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Autore: tonksnape    05/06/2005    5 recensioni
Avevo lasciato Harry e l'E.S. dopo la battaglia di Hogsmeade a metà del sesto anno. Ora si addentreranno nello studio di se stessi per poter affrontare meglio lo scontro con Voldemort. Buona lettura. Grazie per i commenti. I personaggi sono di JKR (tranne qualche raro caso).
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LION ASH

La battaglia di Hogsmeade era terminata con la vittoria dell’Ordine della Fenice.

Gli Auror feriti furono medicati o inviati a San Mungo, mentre gli ex-allievi e i membri dell’Ordine della Fenice avevano riportato le ferite minori ed erano rientrati in poche ore alle proprie case.

Bill e Charlie Weasley erano tornati alla Tana con i genitori, dopo essersi accertati che Ron fosse medicato e dopo che la madre gli aveva raccomandato, con il suo solito smisurato amore materno, di stare attento e di prendere tutte le medicine prescritte.

Ron aveva sospirato e chiuso gli occhi per la noia più volte.

Purtroppo la signora Wealsey aveva trovato una valida alleata in Hermione, pronta a controllare ogni giorno che cambiasse medicazione e usasse i medicinali. Ron si era sentito bombardato su due fronti.

Aveva guardato i fratelli con lo sguardo da pulcino bagnato per cercare un sostegno, ma entrambi avevano alzato le mani in segno di resa. L’età e l’esperienza non erano sufficienti a rendere un figlio pronto a contrastare mamma Weasley.

Solo il padre riuscì, quasi sottovoce, a convincerla che era necessario partire per rassicurare gli altri tre figli.

Tutta l’attenzione si spostò per fortuna su Ginny.

 

Il giorno tutto era tornato apparentemente alla normalità. Silente aveva fatto un lungo discorso agli studenti la sera stessa della battaglia di Hogsamede, sottolineando il ruolo dell’Ordine e degli ex-allievi, annunciando azioni disciplinari verso gli allievi che avevano trasgredito al divieto di recarsi nel paese durante lo scontro.

 

Nel mondo della magia era presente un generale senso di paura per il futuro.

L’aria era pervasa dal timore di nuovi attacchi, dall’incertezza di quali potevano essere i possibili bersagli e dall’incertezza del ruolo dei Dissennatori che non si erano alleati apparentemente con nessuna delle due parti rendendo pericolosa anche la prigione di Azkaban e coloro che ne erano all’interno.

Gli studenti ancora si chiedevano dove fosse Hagrid e la scelta dei giganti non era ancora nota a nessuno.

La stampa ufficiale si era immediatamente schierata con Silente e in protezione di Harry.

Persino Rita Skeeter, due giorni dopo, visto come era girato il vento, aveva dato alla stampa degli articoli che sottolineavano il suo ruolo di “bravo-ragazzo-pronto-al-sacrificio-per-noi” creando una schiera di sostenitori che inviavano lettere ogni giorno, mettendo in imbarazzo Harry al momento della consegna della posta da parte dei Gufi. Edwige aveva tentato più volte di lanciare le lettere direttamente sulla testa del suo padrone, data la loro quantità e il loro peso.

Rita Skeeter aveva richiesto una intervista ad Harry attraverso Silente già il giorno dopo la battaglia di Hogsmeade. Il Preside aspettava la giusta occasione per sapere la risposta di Harry in proposito.

Nessun membro dell’Ordine si era più fatto vedere e sembrava che fossero tutti impegnati a fare il punto della situazione da qualche parte fuori Hogwarts. Tranne Tonks che ancora stava superando le conseguenze dell’attacco.

Harry li immaginava tutti seduti attorno al tavolo, nella cucina di Grimmauld Place, nella casa di Sirius, impegnati a elaborare strategie di attacco.

Avrebbe dato qualunque cosa pur di essere presente.

La casa di Sirius era in usufrutto all’Ordine fino al termine del settimo anno di Harry, secondo quanto gli aveva spiegato e fatto leggere il Preside. Dopo sarebbe diventata sua e avrebbe deciso cosa farne.

Per ora rimaneva a disposizione dell’Ordine della Fenice, con il controllo di Lupin.

Nessuno si spiegava la fuga precipitosa di Voldemort, né la paura che avevano visto nel suo sguardo.

