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Autore: Moonlight Fire    16/10/2009    3 recensioni
Mitsuki amava Eichi più di qualunque altra cosa al mondo, ma a volte...
[Traduzione - con il permesso dell’autrice - di Stray cat Eyes, Versione corretta]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kouyama Mitsuki
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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La presente fanfiction è stata tradotta e qui pubblicata con il permesso di Moonlight Fire, l’autrice originale.

N.d.T. (Stray cat Eyes)
Questa è la versione riveduta e corretta della traduzione di questa fanfiction. La precedente era piena di errori di distrazione e a tratti incomprensibile, così mi sono impegnata per migliorarla, riscrivendola completamente.
Spero possa piacervi! ^^

[Un grazie, prima di lasciarvi alla lettura, ad Aryamoony, che aveva recensito la precedente versione. Thank you! *__*]









Sometimes




Le piaceva molto il suo odore.

Era una cosa strana da dire? Mitsuki non ne era certa.
Supponeva che la maggior parte delle ragazze non avrebbe mai ammesso di pensare che un ragazzo avesse un buon odore. D’altra parte, Mitsuki non conosceva molte altre ragazze. Doveva ringraziare la sua gola, per quello.

A volte si sentiva amareggiata.

Desiderava più che una qualsiasi cosa da cantare. C’erano tante cose che aveva bisogno di fare.
Non aveva mai smesso di tentare, nemmeno quando aveva perso tutte le persone a cui teneva. Ma perché doveva essere presa proprio la sua vita? Non era mai stata veramente cattiva, malgrado si fosse mostrata egoista, una volta o due. Non poteva ammalarsi, piuttosto, una di quelle cattive persone che vedeva alla TV?
Ma poi si sentiva in colpa per averlo pensato, e chiedeva silenziosamente perdono a se stessa.
Non è che ci fosse qualcun altro con cui scusarsi.

Quello non era uno di quei giorni, comunque.

Mitsuki poggiò la testa sulla mano, tenendo bassi i suoi occhi sognanti.
Lui aveva davvero un buon odore, nonostante fosse così diverso da Eichi.
Eichi aveva sempre avuto un profumo dolce e lieve, come nebbia. Come qualcosa di etereo. Mitsuki aveva amato anche quel profumo; godendone, quasi sempre in compagnia della luce della luna.
Riusciva a immaginarlo, adesso; loro due seduti insieme sul tetto, ad osservare le stelle. Eichi che si alzava in piedi, le braccia aperte, tese ad afferrare il vento. Gli occhi di lei che difficilmente abbandonavano la sua alta figura, Mitsuki che sorrideva nonostante il freddo. Se Eichi era lì, non le importava - inoltre, se lui si fosse accorto che aveva freddo, sarebbero tornati dentro, e Mitsuki non voleva. La voce gentile e rassicurante di Eichi l’avvolgeva, riempiendola di tutto il calore di cui aveva bisogno, e i suoi occhi splendevano come stelle.
Erano dei bei ricordi.

Ricordi che tornavano ben più spesso che qualche volta.

Il suo odore è diverso, pensò Mitsuki, sentendosi un po’ colpevole nel pensarlo, quando aveva Eichi. Non avrebbe abbandonato il suo ricordo per nulla al mondo, così allontanò il senso di colpa dalla propria mente, per il momento. Era meglio accantonare pensieri simili, prima che questi scivolassero al centro del suo essere. Se fosse accaduto, sarebbero arrivati tanto in profondità da non poter essere rimossi senza prima spezzarle il cuore.
Doveva correre ai ripari, prima che quei pensieri, o lei stessa, svanissero.
A volte, il suo tempo sembrava così limitato...
Ha proprio un odore diverso. Un profumo come la terra. Come gli alberi dopo la pioggia. Come... come... C’era una parola adatta? Profumava come se fosse davvero lì. Come fosse assurdamente reale. Il che era ironico, perché lui era morto.
Era morto, esattamente come Eichi.

A volte, fra sé e sé, Mitsuki fantasticava che fosse stato Eichi, lo Shinigami venuto per lei.

Immaginava di aver visto il guanto di Eichi spuntare dalla parete, e di aver ascoltato la voce di Eichi discutere con il partner di Eichi, e poi di aver visto la testa bionda di Eichi far capolino dal muro.
Sarebbero stati di nuovo insieme. Eichi l’avrebbe aiutata a diventare una cantante. Lei avrebbe cantato le sue canzoni con tutta se stessa, ed Eichi non si sarebbe mai perso una sola esibizione. Lo avrebbe trovato tra la folla e visto i suoi occhi illuminarsi nell’ascoltare le sue canzoni, forse percependo le parole che vi erano nascoste. Gli avrebbe detto quello che aveva sperato di potergli dire per tutta la vita. Che lo amava. E poi l’anno sarebbe finito, Mitsuki avrebbe detto addio a sua nonna, e lei ed Eichi se ne sarebbero andati insieme.

