Life for boxing
1. Difficoltà
Due grossi
guantoni rosso
mattone continuavano a lanciare freneticamente duri pugni
accompagnati da un sordo e ripetitivo rumore, contro il viso e
l'intero corpo di un grosso ragazzone sfortunato che ormai conosceva
la sua sorte, e dall'espressione della sua faccia stanca e svogliata
sembrava non essere molto piacevole. Saltellava schivando i deboli
pugni del ragazzo e contemporaneamente ne mandava qualcuno
più
potente lei. Invisibili gocce di sudore solcavano il suo viso e
inumidivano i suoi capelli turchini legati in una coda di cavallo
dietro la nuca, protetti da un morbido casco arancione.
Due grandi occhi blu mare riflettevano
in sé grande forza di volontà e adrenalina,
caratterizzate dalle
sopracciglia aggrottate. Nonostante questo, era stanca, stremata, ma
non si fermava. Sentiva su di lei tutti gli occhi dei vari pugili in
quella stanza, del suo allenatore e di Marron.
La forza che aveva in corpo donava
tanta energia alle braccia che non permetteva alle gambe di consumare
il necessario che le faceva tenere su quel corpo slanciato. Sentiva
le gambe cedere, ormai erano circa due ore che tirava pugni senza
sosta contro grandi colossi alti due metri, ma un forte sentimento la
teneva su e le dava la forza necessaria per mandare al tappetto i
suoi avversari buttandoli con la faccia a terra: la rabbia.
Doveva sfogarsi in qualche modo. Non
riusciva a fermarsi, anche se ne avrebbe avuto bisogno. Il corpo
slanciato ma forte ormai si faceva pesante e faticoso da controllare
e muovere.
Era l'unica femmina, insieme a Marron,
a frequentare quella palestra e doveva dimostrare di non essere
debole come faceva pensare la sua gracile corporatura. Decise di
finirla lì, tanto un perdente del genere lo avrebbe trovato
quando
desiderava, bastava schioccare le dita.
Prese tutta la forza che le rimaneva in
corpo, o almeno nel braccio destro e colpì il viso del
bestione
centrando in pieno il suo bersaglio. Sentì un tonfo sordo e
cupo, e
vide il gigante a terra svenuto, con la testa inclinata da un lato e
la gota destra esageratamente arrossata e gonfia.
Subito dopo, il suono del fidato
fischietto dell'allenatore echeggiò in tutta la palestra,
insieme
all'avviso di pausa dei dieci minuti, avvicinandosi sempre di
più
alla fine degli allenamenti.
Due ragazzi salirono sul ring
sghignazzando, trasportando di peso il pollo, così chiamati
dalla
campionessa i suoi avversari sconfitti, e portandolo su un materasso
là per terra dove gli buttarono dell'acqua ghiacciata in
faccia
bagnandolo e facendolo risvegliare con una certa voglia di fare a
pugni con chi gli avesse mai fatto quello stupido scherzo,
stranamente dimenticando con facilità l'ultimo scontro.
Anche la ragazza scese, ormai
stramortita e si andò a sdraiare su un materasso dall'altra
parte
della palestra, battendo il guantone contro quello di un ragazzo che
saliva sul ring al posto suo. Precedeva Marron, la quale la stava
seguendo a ruota con un sorriso raggiante stampato in faccia.
«Brava,
Bra! Hai superato il tuo record!»,
le disse guardandola contenta e sorridente con in mano un cronometro,
mentre Bra cercava di regolare il respiro, inspirando profondamente
ed espirando allo stesso modo e passandosi il dorso della mano
sinistra sulla fronte sudata.
Marron tornò a guardare il cronometro
nella sua mano.
«Un'ora,
trentasei minuti e quarantasette secondi, senza sosta! Sono fiera di
te!»,
aggiunse, posandosi
le mani sui fianchi mentre l'altra si toglieva di bocca quel
fastidioso proteggi-denti di plastica (una mia amica dice che
quest'oggetto, in inglese, lo chiamano junk, ma ho preferito scrivere
così in italiano per chiarire meglio nda).
«Grazie»,
disse secca, senza neanche degnarla di uno sguardo. Il motivo non era
solo la stanchezza.
Era molto semplice. Dentro di sé
teneva e continuava a far crescere involontariamente un sentimento
che riusciva a far sparire solo facendo a pugni con qualcuno o con
qualcosa. Il motivo di quel sentimento le sfiorò la mente,
portandole in testa le parole di sua madre, i loro litigi e gli
inutili dialoghi discussi con lei sull'odiato argomento. A quei
pensieri si incupì improvvisamente senza neanche rendersene
conto,
essendo abituata ormai ad avere in faccia quell'espressione. Lo
notò
solo dopo aver dato un'occhiata fugace all'amica accanto a lei, la
quale era stata contagiata dalla sua espressione. Tratteneva lo
sguardo sul suo dalla sorpresa. Non riusciva veramente a capire che
strani poteri magici aveva.
Addirittura intristire Marron? Clave
Marron? Allora la faccenda era veramente grave.