 

Quell’uomo dalla chioma leonina era ancora un mistero per Harry.

Dopo il rientro da Hogsmeade, pochi giorni prima, lo aveva visto parlare a lungo con Silente in diverse occasioni.

Si aggirava con Silente lungo i corridoi, parlando sottovoce.

Lo aveva visto chiacchierare e ridere con la professoressa McGrannit, come fossero vecchi amici ritrovati.

Dalle mezze frasi di Tonks aveva capito che partecipava agli incontri dell’Ordine.

Ma non era mai stato ufficialmente presentato agli studenti e il nome era ancora un mistero.

 

Lo strano mago era presente anche quando tutto l’E.S. era stato convocato nello studio di Silente per essere punito per l’evidente mancata osservanza delle regole.

Si teneva dietro le quinte, seduto in una sedia dietro tutti i professori in silenzio, attento, serio. Aveva la stessa aurea di inflessibilità e autorevolezza paterna di Silente.

Erano presenti tutti i componenti dell’Esercito di Silente, ma i sei che avevano attivamente partecipato allo scontro erano in prima linea, davanti a tutti.

Di fronte a loro, oltre al Preside, c’erano i quattro capi delle Case.

L’espressione era di notevole freddezza.

Harry era abituato e aspettava con ansia il rimprovero e la punizione, ma senza particolare agitazione. Tutto come il solito.

Ron aveva quasi la stessa esperienza e desiderava solo evitare un punizione con Piton. Preferibilmente in compagnia di Harry, ma questa non sarebbe stata un punizione.

Neville, Susan, Terry, Anthony e Dean erano preoccupati. Non sapevano cosa aspettarsi e per tutti si trattava della prima convocazione ufficiale dal Preside.

Ginny era fiera di quello che aveva fatto, sapeva che la punizione ci sarebbe stata e le piaceva la sensazione di essere un po’ più simile ai gemelli. Cercava di dimenticare che si trattava dell’anno dei G.U.F.O., ma questo non aveva inciso sui risultati di Harry, di Ron, di Hermione e Neville l’anno precedente.

Luna si guardava intorno incuriosita. Era una stanza notevole quella del Preside, molto interessante.

Hermione era fuori di sé dalla preoccupazione. Una punizione. A lei. La sua carriera, qualunque fosse stata, ne avrebbe risentito? Beh, di una sciocchezza da sedicenne forse no. Ma essere punita era… una rottura!

Tutti gli altri aspettavano di sentire semplicemente un rimprovero.

Il Preside iniziò con tono sommesso:

“Sapete tutti di aver agito contro la precisa decisione dei vostri insegnanti. Era stato chiaramente spiegato ai vostri rappresentanti, esatto signor Potter, signor Weasley, signorina Granger e signorina Bones?”

Tutte e quattro le teste annuirono.

“Quindi avete agito con chiaro intento di disobbedienza. Ora, il risultato è stato decisamente interessante, in quanto avete attratto Voldemort esattamente dove tutti lo volevamo, avete combattuto con forza e coraggio tutti quanti, avete dimostrato lealtà di gruppo, cooperazione, organizzazione e senso di appartenenza. Tutti aspetti molto positivi e chiaro segnale di maturità.”

La maggior parte del gruppo non sapeva se tirare un sospiro di sollievo o aspettare un rimprovero ancora peggiore.

Le espressioni serie degli altri insegnanti non lasciavano presagire nulla di buono. Solo Silente sembrava davvero lieto di quello che aveva detto.

“Avete comunque contravvenuto a numerose regole che non intendo elencarvi. La punizione che abbiamo deciso è condivisa da tutti gli insegnanti e dai responsabili delle vostre Case. I vostri genitori saranno informati di quanto accaduto e non interferirò con le punizioni che vorranno darvi.”

Ron e Neville sentirono i brividi freddi lungo la schiena. La signora Weasley aveva anni di esercizio alle spalle nell’elaborare punizioni e rimproveri per i propri figli.

Ginny sapeva che avrebbe ricevuto un trattamento diverso dal fratello, meno… esplosivo sperava.

Neville non sapeva a quale aspetto avrebbe dato più peso la nonna: alle regole che non aveva seguito o al fatto che fosse stato così coraggioso da entrare in battaglia. Di certo l’occasione di sgridarlo non le sarebbe sfuggita.

