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Autore: formerly_known_as_A    12/10/2009    2 recensioni
Shelke non prova sentimenti umani. O, almeno, è quello che crede, osservando indifferentemente il mondo scorrere intorno a lei. Solo "quella persona" può cambiarla, ma lei non lo sa ancora. E solo quel pianoforte potrà aiutarla a capire sé stessa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Reeve
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando aveva accettato di vivere con lui, l'aveva fatto senza pensarci troppo: non aveva un posto dove andare, non aveva una famiglia e, soprattutto, doveva recuperare dieci anni di esistenza. Non sapeva vivere e vedere gli impiegati della WRO ogni giorno non l'aiutava di certo a farsi un'idea di cosa significasse realmente.

Per questo non aveva dato molta importanza alla propria scelta. Ma si era accorta presto del suo sguardo, triste, malinconico, così simile al proprio. C'era una luce diversa in esso, quando lavorava e tentava di ricostruire il mondo. Ma appena la vedeva, appena tornava a casa, quel bagliore si spegneva, assorbito da una preoccupazione, da qualcosa di celato, ma che non poteva nasconderle.

All'inizio non le importava. Non le importava nulla, neppure sé stessa era importante. Avrebbe voluto scivolare nel baratro su cui era sospesa da tempo. Ma lui l'aveva aiutata e poi l'aveva accolta nella sua casa.

Era una casa isolata, di legno, nella periferia di Edge. Sembrava molto antica e lui le aveva assicurato che si trattava della prima casa costruita nella zona. Le ricordava la casa di campagna in cui aveva trascorso la propria infanzia, ma non aveva fiori. Gliel'aveva detto, una sera, a cena ed il giorno dopo, come per uno strano incantesimo, il giardino era stato inondato da piante e fiori.

Aveva scoperto di essere abbastanza brava con i fiori ed era passata a seminare verdure in un orto che era diventato sempre più grande e che occupava le sue mattine.

In seguito fece un'altra scoperta: non riusciva a stare con le mani in mano tutto il giorno, sentiva il dovere, il bisogno di fare qualcosa per lui. L'aveva gradualmente sostituito nelle faccende domestiche, ma anche questo non aveva riempito completamente le sue giornate. In più, stava diventando sempre più rapida a svolgere le proprie occupazioni. In due ore, al massimo, si occupava del giardino e delle pulizie, poi cucinava e si sedeva a terra. Il più delle volte guardava gli scaffali e cercava di ricordare.

Ma non c'era altro che Lucrecia in lei. Ancora ed ancora riviveva la sua vita, a volte con indifferenza, ma sempre più spesso con una sofferenza profonda. Poi un giorno lui l'aveva trovata in quella posizione ed aveva deciso di portarla con sé alla WRO.

All'inizio le questioni del mondo non le erano interessate più di tanto. Aveva tanto da recuperare, frammenti di memoria, frammenti di sanità mentale, stralci di normalità. Che gli altri avessero problemi le sembrava normale, ma non si sentiva in dovere di aiutarli.

Poi lui aveva trovato dei documenti che la riguardavano ed era quasi morto nel tentativo. E le aveva fatto capire che era importante provarci. Non avrebbero mai costruito un mondo in pace ed armonia subito, ma aiutando chi aveva bisogno di tornare alla normalità, esattamente come era il proprio caso, avrebbero posato un piccolo mattone.

A questo rifletté al suo capezzale, a lungo, con la sua aria indifferente. Dentro a lei cominciavano ad agitarsi sentimenti diversi, ma tutti sembravano identici.

Si era buttata a capofitto nel lavoro, ammalandosi ma portando a termine missioni che a molti erano sembrate impossibili. Era, in qualche modo contorto, felice di questo. Ma le mancava qualcosa. E poi si era ammalata e lui l'aveva costretta a casa. Lui che non si fermava neppure con la febbre alta.

Lui che aveva cominciato a perdere la sua luce quando tornava a casa, lui che aveva cominciato ad evitarla. Lui... Reeve.

Aveva iniziato ad uscire di casa quando lui non c'era, da sola. Le strade la spaventavano, la folla sembrava volesse inghiottirla. Ma lei camminava, ogni giorno un metro in più. Finché non si era ritrovata davanti a quella vetrina, incuriosita dai suoni che provenivano dal suo interno. Era un negozio di pianoforti, le spiegò il commesso, con aria gentile. Era cresciuta, ma non riusciva a dimostrare più di tredici anni.

Era rimasta ad osservare un signore burbero che provava un pianoforte a coda e si lamentava del suono e di altro per un po', poi aveva seriamente riflettuto ai sentimenti che quel suono così strano provocava in lei. Un misto di angoscia e qualcosa che riusciva a farla sorridere. Qualcos'altro l'aveva fatta già sentire così. Ma non sapeva cosa. Forse era tra i ricordi di Lucrecia.