Ma poi il senso di colpa ricadeva sulla ragazzina ammalata, e a volte piangeva per quanto si sentiva orribile. Lei non voleva causare problemi ad Eichi. Gli altri Shinigami sembravano sempre così tristi; come avrebbe potuto augurargli una simile sorte? E poi Takuto e Meroko - i suoi cari amici - forse non li avrebbe mai neppure incontrati.
Gli occhi di Meroko avrebbero ancora grondato sofferenza e quelli di Takuto apatia.
Forse non importava. Probabilmente si stava soltanto illudendo di essere stata lei a cambiarli. Ma voleva vederlo accadere. Non voleva perderselo. Il che era un altro pensiero egoista, e normalmente a questo punto Mitsuki cominciava a tossire, cosa che la faceva piombare in un circolo vizioso di tormento, rendendo tutto anche peggiore. Alcuni momenti dopo, mani gentili trovavano la sua schiena, sorreggendola mentre una voce calda le mormorava parole di conforto all’orecchio finché l’attacco scemava, e poi sollevava lo sguardo verso il viso preoccupato di Takuto.
Takuto, ovviamente, mascherava la sua apprensione dietro un sorriso spensierato, e le chiedeva se stesse bene. Mitsuki rispondeva sempre di sì, e poi Meroko lanciava un cuscino e diceva loro di smetterla.

Takuto ha davvero un buon odore, ammise Mitsuki a se stessa con una risatina. Il suo profumo, dopo quello di Eichi, era particolarmente rassicurante. Era così forte da darle l’illusione che lui non l’avrebbe mai lasciata.
A volte Mitsuki riusciva a crederci, a stringergli la mano con il cuore leggero. Ma mai per molto; il peso della vita, Eichi, Meroko, Shinigami - tutto tornava, e lei doveva lasciarlo andare. Eppure, Takuto le piaceva davvero.

Le piacevano molte cose di lui.
Le piaceva il suo sorriso, nonostante quello vero fosse raro, e le piaceva quando lui arrossiva un po’ perché era imbarazzato per aver sorriso. Le piacevano i suoi occhi, così belli e decisi, che portavano in sé sempre la stessa, forte determinazione che lei gli invidiava. Le piacevano anche i suoi capelli, più lunghi del normale, e così setosi. E la sua forma di gatto era adorabile: avrebbe voluto stringerlo per sempre!
Le piaceva soprattutto il modo in cui la trattava, perché non si comportava come se lei fosse di fragile cristallo. Takuto la trattava come si tratta una persona, chiedendole di fare del proprio meglio nel tempo che le restava, in quella sua burbera, goffa maniera. Era tenero e la faceva ridere.
Inoltre, con sua somma sorpresa, la spingeva sul serio a fare del proprio meglio.

A volte, Mitsuki avrebbe voluto metter fine alla sua vita da sé.

Sembrava la cosa migliore, quando era sola nel buio e non riusciva a dormire a causa del dolore che le artigliava la gola. Se l’avesse fatto, non avrebbe più avuto incertezze su quando la morte sarebbe venuta. Niente più domande, niente più attese.
Avrebbe potuto dimenticare di essere scappata via dalla sua unica famiglia vivente. Avrebbe potuto dimenticare il dottor Wakaouji, e il suo senso di colpa per non essere in grado di salvarla.
Non ci sarebbe più stato dolore; non ci sarebbe più stato il rimpianto.
Sarebbe stata una Shinigami come Takuto e Meroko e Izumi. Avrebbe avuto delle soffici orecchie da animaletto e delle bellissime ali, e avrebbe giurato a se stessa di raccogliere ogni anima con tutta la gentilezza di cui era capace.
Soprattutto, non sarebbe mai stata costretta a separarsi dai suoi preziosi amici.

Quando sorse il sole e lei rivelò quel pensiero, però, gli Shinigami la pregarono di non farlo. Le ricordarono la volta in cui era saltata (o davvero caduta accidentalmente) da un edificio. Le dissero che non doveva fare una cosa simile, e Mitsuki tacque.
La morte per suicidio era tanto orribile? Come poteva essere? Non capiva, e solo dopo si accorse che loro recavano con sé così tanta sofferenza che non avrebbe mai potuto capirlo davvero, ignorante com’era. Erano così soli nel loro dolore... Mitsuki aveva pianto per i suoi amici.

Alla fine, arrivò alla conclusione di essere una sorta di speranza per gli Shinigami. Che se la sua vita fosse finita nella maniera prevista, per loro sarebbe stato come redimersi. Che sarebbe stata la salvezza per coloro i quali avevano messo fine alla propria vita così orribilmente. Per questo Mitsuki non l’avrebbe mai fatto. Come avrebbe potuto ferirli? Le restava solo un altro anno di sofferenza, in ogni caso.

A volte, Mitsuki pensava a come fosse l’aldilà, quando si moriva normalmente. Ma Mitsuki ne era spaventata. Aveva paura di dimenticare i suoi amici sulla Terra. Aveva paura di ritrovare ciò che aveva perso. I suoi genitori l’avrebbero riconosciuta? Eichi l’avrebbe ancora amata? E soprattutto Mitsuki aveva paura di ritrovarsi in quella felicità e dimenticare. E se, sorridendo, avesse chiesto di Takuto e Meroko? Jonathan e Izumi? E se non avesse mai potuto essere felice - se nemmeno loro lo fossero mai stati? Non ci sarebbe stata alcuna consolazione, per quello.

