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Autore: Aerius    12/10/2009    2 recensioni
[Spawn]
Harald la sentiva sopra di lui, come una seconda epidermide, ma era.. strana, era.. nera, era.. solo ora lo comprendeva: era carne morta. Era diventato esattamente quello che gli promesso l’uomo in bianco, lo sentiva. Aveva avuto potere e potenza. Aveva avuto la possibilità di perseguire i suoi obiettivi.
[tratta da: Spawn]
Genere: Azione, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Spawn the crusader

E rieccomi! Mentre mi spremo quei pochi neuroni che mi restano per tentare di mettere insieme un cap 30 per il Signore dei Kunai, mi sfogo con una piccola one-shottina ^_^ E' tratta da Spawn, un personaggio non molto conosciuto, uno dei pochi che si può arrogare il diritto di essere un Supereroistico-Horror. E parlo per esperienza personale <__<"

Il personaggio preso di mezzo quindi NON è uno facile, soprattutto come contesto. C'è un motivo per cui questa storia è a rating Arancione. Ho tentato infatti di riprendere il fumetto, di esserci quanto più possibile fedele in termini di tratto, non di storia, perchè la storia del fumetto non ha nulla a che fare con la mia, quindi mettetevi il cuore in pace che non spoilero assolutamente nulla u__u

Altresì mi ritengo in dovere di avvertire che: 1- è una storia estremamente sanguinosa, come lo è anche il fumetto, e 2- è anche irriverente, tanto quanto lo è il fumetto, riguardo la religione. Chi ha mai letto Spawn sa di che parlo <__<

Non ho altro da dire se non: buona lettura! ^^

 

Spawn: The Crusader

 

 Quel giorno il deserto dava il meglio per rendere un vero inferno la traversata dei cavalieri che da Damasco avevano intenzione di raggiungere i piccoli abitati che componevano la campagna circostante della città.

 Seconda o terza crociata, Harald non ricordava. Ricordava ormai solo il sole e il vento bollente sul suo volto. Sapeva solo che finalmente quel re inglese, Cuordileone come si faceva arrogantemente chiamare, aveva conquistato Damasco.

 La cotta di maglia era una tortura, così come anche l’elmo e i gambali e i guanti d’arme, il sole li rendeva roventi, suscitando subito un gran disagio. Ma Harald era un veterano e un esperto, conosceva quel malessere e sapeva come combatterlo: foderando la zona fra metallo e pelle di stoffa e cuoio, il dolore si riduceva di molto.

 Ma quel giorno il clima di quei luoghi stava dando il peggio di sé: la sua compagnia composta da dodici cavalieri, trenta fanti, e un tot di arcieri si stava trascinando avanti a fatica, oppressa dagli usberghi e dalle maglie di ferro. Lui stesso, oppresso da quel clima implacabile aveva avuto un paio di allucinazioni in cui gli era parso di rivedere le nevi della Norvegia, la sua terra, dove lo stavano aspettando un podere, una bella moglie piacente e una cantina piena fino all’orlo di idromele speziato.

 Fermò all’improvviso il cavallo, tirando le redini e alzando una mano –alt!- disse, ad alta voce –accampiamoci lì- aggiunse, indicando poco lontano un’oasi. Da lì era possibile distinguere un placido laghetto e un’ampia macchia d’ombra formata dalle palme.

 -Sia lodato Gesù Cristo!- esclamò il portabandiera, molto più sofferente di Harald. Diramò gli ordini e subito la colonna di guerrieri si dispose lungo le rive del laghetto, correndo e schiamazzando, entusiasti della fonte di refrigerio che il loro capitano gli aveva appena fatto trovare.

 Ma Harald provava solo disgusto: non era giunto fin lì per fermarsi in un’oasi, aveva una missione da compiere, per quanto insignificante che fosse.

 Dal vescovo di Damasco e con la benedizione di re Riccardo aveva ricevuto l’ordine di “ripulire” la campagna circostante dei cosiddetti infedeli. Chiunque non credesse nel Signore e in Gesù Cristo doveva subire una morte lenta e dolorosa per scontare il peccato della sua assurda eresia.

 E Harald giudicava tale missione una perdita di tempo e risorse. Lui non doveva, non voleva essere lì, fra quei peccatori di poco conto! Le vere eresie, i veri peccati si trovavano nei potenti, non nei miserabili che non meritavano più attenzione del fango sui suoi stivali.

 Era stanco di essere sfruttato come spazzino della Cristianità, lui sognava grandi battaglie e bagni di sangue in mezzo a cavalieri corazzati, e picchieri, e fanti, e arcieri, non contadini, donne e bambini. Le razzie e gli stupri, per quanto divertenti e svaganti, dopo un po’ diventavano monotoni.

 No, lui credeva davvero nel Signore. Credeva davvero che ammazzando e massacrando infedeli, per quanto indifesi e deboli fossero, avrebbe avuto un posto sicuro in Paradiso. Ne era sicuro, non ne dubitava, la sua fede era di granito, e proprio per questo motivo si è unito ai Templari, anche se dopo la disfatta di Gerusalemme accaduta anni fa, erano in pauroso declino. Per tale motivo, pensava di essere uno degli ultimi Templari in Terra Santa, ma portava ancora con orgoglio la sua bianca armatura rosso crociata e i gradi che si era guadagnato col sangue versato di centinaia, anzi migliaia di infedeli. Per i suoi uomini era quasi una leggenda.

 Da questi pensieri lo riscosse un grido. Stava legando soprappensiero il suo cavallo, quando lo sentì, ben conosciuto, il grido di un uomo ferito a morte. Si voltò di scatto, e un gelo conosciuto, quello della battaglia, gli si iniettò nelle vene.

 Dalla riva opposta si erano schierate tre file di arcieri moreschi, intabarrati nelle loro scure e lunghe vesti, fra le mani i loro archi corti che stavano distribuendo morte fra i suoi uomini. Molti infatti, presi dall’entusiasmo si erano spogliati e stavano facendo il bagno, quei cretini figli di vacca.

