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Autore: St Jimmy    14/10/2009    8 recensioni
Bra è una ragazza di sedici anni con genitori separati, un gemello intollerabile e una cara amica del cuore. Sarà difficile separarsi dal luogo della sua infanzia e dalle vecchie conoscenze, arrivato il momento di trasferirsi. La rabbia e la frustrazione suscitate dal tutto li scatena e li personifica in pugni tirati ad un bestione qualsiasi su un ring di pugilato. Probabilmente l'unico vero modo per rimandare fuori la materia astratta che le gonfia la testa di dubbi e domande senza degna risposta.
Ma sulla lista di domande di ogni singolo neurone, una verrà colta in fragrante dal fato, e la boxe sembra essere un ingrediente elementare e insostituibile per ottenere la risposta esatta.

Mia prima vera long-fic a capitoli. Spero vi piaccia. Terry X3.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bra, Bulma, Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Life for boxing


1. Difficoltà


Due grossi guantoni rosso mattone continuavano a lanciare freneticamente duri pugni accompagnati da un sordo e ripetitivo rumore, contro il viso e l'intero corpo di un grosso ragazzone sfortunato che ormai conosceva la sua sorte, e dall'espressione della sua faccia stanca e svogliata sembrava non essere molto piacevole. Saltellava schivando i deboli pugni del ragazzo e contemporaneamente ne mandava qualcuno più potente lei. Invisibili gocce di sudore solcavano il suo viso e inumidivano i suoi capelli turchini legati in una coda di cavallo dietro la nuca, protetti da un morbido casco arancione.
Due grandi occhi blu mare riflettevano in sé grande forza di volontà e adrenalina, caratterizzate dalle sopracciglia aggrottate. Nonostante questo, era stanca, stremata, ma non si fermava. Sentiva su di lei tutti gli occhi dei vari pugili in quella stanza, del suo allenatore e di Marron.
La forza che aveva in corpo donava tanta energia alle braccia che non permetteva alle gambe di consumare il necessario che le faceva tenere su quel corpo slanciato. Sentiva le gambe cedere, ormai erano circa due ore che tirava pugni senza sosta contro grandi colossi alti due metri, ma un forte sentimento la teneva su e le dava la forza necessaria per mandare al tappetto i suoi avversari buttandoli con la faccia a terra: la rabbia.
Doveva sfogarsi in qualche modo. Non riusciva a fermarsi, anche se ne avrebbe avuto bisogno. Il corpo slanciato ma forte ormai si faceva pesante e faticoso da controllare e muovere.
Era l'unica femmina, insieme a Marron, a frequentare quella palestra e doveva dimostrare di non essere debole come faceva pensare la sua gracile corporatura. Decise di finirla lì, tanto un perdente del genere lo avrebbe trovato quando desiderava, bastava schioccare le dita.
Prese tutta la forza che le rimaneva in corpo, o almeno nel braccio destro e colpì il viso del bestione centrando in pieno il suo bersaglio. Sentì un tonfo sordo e cupo, e vide il gigante a terra svenuto, con la testa inclinata da un lato e la gota destra esageratamente arrossata e gonfia.
Subito dopo, il suono del fidato fischietto dell'allenatore echeggiò in tutta la palestra, insieme all'avviso di pausa dei dieci minuti, avvicinandosi sempre di più alla fine degli allenamenti.
Due ragazzi salirono sul ring sghignazzando, trasportando di peso il pollo, così chiamati dalla campionessa i suoi avversari sconfitti, e portandolo su un materasso là per terra dove gli buttarono dell'acqua ghiacciata in faccia bagnandolo e facendolo risvegliare con una certa voglia di fare a pugni con chi gli avesse mai fatto quello stupido scherzo, stranamente dimenticando con facilità l'ultimo scontro.
Anche la ragazza scese, ormai stramortita e si andò a sdraiare su un materasso dall'altra parte della palestra, battendo il guantone contro quello di un ragazzo che saliva sul ring al posto suo. Precedeva Marron, la quale la stava seguendo a ruota con un sorriso raggiante stampato in faccia.
«Brava, Bra! Hai superato il tuo record!», le disse guardandola contenta e sorridente con in mano un cronometro, mentre Bra cercava di regolare il respiro, inspirando profondamente ed espirando allo stesso modo e passandosi il dorso della mano sinistra sulla fronte sudata.
Marron tornò a guardare il cronometro nella sua mano.
«Un'ora, trentasei minuti e quarantasette secondi, senza sosta! Sono fiera di te!», aggiunse, posandosi le mani sui fianchi mentre l'altra si toglieva di bocca quel fastidioso proteggi-denti di plastica (una mia amica dice che quest'oggetto, in inglese, lo chiamano junk, ma ho preferito scrivere così in italiano per chiarire meglio nda).
«Grazie», disse secca, senza neanche degnarla di uno sguardo. Il motivo non era solo la stanchezza.