A volte, Mitsuki metteva i suoi sentimenti su carta, trascrivendoli in canzoni, e poi li accartocciava così che nessuno li vedesse.

Perché avrebbero dovuto farsi carico dei sentimenti di una ragazzina a cui rimaneva un solo anno di vita? Lei si accontentava di liberare le parole che aveva conservato per Eichi e di trasmetterle a tutti con la sua musica. A volte aveva anche sognato di credere nella bugia che aveva raccontato ai suoi amici; che Eichi era vivo e viveva in America. Fingeva che Eichi ascoltasse la sua musica, e sapesse che era lei, e lottasse per andare da lei. Che un giorno, forse l'ultimo giorno della sua vita, lui le sarebbe apparso dinanzi, e lei avrebbe potuto dirgli tutto ciò che voleva.

A volte non avrebbe più voluto cantare.

La sua voce era pesante, nonostante la sua gola stesse bene. Ma si sentiva male, ferma nel suo corpo adulto e in salute, così cantava comunque, e versava qualunque cuore avesse nella musica.

A volte avrebbe voluto cantare canzoni diverse.

Avrebbe voluto cantare di Madoka, e di quanto l'ammirasse. Della signorina Oshige e di quanto fosse gentile. Dei talenti del Dottor Wakaouji e di come lui fosse diviso tra loro. Avrebbe voluto allontanare con il canto il dolore di Izumi, e la risata sofferente di Jonathan, perché Jonathan non aveva mai riso sinceramente. Avrebbe voluto cantare il suo amore per la nonna ed essere perdonata. Avrebbe voluto cantare quanto Meroko significasse per lei, quanto le mancassero i suoi genitori, o a volte (egocentricamente) del proprio dolore. A volte, in particolar modo, avrebbe voluto cantare di Takuto.
Cantare di quanto le piacesse, cantare finché persino la sua voce adulta divenisse roca.

Ma il senso di colpa glielo impediva, incatenandola lì, piena di vergogna. Non avrebbe più amato Eichi ancora per molto? Quanto poteva essere infedele? Eichi meritava molto più di quello, e Mitsuki voleva essere meritevole di lui più di ogni altra cosa. Quindi doveva essere migliore. Non poteva dire nulla a Takuto, e c’erano parole che aveva paura anche solo di pensare. Erano scolpite nel suo cuore giorno e notte; e le facevano pensare che la morte sarebbe stato un sollievo. Forse avrebbe dimenticato quelle cose ignobili, una volta morta. Inoltre, vedere il volto di Eichi l’avrebbe guarita, ne era sicura.

A volte, nonostante tutto questo, Mitsuki voleva che Takuto l’amasse.

A volte si vestiva e si guardava allo specchio con un piccolo sorriso, chiedendosi se lui avrebbe pensato che era carina. Si chiedeva se avrebbe detto qualcosa, oppure no. A volte indossava il colore preferito di lui. A volte, non pregava che lui guardasse altrove, ma pregava che i suoi occhi fossero sempre su di lei. Desiderava che lui le dicesse che lei gli piaceva, desiderava dirgli quanto lui le piacesse. Desiderava stringere la sua mano finché avesse voluto, desiderava sentirsi meno sola. Desiderava, solo a volte, che lui la baciasse. Desiderava stare con lui, essere cullata da braccia sicure e protettive.

Mitsuki amava Eichi. Lo sapeva, quindi perché pensava sempre cose tanto biasimevoli? Takuto le piaceva di più? Era impossibile; perché lei amava Eichi più di chiunque altro! Eichi meritava di meglio che una ragazzina infedele che era troppo debole per ricongiungersi a lui. Takuto meritava di meglio che una ragazzina senza cuore che lo usava per curare il proprio dolore; quello nella sua gola e quello nel suo cuore. Lei amava Eichi. Allora perché amava Takuto? Perché non poteva allontanarlo da sé con tutta la sua forza? Perché era così... debole?

A volte si sentiva disgustata da se stessa.

A volte Mitsuki cantava quelle canzoni proibite, ma solo fra sé.

Solo quando tutti erano addormentati. A volte sollevava la testa, la gola che bruciava, e scivolava fuori di casa. Amava cantare dov’era l’oceano, soprattutto. Passeggiava sulla sabbia, cadendo sulla fresca, morbida rena; ridacchiando. Lì, sola tranne che per la luna e il mare, poteva cantare qualsiasi cosa volesse. Cantava dei suoi amici, Eichi, e Takuto. Solo una o due canzoni alla volta, non volendo svegliare gli altri. Poi, furtiva, s’intrufolava di nuovo dentro, e si rannicchiava su se stessa, e forse dormiva un po’. Anche quelli erano momenti felici, in qualche modo. Erano leggermente vergognosi, e strani, ma finché nessuno ne era ferito e nessuno ascoltava, si sentiva un po’ meglio di prima.

A volte...

Solo a volte.

A volte Mitsuki amava Takuto.

A volte...





  
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