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Autore: Momoka chan    11/10/2009    3 recensioni
"Sopravvissuta quando non volevo, innamorata quando non volevo: nella mia vita mi era stata negata la felicità e ora, quando finalmente era con me, ero così confusa...ma forse non era solo arrivata la mia seconda occasione??" Non voglio anticipare nulla...spero solo di avervi incuriosito...unico avviso: Roslie è ancora umana...
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Emmett Cullen, Rosalie Hale
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Prologo: Unwanted Life

 

 

- Buonanotte. Ci vediamo domani.-

Persi una boccata d’aria fresca e mi incamminai verso casa: era la prima settimana di aprile e il cielo era leggermente annuvolato. Per il resto era tutto assolutamente magnifico: sugli alberi erano spuntati i primissimi fiori, le temperature erano miti e dolci e mancava solo una settimana al mio matrimonio…meno sette alla felicità.

Scoccai un’occhiata leggermente preoccupata alle nuvole: per quel che mi riguardava poteva anche scoppiare un secondo Diluvio Universale, purché quel giorno ci fosse il sole.

Passando davanti alla casa dei Mershal rimasi a fissare dei boccioli bianco panna: avevano la stessa precisa sfumatura del mio vestito, appoggiato sul ripiano centrale del mio armadio e avvolto nella carta di seta.

Me lo provavo praticamente tutti i giorni e ogni volta sorridevo, felice: era ancora tutto perfetto.

Arrivai davanti al cancello ma, prima che potessi spingerlo, mi sentii chiamare.

- Rose!-

- Royce! Ma che ci fai qui?? Non dovresti essere a festeggiare con i tuoi amici??-

Sorrisi dolcemente al mio fidanzato: alla luce tenue della luna i suoi capelli sembravano cristalli d’argento.

- Quei pazzi hanno ordinato dello scotch…sai che non lo reggo…avevo bisogno di una boccata d’aria e mi spunti tu, proprio come una fata…-

Mi sfiorò la guancia con una carezza.

- Ti va di fare due passi con me, solo 5 minuti? Sono solo le otto…ti riaccompagno a casa subito…che dici?-

Mi strinsi al suo braccio.

- Perfetto… ma niente domande trabocchetto per sapere qualcosa sul vestito, chiaro?? Non ti racconterò mai niente, neanche se è un mese che mi supplichi.-

Ridemmo insieme e lui barcollò appena.

- Non hai esagerato un filo?? Se non ti va di bere glielo dovresti dire..-

- Non me ne parlare!! Il prossimo bicchiere che mi offrono, gli rompo la bottiglia in testa!! –

- No, che non lo fai. Non ti voglio all’altare pieno di lividi.-

Ero così presa dalla conversazione che neanche mi accorsi in quale vicolo mi avesse trascinato.

Mi passò una mano sui fianchi, mi strinse forte contro di sé e solo allora mi guardai attorno: intorno a noi c’erano cinque uomini.

Mi fissavano come si guarda solo un animale da comprare, i visi rossi dall’alcool.

Uno di loro passò una bottiglia a Royce e lui bevve diverse sorsate.

- Non è proprio una buona idea, tesoro…sei già un po’ brillo…-

Mi mise un dito sulle labbra.

- Rosie, questi sono alcuni miei amici: John, Marcel, Maynard, Harold e Lucas. Sono venuti apposta per te, per conoscerti.-

- Felice di avervi incontrata. Royce, io adesso devo tornare a casa, ma se tu preferisci restare ci vediamo domani.-

Feci per girarmi, ma una mano mi prese per la manica e mi buttò nel mezzo del cerchio.

- Resta un po’ con noi, Rosie, sono venuti apposta per incontrarti.-

- E lo hanno fatto. Vado, a domani.-

- Mi sa tanto di no, piccolina mia.-

Mi attirò al suo petto con forza e cercò di toccarmi il seno: rabbrividii e solo in quel momento mi accorsi del suo fiato pesante.

- Altro che brillo! Royce, sei ubriaco!! Domani ne riparliamo.-

- Non avrai fretta di lasciarmi! Mi offendo, sai??-

Appoggiò una mano sulla mai giacca e la strappò via in una colpo, lanciandola lontano.

Il mio respiro iniziò ad accelerare e indietreggiai di qualche passo, finendo contro il muro.

- Avevi ragione amico…è davvero bella!! Con quelle guance rosa poi…-

Royce mi si avvicino ancora: per la prima volta in vita mia  ebbi paura non per chi amavo, ma di chi amavo.

Provai ad allontanarlo con una spinta, ma lui mi bloccò il braccio e lo torse.

