la testa contro la sua schiena.

Sentì il suo respiro calmo e regolare; le parve quasi soddisfatto e questo le provocò un moto d’ira, che comunque rimase soffocato: in fondo, era meglio non rischiare di peggiorare la situazione.

 

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Dopo un’attesa che le parve interminabile, finalmente la sua “compagnia” abbandonò il materasso.

Sentì i suoi passi allontanarsi in una direzione che ,intuibilmente, era quella della porta.

 

“Acqua”

 

Non parlava da diverse ore, da più di un giorno forse, e le sue code vocali produssero quel suono in un immane sforzo.

Poiché il suo interlocutore era rimasto immobile, provò a formulare la richiesta in modo più chiaro e convincente .

 

“Solo un po’ d’acqua, la prego. La sete mi sta divorando”

 

Si odiò per aver dovuto pregare per una cosa tanto stupida, proprio lei che nella sua vita non aveva sentito mai il bisogno neppure di ringraziare per un qualsiasi enorme favore ricevuto.

L’individuo si avvicinò quel tanto per versarle da bere e aiutarla a dissetarsi.

Poi la sua mano le scostò delicatamente i capelli dal viso .

Sentiva che erano sciolti, privi di quei fermagli tanto originali che le ricordavano ogni giorno che aveva almeno un buon motivo per continuare a vivere. Scoprire di non averli più significò ricordare che quel motivo era svanito, andato in fumo.

Ricordò chiaramente il suo nuovo status: era un essere inutile, ormai.

Non aveva adempiuto ai suoi doveri, non era più in grado di essere un buon pilota e quindi smetteva automaticamente di avere ogni minima attrattiva agli occhi del mondo, tornava ad essere semplicemente un rifiuto, uno scarto.

Allora che importava se era finita nelle mani di un folle che magari l’avrebbe uccisa un giorno o l’altro, dopo essersi divertito un po’ con lei a giocare al gatto col topo in trappola?

Eppure quella mano era davvero delicata e dolce, e continuava ad accarezzarle il viso con devozione.

Quel tocco le trasmise, oltre ad una comprensibile paura, la sensazione di essere ancora una persona speciale.

Peccato che lei era abituata a credere semplicemente nell’illusione di essere “speciale”, non sperava di poterlo essere davvero.

Aveva un altissimo quoziente intellettivo, questo si… era capace di una certa autonomia , come adolescente e come combattente… ma questo non era una cosa di cui essere orgogliosi: se tutti ti lasciano sola , devi imparare per forza a fare affidamento sulle tue sole forze, no? Non è una scelta, è una questione di sopravvivenza. Era bella e di questo era consapevole… Ma da qui a sapersi “speciale”, dai… ne passa!

La stessa Rei Ayanami non era da meno, anzi! Era decisamente più brava di lei a fare i conti con la propria solitudine e se aveva scelto di farsi comandare a bacchetta , non da tutti ma da un unico uomo, non era certo per mancanza d’autonomia o di capacità. Lei l’aveva studiata attentamente nei mesi trascorsi: Rei obbediva non agli ordini, ma ad un invisibile filo rosso che la legava a quell’uomo. E lei le aveva invidiato, oltre a tutto quello che si può invidiare in una persona che si dimostra nettamente superiore senza neppure sforzarsi di esserlo, il fatto che qualcuno la ritenesse così importante per la salvaguardia della sua stessa esistenza da arrivare ad immolare il sangue del suo sangue pur di proteggerla.

E per lei, invece, non l’avevano fatto uscire, quello stupido compagno di battaglie!

La verità è che nemmeno come pilota era riuscita a diventare essenziale .

Credeva di poter essere la salvatrice dell’intera umanità , credeva di poter rendere la sua esistenza essenziale per chiunque… invece, anche in quel caso, qualcuno le si era dimostrato superiore per puro talento naturale, senza nessuno sforzo.

Lei era stata anni a massacrarsi per diventare la numero uno solo per scoprire che per certe cose ci vuole affinità naturale e non serve a niente sforzarsi perché non si acquisisce un dono che madre natura non ci ha donato spontaneamente.

Shinji aveva un talento particolare, lei no .

Rei non aveva bisogno neppure di una propensione particolare per superarla, le era superiore e basta.

A che serviva allora esistere?

Per una frazione di secondo incolpò se stessa della cattiva riuscita della sua vita, almeno per quello che riguardava il suo importante lavoro di pilota esclusivo dello 02.

Originariamente, lei voleva essere notata ed essere indispensabile al prossimo, ma non era così ossessiva con se stessa da voler essere a tutti i costi la migliore.

Si ricordò di quello che avrebbe voluto dire a sua madre il giorno in cui, invece, la trovò a penzolare da un freddo soffitto: “ Farò parte di un elite”.

