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Autore: Hermione Weasley e Nightmare    07/06/2005    8 recensioni
"E anche se tutto andava male, anche se non vedeva più la luce da tanto tempo… lei avrebbe continuato a vivere. Non avevano importanza quelle mani profane sul suo corpo. Non avevano importanza le sue lacrime quando entravano selvaggiamente in lei. Non avevano importanza le parole di quell’uomo che con quelle frasi voleva piegarla al suo volere. No, non si sarebbe piegata."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedico questo capitolo alla mia stellina Sara che ha compiuto da pochissimo gli anni

Dedico questo capitolo alla mia stellina Sara che ha compiuto da pochissimo gli anni!

E diventi sempre più vecchia, eh!

(Il capitolo doveva essere postato proprio sabato ma è slittato tutto!)

Si perde colpi, la vecchiaia galoppa, mia cara!

Ti voglio bene.

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Allur.

Eccomi con l'ottavo capitolo.

Mi scuso per il ritardo e avverto che non è proprio niente di eccezionale.

Avrei voluto scrivere qualcosa di meglio ma questo è tutto quello che sono riuscita a fare.

Decisamente non all'altezza del precedente capitolo di Fede, anzi.

Mi perdo molto meno in viaggi instrospettivi ed emozioni, sono molto più superficiale nel raccontare le cose e me ne dispiaccio ;_;

Poi la fine della scuola che mi stressa a dir poco e mille altri impegni mi rubano il tempo per scrivere.

Oggi tre orette libere le avevo ed eccomi qua.

Questo è il frutto della mia mente bacata^^

Spero vi piaccia, e state tranquilli che Federico trova il modo di risollevare il tutto con il prossimo capitolo.

L'ispirazione e la voglia mi mancano, ho fatto quel che ho potuto!

Scusate per il ritardo e l'obrobrio.

Un bacione

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Hermione Weasley

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SIAMO ANCORA NOI

Incompleta

Prego affinchè questo cuore non si spezzi.

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8° Capitolo

Incompleta

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*** *** ***

Empty spaces fill me up with holes

Distant faces with no place left to go

Without you within me I can't find no rest

Where I'm going is anybody's guess

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I tried to go on like I never knew you

I'm awake but my world is half asleep

I pray for this heart to be unbroken

But without you all I'm going to be is

Incomplete

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Dentro di me, pieno di spazi vuoti

volti distanti che non hanno

nessun posto dove andare

senza di te accanto a me

non riesco a trovare pace

tutti si chiedono dove io stia andando

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Ho cercato di andare avanti

come se non avessi mai saputo

sono sveglio ma il mio mondo

è mezzo addormentato

prego affinchè questo cuore non si spezzi

ma senza di te tutto quello che sarò è

Incompleto

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(Incomplete - Back Street Boys)

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*** *** ***

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18 Febbraio, notte fonda. Ore 0:52

Rifugio oltre il confine.

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La cosa che mi più mi manca di una vita normale è il concetto di casa.

Quando ritorno, dopo una notte passata in bianco, oppure a lavorare per conto del Capo, non sento quella vampata di calore, di felicità, di sollievo varcando la soglia.

Non mi sento a mio agio, tutto mi è estraneo qua dentro, dai muri, fino alla singola posata nel casetto della cucina.

Non mi sento a casa.

Affatto.

Tutto mi è avverso, lo sento, lo percepisco.

Non amano la mia presenza.

L'aria che respiro non sa di casa.

Non riconosco questo posto come il mio rifugio, il mio angolo di mondo, il mio pezzo di paradiso...

Ma quale paradiso?

Qui non c'è altro che Inferno.

Solo quello.

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Quando mi materializzo nel salone, non mi sento sollevata, rinfrancata, tranquillizzata.

No.

Solo abbandonata, odiata, disprezzata.

E questo è quanto.

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Lascio cadere le pistole sul divano.

Mi tolgo il cappotto, gli occhiali e mi rivelo per quella che sono.

Solo una donna.

Una donna che ha perso se stessa, che ha perso la voglia di vivere.

Perchè vivo?