 -Alle armi! Ci attaccano!!- Harald sentì urlare, mentre egli stesso stringeva le cinghie dell’elmo sul suo capo ed estraeva la spada. Imbracciato lo scudo, si lanciò verso i mori seguito da uno sparuto gruppetto di fanti che avevano avuto l’accortezza di non liberarsi dell’armatura.

 -Avanti, contro il nemico! Ammazzate quei cani!- li incitò, alzando la spada verso l’alto –Dio lo vuole!- una freccia volò verso di lui, ma la intercettò alzando il suo scudo rosso crociato, ove si infisse. Tutto intorno a lui, cavalli e uomini morivano sotto il fuoco serrato dei saraceni, in laghi di sangue, alcuni vestiti, alcuni ancora nudi, con gli occhi vacui aperti per la sorpresa.

 -Gli scudi sopra la testa, branco di cretini!- urlò comandi verso i suoi, tentando di ostacolare i dardi mortali dei suoi nemici. Tutto il suo contingente di arcieri era già stato annientato, rimanevano solo lui e quel gruppetto di guerrieri che si portava appresso. Poteva vedere i mori indicarlo, indicare il suo scudo, le sue vesti, additarlo per bersagliare lui più di tutti gli altri. Altre tre frecce si infissero con schiocchi sonori sul suo scudo levato.

 -Tu!- urlò verso un ragazzetto di non più di vent’anni –in qualità di Templare e Cavaliere di Norvegia al servizio di Riccardo Cuordileone, ti nomino sergente!- il ragazzetto spalancò gli occhi sconvolto e sorpreso –prendi questi uomini e portali via! Io li tratterrò!- gli ordinò ancora, facendogli gesti eloquenti con la spada. Tre uomini ancora caddero, sotto la pioggia serrata di dardi neri.

 -Ma.. capitano.. noi..!- tentò di protestare il ragazzo.

 -Non discutere, sciocco idiota figlio di cagna! La vita di trenta infedeli non vale quella di un solo cristiano! Quindi- tenendo lo scudo dietro di sé, infisse la spada nel terreno morbido e con la mano libera prese il colletto del ragazzo, ringhiandogli a tre centimetri dal viso –porta subito via questi uomini! Sono un Templare e se non esegui subito gli ordini potrei pensare che tu adori la sozza divinità di quei cani neri!- mollò il colletto dell’usbergo di maglia del ragazzo, indicandogli con la mano libera un sentiero –di là, adesso! Andate, rognosissimi bastardi!-

 Con un gesto rabbioso, estrasse nuovamente la spada dal terreno. Ormai il suo scudo era quasi totalmente coperto di frecce, e faceva fatica a sostenerlo. Ogni altra freccia che si infiggeva sulla sua protezione equivaleva a un doloroso brivido lungo il braccio.

 Sul suo volto barbuto si dipinse un sorriso soddisfatto mentre quel piccolo contingente di soldati che era riuscito a salvare si allontanava lungo un sentiero coperto. Le maledette frecce nere di quei cani moreschi non riuscivano a raggiungerli.

 -Figli del Diavolo! Siete nati come codardi, e da codardi mi ucciderete, sempre che ci riusciate!- li insultò Harald da dietro il suo scudo. In risposta, una freccia valicò la sua difesa, trapassandogli una gamba.

 Il templare cadde in ginocchio, col sangue che copioso scorreva fuori dalla ferita, insozzando la sua candida veste.

 -Maiali siete e maiali restate! Cento frecce e una sola ferita! Fate schifo, lo sapete!?- li insultò ancora, mentre tentava disperatamente di resistere dietro lo scudo, che per il peso ormai insopportabile poggiò a terra. Il braccio con cui lo reggeva tremava dal dolore e dallo sforzo.  

 Tenendolo in equilibrio, tentò di rannicchiarvisi dietro, ma la sua speranza di sopravvivere era vana: dallo stesso varco da cui i suoi uomini erano fuggiti, vide avanzare al galoppo un gruppo di arcieri a cavallo, avvolti tutti in ampie vesti scure, puntando i loro archi su Harald.

 Prima che potesse fare qualunque cosa, tre frecce gli trafissero le braccia e una quarta gli trapassò il torace all’altezza del polmone destro.

 Il fiato gli mancò all’improvviso, mentre cadeva all’indietro come una bambola rotta, le sue armi che cadevano a terra prive della sua ferma mano che le impugnava.

 Per un attimo fu pace, niente frecce, niente mussulmani, niente nemici, niente sangue.. ma il sangue c’era, dalle sue numerose ferite ne scorreva parecchio che ormai aveva formato una larga macchia sotto di lui.

 Fu allora che lo vide.

 Al limitare dell’oasi vi era un uomo vestito con un ampio e lungo saio bianco, abbastanza lungo da non vederne i piedi. Forse era un monaco di qualche ordine, fu per questo che con voce impastata nel sangue esalò –vattene.. i mori..-

 -Oh, non mi preoccuperei per loro- disse il monaco bianco, con voce noncurante –ora stanno spogliando i cadaveri dei tuoi ex-commilitoni-

 Harald strizzò gli occhi: un attimo prima quel bianco monaco era sul limitare della selva dell’oasi, ora era inginocchiato al suo fianco.

 -Ma.. ma.. cosa..?- non riusciva a parlare bene, e l’emorragia continua gli stava togliendo pian piano le forze.

 -Eh già, sembrano proprio averti dimenticato- continuò l’apparente monaco, con aria indifferente e divertita. Harald vide che aveva la pelle bianca e pallida, come quella di un nobile, capelli neri come l’ala di un corvo, e dei piccoli baffetti, come erano usi i nobili francesi. E dagli occhi vedeva trasparire divertimento e noncuranza.

 -Tu.. i mori.. tu.. scappa..- biascicò Harald, tentando vanamente di rialzarsi.

 -Ssh, fermo, amico mio, non sprecare vanamente le tue forze- lo consolò con finta aria dispiaciuta. Anche nello stato pietoso in cui si ritrovava, Harald avverti che il monaco era tutt’altro che dispiaciuto della sua morte. E solo ora notava un’altra cosa: i mori non avevano dato segno di averlo visto, per loro quel bianco sacerdote era invisibile.

 -Sei.. sei la morte..?- biascicò ancora il templare, guardando terrorizzato oltre il dolore quell’uomo bianco vestito.