Silente proseguì:

“La decisione comune è stata di togliere quindici punti a tutti coloro che hanno contribuito a questo progetto, direttamente o indirettamente.

Quando farete il calcolo vedrete che lo svantaggio rispetto alla Casa dei Serpeverde è significativo per tutte le altre tre.

Questo spero sarà sufficiente a farvi desistere da ulteriori comportamenti che possano recare danno a voi e alle vostre Case.

Il prossimo passo, se lo renderete necessario, inciderà sull’attività scolastica. Molti di voi sono o sono stati prefetti delle rispettive case. Dovreste ricordare che è vostro compito mantenere le regole e non cercare di aggirarle.

Credo che questo sia sufficiente per la maggior parte di voi. Come vedete abbiamo scelto di non toccare il quidditch, le uscite a Hogsamede o gli incontri dell’E.S . Non fateci cambiare idea. Abbiamo anche compreso in modo chiaro la richiesta di essere parte attiva di questo scontro. Ne terremo conto. Quando l’Ordine avrà definito un piano d’azione vi saranno comunicati quelli che potranno essere i vostri compiti di sostegno all’attività. Un ruolo attivo sarà accordato solo ad alcuni di voi e solo se lo accetterete.”

Adesso dovrei parlare con il signor Potter e la signorina Weasley. Gli altri possono tornare alle loro attività.”

Uscirono tutti in silenzio, a testa bassa, alcuni facendo calcoli di quanti punti aveva perso la propria casa. Ritornarono nelle Sale Comuni, tutti informati della prossima riunione che si sarebbe tenuta dopo pochi giorni per decidere cosa fare per il futuro.

 

Nell’ufficio del Preside rimasero solo Harry e Ginny.

“Signorina Weasley. Vorremmo che lei ci riferisse il più possibile con esattezza quanto le ha detto Voldemort quando ha parlato del diario e di quanto accaduto quattro anni fa.”

Ginny cercò di ricordare il più possibile quali fossero state le parole dell’Oscuro Signore, ma le tornavano alla mente con maggiore chiarezza la paura e quello sguardo di sangue puntato su di lei. Non aveva parlato a nessuno di un incubo di due sere prima che l’aveva lasciata tremante, seduta sul letto, nel tentativo di allontanare dalla mente quell’immagine di morte.

“Non ricordo esattamente tutto, Preside. Mi ha detto che era stato piacevole conoscermi, se era cambiato qualcosa da allora e che avevo perso l’occasione di diventare importante. Poi voleva solo uccidere anche me con Harry.”

Il tono della voce, chiaro e sicuro, non lasciava trasparire la preoccupazione che in realtà Ginny stava provando. Perché quelle parole erano importanti?

 

Non voleva passare di nuovo attraverso il dolore e la solitudine del suo primo anno. Era sola e sconfitta in quei mesi, senza l’appoggio di nessuno con il quale confidarsi, incapace di comprendere cosa le stava accadendo.

Era appena arrivata in posto nuovo, non aveva amici, solo un sogno di piccola adolescente nei confronti dell’amico del fratello, sogno che si era infranto davanti all’enorme errore che aveva fatto attirando proprio contro di lui l’ira e la paura della scuola.

Ci erano voluti due anni per superare il senso di colpa e di inettitudine che l’avevano attanagliata.

Aveva accettato solo l’aiuto paziente, silenzioso e affettuoso dei suoi genitori in quel periodo, i quali erano riusciti a farle ritornare il sorriso e la sicurezza in se stessa.

Sapeva di essere maturata molto, ma non intendeva ripetere l’esperienza. Quegli occhi di ghiaccio rosso che avevano accompagnato i suoi sogni di qualche giorno prima erano già abbastanza dolorosi.

“Sono passati quattro anni dal suo incontro con Tom Riddle, signorina Weasley. Credo che sia stato difficile superare quell’esperienza, ma adesso l’immagine che ho di lei, anche per quello che mi raccontano i suoi insegnanti e anche i suoi genitori che vedo sempre molto volentieri, sono di una giovane donna che esprime tutta la sua forza, determinazione e coraggio. Non sarebbe così facile ora per Voldemort avvicinarsi a lei, anche attraverso il meschino sotterfugio di un suo servitore. Credo però che quel coraggio che lei ha mostrato nel parlargli rappresenti, per Lui, una sfida troppo allettante per potervi rinunciare. Ha fallito una volta e potrebbe voler tentare nuovamente per dimostrare la sua abilità. Per questo motivo crediamo sia importante darle delle armi per difendersi.

