CAPITOLO 1: MELODY IN THE DARKNESS
Buio.
Notte senza luna.
Notte senza stelle.
Nuvole di tenebra ricoprivano l'intera volta celeste.
Il vento fischiava e
sbatteva contro le grandi vetrate del castello che si stagliava su quello
sfondo lugubre.
Luci tremolanti provenienti dell'interno delle
stanza creavano strane ombre sul terreno.
Un lampo ed in successione un tuono. Dopo questo
il silenzio.
Il suono di un violino interruppe quel silenzio;mille note cominciarono a vibrare nell'aria.
Note a tratti dolci,a tratti
violente,a tratti spaventate …quasi terrorizzate,poi una stonatura ed ancora il
silenzio.
Rumore di passi,di passi veloci…troppo veloci per essere di una
persona che camminava tranquilla.
Ma chi camminerebbe con tranquillità in una notte come quella?.
Ancora passi veloci.
Poi un tonfo.
Un fagotto completamente bagnato si rialzò incespicando nel
mantello completamente zuppo che ora non serviva più neanche a riparare
dall'acqua scrosciante.
E ancora passi veloci. Arrivò dinanzi all'imponente castello
e cominciò a picchiare con violenza sul portone d'entrata.
Colpì ancora,e ancora e ancora ma
nessuno gli aprì.
Nessuno accorse in aiuto di quel fagotto;poi
ad un tratto,quando ormai il fagotto aveva perso le speranze, il portone si
spalancò senza fare alcun rumore.
Titubante la figura si avvicinò all'apertura,sbirciò dentro e poi entrò.
Il portone gli si chiuse alle spalle facendo un rumore
sordo che lo fece sussultare.
Con un po’ di timore si avviò per il lungo corridoio.
Non c'era il minimo respiro. Solo il vento faceva sussultare,di tanto in tanto, il fagotto.
La paura cominciò ad invadere la sua mente e il suo corpo
portandolo a pensare alle cosa più atroci che avrebbe
potuto trovare in quel castello che all'apparenza sembrava disabitato.
Poi una risata. Fredda,quasi
isterica.
Si girò di scatto per vedere chi c'era ma non trovò nessuno
alle sue spalle.
Cominciò a guardarsi intorno senza però trovare l'artefice
di quella risata.
Decise che la cosa migliore da fare era andarsene ed allora
iniziò ad indietreggiare freneticamente incespicando ancora una volta nel
mantello.
Rovinò a terra picchiando violentemente la schiena.
Oltre ai suoi ansimi di dolore nulla si
sentiva in quel castello. Anche il vento aveva smesso di ululare e aveva
dato tregua alle fronde degli alberi che erano state private
della maggior parte delle loro foglie.
In quel silenzio il fagotto udì le note di un violino.
Note malinconiche questa volta. Piene di rancore e tristezza,dirette a ferire nel profondo chi le sentiva.
A fatica il fagotto si rialzò deciso a trovare un' anima viva in quel castello. Se se ne fosse andato così conciato sarebbe andato incontro a morte certa.
A fatica e poggiandosi al muro continuò lungo il corridoio
arrivando ad un grande portone che,una volta
aperto,mostrò ai suoi occhi un immenso salone con una grande scalinata che
portava al piano superiore.
Ai lati di questa sala erano poste varie porte,alcune in perfette condizioni altre con pezzi di legno
mancanti.
Decise di andare al piano di sopra.
Il violino stava ancora suonando e il fagotto era deciso a
trovare la persona che lo stava suonando.
Salì le scale reggendosi al corrimano. La schiena doleva di
meno ma da li a qualche giorno sarebbe uscito un
grande ematoma.
Arrivato in cima girò a destra e proseguì per il corridoio. Il
suono era sempre più forte e perciò la persona che stava suonando era più
vicina.
Ad un tratto di nuovo la risata.
Proveniva dalla porta posta alla sua sinistra.
Con le mani tremanti la aprì e si trovò su una balconata che
si affacciava su un grande salone.
Un salone come quello dove si tenevano i balli dei grandi
imperatori.
Le pareti erano ricoperte di dipinti e il pavimento era
finemente decorato con motivi geometrici e non.
Grandi vetrate si stagliavano su una parete.
Alcune riportavano dei dipinti altre invece erano
semplicemente di vetro trasparente.
Il suono del violino proveniva da li.
Fece scorrere lo sguardo su tutta la sala ma non vide niente,poi fu il turno della parete con le grandi vetrate posta
davanti alla sua vista.