 In risposta, l’uomo rise, una risata acuta e divertita, come se prendesse in giro l’uomo morente che aveva affianco –no, non sono la morte, posso però affermare che quando appaio qualcuno muore- un sorriso sadico e malevolo apparve sul suo volto. Molte volte Harald aveva visto quel sorriso quando trattava con re, regine e mercanti. Un rivolo di sudore scese lungo la tempia.

 Stava mercanteggiando la sua anima.

 -Beh, prima che tu muoia, vorrei informarti: mi chiamo Mammon e rappresento il demone Malebolgia, signore dell’ottavo cerchio- Harald trasalì. Nello stato in cui era, credere che aveva davanti agli occhi un demone non era affatto difficile.

 Senza aspettare una replica dal templare morente, Mammon continuò –vedi, io recluto guerrieri per le armate infernali, e tu, amico mio, saresti un Hellspawn perfetto..- il tono del bianco monaco era lento, caldo, suadente, con una nota di indifferenza che lo rendeva quasi ammaliante, irresistibile -..infatti sei feroce, brutale, spietato, una vera macchina fabbrica morte- Mammon guardò l’uomo morente come un padre che osserva il figlio dormire –insomma, per farla breve, tu giuri fedeltà eterna al mio signore Malebolgia e in cambio esaudiremo il tuo desiderio. Semplice no?- terminò di dire l’uomo in bianco.

 Harald scosse il capo, alcune lacrime e gocce di sudore scendevano dai suoi occhi e dalle tempie –mai.. non accetterò mai..- mormorò appena. Sentiva che la morte lo stava reclamando –sei un demone, un rifiuto del Nostro Signore.. mai..-

 L’ampia risata acuta e divertita di Mammon gli perforò i timpani –Nostro Signore! Eppure è proprio a causa di questo tuo Signore che sei a terra, sanguinante, morente, è a causa di questo tuo Signore che il tuo intero battaglione è stato massacrato fino all’ultimo uomo!-

 -No!- esplose in un impeto di grido. Un getto di sangue gli uscì dalla bocca, alto, per ricadere sul suo volto. Dalla riva del laghetto dell’oasi, un arciere mussulmano si alzò ed estrasse un pugnale. A passi lenti, iniziò ad avvicinarsi.

 -No..- disse ancora, la voce ridotta a un sussurro inconsistente –si.. si sono salvati.. i più giovani.. i migliori..- lo disse con un sorriso, come se fosse fiero della sua impresa.

 -Davvero?- disse Mammon, con un mormorio velenoso. Con delicatezza voltò la testa dell’uomo verso il gruppo di mori che costeggiava il laghetto. Sulla sella di uno dei loro cavalli vide la testa del ragazzo da lui promosso sergente qualche momento prima.

 -Siamo sinceri, questo tuo “Signore”..- l’uomo in bianco mise enfasi nella parola, come se fosse qualcosa di putrido e insignificante -..pensi davvero che ti lascerà fare giustizia? No, ti accoglierà e ti relegherà a qualche incarico d’ufficio, tipo spazzare il pavimento al cielo di Saturno.. ma io invece ti offro potere e forza per perseguire i tuoi obiettivi!- la voce del candido uomo si insinuò come un serpente nella mente già vinta di Harald -..Dio, Satana.. che valore vuoi che abbiano? Non capisci che è l’umanità a detenere il vero potere? Che sei tu la forza e non loro? Abbraccia Malebolgia, diventa Hellspawn, e ti garantisco che farai scorrere ancora moltissimo sangue mussulmano!-

 Bastarono quella ultime parole a sancire il destino di Harald.

 -Si..- mormorò infine. L’arciere col pugnale era infine arrivato sopra di lui. –si..- un sorriso sghembo, perverso, si disegnò sulle labbra del templare. L’arciere sopra di lui, brandì il pugnale e lo trafisse, una, due, tre volte. Il sorriso permase sul volto di Harald, anche quando la vita abbandonò il suo corpo.

 

 

 -GYAAAAARRRHH!!- un urlo spezzò il silenzio della fredda notte del deserto. Il corpo dell’uomo che una volta era Harald Osteinsson, templare di Terra Santa, si mosse, rotolò, gemendo di dolore, stringendosi le braccia attorno al corpo.

 Harald lo sentiva, fuoco vivo che scorreva dentro ogni sua vena, che lo faceva contorcere, un dolore indicibile, una spinta d’adrenalina che fece si che le maglie metalliche dell’usbergo della sua bianca armatura si spezzassero e cadessero a terra. Solo allora vide.

 Dalle ferite riportate, quelle dovute alle frecce e al pugnale, l’uomo vide che usciva una sostanza nera, viscosa, simile a una cosa chiamata petrolio che ha trovato spesso lì in Terra Santa. E quella cosa orrenda scorreva lungo il suo corpo ricoprendolo e strappandogli singulti di acuto dolore. Dove la cosa nera e viscosa non trova spazio per uscire, perforava la pelle ancora pulsante dell’uomo come uno spuntone, per uscire all’aperto.

 E infine finì. Harald la sentiva sopra di lui, come una seconda epidermide, ma era.. strana, era.. nera, era.. solo ora lo comprendeva: era carne morta. Era diventato esattamente quello che gli promesso l’uomo in bianco, lo sentiva. Aveva avuto potere e potenza. Aveva avuto la possibilità di perseguire i suoi obiettivi.

