“Nonna,
me la racconti un’altra volta? Per favore!”
La
vecchina seduta nella penombra della tettoia abbassò gli occhi sulla bimba che
si aggrappava alla sua gonna, mentre sgranava i piselli con le mani vecchie e
callose testimoni di una vita passata nel disagio e nel bisogno.
La
bimba la fissava con due occhioni azzurri e spalancati, abbracciando la bambola
di pezza che la vecchina aveva fatto per lei una notte di otto
anni prima, la notte in cui venne al mondo quella creaturina che aveva alcunché
di diabolico, se non quei magnetici occhietti così simili….
La
piccola si sedette tenendo stretta a se la bambolina e aspettò che la nonna
cominciasse il suo racconto che la affascinava tanto da farla sognare ad occhi
aperti.
Era
troppo piccola per riuscire a capire certe parti del
discorso, ma la fiaba era talmente bella che ogni giorno tornava dalla nonna
per farsela raccontare e ogni giorno la vecchietta la accontentava sospirando.
La
vecchia sospirò e prese una nuova manciata di piselli
da sbucciare, mettendoli in grembo, la ciotola che conteneva i frutti tondi in
perfetto equilibrio sulle gambe scarne e
ricoperte dal lungo vestito un po’ liso sulle cuciture.
“C’era
una volta, molto molto tempo fa, una giovinetta… come
te, piccina mia” le disse con la sua voce rassicurante e un po’ roca che la
faceva addormentare con il sorriso sulle labbra
“La
giovinetta era stata una bimba gracile e malata e quando crebbe, in un enorme
palazzo ducale che contava più di mille servitori, divenne una bella fanciulla, dai grandi occhi color delle nocciole tostate, le
forme belle e armoniche e sorridente come l’alba di una nuova mattina”
La
bimba spalancò la boccuccia succhiando la manina piccola “come i tuoi, nonna?” domandò osservando come il tempo avesse
colorito i suoi occhi grigiastri.
“Come
i miei tesoro, ma più belli e caldi, così caldi che
infiammarono il cuore del giovane padrone che s’innamorò perdutamente della
fanciulla” le spiegò posando in una busta le bucce dei piselli sgranati e
prendendone una nuova manciata.
“L’unione
era di fatto proibita, il giovane padrone era promesso
sposo e per la tristezza e col cuore infranto, la fanciulla gli giurò di fare
qualsiasi cosa per un po’ del suo amore”
Vide
la piccola trattenere il respiro come faceva sempre a quel punto della storia “era tanto triste?”
“Si tesoro, era molto triste. Lei amava molto il giovane
signore, ma costui fu molto avaro con lei e così cattivo che l’amore si trasformò
troppo velocemente in odio…perché quando si ama in maniera assoluta non si
accettano le briciole di ciò che ci viene offerto” le
spiegò guardandola mordere il dito sporco di saliva. “Capirai, piccola mia, col
tempo ti sarà tutto più chiaro”
Le
diede un po’ di piselli, morbidi e verdi come il sottobosco
estivo e la bambina li mangiò uno per uno, tenendoli nel palmo della
manina e cercando di non farli cadere.
“La
fanciulla era molto bella e il giovane signore si
intrattenne molte volte in sua compagnia, giurandole amore eterno, promettendole
di opporsi alla sua famiglia e di sposarla mandando all’aria le nozze
imminenti. La giovinetta credette a tutte le sue parole, continuando a donargli
il proprio amore ogni notte per molti mesi, ma quando le partecipazioni furono
spedite e la promessa sposa giunse al palazzo, la poveretta dovette arrendersi
all’evidenza che il giovane signore non l’amava e che l’aveva ingannata con
belle parole e monete d’oro che faceva scivolare nella sua tasca ogni notte
come pegno del proprio amore, un gesto singolare che l’aveva lasciata interdetta e confusa: a cosa
servivano quelle monete? Lui le donava tutto di se, il suo amore era
incommensurabile ed unico, cosa volevano dire quei
pezzi di metallo che scintillavano nel palmo della mano quando li guardava, di
notte, nella stanza in cui dormivano tutte le altre cameriere come lei?
Il
giovane signore si sposò e lei pianse lacrime
così amare e così salate che quando caddero a terra, su un prato di
margherite che costeggiavano il palazzo in festa, le piantine morirono.
Lei
le osservò e si stupì quando al loro posto crebbero dei fiori neri, neri come
il suo cuore e dagli spessi petali carnosi, come la corazza d’odio che le aveva
racchiuso l’anima.
Uno
di quei fiori crebbe a vista d’occhio: oscillò e si agitò, spalancò i petali e
le foglie e quando lo toccò una goccia di rugiada nera come l’inchiostro più oscuro,
cadde sul suo palmo e il fiore pianse con lei l’amore perduto e ingannato.
“Davvero,
nonnina?” le domandò la piccola tutt’ occhi.
“Certo
amore mio” sorrise accarezzandole la testolina. “La fanciulla
era molto superstiziosa e credeva nei piccoli demoni che popolavano la landa.
Quei bricconcelli aggredivano i viandanti per rubare l’oro e la birra di cui
andavano ghiotti, così una notte uscì di soppiatto e si diresse al grosso noce
che cresceva al centro della piana, portando in dono un po’ dell’argenteria
della famiglia e un barilotto di birra che lasciò ai piedi dell'albero.
*Vi porto in dono ciò che vi è di più caro, miei furbi e diabolici signori* pregò sulla pietra
che sorgeva ai piedi del noce * vi
prego con tutte le mie forze di rendermi giustizia. Il mio amore è stato
disprezzato e deriso e il mio corpo violato. Una donna perduta che non potrà aspirare
mai più al matrimonio, ne lo vorrò per me stessa,
poiché gli uomini sanno solo distruggere ciò che viene offerto loro con
tenerezza e graziosità
*.
La
fanciulla pregò a lungo e con fervore, spargendo la
birra attorno ai piedi del noce e seppellendo l’argenteria che brillava nel
panno in cui l’aveva nascosta.
Tornò
in silenzio al palazzo e si rimise a dormire, urtando la propria compagna che
grugnì e sbuffò per la sua maleducazione e la mattina successiva…”
La
vecchietta s’interruppe sentendo soffiare un piacevole zefiro e la prima
umidità della sera che scendeva lentamente.
“E poi?!”
La
vecchia si riscosse e contemplò la bimba che aspettava, un labbro sporco di una
buccia di pisello. “Torna dentro, finirò il racconto domani” le disse facendo orecchie da mercante alle sue proteste vive e accorate.
“Dai,
nonna, dai, dai dai” la
supplicò lasciando cadere la bambolina sul pavimento di legno. “Non ci dormirò stanotte, ti prego!”
La
vecchina la coprì col proprio scialle ricamato per non farle prendere freddo e
la spinse dentro con garbo e decisione.
“Domani,
signorina”