«Cosa
c'è?»,
domandò Bra con
un risolino, alzandosi a sedere con una gamba piegata al petto e il
corpo sostenuto dai gomiti poggiati sul materasso, cercando di
dimenticare l'accaduto.
«Non
far finta di niente, Bra, lo so che stai pensando di nuovo a quello»,
disse tristemente e guardandola con uno sguardo che sembrava proprio
avere bisogno di un sostegno.
Bra, per tutta risposta, la guardò,
sospirò con depressione, facendo scomparire il sorriso
suscitato da
quel primo riso, sfilandosi i guantoni e slacciandosi il casco di
protezione.
Si alzò dal materasso con una calma
irritante e si mise davanti a lei.
Le mise le mani sulle spalle, facendo
in modo che la guardasse dritta negli occhi e cominciò a
parlarle
con tono calmo e pacato.
«Ascolta,
Marron, ovunque io vada, noi ci terremo sempre in contatto».
«Ma
non è lo stesso!»,
disse, ritraendo le braccia di lei. «Bra,
tu sei la mia unica
amica, non puoi abbandonarmi così».
«Io
non ci posso fare niente»,
mormorò Bra cercando di sottomettere il proprio controllo.
«Che
significa?!»,
urlò. Gli
occhi le luccicavano e si inumidivano di lacrime che cercava di
trattenere, offuscando e annebbiando i suoi bei occhi blu.
«Significa
che non è colpa mia, Marron. Cerca di capire».
«E
di chi è la colpa, allora?!»,
continuò a chiedere impulsivamente senza veramente
riflettere sulle
parole che occupavano le sue labbra e senza rendersi conto di alzare
il tono di voce e di sforzare la turchina a star buona.
La luce del rosso sole di tardo
pomeriggio filtrava dallo spesso vetro delle finestre della grande
stanza, formando quattro rettangoli arancioni sul pavimento color
zucca, e illuminando gli occhi di coloro che inaspettatamente
osservavano e ascoltavano l'improvviso litigio fra le due ragazze.
L'eco della palestra rendeva i singhiozzi involontari della bionda
più disperati e rumorosi, certi anche increspati, rendendo
quasi
l'illusione che stesse piangendo lo stesso, nonostante il suo duro
sforzo di sembrare decisa e forte come la ragazza che si trovava di
fronte.
Bra esitò a rispondere alla difficile
domanda, ma decisa com'era, non si tirava indietro per nulla e si
fece coraggio a dire quelle parole che affollavano la sua mente da un
po' di tempo ormai.
«Di
mia madre, Marron, lo sai benissimo che è per merito suo che
ci
trasferiamo spesso. E poi lei ne approfitta per lasciare questa
città. C'è racchiuso tutto il suo passato. Lo sai
che lei lo fa
anche per evitare il più possibile mio padre».
L'amica sgranò gli occhi. Non credeva
che sarebbe mai riuscita a dirlo sul serio. Le questioni familiari
erano il suo tallone d'Achille, l'asso nella manica del suo peggior
nemico. Le lacrime si facevano più numerose e sgorganti.
«M-mi
dispiace, Bra»,
si scusò
velocemente balbettando, per poi correre fuori dalla palestra
spalancando un'anta della doppia porta. Bra non tentò di
bloccarla.
Tutti quanti la notarono, persino il
ragazzone di prima aveva placato la sua furia per osservare la scena,
al posto di strangolare i due scherzosi ragazzini.
Bra rimase lì impalata senza dire una
parola, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento freddo della palestra.
Udì dei passi avvicinarsi a lei che l'eco di quel posto
accompagnava
rendendoli più pesanti e duri di quanto in realtà
fossero.
Si accorse di una grossa manona color
mogano poggiarsi sulla sua spalla, e la profonda e roca voce del suo
allenatore regalarle un consiglio prezioso.
«Non
pensare troppo a questa sua reazione, deve ancora abituarsi
all'idea»,
suggerì
affettuosamente. Per lui, quella ribelle ragazzina era
come una figlia. E per lei, fin dai sei anni, lui era come un padre.
Finse di non ascoltarlo e volse lo
sguardo al portone degli spogliatoi, dirigendosi poi verso di esso
con totale serietà.
Angolo
autrice:
Hola, gente! Come
vi sembra? Ho bisogno di consigli... questo primo capitolo non mi
è
riuscito granché...
Ammetto di
essermi informata poco su questo sport. Mi nutro di indizi da una mia
amica che pratica la boxe, ma non so se esattamente tutto
può
combaciare. Ad esempio, lei mi ha detto che nella sua palestra le
femmine non possono scontrarsi sul ring. Io ho dovuto scriverlo, era
troppo importante U_U. Questa è pur sempre una fanfiction,
no ^^'?
PS: volevo anche
avvertire che tutti i nomi non comparsi nel cartone, ad esempio il
cognome di Marron, sono di mia invenzione. Perdonatemi se conoscete
un certo qualcuno che si chiama così.
Vi saluto una
seconda volta. Un tradizionale baciollo a tutti!
Terry X3