Con un gesto velocissimo, prese tra le dita il colletto della mia camicetta e la lacerò.

Il terrore dilagava in ogni angolo del mio corpo: vidi i suoi occhi cerulei allargarsi di un desiderio folle e bramoso.

- Dio santissimo!! Ragazzi…avete visto che davanzale?!! Ci scommetto tutto quello che volete che le gambe sono ancora più belle!! Royce, che ne dici di dare un occhiata??-

Risero.

- Royce, basta!! Smettila subito! Sono io, sono Rosie, fini…-

- Chiudi quella bocca, fatina mia.-

Mi strinse ai fianchi, portandomi un braccio dietro al collo, e lo morsi.

Sentii con una felicità vacua e dolorosa quell’imprecazione.

Ma non vidi arrivare il colpo sul viso che mi sbatté per terra.

- Rosalie…non si fanno certe cose…-

Salì sul mio corpo e, mentre cercavo di scrollarmelo di dosso spingendolo con le mani, mi tolse la gonna e le calze.

- Smettila…in nome del Cielo….Royce, basta, ti prego…per favore…-

Piangevo. Sentivo le lacrime scorrere calde sul mio viso.

Sembrava che persino questo li facesse felici.

Uno dei suoi amici appoggiò una bottiglia a terra: mi sporsi, la presi e cercai di rompergliela in testa.

- Maledetta…Rosalie, sei una povera illusa…sei mia. –

Una mano, appoggiata sulla mia clavicola, mi stese di nuovo sull’asfalto, mentre altre mi ci tenevano inchiodata.

- Basta, vi prego, smettetela!!-

Esplosi in singhiozzi ancora più violenti.

Ma poi rialzai lo sguardo e rividi i loro visi: avevo perso.

- Maledetti bastardi…- Ogni parola era un gemito, -siete solo dei maledetti porci…che…-

Una mano mi cacciò un pezzo di stoffa in bocca.

Le loro risate cominciarono a girarmi nelle testa: non ero solo l’oggetto del loro piacere, ma anche quello del loro scherno. Ero un giocattolo.

Non passò una frazione di secondo e mi ritrovai nuda.

E loro addosso a me, con il loro fiato caldo e nauseante, le loro mani che erano solo zampe disgustose.

E il dolore, il disgusto e la voglia di morire.

Per non essere più tra le loro dita, in loro potere, la tenera creaturina da violentare.

E le stelle che brillavano, immobili e silenziose.

E il buio.

 

La prima cosa che sentì fu il calore sulla mia pelle, poi la morbidezza della seta.

Ero morta, o almeno così pensavo: ero in pace, al caldo, immersa in qualcosa di così famigliare da darmi sicurezza a occhi chiusi. Troppo.

Sbattei diverse volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco.

Guardai stupefatta le pareti di legno chiaro, l’armadio più scuro davanti  a me, la scrivania ordinata e la psiche dall’altra parte e, nell’ombra, una porta bianca.

Abbassai lo sguardo e vidi la morbida e lucente seta azzurra delle lenzuola che mi coprivano e la coperta rosa così ben conosciuta: la mia stanza.

Mi girai verso la finestra: il sole chiaro e forte destinato a durare nei giorni entrava vivace: ma a che serviva che quel mio desiderio fosse stato esaudito? Non ce n’era il minimo motivo.

Provai a convincermi che fosse stato un terribile incubo, forse dovuto ad un’improvvisa febbre, ma poi notai il livido bluastro sulla mia mano e i tagli da vetro sul mio polso.

Neanche la mia volontà di morire era stata ascoltata.

Nessuno, da nessuna parte, sembrava amarmi abbastanza da esaudire i miei desideri, per una sola volta non futili. 

Abbassai lentamente le palpebre aspettandomi di sentire di nuovo le lacrime sulle mie guance, ma l’unica cosa che capii fu che avevo perso così tanto da non poter esprimere il mio dolore: avevo perso la fiducia di poter amare.

Mi ci sarebbe voluto tanto per capirlo: in quel momento sapevo solo che tutto, tutto mi si era rivoltato contro e mi aveva stretta tra le spire di quel serpente velenoso e terribile che è il destino.

Mi lasciai cadere di nuovo tra i cuscini di piume, fissando il vuoto luminoso del soffitto.

Sentì alcuni colpi leggeri alla porta e vidi la figura sottile di mia madre entrare.

Si sedette accanto a me e appoggiò la sua mano sulla mia.

La guardai in viso: aveva gli occhi umidi, pieni di lacrime che neanche era suo diritto piangere.