 -Bella vero?- sentì dire una voce alle sue spalle. Harald si voltò di scatto, Mammon era dietro di lui, pigramente appoggiato a un albero –necroplasma aderente ai tessuti morti della struttura umana.. geniale, non trova, amico mio?-

 -Non sperare nella mia obbedienza, Mammon- Harald si stupì della sua voce, che era diventata un sussurro roco e affilato –io appartengo soltanto al mio Signore, solo a lui obbedirò. La mia anima e la mia fede sono intatte-

 E un’altra, l’ennesima risata priva di divertimento e velenosa dell’uomo in bianco spezzò l’aria –intatte?! Sciocco umano, è stata la tua fede a dannarti! Da quando hai tolto la tua prima vita, cristiana o mussulmana che fosse, da quando hai stuprato la tua prima donna, da quando hai trafitto il tuo primo bambino la tua anima è stata marchiata e dannata!- dice tutto ciò come se ne fosse fiero, come se elogiasse il figliol prodigo che tanto lo rendeva orgoglioso –non capisci, Harald figlio di Ostein e Hilda? La tua fede è stata la tua dannazione, per questo hai accettato la mia proposta- sussurrò infine, serafico. Harald cadde in ginocchio. Non poteva smentire nulla. –ormai i giochi sono fatti, Harald, ora fai pure ciò che vuoi prima che il mio signore Malebolgia ti richiami- lo informò Mammon, voltandogli le spalle e facendo cenno di andarsene –ormai è a lui che appartieni..- fu l’ultima cosa che Harald sentì da Mammon prima che questi sparisse nel nulla, come se non fosse mai esistito.

 Ma la carne morta e putrefatta che ora lo ricopriva c’era ancora. La sua fede nel giro di una notte era stata distrutta. Che gli rimaneva se non uccidere, uccidere, e uccidere ancora? E avrebbe iniziato ora, da coloro che considerava lo avessero condotto a quella dannazione.

 

 

 Ormai era notte inoltrata, e in quelle ore il deserto si trasformava, rendendosi oltremodo freddo oltre ogni possibile immaginazione. Le vesti dei beduini avevano infatti quella doppia azione di proteggere di giorno dai raggi solari e di notte dal freddo opprimente.

 Una truppa di arcieri a cavallo stava lentamente dirigendosi a Damasco, lentamente, con molte soste, con l’intenzione di ricongiungersi all’esercito del Saladino che in quel momento stava stringendo d’assedio la città. Sapevano tramite dispacci che le trattative con il Cuordileone erano andate male, e che ora si preparava la battaglia, e loro volevano esserci, volevano spargere altro sangue cristiano.

 -Basta così, per oggi- disse il capitano, ordinando al gruppo di arcieri di fermarsi –proseguiremo domattina- e mentre scendeva da cavallo, sentì un fruscio, impercettibile.

 Si voltò di scatto, e sorrise: un topo del deserto era appena uscito da un cespuglio e lo guardava con  i suoi grandi occhi.

 Il capitano ridacchiò, poi chiamò –Sheera! Vieni qui a strigliare il cavallo!- ma non arrivò nessuno.

 Si guardò attorno, sorpreso: il suo scudiero, che durante gli attacchi era sempre in prima linea con gli altri arcieri, mai aveva mancato ai suoi doveri nei confronti del suo signore.

 -Sheera..?- provò a chiamare ancora, poi si rivolse ad un altro arciere –Mustafar, dov’è Sheera?-

 -L’ultima che l’ho visto era in retroguardia, prima dell’alba- gli rispose quello, tirando poi dritto verso un altro compagno che stava preparando la cena. Il capitano scrollò le spalle e si affrettò a seguire l’altro verso il rancio.

 Mentre si sedevano attorno al fuoco e consumavano lo scarso pasto, un vago, leggero, impalpabile senso di timore aleggiò nel gruppo. Qualcosa non andava.

 Il primo a capirlo fu il capitano, che lasciò cadere a terra la ciotola ed estrasse la scimitarra –dove sono Alì, Jafet, e Aziz?!- domandò, con il timore che trapelava dalla voce. Ora tutti se n’erano accorti. Erano pochi, molti meno di quando erano partiti.

 Poi lo sentirono, prima i passi, lenti, pesanti, ovattati dalla sabbia del deserto. Si poteva distinguere un suono metallico che la sabbia non riusciva a soffocare.

 Poi sentirono più chiaramente il suono di una spada tratta fuori dal fodero.

 E infine lo videro.

 Era come se tutti gli incubi fatti dai soldati di Saladino fatti sui cosiddetti europei si fossero concretizzati in un unico, solo, tremendo e terrorizzante incubo.

 Il Templare Nero, se così poteva essere chiamato, aveva addosso un’armatura nera, con decorazioni e bardature rosse, sull’ampio petto corazzato era evidente una croce rossa rovesciata, sormontata da un simbolo bianco che era riconducibile alla lettera M dell’alfabeto greco.  

 L’armatura della creatura, perché umano non poteva essere, era inoltre sormontata da spuntoni, teschi e catene, così come lo scudo, ornato nello stesso stile del petto, con croce rossa rovesciata e una M, bianca e limpida. All’interno dell’elmo nero, sormontato da una cresta apparentemente ossea, brillavano in corrispondenza degli occhi due malevole luci verdi che mandavano sinistri bagliori. Sulle spalle un rosso e lacero mantello frusciava e si muoveva, dotato di vita propria.

 L’intera figura era accompagnata da ombre più nere della notte che si muovevano alle sue spalle, sibilando, frusciando, emettendo osceni rumori gutturali.

-Il Signore dà, il Signore toglie- esordì con voce roca e tombale verso gli sconvolti e terrorizzati arcieri moreschi. L’inferno si era appena aperto di fronte a loro.

 Senza dire una parola, l’Hellspawn brandì la spada, un’arma enorme, solcata di incisioni di draghi e teschi, e rune incise lungo la lama. Tre teste caddero, dai colli spuntarono per un paio di secondi macabre fontane di sangue. L’Hellspawn si beò di quella vista, gli arcieri moreschi lo sentirono ridere, un suono orrendo, come di due rocce tombali che grattano fra loro. Alcuni erano paralizzati dal terrore, le gambe non rispondevano a quei poveri disgraziati. Dagli occhi verdi luminosi si dipanarono due raggi che colpirono coloro che erano troppo terrorizzati per muoversi. Due teste esplosero, con le cervella che si spargevano sul terreno e sull’armatura dell’Hellspawn.

 Gli altri corsero via. Corsero come se avessero il Diavolo alle calcagna, e non era lontano da verità.

 Harald li vide, tutti, correre via coloro che mancavano alla sua lista di vendetta. Alzò lo scudo intarsiato, che brillò per un istante di verde luce malvagia.

 Mentre correvano, i dieci arcieri sopravvissuti al massacro appena avvenuto si accorsero che una luminosa croce verde rovesciata brillava sul loro avambraccio.