Forse perchè sono troppo codarda per morire.

Anzi no.

Non è codardia la mia.

E' più che altro un senso di incompletezza che mi lacera ogni giorno.

E' come il pezzo mancante di un puzzle, non trovi pace fino a che non lo vedrai completato in ogni sua parte.

La mia vita è un puzzle del quale ho perduto un pezzo.

Solo se e quando lo ritroverò mi potrò dire completa, e quindi accettare le morte, in ogni suo aspetto, quel dolce torpore che ti invade le membra, ti annebbia i sensi, e rende ogni cosa meno dolorosa e terribile.

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Scuoto la testa cercando di scacciare il pensiero.

Mi dirigo in bagno.

La doccia post-lavoro è sacra ormai.

Raccolgo i capelli sopra la nuca, mi spoglio rapidamente e per quanto cerchi di non guardare la mia immagine allo specchio è come se il mio riflesso mi chiamasse.

Alzo lo sguardo verso la superficie speculare.

Riduco gli occhi a fessure osservando pezzo per pezzo il mio corpo.

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-Bastardo-

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Mormoro notando che vari lividi sono spuntati sulle braccia, sulle gambe, sicuramente bei ricordi dello scontro che ho avuto poco fa.

E' la prima volta che un Auror riesce ad avvicinarmi.

Sono stati bravi stavolta, devo ammetterlo.

Ormai la mia è una routine, i luoghi in cui si consumano i miei delitti sono più o meno sempre gli stessi: luoghi malfamati dove pullula la feccia della società.

Sono stata prevedibile stavolta, devo ammetterlo.

Ormai le forze dell'ordine mi stanno alle calcagna non avranno pace fino a che non risolveranno il caso dell'Angelo Nero.

E adesso sanno che sono una donna.

Quell'Auror sa che sono una donna. Chac.

E' un pericolo.

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Apro la cabina doccia, lasciando che il vapore creato dall'acqua bollente invada la stanza.

Sono intenta a prendere l'accappatoio appeso lungo la parete quando di nuovo la mia immagine riflessa strepita per farsi notare.

E poi me ne rendo conto.

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Una sottile linea rossa mi cinge il collo.

Mi porto una mano sulla pelle irritata.

Schiudo le labbra in un'espressione di puro disgusto.

Non c'è più.

La mia collana non c'è più.

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-Merda-

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Ma non mi sento incazzata o furiosa.

Solo amareggiata.

Quello era il mio appiglio alla ragione, al Mondo dei Vivi.

Persino il mio angioletto d'argento se n'è andato.

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Anche lui mi disprezza.

Anche lui mi odia.

Anche lui mi ha lasciata.

Anche lui ha spiccato il volo.

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*

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Buio.

E' tutto buio.

Cammino lungo la navata centrale di una grande chiesa gotica.

Le vetrate non lasciano trasparire nemmeno il più piccolo e indifeso raggio di luna.

Passo attraverso le panche di legno che accompagnano il mio passaggio, severe.

Tutto qui dentro mi rimprovera.

Tutto mi giudica.

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Mi voglio fermare ma non riesco a farlo, cammino contro la mia volontà.

Le gambe non accennano a fermarsi, continuano il loro cammino fino all'altare.

Mi guardo intorno, e per la prima volta dopo tanto tempo, sento il fremito della paura attraversarmi.

Un brivido lungo la schiena.

Sento il respiro farsi più pesante e veloce.

Mi fermo.

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Alzo gli occhi verso l'abside.

Un grande Angelo mi fissa, dipinto sulla parete circolare.

E per quanto voglia distogliere gli occhi da quelli di quell'entità, non ci riesco.

Non mi è possibile.

Sono come incatenati ai miei.

E vedo quegli occhi farsi di fuoco.

Faccio per gridare ma dalle mie labbra non esce alcun suono.

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E poi le sento.

Mani che mi cingono le caviglie, che si arrampicano sulle mie gambe.

Abbasso lo sguardo e quello che vedo mi gela il sangue nelle vene.

