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Autore: Chamelion_    06/10/2009    2 recensioni
Quel giorno non cercavo che poesia. Invece, trovai sua sorella.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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play "Full of grace"




Il nostro primo incontro fu l’incanto.

Avvenne in una giornata color pastello, nella quale ogni cosa era troppo timida e sbiadita per avere un contorno definito, o quantomeno per poter essere congelata in un fotogramma tramandabile a qualcuno. Non v’erano che colori, i noti mescolati agli ignoti come su una tela impressionista, e io, d’altronde, quel giorno nel bosco non cercavo che poesia.

La cercavo senza chiedermene il perché; forse, davo per scontato di averne il diritto e di meritarla, come e più di altri. O forse, seguivo semplicemente l’eco dei miei stessi passi, e mi limitavo a mettere un piede davanti all’altro; cosa piuttosto ardua da fare in un bosco, senza perdere l’equilibrio o imboccare una strada cieca.

Già da tempo avevo iniziato a sentirmi stanca, e infastidita dal fatto di dover camminare tanto per trovarla: a un certo punto, mi trovai a desiderare soltanto di riuscire a districare il gomitolo di sentieri entro il quale non facevo che ingarbugliarmi, e allora, se avessi trovato una qualche scorciatoia, l’avrei imboccata senza esitazione. E così feci, quando me ne si presentò una proprio davanti agli occhi.

Questa conduceva fuori dal bosco, verso un vasto ed arioso prato pallido, imbevuto di una luce così bianca e così opaca che fu difficile distinguere la sua figura. Sedeva lontana da me, proprio nel mezzo del prato, e mi dava le spalle; catturatane, mi avvicinai d’istinto, e come lei si volse, restai incantata: distese il volto chiaro, mi sorrise. E fu lo schiudersi di una corolla alle prime luci dell’alba; fu l’arpeggio di violini che volteggiano in coppia; fu il sussurro ventilato di spighe di grano. S’alzò, mi prese per mano e mi portò a danzar.

Aveva le mani calde di una sorella maggiore e scarpette di ballerina ai piedi, e parlava parole di poesia, con le quali mi avvolse di dolcezza e di promesse. Saremo state insieme per sempre, mi assicurava: se la volevo con me, non mi avrebbe mai lasciata.

Ma, con il primo soffio di sole, inspiegabilmente si dileguò, lasciandomi smarrita nel bosco, assetata e insoddisfatta. Dovetti convincermi di essere stata ingannata: non con la poesia avevo danzato, ma con colei che n’aveva l’aspetto e la voce, e che, eppure, non era. Mentre io ero ancora sola, ripudiata anche dalla speranza, che tanto a lungo mi aveva guidato, di poter trovare la poesia che agognavo. Tornai più volte al prato dove avevo danzato con la sua gemella, ma lo trovai sempre vuoto, spento, perché ormai sapevo che non vi avrei trovato lei, e l’incanto era rotto. Dovetti sputare le lacrime e combattere l’emicrania, feci violenza a me stessa per costringermi a non tornare a sospirare in quel luogo vitreo. Sentii, infine, che riacquistavo a poco a poco la stabilità sui miei piedi e che il mio orgoglio entrava in via di guarigione. Riuscii perfino a trovare una cantina polverosa dove andare a dormire; non era molto confortevole, ma per il momento poteva andare bene, fintanto che non fossi stata abbastanza in forze da ricominciare la mia ricerca nel bosco. E fu allora che lei ritornò a farmi visita.

Il nostro secondo incontro fu la ruggine; la corruzione.

Venne a trovarmi benché non invitata, con passo troppo sicuro per non sconfinare nell’arroganza; entrò nella mia cantina con fare da padrona, e con il distacco sprezzante di chi è venuto sotto costrizione a fare qualcosa di sgradevole come una disinfestazione. Cercare di spiegarle che non c’era bisogno che si disturbasse, che me la cavavo benissimo da sola, fu del tutto inutile: scosse la testa impaziente, come se le stessi solo facendo perdere tempo. Mi afferrò il braccio e mi trascinò a forza fuori della cantina, sin nel prato dove avevamo danzato insieme, ma questo si era trasformato in una piana paludosa che del campo luminoso che avevo conosciuto non conservava che qualche vago sentore.

Non volevo restare lì, a ricordare la speranza di quei giorni, ora che sapevo che non c’era nulla che potessi trovare laggiù: come avrei fatto, poi, a tornare nel bosco come già avevo dovuto fare l’altra volta? Non ero pronta a sopportare di nuovo i bruciori di stomaco e il lungo periodo di convalescenza: se non fossi riuscita a riprendermi, questa volta? Cercai comprensione sul suo viso, ma questo era duro e freddo, così come le sue mani, quando mi strattonarono costringendomi a ballare senza un’ombra di musica, finché lo sforzo non mi lese le ossa. Lei non sembrò curarsene: mi si era presentata come una medicina disgustosa che dovevo necessariamente ingollare senza protestare, e poi, come la prima volta, scomparve senza lasciarmi detto nulla, se non l’implicita certezza che avrebbe tenuto fede alla promessa che mi aveva fatto, a qualunque costo.

I nostri terzi incontri furono prigionia.

Quel giorno nel bosco non cercavo che poesia. Invece, trovai sua sorella.




  
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