Capitolo Uno - Zombie
Gli
occhi vitrei del lupo si rivolsero al cielo. Sopra la sua testa
veleggiavano cumuli di nuvole nere, e presto sarebbe arrivata la
tempesta.
Inclinò
la testa all'indietro, ululando; il vento che dominava quei paesi
mescolava cielo e nuvole dipingendo il presagio del temporale, ed era
suo compito avvisare il villaggio di cui era protettore.
Mancava
poco più di un'ora al crepuscolo; l'ombra aveva
già inondato la
valle, gli uccelli avevano smesso di cantare. Restava un silenzio
pesante, religioso, un respiro trattenuto, in attesa.
Di
cosa?
Il
lupo abbassò lo sguardo sulle proprie zampe. Con una
disegnava
cerchi sulla terra nuda, l'altra era zuppa di sangue cremisi, ma lui
non sembrava badarvi. Piuttosto era concentrato su una decisione da
prendere; le zampe erano pronte a scattare in avanti, ma lui era
ancora indeciso.
Poi,
d'improvviso, i muscoli si contrassero e l'animale si librò
alto nel
cielo, scintillando dei cristalli delle mille nevi della Siberia,
mentre correva rapido nel vento. Squarciava la terra con artigli
possenti, scivolando giù per le montagne come una scintilla,
mentre
attorno a lui il paesaggio cambiava, scandito dal ritmo incostante
del vento.
Continuò
a correre per ore, fino a fermarsi di fronte a un cubo di cemento,
una piccola casa di pietra malandata con una porta di legno rosso.
Con una zampa spinse la porta, e a testa alta entrò nella
casa.
Deciso, si diresse verso l'angolo più remoto e lì
vi sedette, gli
occhi bianchi fissi su un punto non bene specificato, e attese.
Passarono
non pochi secondi prima che accadesse qualcosa, poi uno scricchiolio,
un crack indistinto.
Cominciarono a susseguirsi l'un l'altro, mentre il lupo abbassava il
proprio volto, contrito dal dolore. Il pelo sulla schiena cominciava
a diradarsi, a prendere tonalità più rosee,
così come il muso si
restringeva prendendo sembianze umane. Il lupo guaì; ma il
suo non
era più un verso animale. Prendeva le sembianze di un grido,
così
come il corpo cominciava a rivelare le forme morbide di una donna.
Alla
folta chioma grigia del lupo si contrappose una cascata di capelli
talmente chiari da sembrare bianchi, ma gli occhi rimasero gli
stessi, profondi pozzi di malinconia. Quando la metamorfosi fu
completa, del lupo non c'era più alcuna traccia.
Al
suo posto c'era il respiro freddo e affannoso di una ragazza stesa
sul pavimento, gli occhi sbarrati.
La
trasformazione era sempre un processo doloroso e interminabile, e
ancora, a distanza di anni, era per lei straziante. Sentiva le
proprie ossa muoversi e riassemblarsi, trovare il proprio ruolo nel
corpo, il cuore che alterava il proprio battito in un crescendo di
ansia ed emozioni.
E
ogni volta era come la prima; ringraziava di essere ancora viva, e
catturava a pieni polmoni l'aria che la circondava.
Kayla
Longwood aveva trascorso la sua vita alla ricerca di un ideale che
non le era mai stato utile. Almeno fino a quel momento.
Gli
occhi grigi da lupa riflettevano la sua anima in ogni occasione, ma
nessuno mai era riuscito a comprenderla a pieno.
Lei
era il leader, la ribelle. Era quella che avrebbe risolto ogni
problema, e questo ruolo le stava decisamente stretto. Non aveva
casa, nè famiglia, nè amicizie che potessero
costringerla nello
stesso posto per più di un anno. Eppure considerava quel
villaggio
la sua patria, e ora era pronta a dare la sua vita per difenderlo.
I
Freddi erano arrivati dodici giorni prima, senza alcun bagaglio, se
non la dose di terrore che quotidianamente somministravano agli
abitanti di Dubh. Avevano rovesciato il paese in meno di una
settimana, ucciso gli uomini, stuprato le donne, rapito i bambini.
Avevano
instaurato un regime del terrore in cui la mera aria era divisa tra
chi se ne serviva per vivere e chi ne privava gli altri.
La
rassegnazione del popolo era stata dettata dalla paura. Contestare
sarebbe stato un suicidio, figuriamoci ribellarsi. O almeno, lo era
per le persone comuni,
Kayla
non era una di quelle. Kayla aveva quello che molti avrebbero
definito un dono, mentre per lei non era altro che una condanna. Per
questo aveva riunito ogni uomo nel giro di cento chilometri che
avesse capacità quanto meno simili alla sua, e i Lupi erano
diventati l'unica fonte di salvezza per Dubh.
In
un paese piccolo come quello, le tradizioni e le credenze popolari
assumono sempre un significato troppo grande. Ma le leggende sui
Venti, sulle segrete entità metà
uomo-metà lupo che proteggevano
il paese, alla fine, si erano rivelate vere.
Kayla
era una mezzosangue per gli abitanti di Dubh; madre russa, della
Siberia, ma padre irlandese fino alla punta dei capelli.
Lei
non li aveva mai biasimati per ciò che era diventata; in
parte,
forse, avrebbe anche dovuto ringraziarli, per le tante volte in cui
quella sua particolarità l'aveva salvata da morte certa.
Un
discendente dei Venti, a Dubh, subisce la prima metamorfosi intorno
ai quindici, sedici anni. Da lì in poi la tua vita si
muoveva in
funzione della creatura che eri diventato; potevi non mangiare per
mesi, ma quando tornavi lupo, la caccia diventava il tuo unico scopo.
Ogni
novizio aveva un mentore, e un antenato da prendere come esempio.
Nessuno accettava di buon grado la novità, nè
tantomeno conosceva
il suo futuro prima della metamorfosi. E' sempre un colpo al cuore,
scoprire una realtà distorta.
Quando
la situazione era degenerata, nell'ombra del paese si era formato un
nuovo schieramento, l'unica opposizione possibile a terrore e paura.
Camminavano
sotto forma di lupi, per non essere riconosciuti, e già
qualche
vampiro era morto per mano loro.
Perchè
potevano avere mille nomi, ma vampiri era l'unico adatto.
Statue
che camminavano, maschere di cera dal volto triste, eroi di romanzi
usciti allo scoperto in un mondo analfabeta.
O,
come Kayla preferiva chiamarli, gli Zombie. Erano morti, dopotutto. E
non sarebbero tornati a nuova vita come l'Araba Fenice, quindi erano
quel che erano: Zombie.
Nel
freddo della capanna, i pensieri volavano talmente vorticosamente che
la ragazza non si era ancora ripresa dal dolore.
Lentamente,
si girò su un fianco, e si trovò ancora nuda. Si
alzò di
malavoglia, ancora indecisa sul da farsi, e indossò la tuta
nera che
aveva preparato la notte prima, appesa al muro. Sbuffando, si
appoggiò alla parete, guardinga.
La
capanna non era altro che una stanza; completamente vuota, se non per
un armadio in cui riponeva i suoi vestiti.
Non
era casa sua, ma la definiva tale. Era l'unico accesso alla base dei
Venti, e l'unico posto inaccessibile ai Freddi.
Con
due passi decisi si ritrovò di fronte alla parete. Senza
esitare,
spinse con una mano sul muro, che lasciò scorrere un
pannello
sottile all'indietro.
Una
botola aperta si mostrò ai piedi di Kayla, che la
fissò con un
sospiro.
Se
davvero esisti, dammi una mano.
E
saltò giù, nel vuoto.