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Autore: Defective Queen    18/10/2009    1 recensioni
“Nnoitra!”, lo chiamò, ma avrebbe voluto semplicemente chiedergli “perché?”
Perché tanto odio? Perché tanto rancore?
Perché erano legati dall’ossessione di prevalere l’uno sull’altro?
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neliel Tu Oderschvank, Nnoitra Jilga
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ambientata dopo il capitolo 313 o, se seguite l'anime, l'episodio 202.

Enjoy!

***

Il suo corpicino strisciava in avanti tra lamenti di dolore.
Le sue mani affondavano nella sabbia, cercando di ancorarsi invano a questa.
Ancora, ancora. Doveva resistere solo un altro po’. Un altro po' e l’avrebbe raggiunto.

La sua memoria, appena ritrovata, portava con sé una consapevolezza strana.
I ricordi sfuocati incominciavano lentamente a rischiararsi, e le voci, che per tutto quel tempo lei aveva ignorato, iniziavano a far irruenza nella sua testa.

Pesche, in passato, l’aveva intimata di lasciar perdere: “Neliel-sama, quell’individuo è pericoloso. Non c’è alcuna ragione per cui lei debba proteggerlo!”

Nel, però, sapeva sempre cosa rispondere. Sapeva sempre come mantenere un contegno orgoglioso nel pronunciare quelle parole, in modo da fugare i dubbi dei suoi compagni: “Non lo sto proteggendo, Pesche, sto semplicemente facendo in modo che Aizen-sama non perda un altro dei suoi Espada.”

Una pura questione di dovere.
Era sempre stata solo una pura questione di dovere.

Aizen-sama l’aveva avviata alla strada del sangue, malgrado la sua insofferenza per le battaglie, ma le aveva donato al tempo stesso una capacità ben superiore a quella degli altri Hollow:

Il raziocinio.

Era razionale cercare di impedire a quello stupido di farsi del male. Era razionale tentare di rimediare ai suoi sbagli. Era razionale per lei - un essere coerente e assennato - salvaguardare la sopravvivenza di creature miserevoli, come lui.

Nel arrancò su quel deserto assolato, smorzando tra le sue labbra un altro piccolo gemito.

Si erano guardati per un’ultima volta, prima. Mentre gli occhi di lui si chiudevano sul trionfo dell’oscurità, e i quelli di lei si riaprivano al sorgere dei ricordi appena riacquistati, Nel e Nnoitra si erano scambiati un ultimo sguardo.

Come se la distanza tra loro si fosse annullata, l’ex Espada aveva avuto modo di osservare, in quelle minuscole iridi distorte dalla sofferenza, la morte di cui lui tanto si era preso gioco in passato.

Perché, dunque, adesso faticava così tanto per avvicinarglisi?

Nessuno la stava costringendo a raggiungere la figura insanguinata di Nnoitra.
Non c’era alcun dovere che la spingeva ad agire in tal senso.
Nessuno l’avrebbe giudicata se lei avesse continuato a riposare addosso a quella roccia, tramortita per lo sforzo della trasformazione e per i colpi subiti.

Obbligo, dovere, pietà, miseria, risentimento.
Nessuno di questi sentimenti era rimasto dopo anni di vagabondaggi con la sua vecchia fracción attraverso il deserto dell’Hueco Mundo; l’unico posto dove le era stato concesso di trovare quella serenità e quella pace che aveva da sempre avvertito come scelta di vita migliore.

Cosa la spingeva ad andare avanti, allora?

Era arrivata troppo tardi per distoglierlo dai suoi folli piani, era arrivata troppo tardi per dimostrargli chi tra i due era ancora il più forte, era arrivata troppo tardi persino per trovare sufficienti motivazioni di scorta, in modo da giustificare le sue azioni.

Ichigo, la ragazza e quegli altri due strani Shinigami l’avevano abbandonata, e se lei non avesse fatto qualcosa, sarebbe rimasta completamente sola, a parte quell'altro arrancar, Tesla, privo di sensi e sopraffatto dal dolore a pochi metri di distanza.
Ma non stava facendo questo nemmeno per paura della solitudine, a dire il vero.

Giunta finalmente a destinazione, dopo aver affrontato un grande sforzo per rimettersi in piedi, si trovò a fissare dall’alto il capo del quinto Espada, ad appena quaranta centimetri dal suolo.