Parteciperà insieme al signor Potter alle lezioni di Occlumanzia con il Professor Piton.”

Ginny rimase ferma, seria. Spostò solo leggermente lo sguardo dal Preside a Piton per pochi secondi.

“Va bene.” Si limitò a rispondere. Sentiva troppa confusione dentro di sé. Anche l’aiuto del Professor Piton era importante in quel momento per eliminare quello sguardo e quella voce, anche se provenivano dalla sua mente e non da quella di Voldemort.

Ginny non notò lo sguardo affettuoso di Silente, della professoressa McGrannit, della professoressa Sprite, del professor Vitius.

E non vide il lampo di dolcezza che attraversò lo sguardo del professor Piton, verso una ragazzina coraggiosa della quale sarebbe stato orgoglioso di essere il padre.

 

“Infine signor Potter.” Il tono di Silente divenne più paterno, se possibile.

“Siamo tutti consapevoli Harry che in questo momento porti il peso maggiore.

Per questo motivo dovrai però seguire Occlumanzia senza perdere alcuna lezione e dovrai fare delle lezioni supplementari con il professor Ash, Lion Ash.”

Silente indicò l’uomo con gli occhiali seduto in silenzio dietro a tutti. Egli chinò il capo in segno di saluto verso i ragazzi, con un lieve sorriso.

“Le lezioni ti serviranno a conoscere e utilizzare meglio la magia. Il tempo che sarà necessario dedicarvi non dovrà minimamente influire sul tuo rendimento scolastico o sulle altre attività. Siamo tutti pronti ad aiutarti Harry, ma devi riuscire a conoscere la tua impulsività e il tuo desiderio di farcela da solo. Per far emergere il meglio di te devi imparare a riconoscere e a evitare il peggio di te.”

 

Harry capiva il senso dell’ultima frase di Silente, ma la voglia di fare, di esserci era una spinta talmente forte che aveva difficoltà a trattenerla e controllarla.

Non si era trovato lui in quella situazione e in quel ruolo. Era stata una scelta di Voldemort. Ma adesso che era stato designato a combattere non intendeva dimostrarsi vigliacco o incapace.

Uscendo dalla stanza, preso dai suoi pensieri, non rivolse alcun sguardo verso Ginny, fino a quando arrivati in prossimità dei tavoli dove tutti si erano radunati per la cena, lei stessa non gli rivolse la parola.

“Quando hai la prossima lezione con Piton?”

Harry rispose automaticamente:

“Domani prima di cena. Un’ora circa.”

Entrarono in silenzio, perdendosi nella normale confusione della serata.

 

Arrivati al tavolo dei Griffondoro Harry prese posto di fianco ad Hermione e di fronte a Ron, mentre Ginny si sedeva di fianco al fratello. Tutti quelli che erano a portata di voce, rimasero in attesa di notizie.

Guardandosi attorno Harry vide le espressioni interrogative degli amici.

“Devo seguire delle lezioni supplementari con l’amico di Silente. Si chiama Lion Ash. Hanno a che fare con l’uso della magia da quello che ho capito. E devo continuare a vedere Piton, E devo smetterla di mettermi nei guai.”

Il tono rifletteva l’umore cupo. Tutti si girarono poi verso Ginny con la stessa muta richiesta.

Hermione chiese:

“A te cosa ha detto?”

“Devo fare lezione con Piton anch’io a quanto pare.”

“Perché” chiese il fratello.

“Perché Voldemort mi ha visto con Harry credo. E perché mi ha parlato.”

“C’entra con il dia…” Ron si ritrovò sullo stinco lo stampo di una scarpa di Hermione e il suo sguardo di fuoco che lo inceneriva sul posto.

Si rese conto all’improvviso che non era mai stato reso noto il ruolo di Ginny nello scontro della Camera dei Segreti, se non a pochissime persone al di fuori della famiglia. Guardò la sorella chiedendole scusa con gli occhi e lei accennò un sorriso.

Harry si rese conto in quel momento che Ginny non aveva detto una parola da quando Silente le aveva parlato in ufficio.

