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Autore: act of blood    11/10/2009    1 recensioni
Questa è una songfic che ho scritto un paio di mesi fa, ispirata da una delle mie canzoni preferite dei My Chemical Romance, Demolition Lovers appunto. Spero sia di vostro gradimento.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lui non ha soldi, pensieri o appuntamenti da ricordare. Ha un pacchetto di sigarette, vuoto, che continua a fissare come se da un momento all'altro potesse riempirsi. Ha gli occhi vuoti, lo sguardo vacuo di chi non ha più niente da perdere.

Fuori dalla finestra, il mondo continua a battere, immutato. Fanculo al mondo.

Vive in un buco che definire appartamento sarebbe anche troppo. La cosa più solida che ci sia lì dentro è l'odore di marcio, talmente forte che ormai al suo naso è quasi un profumo.

Se ne sta seduto sul davanzale della finestra, a cavalcioni, come se potesse cavalcare quello schifo e andarsene lontano, via, sbattere la testa contro un muro e capire di essere ancora vivo. A volte ha l'impressione di essere soltanto uno scherzo. Una comparsa in qualche stupido reality show.

Magari un giorno si girerà e troverà una faccia sorridente ad annunciargli, con occhi brillanti di ipocrisia: «Sei su Candid Camera!».

Fino ad allora, continuerà a segnare tacche sul muro, come un fottuto carcerato senza legge, con una donna da qualche parte ad aspettarlo.

Lui ride, da solo, col suo amico immaginario. Ride guardando i cerchi di fumo che caccia dalle labbra, senza sapere bene perchè. Forse perchè tutta quella situazione sembra soltanto una grandissima barzelletta. Forse perchè, in un certo senso, aveva sempre saputo come sarebbe andata a finire.

Una volta, da bambino, aveva sentito un tizio parlare di "destino" in tv. Non aveva capito il significato di quella parola, allora; aveva un suono troppo..imponente per un bimbo così piccolo. Non aveva mai chiesto il significato, a lui sembrava una parola brutta. Poi, con gli anni, aveva capito che il destino era soltanto una gran cazzata, così come tutte le cretinate di cui l'avevano riempito, in chiesa, a scuola, a casa.

Si fa un ultimo tiro, poi lascia cadere la sigaretta sui fogli imbevuti di benzina e si chiude la porta alle spalle.


Hand in mine, into your icy blues

And then I'd say to you we could take to the highway

With this trunk of ammunition too

I'd end my days with you in a hail of bullets


Lei ha dolori, rimpianti, e un sogno che non ha mai rivelato a nessuno. E' un sogno perverso, macabro, che tutti giudicherebbero malato.

Lei vuole morire giovane. Come le rockstar. Vuole guardare negli occhi Jim Morrison e dirgli «Amico, tu sì che eri un gran fico».

Tutti la chiamano bambola, e lei si sente un mostro. Ha il viso tondo, bianco come la luna, e una cascata di capelli castano-color-di-niente che nasconde sempre sotto a un cappuccio logoro. Non ha mai toccato una sigaretta in vita sua, ma stasera ha proprio voglia di farsene una.

Dalla finestra di camera sua può vedere il punto di luce, flebile e irrequieto, di un incendio in lontananza. Qualcuno ha avuto finalmente le palle di fare quello che lei sogna da anni.

L'hanno chiamata in tutti i modi; piccola, bambola, principessa, bimba, bella. Lei dentro di sè ha mandato tutti affanculo almeno venti volte per ogni nomignolo che le affibiavano. Una volta era dolce, gentile, un sorriso pronto per tutti. Ma era quando ancora pettinava le chiome delle bambole, quando pensava che un angelo custode le fosse affianco per proteggerla. Poi ha cominciato coi libri, coi trattati di psicologia, per quanto ci vorrebbe forse un esorcista, per lei.

Una volta si è ubriacata, con degli amici, a una festa. Non che fosse una qualche santa puritana, per carità. Solo che aveva ancora un bagliore di speranza, negli occhi, e c'era stata male due giorni per quattro bicchieri di vino.

A lei non frega un granchè di sballarsi ed essere figa. Ha la sua musica, la sua chitarra, il suo impianto Hi-Fi che vomita assoli e riff senza sosta, ad un volume sconcertante anche per il peggior metallaro.

Non che se ne faccia qualche problema, è pronta a spaccare il naso a chiunque protesti.

Sbuffa, guarda fuori dalla finestra. L'incendio è ancora là, e sembra che la stia invitando.

Non se lo fa ripetere due volte.


I'm trying, I'm trying

To let you know just how much you mean to me

And after all the things we put each other through and

I would drive on to the end with you

A liquor store or two keeps the gas tank full

And I feel like there's nothing left to do

But prove myself to you and we'll keep it running


Barcolla, mentre cammina. Si è lasciato l'incendio alle spalle da un bel po', ma ancora nessuno è venuto a fermarlo.