Quando era tornata a casa si era seduta a terra ed aveva tentato di ricordare il suo passato, come aveva ripreso a fare da quando non lavorava. Dal fascicolo che lui aveva recuperato aveva estrapolato molte notizie su di esso, ma ancora non riusciva a ricordare. Anche i ricordi di Lucrecia erano scomparsi, a poco a poco.

Tornò sempre più spesso al negozio ed a poco a poco le sembrò di riuscire a comprendere quegli oggetti bizzarri. Forse anche lei sarebbe stata capace di suonare, pensava. Ma non poteva parlare a Reeve delle sue uscite segrete... non poteva chiedergli un pianoforte.

Non aveva il senso del denaro. Aveva sempre vissuto senza e non aveva ancora compreso il vero senso di quei fogli di carta antiigienici.

Accadde che un giorno rimase troppo al negozio e si accorse di essere in ritardo. Si affrettò a tornare e trovò Reeve seduto al tavolo della cucina. Fu sorpresa nel vedere che piangeva. Non aveva fatto rumore entrando e forse non si era accorto di lei. Che cosa poteva essere successo? Forse i suoi genitori...

-Reeve?-

In un attimo si ritrovò tra le sue braccia, stretta fino a quasi soffocare.

-Oh Shiva grazie, credevo te ne fossi andata! Ero talmente preoccupato!-

Sentì all'incirca quello che provava quando ascoltava il pianoforte e questo la sorprese. Reeve non era un pianoforte e non suonava. Percepì il bisogno di alzare le braccia e posarle sulla sua schiena, perché era caldo e si sentiva... bene.

-Dove sei stata?-

-Nel negozio di pianoforti.-

-Negozio di...?-

-Pianoforti.-

La fissò, incredulo e fece un passo indietro. Poi sorrise: -Non mi avevi detto che uscivi di casa da sola.-

Non sembrava arrabbiato. Non aveva fatto nulla di male, allora. Sentì il senso di colpa svanire e piegò le labbra in un fugace sorriso. Si sorprese del proprio gesto, ma scoprì che era stato... bello. Ed era stato Reeve a farla sorridere. Almeno le sembrava. I due eventi si erano seguiti. Rifletté per qualche secondo, per poi fare un passo avanti e cingere l'uomo con le braccia. Lui rimase immobile, per cui si scostò immediatamente. Non era una cosa da fare, se non quando qualcuno si era perso, notò mentalmente.

Da quel momento in poi lui era tornato dal lavoro sempre più tardi e lei aveva scoperto tre cose: le soap opera, internet e qualcos'altro, un sentimento che aveva identificato con la malinconia. Internet era stato un valido aiuto in questa ricerca, anche se aveva impiegato mesi a comprenderne il funzionamento. Di solito si collegava alla macchina e la leggeva in codice binario e tutte quelle schermate colorate l'avevano confusa.

Aveva scoperto grazie alle soap opera il valore dei soldi. Erano importanti. E le persone si uccidevano per averli in eredità. Aveva consultato il suo conto in banca ed aveva avuto la sorpresa di scoprire che in due anni di lavoro alla WRO aveva guadagnato abbastanza da comprare un pianoforte. Molto di più di quello. Per cui aveva fatto ciò che le sembrava normale e ne aveva comprato uno. Ricordando gli insegnamenti di Beautiful, aveva investito un terzo della sua fortuna e mandato il resto alla WRO, in beneficenza. Non voleva che nessuno la uccidesse per l'eredità.

Sfortunatamente per lei, la borsa le aveva fatto guadagnare il triplo di quello che aveva investito, quindi, stizzita, aveva ripetuto la procedura, nelle settimane che avevano preceduto l'arrivo del pianoforte che aveva ordinato. Prima di arrendersi all'evidenza che forse il suo futuro era nel gioco in borsa, ripeté la procedura per un totale di tre volte. Poi, presa dalla rabbia, aveva rinunciato.

Ed, intanto, il pianoforte era arrivato. Ancora una volta, aveva deciso di nascondersi per studiarlo. Ma nascondersi era sempre più semplice, perché raramente Reeve, ormai, tornava a casa. Le aveva parlato di una crisi a Mideel e lei l'aveva ascoltato in silenzio, suonando sul tavolo la Patetica di Beethoven. Era una musica che aveva imparato in fretta, perché le ricordava la malinconia che provava quando vedeva lui. E poi c'era stata la Sonata al Chiaro di Luna ed altre ancora... Aveva imparato con una facilità impressionante ed era stato altrettanto semplice riuscire a farsi trasportare dalle note. Più volte si era ritrovata in lacrime, senza sapere perché.

E poi, a mano a mano che suonava, a mano a mano che si vedeva crescere, aveva capito. Era stato come un fulmine a ciel sereno, una folgorazione, la soluzione di tutto.