E la vide.
Una figura accovacciata sul davanzale interno di una vetrata
stava beatamente suonando il violino.
Vedendola la in cima il fagotto si chiese come aveva fatto a
salire lassù ma poi,facendo scorrere lo sguardo su
tutta la parete fino all'intersecarsi con l'altro muro,capì.
Se si percorreva il poggiolo fino all'incrocio dei due muri si poteva benissimo salire sui davanzali interni delle
vetrate.
Insieme alle note di quel violino poté sentire ancora la
risata.
Questa volta però non era fredda ne
tanto meno isterica. Sembrava quasi
gioiosa.
Simile a quella di un bambino quando gioca con gli
amichetti.
Portò lo sguardo sulla parte inferiore della
sale e vide una sagoma esile muoversi e danzare.
Non riuscì a vedere molto perché la luce delle candele era
fioca e non permetteva una maggiore vista.
-Scusate!- disse rivolta alle due
figure.
Il violino stonò e la figura che stava ballando si fermò di
colpo interrompendo una magnifica piroetta.
-Scusate…- ripeté.
Anche se non vedeva i loro volti
era più che certo che lo stessero fissando in modo insistente.
-Chi sei?- chiese una vocina.
Probabilmente era la figura che stava danzando.
-Io…io…mi …- cominciò ma non riuscì a finire la frase perché
le forze gli vennero meno.
L'unica cosa che sentì prima di perdere definitivamente i sensi fu un
gridolino spaventato.
Quando riaprì gli occhi non si
ritrovò sul freddo pavimento sul quale era capitolato ma in un morbido e caldo
letto.
Inspirò profondamente;le lenzuola
aveva un profumo di fiori inebriante.
Faticò a tenere gli occhi aperti ma dopo svariati tentativi
la vista si ristabilì.
Quando tentò di alzarsi una mano
gli si posò sulla spalla costringendolo a sdraiarsi nuovamente.
-Rimanete sdraiato …- disse una
voce.
La figura alzò il volto e vide in piedi accanto al letto una
persona che reggeva in mano una tazza.
-Vi ringrazio per avermi aiutato…-
-Non potevamo di certo lasciarvi la sul
pavimento…- gli rispose la persona.
La figura passò davanti al letto e poggiò su di un tavolino
la ciotola.
Aveva i capelli rosso scuro leggermente mossi lunghi fino
alla vita.
-Scusate…posso sapere il vostro
nome?-
La figura si girò rivelando un viso pallido dai tratti
fini e due meravigliosi occhi grigi.
-Il mio nome è Alexiel…il
vostro invece straniero?-
-Io mi chiamo Amos…-
- Amos…bel nome….-
-Grazie…scusate ancora ,ma potreste
dirmi dove mi trovo?-
-Questo castello apparteneva alla mia famiglia,la nobile casata dei McPherson...-
Solo ora Amos poté notare che la
ragazza non indossava abiti femminili ma ben sì abiti che si addicevano ad un giovanotto
di buona famiglia.
La camicia bianca era portata fuori dai
pantaloni ed il colletto con la rouges
era sbottonato. I pantaloni leggermente attillati erano infilati in un
paio di stivali neri lunghi fino a metà
polpaccio.
-Cosa avete da guardare?- chiese un
po’ seccata la ragazza.
-Stavo osservando il vostro abbigliamento…non si direbbe
proprio un vestiario consono ad una ragazza…-
-Lo so…ma non ho mai potuto sopportare quegli abiti
pomposi…e poi sono molto più comoda…- rispose fissando
il ragazzo negli occhi.
-Ora vogliate scusarmi ma ho altre
faccende da sbrigare…- e così dicendo lasciò il ragazzo solo nella sua stanza a
rimuginare su tutto quello che era successo.
Era successo tutto così in fretta.
Prima di arrivare al castello aveva quasi rischiato di
morire a causa di un imboscata che aveva colpito la
sua carrozza.
Stava tranquillamente viaggiando in
compagni di cinque amici diretto
al castello della famiglia McGregor per il ballo in
onore del matrimonio della loro figlia Giselle quando
ad un tratto uno scossone fece spostare la carrozza verso sinistra.
All'inizio tutti pensarono ad un sasso capitato sotto la
ruota ma ben presto si accorsero che non era così.
Un bandito sfondò con un pugno il vetro proprio accanto ad
Amos e mosse la mano alla cieca cercando di prendere qualcosa ma il ragazzo
riuscì a spostarsi in tempo.