Un elite è comunque un gruppo, per quanto ristretto ed esclusivo.

Poi gli eventi avevano seguito il corso del Karma e si era completamente dimenticata del gruppo: lei voleva la leadership.

Passato questo pensiero, passò anche il senso di colpa.

Era nata semplicemente sbagliata, per questo tutti avrebbero fatto bene ad abbandonarla.

Non avrebbe potuto in nessun caso cambiare la sua sorte, quindi non era colpevole di nessun errore: qualunque passo avesse tentato di compiere, il risultato non sarebbe cambiato. Si sentiva finalmente innocente.

 

                                                                               ******************************

 

Lo sconosciuto , o la sconosciuta, aveva lasciato la stanza, probabilmente l’intero appartamento.

L’aveva lasciata ben legata poiché aveva intuito che la sua vittima si era completamente ripresa dallo stordimento.

Dovevano essere le 10 , o forse le 11 di mattina e nuovi ragionamenti erano iniziati nel suo cervellino di ex-bambina prodigio.

Imprecò contro il servizio di sicurezza della Nerv : possibile che fosse passato del tutto inosservato il suo rapimento a degli agenti preposti a seguire tutti i piloti 24 ore su 24?

Poi pensò che , visti il suo stato fisico e mentale e l’impossibilità di utilizzarla in battaglia, era probabile che i capi avessero deciso di allentare la sorveglianza su di lei.

Anzi, magari speravano proprio in una sua fuga per potersene liberare!

O meglio ancora: il Comandante Ikari aveva decretato la sua sostituzione con un nuovo pilota e aveva ordinato la sua eliminazione ad un agente, che aveva riferito al consiglio dei vecchi di averla uccisa, salvo poi averla in realtà rapita.

Forse era stata la Seele, quella organizzazione il cui tremendo nome aveva conosciuto in Germania senza poter approfondire i suoi legami con Gehirn prima e Nerv dopo, a volerla eliminare.

O forse era semplicemente paranoica: nessuno l’aveva più calcolata e un pazzo venuto dall’esterno ne aveva approfittato per farle del male.

Questa era l’ipotesi più realistica.

Nessuno si curava più di lei, nessuno l’avrebbe più fatto in futuro.

 

                                                                                     ***************************

 

Si ritrovò a pensare a tutte le persone conosciute dal suo arrivo in Giappone; provò una sensazione strana: poteva definirsi malinconia?

 

Hikari.

 

Quei pervertiti di Toji e Kensuke.

 

La dottoressa Akagi.

 

Maya, Makoto, Aoba.

 

Su tutti loro trovò un pensiero gentile da formulare, nonostante nella vita quotidiana avesse avuto un reale rapporto solo con Hikari.

 

Si interrogò nuovamente su Rei, come faceva ogni giorno da quando l’aveva vista la prima volta.

Pensò al Comandante Ikari, che forse a stento si ricordava che il Second Children avesse un nome.

 

Pensò a Misato.

E a Kaji.

E si arrabbiò al pensiero di saperli insieme, spensierati e del tutto indifferenti alla sua scomparsa.

Poi iniziò ad agitarsi in preda al ricordo… Il signor Kaji non c’è più!

 

-Sei sempre il solito stupido!-

-Come devo dirtelo, Asuka? Il signor Kaji non c’è più!-

 

Kaji era morto, morto!

Questa era la realtà che il suo subconscio cercava di nasconderle!

Peccato che dietro quella realtà si celasse anche il ricordo della dinamica del suo rapimento.

 

Aveva avuto una discussione con Shinji, lui le aveva sbattuto in faccia la verità su Kaji.

Era scappata in camera sua, aveva provato a piangere, ma le lacrime che avrebbe voluto versare le erano rimaste tutte dentro.

La casa sembrava deserta, eppure sapeva che Shinji non era uscito, era in camera sua con gli auricolari nelle orecchie come al solito, forse.

Si sentiva veramente infelice, come mai si era sentita in vita sua; si era trascinata nuovamente in cucina , dove aveva atteso invano l’arrivo di Misato per chiederle la conferma dei fatti appena appresi.

Misato non era arrivata , in compenso Shinji doveva essere nuovamente in preda ad una crisi di coscienza: era tornato anche lui in cucina, pentito per il suo comportamento di poche ore prima.

 

                                                                             ****************************************

 

Non si mosse sentendo i timidi passi del ragazzo, continuò a guardare il tavolo come se avesse un’attrattiva irresistibile.

 

“Scusa… Io… Io non volevo…”

 

Per l’ennesima volta Shinji Ikari aveva utilizzato la sua straordinaria capacità di mandarla in bestia; nonostante tutto non lo diede a vedere e continuò a fissare un punto imprecisato del mobile a cui era appoggiata.