Aveva trasportato il pianoforte nella sala, decisa a non nascondersi più ed aveva aspettato. In realtà era salita nella propria camera e si era preparata. Da tempo aveva comprato un abito come quello delle pianiste che si esibivano in televisione: era verde, lungo e leggermente scollato, di taffetà. Il tipo di abito che non avrebbe mai indossato se non per andare ad un occasione mondana. Non sapeva neppure perché aveva deciso di comprarlo, ma l'aveva fatto ed in quel momento era contenta di averlo fatto. Mentre spazzolava i capelli, ormai lunghi, tentò di scacciare dalla memoria l'ultima immagine che aveva di sua sorella. Gli incubi le bastavano.

Aveva visto alcuni concerti ed aveva visto le acconciature delle musiciste, ma non aveva nessuna idea di da dove partire. Per cui li lasciò sciolti. Il trucco era già qualcosa di più semplice, perché aveva imparato da tempo.

Erano le dieci di sera, due ore prima del suo ventiquattresimo compleanno, quando scese nella sala e si sedette al pianoforte. Non era neppure sicura che sarebbe tornato, ma non aveva mai mancato un solo compleanno, da quando la conosceva.

Non l'aveva mai delusa, da quando si conoscevano.

Improvvisò qualcosa, una musica triste, malinconica.

A mezzanotte e mezza guardò il pendolo della cucina e si versò un bicchiere d'acqua. Non sarebbe tornato.

Si sedette nuovamente ed ricominciò a suonare. Le immagini dei suoi giorni negli Zviet le passarono davanti agli occhi. Suonò la Sonata Waldstein con rabbia, ricacciando indietro le lacrime e per questo motivo non sentì la porta d'entrata aprirsi.

Vide solo il pacchetto poggiarsi sul pianoforte e s'interruppe. Si voltò verso di lui e gli saltò letteralmente in braccio.

-Hai comprato un pianoforte. E lo sai anche suonare...-

Gli sorrise, fiera del proprio lavoro. Aveva suonato fino a farsi male, per riempire il silenzio intorno a lei ed era contenta che lui apprezzasse i suoi sforzi.

-Hai una richiesta?-

Lui stette a fissarla per un po', senza parlare. Poi la lasciò andare. -Mi dispiace, Shelke, ma forse sarebbe il caso che tu andassi a dormire. E' molto tardi e sono esausto. Sarò contento di ascoltarti domani.-

Abbassò la testa e si concentrò sui pedali, ma non riuscì a trattenere le lacrime. Aveva fatto tutto questo per lui e lui non capiva. E lui ancora non voleva... Non voleva vederla.

-Shelke... Se ci tieni così tanto ti ascolterò, ma non piangere... Non riesco... Non riesco a sopportare il fatto che tu pianga.-

Tornò a fissarlo. Di nuovo quella preoccupazione nel suo sguardo e le sue mani non la smettevano di tormentarsi. Le afferrò e le accarezzò con i pollici. Sentì uno strano calore alla bocca dello stomaco, che aumentò quando lui copiò il gesto.

-Non fissarmi, è imbarazzante.- sussurrò lui, distogliendo lo sguardo.

-Cosa è imbarazzante?- chiese, sorpresa. In cosa fissarlo era imbarazzante? Voleva solo capire cosa stesse pensando.

-Sai almeno quanti anni ho?-

-Sessanta?-

-Come sessanta?!-

-Vincent Valentine comincia ad avere i primi capelli bianchi, come te e ne ha sessanta.-

-Ho i capelli bianchi?!-

Lei, innocente com'era, glieli indicò con attenzione, evitando accuratamente di dimenticarsene fosse solo uno. Cosa che, sorprendentemente, lo mise di cattivo umore.

-Appunto, sono un vecchio! Ho quarantatré anni, Shelke.-

-Sei più giovane di Vincent Valentine.-

-Cosa c'entra Vincent Valentine, ora?!-

-E' il mio metro di riferimento per l'età.-

-Ma è completamente sbagliato!-

-Ah sì? In effetti mi sembrava strano fossi più giovane ed avessi i capelli bianchi. Anche Sean Connery ha i capelli bianchi, sai?-

-Perché devi elencare tutti questi uomini ora?!-

-Ma ne ho elencati solo due, Reeve...-

-Sono già troppi!-

-Troppi per cosa?-

-Smettila di essere così innocente!- sbottò improvvisamente il capo della WRO, allontanandosi da lei. -Non ne posso più...-

Si sedette sullo sgabello del pianoforte e deglutì a fatica. La stava cacciando di casa, dicendole che non la sopportava più. Non le sembrava di aver fatto nulla di male.

