ADDIO, NAOMI MISORA
«Qualcosa non va, agente?».
Light Yagami osservò compiaciuto il nome che aveva appena scritto su un
frammento del suo Quaderno e occhieggiò il suo orologio da polso, in un
macabro
conto alla rovescia: “Trentotto, trentanove… quaranta!”
Erano bastati quaranta secondi e l’agente dell’FBI Naomi Misora era
stata
condannata a morte, finalmente. Certo, quella donna lo aveva fatto
proprio
sudare freddo… così vicina alla verità, così dannatamente vicina…
Ma adesso
era tutto finito e Light esibiva un sorrisetto crudele sulle labbra
sottili.
«Io…. Io devo andare.», balbettò la donna e sembrava ignorare tutto ad
un
tratto il suo interlocutore, tanto che si voltò e iniziò ad
allontanarsi in una
direzione apparentemente casuale.
«Dove sta
andando?»
Light non
ebbe risposta e, sia chiaro, la cosa nemmeno gli importava più di
tanto. Era
soltanto curioso di sapere che effetto aveva avuto la manipolazione del
Quaderno su quella donna energica, intelligente, arguta e appassionata
e si
ritrovò a fissare il fantasma di quella stessa donna, un automa che
camminava
come immersa in un cupo incubo.
«Mpf! Addio,
Naomi Misora.»
L’agente Misora aveva sempre posseduto un gran bel cervello e
un’energia unica
che sfruttava appieno nel lavoro che tanto aveva amato e che, solo per
amore di
Ray, aveva dovuto – con riluttanza – lasciare.
Ray Pember: usato e ucciso da Kira. Il suo Ray… e ora lei lo avrebbe
raggiunto.
Quello ero l’unico pensiero che la animasse e pulsasse vivido nella sua
mente
annebbiata.
Naomi non sapeva più chi fosse, né perché stava camminando nel bel
mezzo di un
incrocio rischiando di farsi investire (e lei, assurdo a dirsi, voleva
farsi
investire!), eppure sapeva con precisione cosa avrebbe fatto da quel
momento in
poi: avrebbe progettato il suo suicidio. Doveva farlo! Era l’unica
soluzione. L’unica.
Quel
pensiero la ossessionava, non lasciava respiro per nient’altro e
prendeva forma
in continuazione nelle sua testa nelle situazioni più bizzarre, più
fosche, più
sanguinolente e dolorose. Oppure la morte la accarezzava languidamente
e le
sussurrava di escogitare un piano per lasciarsi andare senza dolore e
lontano
da occhi indiscreti.
«Non mi
troveranno mai, quando sarò morta.», si ripeteva e aveva l’impressione
di
ascoltarsi in differita proprio come se fosse qualcun altro a
pronunciare
quella frase attraverso la sua stessa voce.
Si fermò
davanti ad una farmacia, proprio quello che faceva al caso suo. Un vero
colpo
di fortuna che fosse deserta e in un quartiere periferico dove nessuno
la
conosceva e le avrebbe fatto domande.
Già, proprio un vero colpo di fortuna. O forse no?
Lei non
poteva certo sapere che il fato – anzi, Kira - le aveva posto una
ghigliottina sulla
testa, pronto a fargliela saltare con un semplice gesto. Naomi era
condannata ,
che le piacesse o meno, e ubbidiva semplicemente alla volontà aliena
che le si
era installata dentro, senza far storie.
La farmacia dove entrò un poco barcollante era un locale angusto, poco
illuminato, coi pavimenti di gomma appiccicosi, il bancone rivestito in
formica
e le vetrinette espositrici zigrinate. C’era odore di disinfettante.
Penetrante. Fastidioso.
Naomi storse il naso, ma proseguì la sua peregrinazioni davanti agli
espositori, alla ricerca di qualcosa che incontrasse il suo gusto –
manco fosse
in un’esclusiva profumeria.
«Le occorre
aiuto?», esordì il farmacista, proveniente dal retrobottega. Fissò la
ragazza
coi suoi piccoli occhi porcini e aggiunse, sospettoso: «Si sente
bene?». Forse
aveva notato gli occhi vacui dell’agente, la sua aria distratta, quel
suo
aggirarsi spaesato, ma non fece commenti.
«Io… beh,
avrei bisogno di barbiturici.», la voce di Naomi era fievole, aveva
qualcosa di
freddo, metallico. E che i barbiturici fossero sul serio ciò che
volesse, non
aveva la minima importanza, perché la sua volontà era schiacciata,
annullata.
«Ha la
prescrizione medica? I barbiturici sono farmaci pericolosi, sa.»,
riprese il
farmacista con la sua voce untuosa, sgradevole.
«N-no, ma ne
ho bisogno. Posso pagare bene.», replicò Naomi aggrottando lievemente
le
sopracciglia.
In condizioni normali, quella
era una frase
che non avrebbe mai e poi mai pronunciato: era sempre stata un persona
integra,
con un forte senso di giustizia e la corruzione e le mazzette facevano
parte di
quei crimini che lei aveva costantemente combattuto. Tuttavia, adesso
Naomi
acciuffò alla cieca delle banconote – una somma notevole – e le ficcò
nelle
mani dell’ometto, che se le contò con avidità.
Pochi minuti
più tardi, l’agente uscì come in trance dalla farmacia con un pacchetto
tra le
mani.
Nonostante l’addensarsi di nubi tempestose nella sua mente, c’era
qualcosa di
diabolicamente lucido in Naomi che la trascinò a costeggiare
l’autostrada
nottetempo, a piedi, col rischio che le auto la falciassero senza
nemmeno
notarla. Però, la
meta di Misora era la
costa, la spiaggia fuori città, che raggiunse mentre il cielo si
schiariva per
accogliere l’alba infuocata.
Niente aveva senso, per lei, se non il pensiero di farla finita, di
ammazzarsi;
non voleva più saperne di contribuire alle indagini contro Kira, né di
incontrare ancora una volta L o quel ragazzo, Light Yagami, che era
stato tanto
gentile con lei e che, in realtà, era proprio l’assassino dei criminali
tanto
ricercato.
A dispetto della stanchezza per un cammino verso il patibolo che pareva
infinito e la notte
passata in bianco, si spogliò e ammonticchiò gli abiti, la borsa coi
documenti,
tutto ciò che avrebbe potuto portare la polizia fino a lei e lo
cosparse di
benzina, appiccandogli il fuoco subito dopo.
Puff! Tutto ciò che era stata Naomi Misora fino a quel
momento si
disperse in un’acre e scura nuvola di fumo. La
donna non se ne curò affatto, bensì si limitò a stappare la boccetta di
barbiturici ed ingollarsene il contenuto tutto d’un fiato. Gettò la
bottiglietta tra le fiamme e si avviò verso la riva.
Guadò l’acqua fino a quando questa non le arrivò alla gola e si bloccò
un
momento; forse ebbe
un fremito, un
barlume di disperata esitazione, ma non poté tornare indietro. Avanzò
fino ad
essere sommersa interamente e si lasciò andare in balia delle onde,
mentre l’acqua
le penetrava nel naso e nella gola per annegarla e la marea la
trascinava a
largo, dove non c’era alcun appiglio per potersi salvare.
Probabilmente, scambiò il senso di asfissia per un momento di pura pace
e non
lottò per la propria vita quando i fumi dei barbiturici le spensero di
colpo
ragione e cervello.
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Note dell’autrice:
Spero che questo missing moment risulti gradevole e ben inserito nella
cornice
di Death Note. Ho voluto immaginare la morte di Naomi così, anche se –
in realtà
- forse è un poco teatrale. Pazienza! XD