- Rosie…Rosellina…stai tranquilla, piccola mia, ci siamo qui noi.-

Lasciai che mi accarezzasse piano il viso: era come essere di nuovo una bambina che si è appena svegliata, circondata solo dall'amore di chi vuole consolarla.

Attesi. Attesi che parlasse di nuovo. Che dicesse di nuovo qualcosa degno di una madre. Di una madre che ha capito e visto l’animo di sua figlia.

Ottenni solo l’ennesimo rumore di vetri infranti.

- Rosie…non te lo dovrei dire, ma…ma forse…forse starai meglio…Royce mi ha detto che non gli interessa quello…quello che è successo. Ti ama così tanto, bambina mia, ti ama e ti vuole sposare.

Avrei dovuto lasciarti dormire, non dirti nulla però…non avere paura…vuole stare con te…sempre, per sempre.

Non gli importa…nemmeno se…se…se tu fossi incinta…ti ama senza condizioni, lo vedo nei suoi occhi.-

- E’ qui??-

- Sì, tesoro, sì…te lo chiamo subito.-

Uscì veloce, e felice: sembrava così sollevata, come se avesse evitato un catastrofe.

Io, la sua unica figlia, violentata una settimana prima del matrimonio e quindi lasciata: doveva aver creduto di essere finita in un incubo.

Mi sollevai di nuovo sui gomiti e aspettai, con l’ansia di una condannata in attesa del giudice.

Entrò piano, mia madre alle spalle, una meravigliosa maschera di preoccupazione e si avvicinò a passi veloci.

Mi baciò la mano.- Rosalie!-

La porta si chiuse.

- Sei felice, ora?-

- Tu no, Rose? Ora sei una donna.-

- Perché?-

- Perché??! Perché sì! Mi fai impazzire, tu mi hai rubato il cuore, ninfa.-

- Sei solo un porco. Vattene.-

- Ehi, che problema hai?? Non mi volevi sposare?? Non te l’ha detto la mamma che si fa l’amore con il proprio uomo, sciocchina mia??-

- Fare l’amore? Amore??! Tu hai fatto tutto tranne questo. Hai solo ascoltato te stesso. Sei solo un grandissimo bastardo.

Sei un ladro che non ha niente e ruba quello che gli altri hanno di più prezioso.

Io. Volevo. Essere. Tua. –

Quante centinaia di volte si era già sentito dire tutto questo??

- Volevi? E che c’è, non venirmi a dire che ora non mi ami più…sono stato il primo e forse sarò l’unico.-

- Vattene.-

- Stai buona…mi vuoi sposare, no?-

- Frega mia madre, se ti riesce, ma non provarci nemmeno con me!-

- Bellissima creatura, mi sa tanto che non hai ancora afferrato un particolare: la tua condizione.

Se ti lascio adesso, sarò uno scandalo…e se si venisse a sapere?? E se tu fossi incinta?? Immagina.

Se poi cominciassi a dire che sono stato io…penserebbero allo shock e ti manderebbero da uno psichiatra, o peggio, in un manicomio…Desideri questo?

E comunque resterebbe sempre colpa tua: sei troppo bella…tutti direbbero che te la sei andata a cercare…tutta colpa del tuo corpo bellissimo e peccaminoso.

Scegli, fiorellino mio, diventerai la pazza, l’emarginata, la puttana, o farai la vita che vuoi come tutti chiedono da te?

Decidi, Rosie. Il bianco ti è sempre stato così bene.-

Scivolai sul materasso, immobile.

Fregata, mi aveva fregata, chiusa in una gabbia.

Mi ero fidata, innamorata, e tutto quello che avevo ottenuto era sognare di poter scoppiare a piangere…un istante di pace sarebbe valso tutte le lacrime del mondo.

La porta si aprì di nuovo: era mio padre.

Gli sorrisi triste, gli presi la mano e mi girai dall'altra parte fingendo di dormire: avevo bisogno di pensare, di riflettere, di tornare a essere la solita Rosalie per poter decidere.

Avrei sopportato che mi guardassero male, forse anche di dovermene andare perché non più voluta: avevamo così tanti parenti pronti ad accogliermi.

Ma mio figlio?? Quella piccola, invisibile creatura che poteva esserci o non esserci?

Se fossi stata incinta e fossi stata sola mi avrebbero di certo mandato via o, alla meno peggio, chiusa in casa prima che qualcuno cominciasse a notare il pancione...ma poi??

Ci avrebbero separati.

Non avrei mai visto il mio piccolo, sarebbe subito scomparso, forse anche subito dopo il parto.

