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Autore: Batuffola95    17/10/2009    1 recensioni
La sua fatica non era nulla in confronto al dipinto, così come la sua stanchezza. Non poteva permettersi di riposare, assolutamente; la coscienza stava sparendo dalla sua anima, mentre la nebbia rossa si impadroniva di lui...
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L

a rovina

 

Erano ormai più di 5 mesi che lavorava incessantemente a quella grandiosa opera. Nella sua realizzazione, vi metteva anima e corpo e sacrificava tutto il tempo che aveva a disposizione. Quell’ arte, lo sapeva bene, lo sfiniva e rendeva il suo corpo sempre più fragile e delicato, quasi dovesse ammalarsi da un giorno all’ altro. Oh, quanta fatica costava!!

Tutti i suoi pensieri convergevano in un solo punto, uno solo e ben preciso: l’ opera –ecco il suo pensiero- lo stava sfinendo, mentre la solida impalcatura della chiesa iniziava ad oscillare.

Ma egli non si era dato per vinto: aveva girato, incostantemente, tutte le locande di Firenze –anche le peggiori bettole della città- alla ricerca di nuove condizioni espressive e volti suggestivi che avessero potuto rientrare nell’ immensa opera da lui faticosamente creata. Aveva passato così tante serate in solitudine, fra quella gente ubriaca e sconosciuta, che a poco servì rammentare quei ricordi, che conosceva fin troppo bene. Eppure, quel clima malinconico non lo tormentava affatto; era convinto che, un giorno, tutti quei suoi sforzi sarebbero stati ripagati e che presto, gli sarebbe stata riconosciuta la stima, non solo del Papa, ma di tutta Firenze, che approvava il tanto faticoso lavoro effettuato per la Chiesa.

Quanti schizzi e disegni aveva elaborato circa le sue idee!! Eppure non si stancava mai: non una sera, non una notte, non un momento il cui suo unico pensiero era un altro. Semplice: non poteva permetterselo.

La sua iniziale opposizione a quella commissione era tutt’ altro che infondata. Ma a cosa serviva lasciarsi trasportare dalla pigrizia, dall’ insoddisfazione di sé, proprio in quel momento? E per di più, che fine avrebbero fatto tutti i suoi sforzi? Si sarebbero tutti dimostrati inutili, ecco, a tutte le circostanze.

Ma ecco trillare nella mente dell’ artista un altro pensiero: che idea avrebbe avuto il Papa Giulio II di un’ artista al servizio sacro della Chiesa, che non compiva il suo dovere per essa?

Si sentiva la stanchezza piombare incessantemente sulle sue spalle, come se dall’ alto provenisse una voce di rassegnazione alla non conclusione dell’ opera. Era allo stremo delle forze, e, per di più, gli dolevano le mani, le braccia, la schiena e così dicendo; ma il tutto non fu paragonabile alle dita, sempre forti e robuste, qualsiasi fosse l’ ora o il momento.

Non smettevano mai di muoversi, anzi: più il lavoro procedeva, più esse s’ impegnavano per mantenere una sorta di coscienza che aveva caratterizzato tutta la realizzazione dell’ opera fino ad allora.

Con la fronte tormentata da gocce di sudore, sdraiato a pancia in sù, l’ artista stava per abbandonarsi alla fatica, da cui sicuramente non sarebbe più uscito tanto facilmente.

Il suo pennello, bagnato di rosso, non aveva smesso di muoversi, mentre con l’ altra mano reggeva la rudimentale tavolozza in legno, ormai impregnata di colori secchi e scuri che il tempo aveva progressivamente trasformato.

Ah, quanto supplizio, quanta tentazione di cedere a tale stanchezza!!

Anche se veloci, non poteva affermare di avere le sue dita ancora sensibili; esse reggevano il pennello, che si muoveva velocemente sul soffitto della Cappella, tracciando ampie e larghe campiture piatte di colore cangiante.

