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Autore: Lou Asakura    15/10/2009    4 recensioni
- [23. Rotto] -
[«Cosa vuol dire che è morta, papà?». Ichigo lo sapeva da se, semplicemente non riusciva a capacitarsene.
Isshin gli aveva sorriso, compassionevole. «Vuol dire che la sua vita si è rotta, Ichigo».
«Ma allora…». Il bambino era scattato in piedi ed aveva allargato le braccia, animato dall’ultima, vana speranza dell’infanzia. «… allora possiamo aggiustarla, papà? Possiamo sempre aggiustare ciò che si rompe, no?»
Ichigo ricordava suo padre che lo guardava con occhi pieni di compassione e da quel giorno era diventato adulto].
Sbuffai, un po’ divertito ed un po’ seccato da quell’affermazione.
Con gli occhi accesi della consueta e ritrovata risolutezza, alzai la mano a schermarmi gli occhi dai raggi pungenti del sole. «Le proteggeremo a vicenda», dichiarai.

Fuori, oltre la finestra aperta, il sole splendeva allo zenit.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordi dei nostri giorni casuali insieme

[Ricordi dei nostri giorni casuali insieme.
Giorni in cui affidavano le nostre vite l’uno all’altra, quando brandivamo le nostre spade].

- Kurosaki Ichigo, Fade to black Novel -

 

 

 

Entrusting our lives to each other

 

 

Ero seduto accanto ad un letto bianco e tamburellavo nervosamente le dita sul bracciolo della sedia, i denti stretti e lo sguardo ostentatamente rivolto verso un punto imprecisato della parete. Accanto a me, Rukia riposava avvolta dalle coperte bianche, ferita ma totalmente sveglia.

Percepivo i suoi occhi alteri ed acuti perforarmi la schiena con insistenza. 

Oltre la sottile superficie della porta d’ingresso, pazienti e membri della quarta brigata vociavano e chiacchieravano. Un paio di volte mi parve addirittura di sentire la voce di Hanatarou che, probabilmente vittima di uno dei consueti scherzi, invocava pietà a chiunque gli capitasse a tiro.

Fu un pesante sospiro di Rukia, rimasta fino ad allora in totale silenzio, ad interrompere quella mia quieta contemplazione.

«Allora?» esordì, burbera, «si può sapere che accidenti hai? Ti hanno fritto la lingua?».

Feci finta di ignorarla. Se non l’avessi fatto, probabilmente mi sarei messo ad urlare. E non mi andava, -col cavolo se mi andava!- di passare nuovamente per l’Ichigo stupido ed apprensivo che finiva per mettersi a frignare come una sottospecie di genitore isterico.

[Lei non poteva sapere perché. Che soltanto io non volevo che anche lei si rompesse si rompesse si rompesse].

«Ichigo?». Stavolta Rukia sbuffò pericolosamente. «Ti decidi a considerare la mia esistenza oppure vuoi ignorarmi per il resto della tua vita?».

Tsk, mormorai nella mia testa, come se potessi riuscirci.

Ero già dannatamente furioso con lei per essersi lanciata in un incarico tanto pericoloso senza chiedere alcun aiuto e con me per averle permesso di farlo. E tanto per dirne un’altra, anche con quel gruppo di Arrancar ribelli che aveva ben pensato di apparire a Karakura-cho in piena notte per fare un po’ di baldoria, proprio mentre tutti noi stavamo ancora tentando di riprenderci dalla recente battaglia nell’hueco mundo.

«Ichi…»

«Che cavolo vuoi!?».

Gemetti. Alla fine non ero riuscito a controllarmi. Mi morsi la lingua e voltai le spalle ad un’alquanto irata Rukia, che richiamò la mia attenzione strattonandomi malamente per una manica dello shihakusho.

Quando mi voltai verso di lei, senza ben sapere se scusarmi o urlarle contro, mi trovai davanti a quei suoi occhi blu cosi odiosamente incredibili ed allora tutto il resto perse di significato.

Vidi solo me stesso, un me stesso confuso ed irato, riflesso in quelle iridi celesti. Vidi gli occhi di Rukia, severi e spalancati, incatenarmi con la loro sorprendente sincerità e fierezza. Era arrabbiata, questo ebbi modo di constatarlo dalle sopracciglia lievemente inarcate e ravvicinate e dal modo in cui contraeva i lineamenti tentando di risultare composta, cosa che faceva ogni qualvolta tentasse di nascondere le proprie emozioni.

«E va bene!», sbottai, sconfitto da quello sguardo. «Smetterò di ignorarti. Contenta?».