Non avrei visto il suo primo sorriso, non avrei toccato la sua pelle di latte, non sarei stata fiera vedendolo crescere, non lo avrei sentito chiamarmi “mamma”dopo un incubo.

E lui sarebbe cresciuto come un orfano, un figlio della vergogna: di sua madre.

Per quanti anni gli avrebbero detto che non lo avevo voluto? Gli avrebbero detto la verità, da adulto,  o solo fatto intendere che era il figlio di una donnaccia?

Non avrebbe avuto né padre né madre, mai.

Non lo avrei permesso, non avrei mai potuto permetterlo.

Lo avrei protetto.

In nome di qualcuno, che forse non avrei mai visto, da potere davvero amare di nuovo, ero pronta anche a chiudere da sola le sbarre della mia prigione.

 

Mi alzai piano dal letto, sentendo il dolore diramarsi per il mio corpo, mi avvolsi nella vestaglia e uscii dalla mia stanza.

Quando entrai nel salotto i miei genitori erano seduti sul divano, parlando. Di me.

Mi appoggiai alla poltrona davanti e mi strinsi nell'abito, poi respirai a fondo e sorrisi.

-Allora non mi fate gli auguri?? Tra una settimana mi sposo...-

   

Odiai le loro espressioni di ebete gioia: niente era più sbagliato.  Niente.

 

 

Erano le otto di mattina, forse appena dopo, e l'unica cosa sensata da fare mi sembrava guardare  il sole che con i suoi raggi illuminava il giardino di casa mia.

Peccato che fosse il giorno del mio matrimonio: non me l'ero davvero immaginato così, ma importava forse qualcosa?? Niente era più come avevo voluto che fosse.

Pregai che si immobilizzasse tutto.

-        Ciao, sposina!!-

Vera.  Era arrivata, silenziosa come sempre, dolce e delicata come sempre.

Si appoggiò al davanzale accanto a me, lasciandomi pensare.

Mi girai verso di lei: era già pronta, nemmeno la cerimonia stesse per cominciare, nemmeno se l'inizio del mio incubo fosse a un battito di ciglia.

Guardando la crocchia di trecce in cui aveva raccolto i capelli mi chiesi a che ora si fosse alzata: prima di me di sicuro, conoscendo i suoi capelli, impossibili e ricci.

Mentre spostavo di nuovo lo sguardo verso l'esterno mi accorsi che teneva la mano destra sul ventre: non era la prima volta che lo faceva.

-        Vera...perché hai la mano sulla pancia?? Non sarai incinta di nuovo?-

-        Forse...forse. Alt, ferma, oggi si parla solo e soltanto di te...felice?? E' la tua attività preferita.-

 Mi squadrò in un momento.

-        Allora, dietro la mia infinita esperienza– Mimò il gesto delle virgolette- oserei dire che i capelli te li sei lavati ieri sera, perciò bisogna solo acconciarli.  Rosie, Rosie ci sei?? Va bene che è presto, ma ci vorrà tempo per sistemare tutto...ti senti bene??  Ti vado a prendere un po' d'acqua? Rosie...-

-        Tranquilla, tutto bene...sono solo un po'...confusa. Dammi un secondo.-

 

Mi girai per evitare che vedesse i miei occhi che si muovevano veloci: avrebbe capito subito che mentivo; Dovevo assolutamente riprendere in mano la situazione.

-        Come al solito hai ragione tu, alla fine...è meglio muoversi.-

Presi tutto dall'armadio e andai in bagno.

Indossai la biancheria e poi estrassi il vestito dalla scatola, sollevandolo davanti a me.

Diedi le spalle allo specchio e feci scivolare l'abito dalla testa e uscii.

Era morbido sulla mia pelle. Era morbido e pungeva e bruciava come acido.

-        Serve una mano per i laccetti sul retro?-

-        Magari...-

Chinai la testa allontanando i capelli dal collo e mi girai.

-        Rosie, me la dici una cosa...perché non hai voluto che venisse anche tua madre?-

-        Sai che non ne ho idea...Forse per non averla addosso di continuo...-

-        Non le è ancora passata la mania di essere ossessiva, eh?!-

Mentire. Mentire ancora.

E fingere.

-        Fatto! Dai, girati! O mio Dio!! Rosie, sei bellissima. Sembri un angelo bianco!-

Restai a guardare: non vedevo l'angelo che diceva lei.

Percorsi con lo sguardo l'abito: la scollatura a cuore, i corpetto stretto sulla vita, la gonna di seta e tulle, le maniche a gomito di pizzo.