 -Siete marchiati. Siete prede. Siete morti- udirono distintamente la voce del demone, diabolicamente amplificata, nonostante la distanza che li separava.

 

 

 Il più grande guerriero di quella che i cristiani chiamavano Terra Santa sedeva su uno scranno dorato, la testa mollemente poggiata su un braccio, gli occhi serrati. Ma Salah al-Din, il Saladino com’era chiamato dai cristiani, non dormiva, il suo pensiero andava oltre.

 Ormai da giorni stringeva d’assedio Damasco, ma il Cuordileone, per quanto stupido, era un buon comandante e respingeva ogni suo tentativo di attacco. Ma ciò non era suo unico motivo di cruccio.

 Nell’altra mano aveva infatti un dispaccio, scritto frettolosamente, da parte di un piccolo distaccamento di arcieri. E diceva che un demone stava attaccando le sue truppe.

 Il Saladino inarcò un sopracciglio: era troppo intelligente per ignorare e tacciare come fantasia una notizia simile. Certo, non pensava fosse un demone, non nel senso stretto. Molti guerrieri negli anni erano diventati tanto tremendi e temibili da essere etichettati come demoni, le loro armature insanguinate come testimonianza di tale diceria.

 Di questo ne era sicuro. Non era un demone, era semplicemente apparso un guerriero molto forte che stava decimando qualche idiota delle sue truppe che si ostinava ad andare in giro da solo.

 Ma venne bruscamente risvegliato da queste sue cupe riflessioni: nella sua tenda era appena entrato di corsa un soldato, un fante, affannato, stanco, che si inchinò profondamente, dicendo –o potente Salah al-Din, liberatore, c’è un messaggero che chiede urgentemente di vederti!-

 Il Saladino alzò gli occhi al cielo, sospirando profondamente –Allah, dammi la forza..- rialzandosi sullo scranno per darsi un’immagine, fece segno al fante di lasciar passare il messaggero.

 Entrò quasi di corsa, un arciere da come vestiva, con lo sguardo spaventato, gli occhi quasi fuori dalle orbite, tanto era il suo terrore. Sul suo braccio era possibile notare una sorta di strana voglia verde a forma di croce. Si buttò in ginocchio, disperato, in lacrime.

 -Oh, potente Salah al-Din, proteggimi!- piagnucolò urlando l’arciere –la maledizione di Allah ci è piovuta addosso! È qui!-

 Il Saladino lo guardò come se fosse pazzo. E forse lo era, anche.

 -Rialzati, e spiegati- ordinò secco dall’alto del suo carisma e della sua posizione.

 L’arciere era tanto terrorizzato da non riuscire a parlare –è.. è qui..- sussurrò a malapena, tremando come una foglia –il demone.. è qui.. ti prego..-

 Ma la preghiera si perse nel vuoto: una catena, veloce una vipera, rossa di sangue e incandescente, sbucò attraverso il buco dell’entrata della tenda, inaspettata, attorcigliandosi attorno alla caviglia dell’arciere, che urlò come una maialetto in procinto di essere sgozzato. Poi con uno strattone della catena, l’arciere venne trascinato all’esterno, sotto l’allibito sguardo del Saladino e del fante ancora presente.

 All’esterno sentirono tremendi suoni, riconducibili agli strozzati rumori di gola di un uomo sventrato, strappato, sgozzato. Una macchia di sangue si disegnò all’improvviso sull’esterno della tenda, visibile dall’interno grazie alle luci visibili all’esterno.

 E poi Salah al-Din lo vide. Il profilo dell’ombra del demone si profilò sull’entrata della tenda, terribile, tremendo. Anche se era solo un’ombra, Salah al-Din sentì un terrore inspiegabile prendergli il cuore. E vide gli occhi, due lanterne verdi, brillanti di odio, filtrare attraverso la stoffa della tenda. Il demone ristette lì un attimo, cupo, inquietante. Saladino non osò muoversi. Poi, con uno svolazzo del mantello se ne andò, allontanandosi dalla sua tenda a passi pesanti.

 

 

 -Dici che qui siamo al sicuro..?- disse una voce, spaventata, terrorizzata, non appena varcò la soglia che conduceva nella stanza. Il locale in cui si trovavano, un malfamato ritrovo di avventurieri di ogni genere e razza, era semivuoto, restava solo il barista dietro il bancone, che con aria annoiata osservava i due avventori appena entrati.

 Guardinghi, osservando le mura attorno a loro come se fossero cani in trappola, raggiunsero il bancone.

 L’oste li squadrò, perplesso: erano due arcieri saraceni, dai gradi riconobbe che uno dei due era un sergente e faceva parte dell’esercito del Saladino. Che ci facevano lì quando il loro capitano era a cinquanta miglia da quel luogo, e stava per iniziare l’assedio di Damasco?

E poi.. erano spaventati, odoravano di paura, di fifa allo stato puro che si sentiva a cinquanta metri di distanza.

 -V-vorremmo qualcosa di forte..- disse il sergente all’oste, con voce tremante.

 Senza dire una parola, porse a entrambi un bicchiere di whisky, sorpreso. Da quando i mussulmani bevono?!?

 E poi vede anche un’altra cosa: entrambi quei soldati hanno sul braccio una sorta di segno verde, una croce.

 Con un sospiro esasperato, si alzò. Si era già fatto un’idea –oh, diavolo- curiosamente, i due soldati davanti a lui, a quell’imprecazione saltarono su come molle, con gli occhi sgranati –sentite, non voglio avere grane con Templari, Ospitalieri, Domenicani, o chissà quali altri cazzi-

 I due lo guardarono un attimo sorpresi, ma l’oste continuò, ignorandoli –ora non so cosa siate, disertori, eretici, quello che volete, ma ora voglio che beviate i vostri whisky e ve ne usciate subito-

 Chiaramente i due arcieri mori non avevano capito granché, e stavano anche per ribattere aspramente, quando qualcosa li distrasse: entrambe le croci verdi sui solo bracci avevano iniziato a pulsare dolorosamente, e una strana, vaga, leggera luminescenza stava ora trapelando da essi.