«Felicissima, vostra Altezza! Non sa quanto mi rallegra il fatto che lei voglia finalmente rivolgermi la parola!». La sua voce suonava pericolosamente ironica. Fece un altro profondo sospiro e tornò a guardarmi negli occhi, insolitamente seria. «Insomma, Ichigo… vuoi forse farmi credere che al mio posto avresti agito diversamente?».

«M-ma… eri ancora ferita e non potevi combattere liberamente! Avresti dovuto…».

«Senti chi parla!». Rukia quasi gridò, stringendo le lenzuola nei piccoli pugni. «Mister impazienza non sono mai stato ferito in vita mia!».

Mi alzai dalla sedia di scatto, avvicinandomi a lei più di quanto mi fossi mai concesso. «T-tu, maledetta…!».

«Non… non dire altro».

M’immobilizzai. Rukia si era fatta improvvisamente cupa, gli occhi bassi e le labbra strette e tremolanti.

«Non dire altro, tanto so cosa pensi. Secondo te non sono abbastanza forte da cavarmela da sola ed ho costantemente bisogno della tua protezione, non è cosi?». Non riuscii ad ignorare la nota dura nelle sue parole. Mi guardò con occhi spalancati e freddi, nei quali fui capace di scorgere un guizzo di emozioni che non riuscii ad identificare. Insicurezza, rabbia?

Volevo spiegarle. Volevo spiegarle perché avessi un bisogno cosi disperato di proteggerla, perché… perché non volevo che anche lei, come mia madre, si rompesse.

 

Cosa vuol dire che è morta, papà?». Ichigo lo sapeva da se, semplicemente non riusciva a capacitarsene.

Isshin gli aveva sorriso, compassionevole. «Vuol dire che la sua vita si è rotta, Ichigo».

«Ma allora…». Il bambino era scattato in piedi ed aveva allargato le braccia, animato dall’ultima, vana speranza dell’infanzia. «… allora possiamo aggiustarla, papà? Possiamo sempre aggiustare ciò che si rompe, no?»

Ichigo ricordava suo padre che lo guardava con occhi pieni di compassione e da quel giorno era diventato adulto].

 

 

Scossi il capo con veemenza per scacciar via quei ricordi.

Rukia mi fissava, immobile e smarrita a causa della mia improvvisa incertezza. Allungò una mano a stringermi il polso e mi guardò negli occhi, nei quali vidi la rabbia sciogliersi gradualmente e venir sostituita da un’ improvvisa e tenera preoccupazione.

«I-Ichigo…?».

Mi lasciai guidare dalla mano di Rukia, insolitamente delicata, finché non mi ritrovai seduto tra le lenzuola candide accanto a lei. La guardai negli occhi, non scorgendovi alcuna traccia della rabbia dimostrata nei miei confronti pochi istanti prima. A quel punto, fui incapace di trattenermi.

Strinsi i pugni e mi preparai a trattenere l’ondata di dolore che, ne ero certo, sarebbe arrivata.

«Quando mia madre morì…». La voce mi uscì simile ad un sussurro isterico. «…lo sai, allora ero ancora un bambino. Nonostante fossi in grado di vedere i fantasmi, non sapevo precisamente cosa fosse la morte. Quando una persona moriva, per me… semplicemente scompariva e si trasformava in una delle tante figure evanescenti che solo io riuscivo a vedere». Rukia mi ascoltava, in totale silenzio. «Poi… anche mia madre morì. A quel punto, il bambino che ero allora si chiese per la prima volta cosa fosse la morte. Lo vuoi sapere, Rukia, cosa mi rispose mio padre?».

Lei fece un’impercettibile cenno d’assenso, probabilmente consapevole del fatto che lasciarmi parlare fosse la cosa più giusta da fare. Ed io proseguii, con una specie di risata amara che non era da me.

«Mio padre mi disse che quando qualcuno muore la sua vita si rompe. Finisce in pezzi, cosi. E noi non possiamo più aggiustarla».

Un raggio di sole proveniente dalla finestra aperta attirò la mia attenzione. Lentamente, mi sollevai dal letto e mi avvicinai ad essa, appoggiandomi al davanzale riscaldato dal sole. Il calore mi si trasmise nelle braccia fino al cuore, rendendomi conscio di quanto mi sentissi finalmente libero in quell’istante, privo del peso delle parole appena rivelate. 

Sentii Rukia avvicinarsi ancor prima di voltarmi. Non sorrise né proferì parola, ma mi fissò con occhi duri ed accesi nei quali vidi riflesso tutto ciò che avrebbe voluto dirmi. Bastò.