Spettri, spettri di altri tempi che fanno capolino dal pavimento di pietra come fosse uno specchio d'acqua.

E mi fissano con i loro sguardi vuoti, le facce scheletriche, i capelli bianchi e radi.

E tirano, strattonano i miei vestiti come a volermi trascinare giù con loro.

All'Inferno.

Dove stanno i dannati.

E iniziano il loro lugubre canto, mormorii, bisbigli, sussurri.

Mi chiamano lo sento, mi chiamano.

Cerco invano di liberarmi dalla loro presa.

Le mie gambe sono incollate al pavimento, e cercare di afferare le loro mani è come tentare di afferrare l'aria, perfettamente inutile.

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Voglio urlare.

E non ci riesco.

Alzo gli occhi verso il dipinto dell'Angelo, ma quello non c'è più.

Se n'è andato.

E' sparito.

Mi ha lasciata sola con i miei peccati, i miei delitti, le mie colpe.

La paura mi scuote.

Mi pervade.

Le ombre mi inghiottono.

Mi tolgono il respiro.

E grido.

Nessuno suono.

E le loro voci farsi più alte ed insistenti.

E ancora nuovi spettri.

E sono perduta.

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Perduta.

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*

20 Febbraio, notte. Ore 03:41

Rifugio oltre il confine.

Mi risveglio di botto.

Tremo.

Piccole gocce di sudore ghiacciato mi imperlano la fronte.

Mi guardo intorno.

Il respiro è affannato, il battito cardiaco mostruosamente accellerato.

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Era un incubo mi dico tentando di calmarmi.

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Socchiudo gli occhi passandomi una mano tra i capelli.

Raggiungo a fatica l'interruttore, e pochi secondi dopo una tenue luce rossastra illumina la stanza.

Mi trattengo dal guardare negli angoli rimasti bui.

Mi mordo con foga le labbra.

Ho la gola arida.

Faccio per scendere dal letto, intenzionata ad andare in cucina a bere un po' d'acqua, quando una busta bianca rettangolare, posata sul comodino attira la mia attenzione.

Sono sicura che quando sono arrivata non c'era.

La prendo esitante.

La apro, le mani ancora mi tremano.

Srotolo il foglio che c'è dentro.

Vi è scritto solo un indirizzo.

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Riconosco la calligrafia del Capo, e non stento a capire che quello non è altro che uno straordinario.

Sicuramente un'altra persona da eliminare.

O come ama dirlo lui, soggetto da neutralizzare.

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Mi trascino fuori dalle coperte e mi vesto velocemente.

Non sarei comunque riuscita a riaddormentarmi.

Questo è poco ma sicuro.

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Mi infilo l'indirizzo nella tasca dei pantaloni.

Indosso il giubbotto, fisso le pistole alle cosce.

Gli occhiali, la bacchetta.

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Dieci minuti dopo il mio risveglio sono già a lavoro.

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20 Febbraio, notte. Ore 04:05

Complesso residenziale alla periferia di Londra.

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Arrivo davanti ad una piccola casetta, una delle tante a schiera che si trovano nelle periferie londinesi.

Un po' come Privet Drive dove abitava Harry.

Mi avvicino alla finestra più bassa.

Le luci sono tutte spente, la casa è silenziosa.

Come tutto qui attorno.

Salgo quei due o tre scalini che conducono alla porta d'ingresso.

Giro la maniglia.

A vuoto.

Ovviamente è chiusa, non che mi aspettassi qualcosa di diverso.

Tiro fuori la bacchetta.

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-Alohomora-

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Mormoro.

Riprovo ad aprirla, ma ancora niente.

Deve essere un mago, o una strega, nessun babbano sarebbe in grado di impedire l'efficacia di un incantesimo di apertura.

Avvicino la punta della bacchetta alla serratura.

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-Stupeficium-

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L'incantesimo ha perforato la porta.

La serratura si è staccata e adesso posso vedere l'interno.

Stavolta la maniglia non oppone alcuna resistenza.

Entro senza problemi.

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Una strana sensazione mi invade non appena varco la soglia.

Faccio una smorfia scrutando ogni angolo della casa.