 L’oste rimase vivamente sorpreso come quei due soldati, abituati a commettere le più tremende atrocità fossero spaventati come bimbi. Si guardavano l’un l’altro con espressioni di terrore pure sul volto, molto vicini alle lacrime addirittura.

 E poi anche l’oste lo percepì: un calo di temperatura incredibile, sudori freddi su tutto il corpo, brividi incontrollati. Le lanterne si spensero all’improvviso, come se qualcuno avesse soffiato forte su tutte contemporaneamente. Il buio calò nella stanza.

 -E smettetela- borbottò verso i due arcieri, che ora piagnucolavano piano, terrorizzati come femminucce –vado a prendere delle candele e poi ve ne andate tutti e due- e detto ciò, si alzò dal bancone, dirigendosi pesantemente nel retro, lasciando lì quei due cacasotto.

 -Davvero, ma dove andremo a finire, dico io..- mormorava intanto l’oste, mentre frugava fra le merci in cerca di candele -..ora mi arrivano in taverna pure saraceni rincitrulliti e completamente andati.. tsk..-

 E proprio quando riesce infine a riesumare dalle sue merci un paio di ceri, ecco che sente dalla sala comune provenire uno strano rumore. Come di qualcosa che si trascina, qualcosa di metallico..

 -Ehi, voi due, non fate troppi casini!- urlò di rimando, supponendo che quei due saraceni stessero facendo chissà cosa. In risposta sentì solo un suono soffocato, un piagnucolio seguito da un rumore forte, intenso, di qualcosa che viene strappato via.

 Di corsa, corre verso la porta che dà sul locale, aprendola all’improvviso e trovandosi davanti a..

 ..l’orrore, non c’è altro modo per descriverlo: il bancone i tavoli, le sedie, le bevande, era stato tutto spazzato via da una forza aliena, rimaneva uno spazio vuoto solcato di graffi, tagli profondi sulla pietra dura, e macchie, pieno di macchie rosse riconducibili tutte a sangue, del fuoco poi ardeva inspiegabilmente in alcuni angoli della stanza, uno fuoco ben strano, poiché agli occhi dell’oste pareva solcato di riflessi verdi e dotato di vita propria.

 E poi, crocifissi con punteruoli di ferro su mani e piedi sul muro, vi erano i due arcieri, sanguinanti, urlanti, singhiozzanti. Di fronte a loro, in piedi vi era il guerriero più sinistro che l’oste avesse mai visto. Senza neppure voltarsi, il guerriero disse –non immischiarti- poi alzò una mano: da essa un fuoco verde, malsano, inquietante, si sprigionò, carbonizzando le gambe di entrambi gli uomini crocifissi. Le loro urla riempirono la sala.

 -Per pietà, vi prego, basta!- urlava uno, mentre i suoi moncherini fumanti si muovevano inutilmente verso il basso.

 L’oste era paralizzato, sconvolto, terrorizzato –mio Dio..- riuscì solo a mormorare -..l’Inferno si è aperto nel mio locale..-

 E poi sentì un suono gutturale, ritmato. Il guerriero stava ridendo –no, uomo, tutto ciò è molto umano invece- disse mentre la mano veniva riabbassata sotto il rosso mantello che indossava. L’oste poté notare come l’armatura del guerriero, così rossa, così nera, così inquietante, a volte brillava come se all’improvviso diventasse rovente.

 -Tu non hai idea di cosa sia l’Inferno, piccolo uomo- disse ancora il guerriero, con la sua voce fredda, roca, come una lama arrugginita che gratta su una roccia –l’Inferno è non poter agire, è l’impotenza di fronte a eventi più grandi di te- un rumore di catene che si muovono si sparse nell’aria –è l’impossibilità di ottenere giustizia quando sai che è un tuo diritto- il rumore si fece più forte, poi all’improvviso dal corpo del guerriero come serpi due grosse catene spuntarono, avvolgendosi in spire sempre più strette nei due arcieri martoriati, stringendosi addosso a loro come pitoni, mozzandogli il respiro, strizzandogli gli arti, soffocandoli mentre le fredde spire metalliche si infilavano giù per le loro gole, e uscivano dalla loro pancia, praticando un orrido foro che stillava sangue come una fontana.

 -Tu stai solo vedendo l’opera umana, uomo- disse ancora il guerriero, apparentemente indifferente a tale macabro spettacolo, indifferente agli schizzi di sangue che si allungavano sulle sue vesti –sono loro che ora stanno provando l’Inferno- terminò di dire, indicando i due uomini mutilati appesi al muro con un gesto vago, mentre a passo lento si dirigeva verso l’uscita.

 

 

 Era l’ultimo. L’ultimo arciere di quella combriccola scellerata era ora davanti a lui, in lacrime, un uomo distrutto a cui Harald aveva appena inflitto tutte le torture a lui note.

 L’arciere era infatti privo di gambe e braccia, i moncherini non sanguinavano, erano stati cauterizzati probabilmente da una lama incandescente, come testimoniavano i tagli netti.

 Il busto era poi stato avvolto in catene, anch’esse incandescenti, come si poteva notare dai fili di fumo che si alzavano dalla carcassa morente dell’uomo, e sospeso in aria, le catene appese a un muro di pietra.

 Era buio, l’arciere non vedeva nulla, tranne il suo aguzzino di fronte a sé, sempre avvolto nella sua nera armatura. Nelle tenebre la croce rossa rovesciata e la bianca M rilucevano più vivide che mai. Gli occhi erano due fari verdi, pieni di odio.

 Da ore ormai non faceva più nulla. Non gli infliggeva dolore. Non trapassava le sue carni. Non lo torturava, usando metodi che la Santa Inquisizione stessa avrebbe trovato rivoltanti.

 Non faceva nulla, attendeva, semplicemente.

 -Ora basta, Harald- sentì una voce, nella sua semi-incoscienza, provenire da un angolo buio della stanza di pietra.

 -Hai perseguito i tuoi obiettivi e la tua vendetta- continuò la voce, che sembrava appartenere a un uomo –ammazzalo e vieni con me. È giunta l’ora che ti riunisca agli eserciti infernali-

 Il Templare Nero continuò a tacere, a guardare l’arciere islamico torturato e vessato con.. era paura, quella?!