Dopo sentirono un tonfo proveniente dal tetto della carrozza
segno che qualcuno vi era saltato sopra.
Un terzo bandito riuscì ad aprire la porta e ad entrare
minacciando i ragazzi con una pistola.
-Datemi tutte le cose di valore che avete!- intimò il bandito.
I ragazzi cominciarono a rovistare nelle tasche della giacca
e dei pantaloni cercando qualcosa da consegnare al bandito.
Il bottino fu magro perché i ragazzi aveva
in tasca solo poche monete d'oro,un fiuta tabacco d'argento e un orologio
d'oro. Il bandito si gettò sul cavallo che era a fianco della carrozza e corse
via.
Dopo poco sentirono un tonfo. Amos sporgendosi vide il loro
cocchiere a terra con un pugnale conficcato nella schiena senza vita;ciò voleva dire che la carrozza era fuori controllo.
-Ragazzi siamo in un bel guaio …la
carrozza è fuori controllo il cocchiere è stato ucciso…-
A queste parole il terrore prese possesso dei volti dei
ragazzi. Se non avessero fatto qualcosa sarebbero
andati in braccio alla morte.
Le idee su come fare tardarono e dopo neanche cinque minuti
la carrozza si ribaltò su un fianco fece andare a
sbattere tutti i ragazzi contro la parete della carrozza che aveva toccato
terra.
I ragazzi tirarono un sospiro ma il peggio doveva ancora
venire. Infatti,quando uno di loro si mosse per
uscire,la carrozza si mosse ancora e cadde nella scarpata che si trovava sul
ciglio della strada.
Rotolò giù fino in fondo facendo sbattere i ragazzi a destra
e a sinistra per l'intero perimetro della carrozza.
Quando finalmente arrivò in fondo per tre dei ragazzi non vi era più nulla
da fare,uno era agonizzante e il quinto era cosciente se pur con molte ferite.
Amos era completamente pieno di graffi superficiali e non.
Uscì e poi aiuto l'amico ad uscire
dal cubicolo.
Risalendo,a fatica,la scarpata si
crearono nuovi graffi che però erano nulla in confronto a ciò che gli aveva
causato la caduta con la carrozza.
Arrivati in cima si incamminarono
seguendo le tracce che avevano lasciato i cavalli senza sapere però dove
andare.
Dopo circa due ore di camminata il suo amico non riuscì a
reggere lo sforzo e cadde a terra sfinito.
-Dai non fare così…ce la facciamo…dai rialzati…- lo incitò Amos ma per l'amico non c'era più nulla da fare e per
la serie "di male in peggio" il cielo si era oscurato e non
prometteva nulla di buono.
Prevedendo che di li a poco si sarebbe messo a piovere prese in
mantello che indossava l'amico lo indossò lui stesso per ripararsi in caso di
pioggia.
La sua previsione non tardò molto a divenire realtà.
L'acqua cominciò a scendere sempre più forte.
"O trovo un rifugio in qualche
castello o casa o troverò rifugio fra le braccia della morte!" pensò
mentre cercava di andare avanti nonostante il vento e la pioggia che sembravano
avercela con lui.
Dopo molte ore di camminato lo intravide.
Un maestoso castello si stagliava davanti alla sua vista. Era
la sua unica ancora di salvezza.
Ed ora si trovava proprio in quel
castello che era stata la sua salvezza.
Fuori,da quel che poteva
intravedere dalle ante semichiuse della stanza ,vide la luce chiara del sole e
quella visione lo rincuorò. Anche se vi era rimasto sotto poche ore,quelle interminabili ore sotto la poggia gli avevano fatto
dimenticare come potesse essere bella una giornata di sole.
Un leggero bussare alla porta lo distolse dai suoi pensieri.
-Avanti…- disse senza distogliere però lo sguardo dalla
finestra.
-Salve…- disse una voce fine. Era quella che aveva sentito
la sera precedente.
Quando la vide rimase un po’
sorpreso.
La voce era quella di una bambina ma il corpo erano quelli
di un adolescente in fase di crescita.
-Mia sorella mi ha detto che il vostro nome è Amos….-
-Si…esatto….il vostro invece?-
-Io mi chiamo Elynia….- disse
sorridendo.
Amos sorrise di rimando socchiudendo gli occhi.