Se fosse accaduto sue anni prima lo avrebbe trovato normale, ma adesso no. Ginny non stava mai in silenzio, non accettava mai nessuna imposizione senza discuterla. Perché aveva accettato di lavorare con Piton?

Quando Voldemort le aveva parlato ad Hogsmeade aveva risposto senza incertezze, senza abbassare lo sguardo. Ora, mentre la guardava, sembrava solo stanca a triste.

Cercò il suo sguardo, ma era rivolto verso il piatto. Lo alzò per parlare con Hermione, davanti a lei, di lezioni e compiti.

Harry voleva una risposta.

 

Cercò di parlarle più tardi, ma Ginny si mise a studiare lontano da tutti, in Sala Comune. Apparentemente non c’era nulla di strano, era il suo quinto anno, aveva gli esami e doveva studiare molto. Rimanere concentrata era quello che ci si aspettava da lei.

Harry però aveva ancora la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Si chiese se doveva parlarne con Hermione o con Ron. Forse con Hermione, era più attenta allo stato d’animo degli altri di quanto non fosse Ron, anche se era la sorella. E Hermione avrebbe saputo trovare le parole giuste.

Forse però stava esagerando. Ginny poteva essere solo stanca e preoccupata per la situazione in generale.

Decise di aspettare e vedere cosa succedeva. Non si trovava molto a suo agio con l’immagine di Ginny in difficoltà che aveva bisogno di aiuto.

Era strano dato che anni prima le aveva salvato la vita, ma allora era solo la sorellina di Ron e lui aveva aiutato l’amico prima di aiutare quella piccola ragazzina.

Negli ultimi due anni era diventato amico di una ragazza sicura di sé, indipendente: lei aveva aiutato lui l’anno scorso.

Come si faceva ad offrire aiuto ad una ragazza, ad una amica, senza far credere a lei e a tutti di provare qualcosa d’altro nei suoi confronti?

E perché pensava una cosa così stupida? Erano amici, le voleva bene quasi come ad Hermione in fondo.

Harry sentiva che si stava addentrando in un terreno pericoloso e si concentrò nuovamente sui compiti. Molto più rilassante.

 

I pensieri di Ron erano altrettanto confusi. Aveva notato il silenzio della sorella, ma lo attribuiva alla punizione con Piton. Nessuno avrebbe accolto con piacere un impegno di quel tipo.

Hermione inoltre aveva preso alla lettera la promessa fatta alla signora Weasley e pretendeva di accompagnarlo alle medicazioni ogni giorno per controllare che non le saltasse.

Quella sera erano andati da Madama Chips dopo la riunione con Silente.

Per ora Ron sentiva la necessità di essere regolare: la schiena bruciava parecchio in alcuni momenti, soprattutto quando si muoveva di scatto o si chinava. La prossima settimana sarebbero ripresi gli allenamenti e non voleva doversi fermare.

Ne aveva discusso con Madama Chips.

Lei riteneva che non ci fossero particolari problemi, ma la schiena gli avrebbe fatto male ed era necessario mettere più unguento sulle ferite, anche dopo gli allenamenti. Ron sapeva che Harry non avrebbe avuto difficoltà ad aiutarlo, ma Hermione aveva acceso la conversazione intromettendosi senza che fosse richiesto.

“Dovresti aspettare un po’ Ron e lasciare che la schiena guarisca di più prima di sforzarsi.”

“Ma ho appena avuto l’ok di Madam Chips. Che problema c’è?”

Ron era seduto su un letto in infermeria, dietro un paravento a petto nudo, mentre Madama Chips passava l’unguento sulla schiena dove erano ben visibili i segni rossi delle ferite e i segni violacei e neri dei lividi lasciati dai massi che lo avevano investito. Le mani dell’infermiera non erano certo dolci e gentili. Stendevano l’unguento con rapidità e senza chiedergli dove facesse più o meno male. Ron ogni tanto stringeva gli occhi per il dolore, senza farsi sfuggire un gemito. Le mani si limitavano ad artigliare i bordi del letto.

Hermione era dall’altra parte del paravento.

Tutti e due sentivano che la mancanza di un maglione addosso a Ron richiedeva la presenza di quel paravento, anche se entrambi desideravano, senza dirlo neppure a se stessi, che non ci fosse e che non ci fosse neppure Madama Chips.