 Poi si alzò, un gesto lento, sofferente e allungò la mano coperta dal nero guanto d’arme verso il mussulmano.

 Una vampa di fuoco lo investì, poi non sentì più niente.

 

 

 Harald osservava gli ultimi spasmi di ciò che rimaneva del corpo del moro, bruciato e fumante, con aria sconcertata. Quando non si mosse più, Mammon, dall’ombra gli arrivò affianco.

 -Ci hai messo un po’- fu il suo commento, velatamente acido. Aveva addosso un vestito bianco, una tunica, tipica dei nobili francesi di corte.

 -Non avevo fretta- fu la risposta fredda, secca, morta di colui che una volta era un Templare.

 Mammon fece un gesto stizzito col capo: improvvisamente dal pavimento di pietra sgorgarono fiamme, una scalinata si aprì, lambita da fiamme e ombre.

 -Malebolgia è vivamente incuriosito da te- commentò Mammon, con una certa perfidia –tu hai impiegato più tempo di tutti gli altri per i tuoi “obiettivi”- continuò, diabolico –diciamo che è un po’ contrariato per questo-

 Un gesto involontario, quasi innaturale, il capo che faceva un breve scatto verso il basso. L’Hellspawn provava timore, appariva riluttante nello scendere gli scalini che conducevano verso il basso, con le fiamme che non scaldavano la sua nera pelle morta.

 -Lo sai, ormai è tardi- aggiunge Mammon, falsamente consolatorio –almeno sii uomo e vai fino in fondo.. dopotutto non so quanto mi crederai, ma il Paradiso non differisce molto dall’Inferno-

 -Ho fatto ciò che credevo giusto- disse ancora Harald, con le mani strette a pugno, tremanti. Vaghe scariche verdi di potere si dipanavano dai tremori delle mani dell’Hellspawn.

 -Oh, per carità, non giustificarti in un modo così patetico!- rispose di rimando Mammon, deridendolo –è da quando tieni in mano una spada che commetti scelleratezze- rincarò, in tono dolce.

 -No, io ho combattuto per Dio! Per Nostro Signore Gesù Cristo!- replicò con rabbia Harald.

L’uomo in bianco sbuffò, spazientito –Gesù, cito testualmente, disse: “ama il prossimo tuo come te stesso”- breve pausa, affinché quella confusa creatura che era un Hellspawn assimilasse il concetto –tu hai mai amato, Harald? Qualcuno, qualcosa?- era un domanda di cui Mammon conosceva già la risposta.

 -Io.. credo di si..- rispose Harald, incerto. Ma sapeva che era inutile. Come poteva confrontarsi con un demone su questioni teologiche? Era ovvio che ne sapessero più loro di lui.

 -Nessuno, Harald, amico mio- rispose per lui Mammon, ignorando la sua risposta –tua moglie? È un oggetto di piacere per te, lo sai. I tuoi soldati? Se non fossero stati cristiani li avresti subito sventrati con le tue mani- un altro sorriso arrogante increspò le labbra dell’uomo in bianco –torniamo quindi al discorso che ti feci all’inizio, quando divenisti Hellspawn: la tua fede è stata la tua dannazione-

 Harald non disse niente, non diede nemmeno segno di aver sentito, e a capo chino si avviò lungo le scale che si abbassavano sempre di più, sempre di più..

 

 

 ..camminava ormai da ore, mentre ai lati si aprivano sempre più oscuri, sempre più vasti due enormi abissi dove ribollivano ombre e fuoco. A volte gli sembrava di scorgere dei volti fra le fiamme, facce orrende, deformate, ghigni demoniaci, occhi fiammeggianti che lo scrutavano perfidi.

 La scala finì e Harald si ritrovò in un’ampia pianura, brulla, desertica, priva di vita, dove si aprivano neri crepacci e si innalzavano sinistre colline. Sopra di lui un cielo rosso fuoco rombava cupo.

 E poi di fronte a lui, un trono di pietra, alto, enorme, su cui era seduto la creatura più sozza e orripilante che avesse mai visto: il corpo era enorme, deformato, grasso, trasbordante, la pelle scagliosa di un lucido verde acido, il volto una maschera orrenda di denti e aculei in cui si poteva leggere derisione e sadicità, i lunghi capelli bianchi che svolazzano sospinti da venti infernali e gli occhi malevoli, grandi, enormi, che squadravano la figura dell’Hellspawn come se fosse stato uno scarafaggio.

 Appena Harald giunse al suo cospetto, Malebolgia tese un artiglio. L’ex-templare cadde inspiegabilmente in ginocchio.

 -Ecco il nostro nuovo acquisto- pronunciò il Signore Infernale, con voce stridente e acuta, derisoria, divertita. Il ghigno di quel volto orrendo divenne molto più ampio.

 -Cosa ti aspetti ora, Hellspawn?- domandò ancora il demone, sporgendosi con aria di perfida curiosità verso Harald, che rimase immobile inginocchiato di fronte a lui.

 -Mammon ha detto.. che avrei guidato le truppe infernali..- rispose con un’incertezza che non era sua. Ma ormai lui chi era? Un uomo? Un demone? Nel giro di pochi giorni, Mammon aveva distrutto l’uomo ed innalzato sulle sue ceneri il demone.

 -Ma certo!- disse Malebolgia, come se fosse ovvio –ma all’Armageddon manca ancora un sacco di tempo! E non hai idea della noia che spira in questo posto..- finse concentrazione, pensiero. Da sempre il Signore dell’Ottavo Cerchio amava istillare tensione nelle sue vittime per i fati che riservava loro.

 Poi sorrise, un sorriso ampio e sadico –la tua anima sembra in conflitto. Lo sento, sai? Percepisco il tuo odio verso quelli che chiami mussulmani, ma sento anche che qualcosa bilancia ora il tuo odio. Risentimento, forse?- la sua orrida bocca si deformò in quella che era la parodia di un sorriso –dovremo eliminare questo bilanciamento. L’odio è il nutrimento di un Hellspawn, senza di esso, i suoi poteri svaniscono-

 -Così sia allora, non ci tengo a questo potere- ebbe la forza di rispondere Harald, inginocchiato ancora, incapace di alzarsi, l’armatura nera che ora pesava come piombo.