-Ora credo sia meglio che voi mangiate…- disse portando la
ciotola ,che poco prima aveva portato Alexiel, sul
comodino accanto al letto.-…aspettate che vi porto il tavolino dal letto…-
Lo aiutò a sedersi contro lo schienale del letto e gli posizionò il tavolino davanti con la ciotola fumante sopra.
-Bene…vi lascio…-
-No per favore…rimanete a farmi compagnia….-
-Con molto piacere…-rispose la ragazza prendendo un sgabello e vi si sedette sistemando l'ampia gonna color
turchese. Strofinò il bustino delle steso colore,intarsiato di ricami, come per pulirlo
dalla polvere e si spostò un ricciolo castano dalla fronte.
-Quanti anni avete?- chiese la
ragazza.
-19…e voi?-
-Io ne ho 15…-
-E Alexiel?-
-Alexiel ne ha 18…è bella vero?- rispose
Elynia.
-Si,è proprio una bella ragazza,ma
come mai si veste come un ragazzo?- chiese mentre continuava a mangiare la
zuppa.
Elynia gli raccontò che fin da piccola aveva il
"vizio" di vestirsi da maschio. Prendeva i pantaloni che il padre non
usava più e con l'aiuto della governante
li sistemava in modo da poi poterli usare.
Lo stesso faceva con le camicie.
La madre aveva rinunciato a convincere la figlia a vestirsi
come Dio comandava e certe volte aiutava anche lei la governate
e la figlia a sistemare i vestiti.
L'unica cosa che le importava era che la figlia fosse
felice.
Per la madre le figlie (le gioie
della sua vita,come le chiamava lei) erano la cosa più importante e prima di
tutto veniva la loro felicità.
-Vi vuole molto bene,vostra
madre….- disse alla fine del racconto il giovane ragazzo.
A queste parole il viso della giovane fanciulla
si oscurò.
-Non…non vi sentite bene?- chiese
un po’ preoccupato dal brusco cambiamento.
-Sto benissimo…è solo che i nostri genitori…ecco…loro…-
"No ti prego fai che non sia ciò che sto
pensando…" pensò disperatamente Amos.
-Loro sono morti,qualche anno fa ...incidente
con la carrozza…- concluse tristemente Elynia.
"NO!" pensò Amos dopo che quella risposta
confermava i suoi timori.
-Mi dispiace non lo sapevo…-
-Non preoccupatevi…- disse Elynia sorridendo
allegramente.-…i nostri genitori non vorrebbero vederci tristi…beh ora devo
proprio lasciarvi,fra poco dovrebbe venire mia sorella
con degli abiti puliti per voi,quelli che indossavate sono inguardabili….- e
detto questo uscì lasciando il ragazzo solo con la sua zuppa.
"Hanno perso i genitori…povere ragazze…" pensò
Amos mentre mangiava un'altra cucchiaiata di minestra.
Mentre era solo nella stanza Amos non
fece altro che pensare ai suoi compagni di viaggio che oramai erano morti.
Li conosceva sin da quando era bambino. Erano andati a
scuola insieme e non si erano mai
separati.
Questi tristi pensieri ,però,vennero
interrotti dall'entrata nella stanza di qualcuno.
Amos si girò di scattò e vide che
la persona che era appena entrata era Alexiel.
-Scusate se vi ho fatto spaventare…- disse la ragazza
poggiando sul tavolo,dove prima aveva appoggiato la
tazza,dei vestiti puliti.
-Spero vi vadano bene…-
-Grazie…mi dareste una mano ad alzarmi?-
-Siete sicuro di potercela fare?-
-Si,mi sento meglio…questa zuppa
era veramente buona…-
Senza chiedere altro la ragazza aiutò Amos a scendere dal
letto e lo accompagnò al tavolo.
-Ora vi lascio cambiare…rimarrò qui fuori
,quando avete finito chiamatemi…va bene?- disse Alexiel.
-Perfetto,grazie mille…-
La ragazza si girò ed uscì chiudendosi alle spalle la porta.
-Alexiel!Alexiel!- urlò una vocina.
-Elynia,che succede?- disse la
ragazza preoccupata.
-Nulla di preoccupante…volevo solo chiederti se dopo ti andava di suonare qualcosa per me….magari
invitiamo anche Amos…- disse in tono supplichevole la ragazzina.
-Non so se ad Amos andrebbe bene…-
-Invece io sarei più che contento di sentirvi suonare,Alexiel.-
A quelle parole la ragazza sussultò.
-Mi avete fatto spaventare…- disse
girandosi ma appena vide il ragazzo si fermò di colpo.