C'è un caos incredibile.

Salgo al piano superiore.

Mi ritrovo in un piccolo corridoio costellato di stanze.

Apro la prima che altro non si rivela se non uno sgabuzzino per le scope.

Faccio schioccare la lingua, seccata.

Passo alla seconda.

Spalanco lentamente l'uscio.

La riconosco come la camera da letto.

Ma non c'è nessuno.

Ci sono vari vestiti ammonticchiati qua e là e il letto è disfatto.

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Richiudo la porta tornando al piano inferiore.

Chiunque abiti qui dentro adesso è fuori.

A fare la bella vita immagino, data l'ora.

Osservo una grande pendola che si trova nel piccolo salottino.

Sono le quattro di notte.

Non resta che aspettare.

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Mi avvicino ad una delle due poltrone al centro della stanza.

Afferro la pila di riviste di Quidditch che vi sono posate sopra e le getto senza troppi complimenti per terra.

Tutto è buio intorno a me.

Mi siedo sbuffando irritata.

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Odio il disordine.

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20 Febbraio. Ore 4:07

Compleasso residenziale alla periferia di Londra.

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Due figure si materializzano sul vialetto antecedente la casetta che appartiene ad uno dei due.

Si stringono le mani, un paio di pacche sulla schiena.

Si augurano la buona notte.

Dopodichè uno dei due, zoppicando, si dirige verso l'entrata dell'abitazione, scomparendo dietro la porta, dopo aver salutato ancora con un cenno del capo l'amico.

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Questo, ormai rimasto solo, si smaterializza con uno schiocco che rimbomba in tutta la strada deserta.

Tornano a casa dopo una serata passata in un pub.

Donne semi-nude, birra a fiumi, ore piccole.

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L'uomo si passa una mano sul viso.

E' assonato e stanco.

Si materializza anche lui davanti alla sua casa, il suo rifugio.

Non vede l'ora di stendersi nel suo letto e dormire fino al pomeriggio del giorno dopo.

Ma quando arriva all'entrata, trova la porta socchiusa.

Rimane per un minuto buono a fissare la serratura distrutta.

Tira fuori la bacchetta, all'erta.

Dopo un attimo di silenzio, varca la soglia assicurandosi che la porta non cigoli sui cardini, rivelando così la sua presenza ad un possibile ladro.

La riaccosta alle sue spalle, gli stivali però scricchiolano sul pavimento.

Maledice mentalmente le calzature mentre si assicura che non ci sia nessuno in cucina.

Torna nell'ingresso.

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Il buio inghiotte la casa.

L'uomo distingue a malapena i mobili.

Non ha paura.

E' tranquillo, sa quello che fa, e dopotutto è il suo lavoro.

Ma sa di non essere solo.

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E anche l'altra presenza ha capito, si è resa conto che non è più la sola in quell'edificio.

La sua attesa è terminata.

E' convinta che tra non molto potrà già essere sulla strada di ritorno per la sua di casa.

Lei incrocia le gambe, lasciando che un sorrisetto sadico le si dipinga sulle labbra.

Ha sentito i suoi passi.

Di sicuro non è una donna, sono passi di una persona alta, come minimo un 40 di piede.

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Lui decide di ispezionare il salotto.

Ed è come se avvertisse il respiro di qualcuno.

Costringendosi a stare calmo, punta la bacchetta contro il nulla, davanti a sé.

Distingue una delle due poltrone proprio davanti ai suoi occhi.

Un tenero fascio di luce lunare la illumina.

E' vuota.

Ma adesso lo schienale dell'altra si è fatto più vicino.

E quel respiro è sempre più forte, il suono moltiplicato e ingrandito nel silenzio della stanza.

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Lei sorride.

Lo sente avvicinarsi.

Sa che gli è alle spalle.

E già pregusta il sapore della vendetta.

Sceglie il modo in cui lo ucciderà.

Il più veloce o il più doloroso?

Si sforza sempre di deciderlo prima, ma finisce che la decisione è presa sul momento, quello clou di tutta l'azione.