-Mi dispiace...-

-No, non è colpa tua... Sono io che sono terribilmente sbagliato... Non dovrei provare quello che provo per te.-

-Invece mi odi...-

-Ma chi ha mai detto questo?! Shelke io non ti odio! Io... Ma tu sei una bambina.-

-Ho 24 anni.-

-Ne dimostri forse 16.-

-E quindi? Perché non vuoi guardarmi?-

-Non è...-

-Mi eviti.-

Lui abbassò la testa e sospirò. -Non riesco a guardarti.-

-Perché?- gli chiese, avvicinandoglisi. Gli appoggiò le mani sulle spalle e si appoggiò al suo petto. -Il pianoforte mi rende felice, sai? Ma anche tu mi rendi felice. Hai un profumo particolare, un profumo che mi manca quando non ci sei. Ed ultimamente non ci sei mai... Perché?-

-Perché da quando ti ho incontrata, non mai smesso di pensare che avrei voluto fare questo...- sussurrò Reeve, chinandosi per poggiare le labbra su quelle dell'ex Zviet. Un bacio. Un bacio era... qualcosa di speciale, aveva letto, che si dava di solito quando si amava. Reeve la amava? Che tipo di sentimento era quello?

Rimase immobile, rigida, senza quasi respirare e quando lui fece un ulteriore passo indietro, ricominciò a fissarlo negli occhi. Stava cercando di capire. La gioia e la malinconia che aveva provato durante quel bacio... Erano forse la prova che aveva cercato a lungo, mentre suonava quella che era diventata presto la sua canzone?

-Posso suonare qualcosa che mi fa pensare a te?- gli chiese. -Per favore. Dopo ti lascerò andare a dormire.-

Lui si accontentò di annuire e non si mosse. Suonò quella composizione originale, cercando di essere perfetta, ma era imbarazzata e sbagliò un paio di volte. Ma riuscì a riordinare le idee e si ricordò dell'angoscia che provava quando lui non c'era, della felicità di vederlo tornare, anche se per poco, anche se non la guardava neppure. Verso la fine della composizione lo sentì cingerle la vita e s'interruppe per guardarlo. Era in ginocchio, accanto a lei e sembrava non volerla lasciare andare.

-Penso che sia la più bella dichiarazione d'amore che mi abbiano mai fatto, ma è triste.-

Sorrise e riprese a suonare, modificando la musica. Non doveva più essere triste, dopotutto, lui... Accelerò il ritmo verso la fine e terminò di nuovo lentamente.

-Va meglio? E' sempre bella?-

Lui annuì e si allontanò di poco, così che lei ne approfittò per chinarsi e restituire il bacio.



-Non voglio figli.-

-Cosa?! Pensavi li volessi subito?!-

-Nono, non li voglio proprio. Ridge lo dice sempre che vogliono solo ucciderti per avere l'eredità.-

-Ridge di Beautiful?-

-Sì, lo conosci?-

-Ma che razza di programmi guardi, Shelke?!-



Una bella fan fiction su Shelke, è tanto che non ne scrivo! E' sempre difficile scrivere dal suo punto di vista, perché, dopotutto, è una ragazza che non ha idea di cosa significhi vivere normalmente... e di Reeve, inoltre, non si capisce molto, dal videogioco. Sì, è un pacifista, abbraccia gli alberi e ricostruisce il mondo, ma quando arriva a casa che fa? Ce l'ha Sky? (perché lui sì e io no?) Berrà anche lui il caffè o preferisce il tè? Mi direte “meglio, se non si sa niente, puoi caratterizzarlo come ti pare”, ma no, io queste cose le devo sapere, se no non so da dove partire! E qui sono partita dal fatto che sia perdutamente innamorato della hacker che legge il codice binario come se fosse il giornale (entra nei pc come se nulla fosse, quindi, dovrà pur saperlo leggere!) e che si senta un po' imbarazzato dal fatto che lei dimostri molto meno dell'età che ha realmente. Che poi non è che in DOC Shelke somigli tanto ad una bambina... Marlene somiglia ad una bambina, Shelke proprio per niente!

Dite di dire qualcosa di utile? Bé, chiedo scusa per aver infilato ovunque Beethoven, ma io amo quell'uomo e le sue composizioni sono veramente belle. Avrei potuto semplicemente farle ascoltare della musica pop, senza andarmi ad inoltrare nella musica classica (l'unico strumento che suono è la chitarra di Guitar Hero), nei vari cantabile, adagio, allegro, depresso (l'ultimo è messo a caso)... Ma ovviamente la storia va come le pare e io sono solo una povera scrittrice senza mezzi chiusa in una stanza di 9 m2 a 900 chilometri dal suo appuntamento giornaliero con Star Trek... Come? Dopo questa scenata non volete farmi una donazione con Paypal?! Sigh... Almeno commentate!
ps: Un ringraziamento speciale và alla mia beta reader Kay, che ha amato la storia...

   
 
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