Ero ammirata da quel vestito che sembrava negare la Depressione.

Ero disgustata da quel bianco.

-        C'è fin troppo bianco.-

-        Rosie, che hai detto?-

-        Niente, niente...-

-        Rosie.-

Mi si parò davanti: a dispetto dei miei 10 centimetri in più, sembrava più alta di me.

Sperai che non capisse: lei non doveva farlo. Non lei.

Mi fisso con quei suoi occhi scuri e tranquilli, e poi sorrise.

Mi accarezzò appena il viso.

-        Avete già fatto l'amore, vero?- Mi fece sedere sul mio letto – Non hai fatto niente di sbagliato, Rosie...sei innamorata.-

Non aveva capito. Per una volta si era sbagliata.

Ma sentendo quella parola, che dovrebbe solo rassicurare, non avevo potuto trattenere una specie di sobbalzo.

Innamorata. Io? Adesso?

Ma lei era la sicuro dalla verità e anche tanti altri lo sarebbero stati.

Cercai di ricomporre un sorriso sul viso e per caso mi guardai le mani: erano ancora coperte dai graffi e cercai velocemente i guanti per coprirle.

Ma trovai solo la mia mica che mi stringeva forte il polso.

-        E questi?? Come te li sei fatta?

-        Ma niente, una caduta...-

-        Una caduta su quello che sembra vetro? Rosie, che ti è successo?-

Sapevo che avrei dovuto subito alzare il viso, guardarla dritta negli occhi e mentire ancora: quel gesto e avrei dissipato i sospetti.

Ma non ci riuscii: stavo guardando i segni che mi avevano tradito.

-        Che ti è successo, davvero? Rosie, non eri malata, vero?? Che è successo?-

Mi alzò piano il mento. Pregai che per una volta non riuscisse a leggermi dentro.

-        No...Rosie, no...ti prego, ti prego...dimmi di no....-

Era fatta. L'aveva capito. Per fortuna mancava l'ultima parte.

Mi ritrovai a cercare di nuovo di sorridere, sentendo finalmente le lacrime sulle guance.

-        Rosalie, non devi sposarti. Non se non vuoi.-

-        Vera, devo.-

-        No.-

Mi sfiorai appena la pancia con la mano.

-        Devo.-

Poi non riuscii più a dire una parola e inizia a piangere per la prima volta, appoggiata alla mia migliore amica, come una ragazzina.

 

Mi addormentai mentre Vera mi acconciava i capelli.

Quando mi svegliai l'impacco di camomilla aveva cancellato gli occhi rossi e il trucco mi aveva reso ancora più bella del solito. Ero davvero la ninfa che non avrei voluto essere.

Gettai un'occhiata alo specchio: per lui ero perfetta.

Ma io non ero pronta: non lo ero, non volevo esserlo, ma dovevo esserlo.

All’esterno, nel giardino, era tutto una festa: fiori, festoni e ospiti.

Avevamo deciso che ci saremmo sposati nella cappella dei King e così salii insieme sulla mia famiglia su un calesse di fine ‘800, per attraversare la cittadina, che, alla continua ricerca dell’ultimo pettegolezzo, si era sparpagliata sui lati delle strade.

Non riesco a ricordare nulla delle cerimonia, eccetto le lacrime che puzzavano d’ipocrisia a centinaia di metri di distanza.

Non ascoltai i commenti, i complimenti o le battute maliziose che mi venivano rivolte ogni momento; solo le parole di una cugina quindicenne,mi restarono impresse:- Ti faccio tanti auguri, cugina. Un giorno spero di avere accanto qualcuno come tuo marito, qualcuno che mi ami come lui ama te…è il mio desiderio-

Cosa avrei potuto dirle? Che si sbagliava? Che era una messinscena?

Non volevo rovinare un sogno d’innocenza e quindi non parlai.

Non mormorai una solo parola nemmeno quella notte, quando due bracci ami trascinarono su di un letto.

Avevo in me ancora qualcosa, ancora una piccola speranza luminosa che mi teneva a galla.

E che lasciò due settimane dopo, trascinandomi negli abissi bui di una notte non voluta.

 

 

 

Salve a tutte…prima di tutto ringrazio chiunque abbia letto, è importante anche questo.

Come dice il titolo questo è un prologo…per vedere i veri sviluppi della situazione e soprattutto il fantastico Emmett bisognerà aspettare il prossimo capitolo.

Spero che non sia troppo triste, ma sinceramente questo il modo in cui mi sono sempre immaginata una situazione del genere.

Ciao e bacio

Momoka chan

 

 

 

  
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