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-Ti aspettavo-

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Lei parla, sorprendendolo.

E lui ancora alle sue spalle, sente il cuore perdere un battito.

Crede di aver capito con chi ha a che fare.

Sicuramente non un'ammiratrice segreta, una fanatica della sua persona che si è introdotta in casa sua per fargli una sopresa.

No.

Lei è l'Angelo Nero.

E lui lo sa.

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-Anch'io-

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Riesce a rispondere lui.

Lei fa una smorfia di apprezzamento, non sono molte le sue vittime che hanno avuto il coraggio di risponderle.

Di solito aprono bocca solo per chiedere pietà e quindi salva la vita.

Cosa che lei non concede mai.

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-Sai perchè sono qui?-

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Chiede ancora lei con voce ferma e pacata.

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-Per ammazzarmi immagino-

-Uuuh sei perspicace. Mi piace la perspicacia in un uomo-

-Stronza-

-Ehi moderiamo i termini. Ti ho forse offeso?-

-Mi offendi esistendo-

-Andiamo sul personale quindi. Ci siamo già incontrati?-

-Per mia e tua fortuna no-

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Lei estrae lentamente una delle due pistole, cercando di non farsi sentire.

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-Allora cos'è quest'odio represso nei miei confronti?-

-Un amico-

-Aaaah capisco. L'ho ammazzato ed era tuo amico. Se ci tieni così tanto ti mando da lui in meno di un secondo-

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La donna si alza di scatto, voltandosi nella direzione dell'uomo.

Non lo vede in volto.

Fa fuoco.

Ma lui non c'è più.

Sgrana gli occhi sorpesa.

Lo sparo si perde nel vuoto.

-Giochiamo a nascondino?-

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Non fa a tempo a ricevere risposta che due braccia le cingono le gambe facendole perdere l'equilibrio.

Cade a terra.

L'uomo ha aggirato la poltrona e l'ha colta alle spalle.

E adesso lei è distesa per terra, divertita, mentre lui le punta la bacchetta contro, in piedi.

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-Chi cazzo sei?-

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Chiede lui con disprezzo.

Lei ride.

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-Chi sono? L'inizio della tua fine-

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Si smaterializza per poi rimaterializzarsi alle spalle del uomo.

Gli tira un calcio sulla schiena facendolo vacillare.

Ma senza perdere un colpo, questo si volta e le assesta un calcio dritto sulla mano che impugna la pistola.

Quella cade lontano dalla proprietaria.

Lui le immobilizza i polsi, lasciando però cadere la bacchetta.

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-Chi sei?-

-Cazzi miei, bastardo-

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Impossibilitata all'uso delle mani, gli tira una ginocchiata nella pancia.

L'uomo si piega in due, gemendo di dolore, e mollando la presa sui polsi di lei.

La donna scatta all'indietro, intenzionata a recuperare la sua pistola.

Ma quello è più veloce, afferra la bacchetta e con uno schiantesimo, distrugge l'arma babbana.

Uno scaffale pieno zeppo di libri, viene colpito di striscio dalla fattura.

Lei scivola a terra, proprio sotto quello scaffale che oscilla pericolosamente.

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-Merda-

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Si alza di scatto poco prima che tutto il mobile cada fragorosamente a terra portandosi con se tutti i vari volumi che vi erano sistemati.

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-Il peso della conoscenza-

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Commenta sarcastico lui, mentre lei si rialza in piedi.

La donna inclina la testa di lato, si mette le mani sui fianchi.

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-Abbiamo appena cominciato-

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Gli si scaglia contro prima che possa scagliarle qualsiasi incantesimo.

Lo afferra per un polso, quello della mano che stringe la bacchetta.

Gli assesta una violenta gomitata sul petto prima di farlo sbilanciare a terra, strattonandolo per il braccio.

Lo osserva dall'alto.

I loro volti ancora in penombra.

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-Allora, chi è in difficoltà?-

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Chiede lei estraendo l'altra pistola.

La carica, con un clic.

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-Tu, puttana-

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Prima che possa fare fuoco le imprigiona le gambe con le proprie, la strattona a terra, e cade al suo fianco.