Solo questo pensiero era sufficiente a Ron per rendergli difficile lo studio mentre era in Sala Comune, poche ore dopo.

Hermione aveva continuato.

“Non vedo perché devi insistere per allenarti anche quando non sei pronto a farlo. Ti farà male, dormirai male, giocherai male per il dolore accumulato.”

“Grazie per la fiducia. E’ proprio piacevole contare sugli amici.” Rispose sarcastico Ron. Si stava arrabbiando. Pensava che fosse così fragile?

“So che giochi bene Ron, ma sto dicendo che se ti curassi fino in fondo potresti giocare al massimo, senza rischiare.”

“Hermione, da quando te ne intendi di tattiche di gioco? Almeno in questo potresti lasciarmi l’idea che ne so più di te? Oppure intendi farne una materia di studio?”

Accidenti a lei. Stava guardando il paravento davanti a lui, con lo sguardo teso e arrabbiato, sapendo che lei era dall’altra parte e aveva lo stesso sguardo di disappunto e di ostinazione.

Invece Hermione era preoccupata più che arrabbiata. Non si fidava di Ron e di Harry per quanto riguarda la medicazione. Avrebbe scommesso qualunque cosa che si sarebbero dimenticati, presi dalla partita e dalla fame. Voleva che Ron stesse attento a sé, che si curasse, non che rischiasse di farsi ancora più male durante un allenamento, ma era ostinato quando si parlava di quidditch!

Ron si infilò maglietta e maglione in silenzio e uscì dal paravento pronto a dare battaglia.

Si trovò di fronte una Hermione seria e preoccupata, ma non arrabbiata.

“Beh, cosa c’è?” le chiese brusco “Hai esaurito le raccomandazioni?”

“Sei stupido, Ron, proprio stupido!”

Hermione gli girò le spalle e si incamminò spedita verso la cena, senza più rivolgergli la parola.

 

Hermione era davvero preoccupata, per tutto.

Per Harry, per il pericolo costante che lo circondava.

Per Ron che avrebbe fato qualsiasi cosa con Harry, anche farsi ammazzare.

Per Ginny, perché sapeva che c’era qualcosa che non andava, lo si vedeva dallo sguardo, dalla sua tristezza, ma non voleva parlarne.

E per se stessa, per tutti i suoi amici, per la sua famiglia che non sapeva nulla di Voldemort, ma rischiava quanto gli altri londinesi.

Aveva paura dei suoi sentimenti per Ron che diventavano sempre meno confusi, ma sempre più pericolosi.

Era preoccupata per l’affetto che la legava ad Harry, per l’amicizia che sentiva verso di lui: non voleva perderlo, non lo avrebbe sopportato.

Concentrarsi sui compiti ultimamente era una sensazione piacevole perché allontanava tutti questi pensieri.

Se solo Ron avesse collaborato in minima parte per diminuire le sue paure invece che aumentarle. Non gli interessava neppure la sua salute, ma solo il quidditch.

 

Anche se si trovavano vicini a studiare, quella sera, i loro pensieri erano lontani gli uni dagli altri, oppure erano legati in modo tale da essere ingarbugliati e non comprensibili.

 

Ginny era molto stanca. Studiare Storia della Magia non aiutava a stare svegli, ma voleva rinviare il più a lungo possibile in momento di andare a letto per non rischiare di ritrovarsi il volto di Voldemort davanti al proprio, che ripeteva la sua minaccia di morte.

Si ritrovò così a notte inoltrata da sola in Sala Comune. Tutti erano saliti nelle loro stanze.

Si fece prendere dalla stanchezza e dalla tensione e si appisolò su una delle poltrone, rannicchiata su se stessa, abbracciando un libro.

 

Harry sentiva la voce di Voldemort avvicinarsi. Era perso in un luogo buio, senza pareti, senza porte, galleggiando nel nulla. Aveva paura.

Sentiva forte il richiamo a rispondere, a parlare, come se volessero costringerlo a dire qualcosa. Si svegliò seduto sul letto, sudato.

Ron era seduto vicino a lui e lo stava guardando. Dagli altri letti, a parte Neville, tutti lo stavano osservando.

“Hai gridato Harry. Cosa è successo?”

“Un sogno. E’ passato. Tutto ok.”

“Che tipo di sogno?” chiese l’amico cercando di capire cosa poteva essere successo.