Ancora un poco di colore, così accecante, e il dettaglio sarebbe stato perfetto, ottimo nel suo essere.

I suoi occhi avevano seguito tutta l’ intera procedura dell’ opera. Fino ad allora.

Ecco che bagnò un poco il pennello con il colore necessario, e lo porse sulla figura, ritraendone i dettagli voluti.

Ma una piccola goccia, minuscola e invisibile, ecco, cadde fragorosamente nei suoi occhi.

Le palpebre scesero lentamente sui bulbi e le sue ciglia nere come la pece, si trovarono incrociate. Ecco. Il suo destino.

Una goccia, solo una piccola goccia di fine tempera gli era penetrata nell’ occhio sinistro, rendendo difficile il lavoro. Come avrebbe potuto continuare a dipingere senza che potesse vedere?

La goccia scese ancora più in profondità del bulbo oculare, mentre il suo colore rosso vivo si stava espandendo anche sulle mani, che dopo aver buttato il pennello, cercarono di ravvivare la vista tentando di aprire le palpebre.

Il dolore, ecco cosa stava provando in quel preciso istante: attimi sfuggenti, forse passati, che però durarono un’ eternità nel loro compiersi. Gli pareva di essere fuori dal mondo, senza ragion di vivere e oltretutto senza il mezzo per vedere la vita che continuava, sotto il passo errante del tempo.

E, cosa che più non sopportava, era di dover sottostare all’ enorme sacrificio di non veder mai più la sua opera, quella a cui stava lavorando al momento della tragedia.

Le mani non riuscirono più ad allargare la sua vista, tale da dover chiudere anche l’ altro occhio.

Perlomeno, quella era un’ occasione di riposo… se non di altro.

Si adagiò, quindi, cautamente sul soppalco, allungando la schiena e stendendo le gambe, mentre cercava il luogo adatto al riposo mediante il tatto –per fortuna rimasto-, tastando le mani sul legno poco lavorato.

Il silenzio divenne ancora più frastornante: gli parve di esser diventato addirittura sordo, e muto e…

Ma non certo questo fatto gli aveva strappato l’ immaginazione. Nella sua mente, si affollarono le linee armoniose degli schizzi, i colori cangianti della cappella, i volti che non avrebbe mai più rivisto e… La Creazione di Adamo.

Si ricordò d’ improvviso, come un lampo che squarcia il cielo, la mano divina in direzione di quella umana. Le dita che tentavano di toccarsi, seppure vicine: come la sua vista, lontana o forse vicina alla cecità, era paragonata al dito dell’ uomo, così lontano ma così vicino all’ aspetto divino.

Il tormento di quell’ immagine, che tentò di dimenticare nei più bui meandri della sua mente, affollati di ricordi e fatti spiacevoli, continuava ad imperversare nei suoi occhi; al rammentare quell’ immagine, ecco, egli si scuoteva, si dimenava tra la tavolozza e i pennelli che non avrebbe potuto più vedere. Un solo colore –e uno soltanto- costituiva la sua mente. Il rosso acceso del sangue versato e del sacrificio, facevano ormai parte di sé, preso tra i mille affanni della mente, condizionata da quel ricordo.

Il rosso destino si stava avvicinando –se lo sentiva- e non avrebbe potuto fare nulla per fermarlo. I suoi occhi bruni, sormontati da sopracciglia spesse, si stavano preparando al peggio.

I minuti passavano e il desiderio di scappare da quella situazione si fece sempre più tragico, monotono e irrisolvibile.

Aveva dentro sé una nebbia rossa, che si espandeva come la rovina cui era sottomesso; quella nebbia, sì, proprio quella, che ebbe impossessato gli occhi di un artista, affamato di armonia, creazione e la sua arte, la scultura; ecco, solo allora, la nebbia rossa gli pervase l’ anima creatrice… L’ anima di Michelangelo Buonarroti.

 

 

 

  
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