Lei sbuffa, visibilmente irritata.

Lui si rialza di scatto, lasciandosi cadere su una delle poltrone.

Lei non perde tempo, sebben distesa a terra, i capelli che le impediscono la visuale, gli punta la bacchetta contro.

Lancia uno schiantesimo.

La poltrona si ribalta all'indietro, e lui con quella.

Lei lascia cadere la bacchetta a terra, esausta, fin troppo.

Sente il respiro venirle a mancare.

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Lui fa capolino da dietro la poltrona.

Un rigolo di sangue gli scorre giù dal labbro.

Lei si volta a pancia in giù nascondendo il viso tra i capelli.

Respira affannosamente, una fitta lancinante al petto.

Rilascia un gemito.

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-Che cazzo fai?-

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Le si avvicina raccogliendo la bacchetta che lei aveva lasciato cadere.

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-La super donna è in difficoltà a quanto pare.

Che c'è?

I sensi di colpa si fanno sentire?-

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Non riceva alcuna risposta.

Tira su col naso passandosi il dorso della mano sul mento, portando via il sangue.

Lei geme sul pavimento, mentre il dolore va via via scemando.

Lui le tira un calcio nello stomaco costringendola a rotolare verso la zona illuminata dalla luce della luna.

Lei maledice il mondo, coprendosi con entrambe le braccia il viso.

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-Prima ammazzi la gente e poi ti vergogni a farti vedere?-

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Le chiede inginocchiandolesi a fianco.

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-Non mi toccare-

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Gli intima lei in tutta risposta.

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-Perchè sennò? Hai perso Angelo Nero. E adesso prima di portarti in centrale sono proprio curioso di sapere che cazzo di faccia hai!-

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Rilascia una risata.

Appoggia la bacchetta a terra e , ignorando il dimenarsi della donna, le afferra i polsi e con tutta la forza che ha in corpo glieli immobilizza sul pavimento sopra la testa.

Nel farlo, a causa dei troppi e bruschi movimenti, la catenina che indossa esce da sotto la maglietta.

Un angioletto d'argento che oscilla sopra il viso di lei.

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Lei apre sdegnosa gli occhi e riconosce quel ciondolo.

Sgrana gli occhi, mentre il cuore accellera i suoi battiti.

Non ha il coraggio di guardarlo in viso, mentre sa che lui l'ha già fatto.

E la fissa, avidamente, puntando i suoi grandi occhi azzurri nei suoi color nocciola.

Fa una smorfia, mentre la presa sui polsi di lei diminuisce via via.

Si allontana dalla donna, come scottato.

Seduto sul pavimento, lo sguardo puntato su di lei.

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-Hermione?-

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Chiede con un filo di voce.

E lei che sente un enorme peso allo stomaco, e un nodo alla gola, le lacrime che premono ai lati degli occhi per uscire, scorrere libere sul suo volto.

Lei si mette a sedere.

Scuote la testa, iniziando silenziosamente a piangere.

Piangere per la prima volta dopo tanto tempo.

Quella parola, quel nome, le rimbomba negli orecchi.

E ancora quel dolore al petto, freddo lancinante, che la costringe a piegarsi in due, una smorfia sofferente le si dipinge sul volto bagnato, mentre con un gemito si accascia a terra.

Lui senza esitare le va incontro, anche la sua voce spezzata dal pianto.

Le parole gli muoiono in gola.

Le alza il capo poggiandolo sulle sue gambe.

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-Sei viva-

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Mormora a fatica.

Lei continua a piangere scuotendo la testa.

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-Ron-

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Riesce a sussurrare prima di perdere i sensi.

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Solo una cosa.

Un invito a leggere e seguire (se avete voglia e tempo) un Gioco di Ruolo su Harry Potter!

Se volete darci un'occhiata Flagrate!

Per eventuali commenti Flagraters!

Per spiegazioni o domande scrivete a

hermione.weasley@email.it

serena.stagi@email.it

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Bacissimi!!!

Al prossimo capitolo!

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Hermione Weasley

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