“Era tutto confuso, senza riferimenti. Sembrava che si aspettasse che parlassi.”

Harry non sentiva più la necessità di spiegare a Ron si chi stava parlando e Ron non aveva dubbi di chi fosse il protagonista degli incubi dell’amico. Avevano parlato sottovoce, mentre gli altri riprendevano a dormire.

“Vado in Sala Comune, non ho sonno adesso.”

“Vuoi compagnia?”

Ron era sveglio e lo aveva chiesto senza sbadigliare. Forse una partita a scacchi non avrebbe fatto male a nessuno dei due.

 

Quando arrivarono nel Salone, Dobby stava sistemando il camino. Era vestito come al solito, con calzini spaiati e un vecchio straccio verde come vestito.

Sorrise ad entrambi e entrambi erano felici di vederlo.

“Harry, signore. Dobby è contento di vedere che sta bene. Anche il suo amico sta bene.”

“Buonasera Dobby. Scusa se ti disturbiamo durante il lavoro, ma volevamo fare una partita a scacchi.”

“Lei non disturba, signore. Dobby può lavorare anche se loro giocano.”

Harry e Ron si misero sul divano con la scacchiera al centro.

“Signore…”

“Dimmi Dobby?”

“Perché la piccola signora rossa dorme lì?”

Dobby indicò Ginny, profondamente addormentata.

Né Harry, né Ron l’avevano vista. Pensavano di essere soli.

Si guardarono, ma entrambi pensarono che doveva essersi addormentata studiando.

Ron la guardò sorridendo.

“Lasciamola dormire. Non credo che le piacerebbe essere svegliata.”

Cominciarono la partita, mentre Dobby finiva di spolverare il camino.

 

Il primo a sentire i lamenti di Ginny fu Ron. Nel pieno di una mossa di scacchi si girò a guardare la sorella. Si stava muovendo nella poltrona e sembrava stesse piangendo sottovoce.

Rimase a osservarla, poi guardò Harry, timoroso.

“Faceva lo stesso dopo l’incontro con Riddle… ha avuto incubi per parecchi giorni.”

Si alzò e andò verso la sorella. Si inginocchio di fianco a lei e cominciò a chiamarla dolcemente.

Lei sembrava non sentirlo e continuava in quel pianto sommesso senza lacrime.

Harry si avvicinò alla poltrona. Stava male per lei. Forse perché ci era appena passato anche lui sentiva il bisogno di fare qualcosa per l’amica, ma non sapeva cosa. Negli incubi sei costretto a fare tutto da solo, non c’è nessuno con te.

Ron le accarezzò un braccio, ma Ginny non si svegliava. Prese il libro, guardò di cosa si trattava e lo buttò a terra. Se si fosse trattato di un diario lo avrebbe gettato nel camino!

“E’ come cercare di svegliare te, Harry.” gli disse preoccupato.

Cominciò a scuotere la spalla della sorella con maggiore decisione e a chiamarla a voce alta.

Ginny improvvisamente aprì gli occhi. Era terrorizzata. Si guardò attorno, ma non capiva dove si trovava. Sentiva la voce di Ron, ma non lo vedeva.

Poi riuscì a mettere a fuoco il volto del fratello e gli gettò le braccia al collo, stringendosi a lui.

Ginny sentiva il cuore batterle in gola, aveva i muscoli tesi e irrigiditi, sentiva freddo e desiderava solo avere vicino qualcuno che le dicesse che quello che aveva visto non era vero, che era un sogno.

Ron, in ginocchio davanti a lei, la abbracciò, la cullò dolcemente, chiamandola per nome, rassicurandola. Le accarezzava la schiena lentamente.

Harry non aveva mai visto l’amico così affettuoso e dolce con qualcuno, neppure con la sorella. Era struggente vederli insieme.

Rimasero così per alcuni minuti. Harry cominciava a sentirsi di troppo, quando Ginny si mise seduta e chiese a Ron.

“Come mai siete scesi?”

“Harry ha avuto un incubo e stavano giocando a…”

Ron si fermò perché la sorella si era rivolta a Harry e con gli occhi sbarrati aveva esclamato:

“Anche tu lo hai sognato?”

Harry la guardò, con gli occhi socchiusi, meravigliato.

“Se intendi Voldemort, sì. Lo hai sognato anche tu?”