Certo, lui è invisibile. Ma è troppo occupato a infilare i passi uno dietro l'altro per farsi problemi, e non gliene frega granchè di cosa succederà dopo. Il futuro è un concetto troppo relativo.

Passa di fronte alle vetrine come un fantasma, lentamente, assaporando ogni singola particella del fetido caos che l'avvolge.

Vorrebbe avere un nemico, di fronte a sè, il cappello da cow boy calato sugli occhi, un sole cocente sulla testa, un saloon di lato.

Sarebbe facile; io sparo, tu spari, la bella piange, tutti insieme muoriamo. E vissero per sempre morti e contenti.

Però la vita non è un western, o, almeno, non lo è più. E' un fottutissimo horror, e non sai mai chi sia il killer di turno, sola una è la certezza. La vittima sei tu.

Procede a passo sicuro nell'oscurità, mentre una macchia bianca si avvicina. E' una maglietta. No, dev'esserci qualcosa sotto.

Potrebbe essere una bambina, ma ha una scintilla negli occhi che ha cancellato ogni segno di purezza.

Si avvicinano ancora, un metro o poco più tra i loro volti. Lui sorride, lei sorride.

Qualcuno parlerebbe di amore a prima vista. Questa è soltanto disperazione.


But this time, I mean it

I'll let you know just how much you mean to me

As snow falls on desert sky

Until the end of everything

I'm trying, I'm trying

To let you know how much you mean

As days fade, and nights grow

And we go cold

Until the end, until this pool of blood

Until this, I mean this.


Ha un collare di cuoio nero attorno al collo, e una t-shirt bianca a proteggerle il corpo nudo.

Ha sorriso a quel ragazzo per un riflesso incondizionato, una sorta di istinto naturale di sopravvivenza. Lui è bello, alto, con lo sguardo di chi sa esattamente cosa vuole e come ottenerlo. Ma a lei non frega poi tanto dell'aspetto.

Sente, per qualche strano meccanismo inceppato nel suo cervello, che lui è come lei. Che gli manca qualche rotella, che ha lo stesso suo bisogno. Bisogno di sentire, di bruciare. Bisogno di vivere.

Senza dire una parola, gli prende la mano. Sente la sua pelle calda sulla sua, un velo di sudore fa aderire i due palmi come una ventosa.

Poi continua a camminare, trascinandoselo dietro, bisognosa di quel contatto nuovo, ma vero. Ai suoi passi appena accennati si aggiungono i suoi stivali pesanti, e allora continuano così, con un ritmo pre-stabilito, senza sapere nemmeno i propri nomi, verso una meta pre-stabilita.

L'odore di bruciato l'ha seguito fin lì, e si unisce ora all'odore di lei, infettando l'intera strada di dolore, passione.

Svoltano una via, una ancora continuando in quella sorta di balletto senza regole, dove chi vive perde, marciando decisi verso la meta.

Lei è Alice, lui il Bianconiglio.

Lui ha una cicatrice sulla guancia che lo fa sembrare un pirata, uno di quegli anti-eroi che eccitano le donne.

Lei ha una faccia da romanzo, l'eroina perduta di qualche suprema missione divina.

Non si sono mai visti e conoscono a memoria ogni singola cellula dell'altro. L'odore, l'odio, la passione. Il profumo di anni persi a un vento tossico, mentre il calore dell'incendio è così lontano da sembrare il sole. Il loro Sole personale.


I'm trying, I'm trying

To let you know how much you mean

As days fade, and nights grow

And we go cold

But this time, we'll show them

We'll show them all how much we mean

As snow falls on desert sky

Until the end of every...


L'hotel è una topaia, una grassa signora sporca con insegne al neon per prostitute e vecchi adulteri, con vetri sporchi e intonaci scoloriti alle pareti. A loro serve un posto da fare casa propria, per la vita che rimane.

Il proprietario è il ritratto dello sfigato del ventunesimo secolo; grasso, calvo, con una macchia di sugo putrefatta sulla maglia che nemmeno riesce a contenere la sua carne. Accetta i soldi del ragazzo senza troppi complimenti, gli indica la stanza con un cenno brusco, prima di tornare a fissare lo schermo vuoto del televisore. Il ragazzo si chiede se, un giorno, anche lui sarà come quel tizio. Poi ride, dicendosi che non è possibile. E' arrivato il momento, sta per mettere fine a quell'intera idiozia.

Tiene la ragazza per mano, mentre salgono le scale in vista della meta finale. Lei guarda i neon fulminati sopra la sua testa. Pendono come stelle, solo che sono più sporchi, spenti, finti. Le stelle dei poveri.

Dentro di sè si spezza una risata improvvisa; in quello schifo di vita non ha mai visto nemmeno una stella vera.

Lui le apre la porta, lei entra, si guarda attorno. La stanza è piccola, buia, ma almeno ha un bagno proprio, e un balcone da cui volare.