 A quelle parole, l’ira di Malebolgia fu tremenda. Dai crepacci neri eruttarono alte fiamme ruggenti. Il cielo si scurì, rombando potente, e Malebolgia urlò, gridò, ruggì, un’unica parola che animava la sua rabbia –MAMMOOOOOON!!-

 Dal nulla, affianco al trono, apparve la figura dell’uomo in bianco, calma, tranquilla, apparentemente serena. Stavolta aveva addosso le vesti di uno scrivano, sempre bianche, sempre candide.

 -SCHIFOSO FIGLIO DI UNA VACCA CELESTE!!- lo insultò Malebolgia, pazzo di rabbia e collera, con la bava che cadeva a terra dalla sua orrida bocca –CHE RAZZA DI PISCIASOTTO MI HAI PORTATO?!?-

 Mammon non rispose, si limitò a guardare Harald, ancora inginocchiato. Fece un respiro, profondo, infastidito, come se tutto ciò fosse solo un’interferenza, un fastidio che gli toccava risolvere.

 -È per via di questo dannato lasso temporale- disse, con aria palesemente stanca e altezzosa, distratta –tutti gli uomini seguono il Paradiso, e quelli che non lo fanno vengono ammazzati- ridacchiò, una risata derisoria, priva di ogni divertimento –parlano da santi e si comportano da demoni, e una volta reclutati, una volta che capiscono, il rimorso li prende e li rende inerti- parlava come se fosse una malattia. Malati di fede che dovevano essere sottoposti alla cura dell’Inferno –una seccatura invero. Suggerisco al mio Signore una pena terapeutica. Che ne dice di..- e poi le restanti parole furono brusio nelle orecchie di Harald.

 Parlavano come se lui non esistesse, non fosse altro che un bambolotto con cui giocare e buttare via una volta che non divertiva più.

 Tentò di alzare la testa e vide che Malebolgia sorrideva di nuovo. L’Inferno si era calmato, dai crepacci non uscivano più fiamme e il cielo era nuovamente rosso fuoco e rombava cupamente come sempre. “Come sempre..” pensò Harald “mi sto abituando a tutto ciò.. Signore, se puoi perdonami..” mai le sue preghiere gli apparvero insulse come ora.

 -Mammon, mi stupisco sempre delle tue trovate. Molto bene, spenderò ancora un po’ di energie su questo Hellspawn- proclamò il demone dal suo trono, ghignante –dopotutto sulla Terra ha fatto un ottimo lavoro..-

 -Lo sa, mio Signore, io non mi sbaglio mai quando si tratta di Hellspawn- affermò con falsa modestia l’uomo in bianco con un lieve inchino, quindi con uno svolazzo della tunica, sparì.

 Malebolgia tornò a rivolgersi ad Harald, che lo guardava con il suo vuoto sguardo verde.

 -I dogmi della Terra Santa ti hanno rovinato, mio Hellspawn, quindi..- e il ghigno si fece molto più largo -..ti mando in terapia-

 Attorno ad Harald vide aprirsi crepacci, il terreno brullo si fece instabile sotto di lui. Sentì ancora la voce del demone, magicamente amplificata parlare sopra il rombo della terra che sotto i suoi piedi si spezzava.

 -Per ogni giorno, per ogni notte da questo momento in poi fino all’Armageddon, tu ucciderai mussulmani, cristiani, ebrei, induisti, buddisti, ucciderai ogni religione finché non rimarrai senza religione, finché l’eresia non ti entrerà nel cervello e nelle ossa, finché la tua unica religione non sarà uccidere, uccidere, e uccidere ancora!-

 Il terreno si ruppe e Harald cadde, cadde, mentre attorno a lui si formavano tenebre che avevano le forme del viso del Signore dell’Ottavo Cerchio, tutte sghignazzanti, tutte sadiche.

 Cadde sul duro terreno con un tonfo, una terra sempre brulla, sempre morta, e sopra di lui un cielo cupo pieno di nere nubi si muoveva. Tutti intorno lui vedeva avanzare, lenti come zombie, cavalieri cristiani, arcieri mussulmani, e monaci tibetani, e altre centinaia di genti, tutti di diverse religioni che nemmeno conosceva.

 -Uccidili, Hellspawn! Odiali, e solo allora potrai ucciderli!- sentì dire la voce di Malebolgia, nell’aria, nel cielo, nella terra, ovunque –uccidili, o saranno loro a uccidere te! Odiali! Odiali finché l’odio non sarà la tua unica emozione! Finché i tuoi poteri non crescano fino a distruggere il mondo!-

 Aveva scelta? No. Aveva speranza? Nemmeno.

 -Io ucciderò, Malebolgia!- urlò nell’aria, sopra di sé, alzando l’enorme spada demoniaca sopra la testa –ucciderò fino a ricoprire questo deserto di cadaveri!- le catene che portava si animarono dotate di vita propria e iniziarono e stringere e stritolare nella loro stretta coloro che erano più vicini, fino a farli esplodere nel sangue. Ma Harald continuò a parlare, incurante –ucciderò finché non avrò ucciso la fede che anima queste persone! Ucciderò fino a cancellarle! E per tale motivo ricordati che un giorno ucciderò anche te!!- e solo ora Harald si volse verso la moltitudine che avanzava, ai suoi piedi già si allargavano le macchie di sangue delle sue prime vittime.

 Dall’alto del suo trono, Malebolgia osservava compiaciuto, un ghigno più grande degli altri gli deformava l’orrida bocca –non mi aspetto nulla di meno, mio Hellspawn- disse, facendo in modo che anche Harald sentisse –se non provassi tale desiderio, saresti stato un fallimento completo-

End

 

Finitaa! Ai coraggiosi che sono arrivati fino in fondo stringo sentitamente la mano u__u complimenti davvero. E se magari mi lasciate pure qualche recensioncina, POTREI e sottolineo POTREI pensare a un seguito, o quantomeno ad un'altra storia inerente al personaggio..

Alla prossima, boyz! =D

 

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