I vestiti che gli aveva portato
calzavano a pennello.
I pantaloni neri negli stivali delineavano
la forma perfetta delle gambe e la camicia bianca con le rouges era perfetta.
-Vogliamo andare?- disse impaziente
Elynia.
Alexiel sospirò in segno di resa e seguì la ragazzina nel
salone dove la sera precedente Amos le aveva viste.
Elynia corse a prendere una poltrona e spingendola a fatica
la portò al ragazzo per farlo sedere.
Nel frattempo Alexiel aveva aperto un armadio e aveva preso
un astuccio. Quando lo aprì ne estrasse un violino di
legno scuro,prese la bacchetta e lo accordò.
Elynia stava parlando animatamente con Amos e il ragazzo
sembrava piuttosto divertito.
Alexiel si schiarì la voce per chiedere il silenzio e così
fu.
Il silenzio piombò nella sala.
La ragazza fece scivolare la bacchetta sulle corde e queste
cominciarono a vibrare producendo suoni melodiosi.
La melodia non rimase solo nelle
quattro mura della sala ma si espanse per tutto il castello.
Era diversa dalla melodia che aveva sentito la sera
precedente;non era malinconica ma era dolce e
vellutata.
Amos stava fissando inebetito Alexiel. Sembrava che per la
ragazza non esistesse altro che lei e il suo violino.
Quando suonava diventava un tutt'uno con il suo violino.
Fin da piccola aveva amato il violino che suonava sua madre
e una volta,quando la madre era uscita per delle
compere,lo aveva preso di nascosto e aveva cominciato a strimpellare
qualcosa,poi capendo come posizionare le dita era riuscita a fare la sua prima
scala di note senza stonarne neanche
una.
Aveva ripetuto più e più volte questo atto,ovvero
prendere di nascosto il violino della madre in sua assenza, e ogni volta
riusciva a fare qualcosa di nuovo.
Quando sentiva la madre suonare
prendeva alcuni spartiti e continuava a leggerli finché non imparava a memoria
le note. Era così che aveva imparato a suonare le melodie.
Una volta,credendo che la madre
fosse uscita,prese come di sua consuetudine il violino e cominciò a suonarlo.
La donna sentendo il suono corse a vedere chi lo stesse suonando e quando
arrivò nella stanza e vide che era la figlia si fermò ad ascoltarla.
Lei per imparare a suonare perfettamente quella melodia ci
aveva impiegato due anni;Alexiel dopo averla letta un
paio di volte l'aveva imparata a memoria e ora la stava suonando senza lo
spartito sotto gli occhi.
Per il compleanno la madre le
regalò lo stesso violino che stava suonando in quel preciso istante, per Amos e
la sorella,spiegandole che l'aveva vista quel giorno nel suo studio ed era
rimasta estasiata dalla sua bravura e aveva deciso che era il caso di
approfondire la sua conoscenza con la musica.
Quando finì di suonare riposò delicatamente il violino nella sua
custodia e lo mise nell'armadio dal quale lo aveva preso.
La sorella si alzò in piedi e cominciò ad applaudire con
entusiasmo.
Amos poco dopo seguì il suo esempio e cominciò ad applaudire
la ragazza.
Alexiel si girò e fece un debole sorriso per poi tornare di nuovo seria.
-Bravissima sorellina,come sempre
del resto…- disse Elynia.
-Grazie…ora però io devo fare alcune cose…tieni tu compagnia
al nostro ospite…- rispose Alexiel per poi uscire dal grande
salone.
- E' molto brava…- disse Amos risedendosi sulla poltrona.
-Già…lo è sempre stata…- rispose Elynia con occhi sognanti
-…invece io non so suonare nulla ma in compenso so ballare molto bene…-
Amos sorrise in direzione della
ragazza.
Ad un tratto si sentì stanco. Doveva ancora riprendersi da
tutto ciò che era successo.
-Scusate ma ora vorrei tornare nella mia stanza…non mi sento
molto bene…-
-Oh,certo…vi ci accompagno io…- e
cosi dicendo la ragazzina aiutò Amos ad alzarsi e lo accompagnò nella stanza.
-Ora vi lascio…se vi serve qualcosa suonate
questo campanello…- disse indicando una cordicella posta sopra la
spalliera del letto -…e io o Alexiel verremo…-
-Va bene, grazie mille…-
Elynia sorrise e poi uscì lasciandolo di nuovo solo.
Solo con i suoi pensieri.