Shinji ne approfittò per avvicinarsi.

 

“Io non volevo ferirti, dicendoti cose tanto gravi in un modo così aggressivo. Non ero completamente in me.”

 

Continuò ad ignorarlo, accrescendo il senso di inadeguatezza del ragazzo.

 

“E’ la situazione… Non fa che peggiorare e io non so più come uscirne… Non devi fare caso al mio atteggiamento di poco fa, non volevo giuro….”

 

Lui non riuscì a notare che gli occhi della ragazza si stavano socchiudendo in sottili fessure e la sua espressione iniziava a farsi sempre più corrucciata.

Era troppo distante.

A volte anche pochi centimetri possono equivalere a miglia e miglia, se la distanza fisica trova sfogo nella distanza spirituale.

 

“ So come ti senti… So quanto tenevi al Signor Kaji… Voglio aiutarti, dammene la possibilità! Voglio aiutarti e stare con te per sempre…”

 

 

Il viso di lui era ora tremendamente vicino al suo. Non riuscì a sopportarlo.

 

“Allora stai lontano da me e non cercarmi mai più!”

 

In un moto d’ira si alzò dalla sedia e lo costrinse ad allontanarsi.

 

“La verità è che tu non capisci niente! Tu sei solo estremamente spaventato… da me ,ma anche da Misato e da Rei. Per non parlare di tuo padre e del ricordo di tua madre!”

“Non è vero! Io ti capisco… Ho provato almeno, ma come faccio se tu non ti esprimi! Non mi parli, non mi dici mai niente di quello che pensi!”

“Sono solo scuse… sono scusa che hai usati per fuggire da tutti, per fuggire da me!”

 

Lo seguiva per la stanza con lo sguardo carico d’odio, l’astio per quel ragazzo che si era dimostrato più forte di lei nonostante l’apparente fragilità era al culmine ora che si era lasciata scappare il reale motivo di tanto risentimento.

Per fortuna lui non  sembrò far caso alle ultime parole che aveva pronunciato, quindi sentenziò implacabile:

 

“Io ti odio con tutta me stessa! NON VOGLIO VEDERE MAI PIU’ LA TUA FACCIA RIVOLTANTE!”

 

Lo spinse con violenza. Lui cadde urtando un la brocca del caffè, che andò a versarsi sul pavimento; si coprì il volto con le braccia e continuò a parlarle implorante ai suoi piedi.

Tutto questo le diede una meravigliosa sensazione di predominanza.

 

“Non posso più farcela…Non posso andare avanti così… Se non vuoi il mio aiuto , ti capisco: a chi servirebbe l’aiuto di uno stupido come me… Però non mi negare il tuo…”

 

Iniziò a rialzarsi molto lentamente, ciondolando e sbandando.

 

“Non posso più… Ti prego, Asuka, aiutami… mi sei rimasta soltanto tu…”

 

L’egoismo di quella persona le fece ribollire il sangue nelle vene. Le fu subito chiaro che mai e poi mai l’avrebbe aiutato ad uscire dalla vicenda terribile che li vedeva tutti coinvolti. Anzi, avrebbe goduto di quella confessione, era contenta di saperlo sofferente! Dopotutto, lei non era l’unica a meritarsi l’annientamento mentale a cui stava consapevolmente andando incontro.

 

Quello che vide dopo arrivò inaspettato come la neve ad agosto.

 

“Non ignorarmi! Non ignorarmi! NON UCCIDERMI!”

 

Tavolo capovolto, sedie spaccate: la frustrazione di Shinji Ikari stava esplodendo in tutta la sua pericolosità.

Lei lo sapeva, ma mantenne tutto il suo contegno. Se andava fuori di matto, voleva dire che era sull’orlo del baratro proprio come lei.

 

E lei l’avrebbe spinto giù…

 

“No.”

 

Ecco, una piccola spinta… E non sarebbe più stata la sola a precipitare.

 

Quello che non poteva prevedere era il moto interiore di quell’individuo tanto strano che era il suo co-inquilino.

 

Le si avventò contro con una furia tale da renderle impossibile una benché minima difesa. Ebbe l’occasione di sentire vicinissimo l’odore della pelle di lui…

 

Perché difendersi poi?

Se era nuovamente tornata una nullità, tanto valeva morire e farla finita…

 

Ringraziò Dio per avere finalmente la possibilità di smettere di soffrire.

Chiuse gli occhi…

 

                                                                                   *************************

 

Questo l’ultimo ricordo nitido, poi il nulla.

Si era risvegliata in quel posto dimenticato dagli uomini, legata e stordita.

 

Non sapeva come , ma era stato Shinji a portarla lì.

 

Finalmente sapeva dove aveva già sentito l’odore dello sconosciuto di poco prima.

  
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