“Sono rimasta qui vero?” Ginny guardava entrambi preoccupata. Aveva lo sguardo angosciato.

“Ginny, non ti sei mossa. Stai tranquilla piccola.” Ron le aveva parlato sottovoce, toccandole un braccio.

“Non sono andata in giro? No, davvero?”

“No, Ginny, no. Siamo qui da un bel pezzo e c’era anche Dobby fino a poco fa. Sei rimasta sempre qui.”

Ginny lo abbracciò di slancio.

“Non voglio farlo di nuovo, non voglio.”

Ron la abbracciò stretta cercando Harry con lo sguardo preoccupato.

Harry si inginocchio di fianco all’amico. Ginny sembrava tornata la ragazzina di quattro anni prima, tremante e insicura.

Doveva essere costante la paura di ricadere nelle grinfie di Riddle, nonostante il tempo fosse passato e il ricordo ormai lontano. Aver visto in faccia nuovamente il suo incubo doveva aver risvegliato l’angoscia di tanti anni fa.

“Ginny non ti sei mossa di qui. Non hai fatto nulla. Domani ne parliamo con Silente se vuoi. Lui mi ha aiutato molto durante i miei incubi.”

Ginny alzò lo sguardo verso di loro. Aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva. Con voce molto più sicura disse:

“No, abbiamo già l’incontro con Piton, ne parlerò con lui e poi deciderò.”
Harry e Ron si guardarono sorpresi. Aspettare l’opinione di Piton non sembrava a loro una grande idea. Avrebbe solo sbraitato qualcosa sull’importanza di essere fermi e sicuri di sé, sulla forza dell’Oscuro Signore senza dare soluzioni a nessuno. Ma Ginny sembrava tranquilla così. Aveva gentilmente allontanato Ron, sorridendogli lievemente per rassicurarlo e stava cercando il libro che stava studiando prima di dormire.

“Cosa hai sognato Ginny?” chiese Ron.

“Non lo so esattamente. Mi ricordo il buio e quegli occhi rossi. Mi sembrava di essere di fronte a lui di nuovo.”

Non c’era bisogno di specificare di chi si trattasse.

“Beh, è stata una brutta esperienza Ginny, parlarci insieme di nuovo. E’ ovvio che ti rimangano degli incubi!”

Per Ron era tutto molto chiaro e lineare!

Ginny avrebbe voluto essere sicura come lui, ma Ron non poteva capire quanto ti entrasse dentro Voldemort. C’erano stati dei momenti, durante questi anni, nei quali si chiedeva se la rabbia che sentiva verso gli amici o i fratelli o i genitori, anche per piccoli sciocchi litigi, era uno strascico dell’aggressività alla quale l’aveva portata quell’essere malvagio o era solo una parte di lei che esisteva perché era naturale sentire emozioni e sentimenti positivi e negativi nella propria vita.

Si era chiesta se la cattiveria che lei aveva messo in atto verso Colin o Hermione o Miss Purr potesse esserle rimasta dentro e se potesse venire fuori all’improvviso, di nuovo senza controllo, senza una sua precisa volontà.

Non si sentiva simile a Harry in questo.

Harry aveva sempre combattuto contro Voldemort, non aveva mai fatto nulla contro i suoi amici, neppure costretto da altri. Anche quando era stato attirato al Ministero della Magia, l’anno prima, aveva cercato di avvisare Piton, aveva combattuto contro i Mangiamorte, aveva sfidato Voldemort.

Lei aveva nascosto tutto, aveva solo cercato di allontanare da sé quel diario, ma in realtà non aveva fatto nulla per battersi, mai.

Si sentiva così incapace mentre ripensava a tutto questo, così sciocca.

Almeno gli incontri con Piton l’avrebbero aiutata a costruirsi una difesa, anche se ormai per Voldemort era solo una ragazzina che aveva perso l’occasione per diventare una persona importante.

 

In silenzio Ginny tornò al proprio dormitorio, facendo un cenno di saluto ai ragazzi. Ron ed Harry si dedicarono a terminare la partita.

 

Il giorno dopo, a colazione, si diffuse la voce che dalla capanna di Hagrid qualcuno aveva visto spuntare il fumo del camino.

Harry desiderava solo poterlo rivedere. Si accordò con Ron e con Hermione per fare un giro veloce da lui prima dell’incontro con Piton.

 

  
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