Senza staccare gli occhi dal sole che mi bruciava gli occhi fuori dalla finestra, pronunciai le parole che da tempo covavo gelosamente dentro di me.

«Io non voglio che anche la tua vita si rompa, Rukia». Vidi le sue dita tremare leggermente, ma non esitai. «Però… sappi che se tu affidassi la tua vita a me, io farei di tutto per impedirlo, e per proteggerla fino alla fine. Lo giuro».

Strinsi i pugni ed abbassai lo sguardo, incapace di credere di aver davvero pronunciato quelle parole che da tempo mi premevano sul cuore. Forse Rukia si sarebbe infuriata, forse avrebbe riso di me, o forse…

«…Va bene».

Strizzai gli occhi, incredulo. A pochi passi di me, le labbra sottili di Rukia erano piegate in qualcosa di incredibilmente simile ad un sorriso. «Ad una condizione, però. Promettimi che, se io affido la mia vita a te, tu affiderai la tua a me. Io la proteggerò fino alla morte, come tu proteggerai la mia».

«…M…ma…».

Rukia aggrottò le sopracciglia ed incrociò le braccia, severa. «E’ un patto, Ichigo. Ci stai?».

Feci finta di pensarci un attimo, dopodiché sospirai, sconfitto. «Ho altra scelta?».

Ridendo, Rukia scosse il capo. «Nessuna».

Mi chiesi come fosse riuscita ancora una volta ad incastrarmi in quel modo. Con un mezzo sorriso esasperato, mi voltai verso la finestra spalancata.

«Okay, okay», feci, fingendomi spazientito. «Ci sto, va bene? Io proteggerò la tua vita e tu la mia, qualunque cosa succeda».

«E se dovessero rompersi…», sussurrò allora Rukia, con un filo di voce.

Sbuffai, un po’ divertito ed un po’ seccato da quell’affermazione. Con gli occhi accesi della consueta e ritrovata risolutezza, alzai la mano a schermarmi gli occhi dai raggi pungenti del sole. «Le proteggeremo a vicenda», dichiarai.

Fuori, oltre la finestra aperta, il sole splendeva allo zenit.

 

 

 

 

 

Angolo autrice:

Okay, ce l’ho fatta. Ce l’ho fattaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaH <3333. Prima di tutto, preciso che questa fanfic partecipa al contest your THIRTY-ONE ICHIRUKI FICTIONS indetto dal mio (stupendo, bellissimo eccetera) forum, il Death & Strawberry. La parola scelta è la numero 23, Rotto. Non sono per niente certa di averla usata bene, ma questo toccherà ad Hota stabilirlo.

Comunque! *___*. Finalmente eccomi tornata a scrivere su questi due. Potevo non farlo, dopo il capitolo di stamattina? Sto’ fangherlando come una scema, credetemi *_______*. Ichigo e Rukia INSIEME nel manga, finalmente, dopo forse un anno *______*.

Non so se saltellare per casa o sforzarmi di finire questo spazio autore. E come al solito sto’ divagando, perciò adesso mi tocca parlare della fanfic >ò<.

Dunque dunque dunque. Non mi piace totalmente, ma è di certo la cosa più decente che io abbia scritto da aprile fino ad adesso. Certamente meglio delle due ultime Ichiruki pubblicate, per intenderci =ççç=. Spero ti ritornare presto quella che sfornava una fanfic al giorno ed aveva sempre altre idee, davvero.

Anyway, parlando di quella che avete appena letto… non so perché, ma mi piace l’idea della vita che si rompe quando qualcuno muore, ed Ichigo che vuole proteggere quella di Rukia per evitarlo. L’idea mi è venuta da questa bellissima frase della novel di Fade to Black, talmente Ichiruki da trasudare zucchero da ogni pagina: “Ricordi dei nostri giorni casuali insieme. Giorni in cui affidavano le nostre vite l’uno all’altra, quando brandivamo le nostre spade”.

Non appena l’ho letta, ho detto “è leeeeei +____+”.

E adesso dopo mesi di pausa dovrei come minimo scrivere qualcosa di decente in questo angolo autore, ma proprio non ci riesco. Sono troppo in fanghèrl mode per il capitolo, sapete >òòòò<. Spero che anche voi possiate condividere la mia gioia *A*. E adesso scappo, che devo proprio correre a rileggermi il capitolo ù___ù. Aspetto le recensioni di Hota, B e YuaH che devono valutare questa fanfic. Non spero di vincere, ma almeno mi sono impegnata un po’ :sasa:

 

La cara Lu

 

   
 
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