Le sembra di essere in un film di serie B, uno di quei film porno che proiettano sulla TV via cavo a tarda notte. Un paio di volte ne aveva trovato qualcuno, ma le scene erano sempre uguali, e non capiva che ci trovavano di tanto eccitante.

Lui le si avvicina, poggia un ginocchio affianco al suo. Abbassa il viso sul suo collo, sulla spalla, la bacia.

Ecco che ci trovano, di eccitante.


All we are, all we are

Is bullets I mean this

As lead rains, will pass on through our phantoms

Forever, forever

Like scarecrows that fuel this flame we're burning

Forever, and ever

Know how much I want to show you you're the only one

Like a bed of roses there's a dozen reasons in this gun


In pochi minuti sono uno sopra l'altra, sdraiati su quel materasso che a malapena resta in piedi. Si conoscono, come due cani che si annusano, scrutandosi l'un l'altro ad occhi chiusi, emettendo versi come canti d'accoppiamento in qualche vecchio documentario della National Geographic. Lui le insinua una mano sotto la maglietta; è calda, morbida, delicata. Forse Adamo si era sentito così, addentando la mela. Nel peccato, ma tremendamente fiero del proprio peccare.

Lei lo guarda, si è fermato; si avvicina e lo bacia ancora, riportandolo a terra, invertendo in un istante i ruoli.

Ora è lei a comandare, predatrice e preda, unica guida in quella corsa senza freni verso il baratro. Nella testa ha una canzone che non ricorda, come uno speed metal adrenalinico a dettare le sue azioni, a disegnare il suo futuro sulla pelle di quello sconosciuto. Ci vorrebbe una birra.

«Aspetta», dice lui, nascondendo una mano nella tasca dei jeans. Caccia una scatola, poco più grande di una scatola di fiammiferi, la apre, e fa cadere sulla propria mano tre piccole pasticche bianche.

«Ne vuoi?», Le chiede, con un sorriso.

Lei non risponde, allunga una mano e se ne prende una, poggiandosela sulla lingua come il più fragile dei preziosi.

Chiude gli occhi, l'assapora; niente. Li apre, guarda in alto. Le piastrelle alle pareti sono le stesse, soltanto più...vicine. Avanzano, e un attimo dopo sono immobili.

Lo guarda, preoccupata. Lui ha due occhi grandi, rossi, che minacciano di esplodere da un momento all'altro. Allora chiude gli occhi ancora, e respira, forte. Sente il proprio corpo vibrare, particelle di energia limpida volteggiare attorno a sè, sente il mondo tremare di paura al suo cospetto. Sorride, si abbassa, lo bacia. L'eccitazione sale, mentre gli sbottona i pantaloni, lo fa suo.

In tutta la sua vita non ha mai amato tanto quelle tre parole come in questo momento. Sesso, droga e rock'n'roll.

Che grande filosofia.


And as we're falling down, and in this pool of blood

And as we're touching hands, and as we're falling down

And in this pool of blood, and as we're falling down

I'll see your eyes, and in this pool of blood

I'll meet your eyes, I mean this forever


Lei urla di piacere, lui la tiene per i fianchi. Gli sembra che da un momento all'altro lei possa volare via, sfuggirgli dalle mani, e allora se la tiene lì, stretta, l'ultimo appiglio alla realtà prima del buio.

Le graffia la schiena, le stringe la carne, la vuole sentire sua. Le unghie affondano nella carne dei suoi seni, e lei urla, perchè adesso sente, si sente. Viva.

Gli si riversa sul corpo, svuotata di tutte le sue forze. Il corpo sudato respira a malapena.

Si volta ad afferrare la bottiglia di vino che avevano comprato dieci minuti prima, giù al bar dell'hotel. La fa fuori tutta, poi si volta e preme le sue labbra di vino sulle sue, scambiandosi nettare in cambio di altro piacere.

Lui sorride, prende l'ultima pasticca, la spezza a metà. Non è tanto, ma basta al suo scopo.

Abbraccia la ragazza, forte, senza la delicatezza di un amante. E' la gelosia di un padrone, la brama e la voglia di sentire il suo corpo.

Le passa la lingua sull'orecchio, le accarezza la guancia.

Lei sorride, è felice. Per la prima volta è felice.

Ma è stanca, troppo stanca, si sente pesante, abbandonata.

Chiude gli occhi, con ancora un sorriso vuoto disegnato tra due guance di bambina. Stringe la mano di lui, senza sapere bene se poi la lascierà mai. Lui la stringe, la sente. Poi lei sospira, e la presa è lenta, troppo lenta.

Lui sorride e si stringe a lei, chiudendo gli occhi. Accarezza il suo corpo nudo accogliendo una pace interiore che non sapeva di possedere.

Ha bruciato tutto, la sua strada, la sua vita.

Sospira, e poi è un attimo prima della fine.

Il buio.


  
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