Era molto semplice. Dentro di sé teneva e continuava a far crescere involontariamente un sentimento che riusciva a far sparire solo facendo a pugni con qualcuno o con qualcosa. Il motivo di quel sentimento le sfiorò la mente, portandole in testa le parole di sua madre, i loro litigi e gli inutili dialoghi discussi con lei sull'odiato argomento. A quei pensieri si incupì improvvisamente senza neanche rendersene conto, essendo abituata ormai ad avere in faccia quell'espressione. Lo notò solo dopo aver dato un'occhiata fugace all'amica accanto a lei, la quale era stata contagiata dalla sua espressione. Tratteneva lo sguardo sul suo dalla sorpresa. Non riusciva veramente a capire che strani poteri magici aveva.
Addirittura intristire Marron? Clave Marron? Allora la faccenda era veramente grave.
«Cosa c'è?», domandò Bra con un risolino, alzandosi a sedere con una gamba piegata al petto e il corpo sostenuto dai gomiti poggiati sul materasso, cercando di dimenticare l'accaduto.
«Non far finta di niente, Bra, lo so che stai pensando di nuovo a quello», disse tristemente e guardandola con uno sguardo che sembrava proprio avere bisogno di un sostegno.
Bra, per tutta risposta, la guardò, sospirò con depressione, facendo scomparire il sorriso suscitato da quel primo riso, sfilandosi i guantoni e slacciandosi il casco di protezione.
Si alzò dal materasso con una calma irritante e si mise davanti a lei.
Le mise le mani sulle spalle, facendo in modo che la guardasse dritta negli occhi e cominciò a parlarle con tono calmo e pacato.
«Ascolta, Marron, ovunque io vada, noi ci terremo sempre in contatto».
«Ma non è lo stesso!», disse, ritraendo le braccia di lei. «Bra, tu sei la mia unica amica, non puoi abbandonarmi così».
«
Io non ci posso fare niente», mormorò Bra cercando di sottomettere il proprio controllo.
«Che significa?!», urlò. Gli occhi le luccicavano e si inumidivano di lacrime che cercava di trattenere, offuscando e annebbiando i suoi bei occhi blu.
«Significa che non è colpa mia, Marron. Cerca di capire».
«E di chi è la colpa, allora?!», continuò a chiedere impulsivamente senza veramente riflettere sulle parole che occupavano le sue labbra e senza rendersi conto di alzare il tono di voce e di sforzare la turchina a star buona.
La luce del rosso sole di tardo pomeriggio filtrava dallo spesso vetro delle finestre della grande stanza, formando quattro rettangoli arancioni sul pavimento color zucca, e illuminando gli occhi di coloro che inaspettatamente osservavano e ascoltavano l'improvviso litigio fra le due ragazze. L'eco della palestra rendeva i singhiozzi involontari della bionda più disperati e rumorosi, certi anche increspati, rendendo quasi l'illusione che stesse piangendo lo stesso, nonostante il suo duro sforzo di sembrare decisa e forte come la ragazza che si trovava di fronte.
Bra esitò a rispondere alla difficile domanda, ma decisa com'era, non si tirava indietro per nulla e si fece coraggio a dire quelle parole che affollavano la sua mente da un po' di tempo ormai.
«Di mia madre, Marron, lo sai benissimo che è per merito suo che ci trasferiamo spesso. E poi lei ne approfitta per lasciare questa città. C'è racchiuso tutto il suo passato. Lo sai che lei lo fa anche per evitare il più possibile mio padre».
L'amica sgranò gli occhi. Non credeva che sarebbe mai riuscita a dirlo sul serio. Le questioni familiari erano il suo tallone d'Achille, l'asso nella manica del suo peggior nemico. Le lacrime si facevano più numerose e sgorganti.
«M-mi dispiace, Bra», si scusò velocemente balbettando, per poi correre fuori dalla palestra spalancando un'anta della doppia porta. Bra non tentò di bloccarla.
Tutti quanti la notarono, persino il ragazzone di prima aveva placato la sua furia per osservare la scena, al posto di strangolare i due scherzosi ragazzini.
Bra rimase lì impalata senza dire una parola, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento freddo della palestra. Udì dei passi avvicinarsi a lei che l'eco di quel posto accompagnava rendendoli più pesanti e duri di quanto in realtà fossero.
Si accorse di una grossa manona color mogano poggiarsi sulla sua spalla, e la profonda e roca voce del suo allenatore regalarle un consiglio prezioso.
«Non pensare troppo a questa sua reazione, deve ancora abituarsi all'idea», suggerì affettuosamente. Per lui, quella ribelle ragazzina era come una figlia. E per lei, fin dai sei anni, lui era come un padre.
Finse di non ascoltarlo e volse lo sguardo al portone degli spogliatoi, dirigendosi poi verso di esso con totale serietà.

Angolo autrice:
Hola, gente! Come vi sembra? Ho bisogno di consigli... questo primo capitolo non mi è riuscito granché...
Ammetto di essermi informata poco su questo sport. Mi nutro di indizi da una mia amica che pratica la boxe, ma non so se esattamente tutto può combaciare. Ad esempio, lei mi ha detto che nella sua palestra le femmine non possono scontrarsi sul ring. Io ho dovuto scriverlo, era troppo importante U_U. Questa è pur sempre una fanfiction, no ^^'?
PS: volevo anche avvertire che tutti i nomi non comparsi nel cartone, ad esempio il cognome di Marron, sono di mia invenzione. Perdonatemi se conoscete un certo qualcuno che si chiama così.

Vi saluto una seconda volta. Un tradizionale baciollo a tutti!

Terry X3

   
 
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