“Nnoitra!”, lo chiamò, ma avrebbe voluto semplicemente chiedergli “perché?
Perché tanto odio? Perché tanto rancore?
Perché erano legati dall’ossessione di prevalere l’uno sull’altro?
Nnoitra non le rispose.
Nel, allora, pur faticando nell’impresa di mantenersi correttamente in piedi, prese un bel respiro e sputò.
Sputò ripetutamente su quella lunga chioma corvina, tentando di sfruttare la sua saliva dalle proprietà taumaturgiche.

Non è abbastanza.

Gli umani temono la morte, perché non hanno alcun tipo di certezze sull’aldilà. Gli Shinigami temono la morte, perché, benché possano vivere addirittura per migliaia di anni, l’immortalità è a loro preclusa. Gli Hollow temono la morte, perché i loro istinti li spingono a farlo. Gli Espada temono la morte, perché è un’ammissione delle loro debolezze più nascoste.

Nel temeva la morte, perché la riteneva una paura razionale.
Non le piaceva rischiare la sua vita inutilmente, visto che sapeva cosa ne sarebbe stato di lei, una volta arrivato il momento.
Il suo corpo sarebbe stato diviso in mille pezzi e lei avrebbe perso quell’individualità che tanto aveva ricercato, per sempre.

Nnoitra diceva di non temere la sua dipartita, cercandola costantemente in battaglia, eppure anche lui si era ritrovato impotente di fronte all’eterno oblio.

Sei una bestia.

Nel non aveva mai capito quale fosse l’origine della sua sete di distruzione; di quell’istinto animalesco che lo spingeva ad annientare, ad uccidere, e lasciare dietro di sé solo terra bruciata.
No, non lo capiva.
Non aveva nemmeno mai preso sul serio le risposte di Nnoitra a riguardo. I suoi, in fondo, erano i vagheggiamenti di un sadico assassino, non i commenti di un essere in grado di distinguere il bene dal male.

Non mi trascinerai in quel tuo mondo demente.

La sua perdita di memoria l’aveva privata del proverbiale raziocinio che Aizen-sama le aveva donato.
Eppure, adesso che ci faceva caso, durante quel tempo non era stata felice?
Non aveva trovato soddisfacente la possibilità di far delle cose, senza per forza chiedersi quale fosse la loro utilità?
Non aveva trovato piacevole scorrazzare con la sua amata fracción in lungo e in largo, scappando a gambe levate da quegli infimi pericoli che, in un altro tempo, un'altra Neliel avrebbe affrontato a viso aperto?
Non era quello che aveva sempre voluto?
Non avrebbe dovuto addirittura ringraziarlo per averle dato l’occasione di provare simili esperienze, nonostante le avesse strappato senza ritegno una parte della sua vita?

Peccato che Neliel ormai non riuscisse più a pensare in modo oculato.

Le tue parole non hanno senso per me.

In quel tremore che la percuoteva come un tamburo battente, nei suoi singhiozzi, nei pugnetti che colpivano la lucida capigliatura bagnata di saliva di Nnoitra, nei vecchi ricordi che non volevano smettere di rifluire nella sua testa, nelle menzogne che aveva ripetuto centinaia di volte, nella gratitudine per Aizen, nell’affetto per Pesche e Dondochakka, nel dolore lancinante che percepiva all’altezza del suo petto - luogo dove il suo cuore avrebbe palpitato se fosse stata un essere umano -, infatti, non c’era nulla di razionale, in realtà.

Colei che l’aveva sempre disprezzato, squadrando con superiorità la sua incapacità di agire come un essere evoluto, ancora adesso, seppur in forma di bambina, contemplava dall’alto la figura inerte di Nnoitra.
Le lacrime scorrevano assieme al sangue, lungo la sua faccia, tracciando due percorsi separati: uno lieve e trasparente, e l’altro denso, di colore rosso carminio.

Il corpo di Nnoitra si frantumò in tanti piccolissimi granuli e si dissolse completamente, trascinato dallo stesso vento del deserto che asciugò i segni del pianto dal volto fanciullesco di Nel, lasciando il sangue come unico testimone della sua scomparsa.

Il suo passato si era risvegliato, l’aveva colpita e poi l’aveva lasciata agonizzante in un corpo troppo piccolo per contenere tutta quella sofferenza.

Le sue ginocchia cedettero, venendo meno al suo controllo, e ancora una volta le sue membra esauste si abbandonarono al deserto, l’unico capace di arrestare la sua caduta.

Secondi, o forse minuti, o forse ore, o forse giorni, o forse settimane dopo, Pershe e Dondochakka l’avrebbero ritrovata lì, riversa sulla sabbia, incosciente, eppure, suo malgrado, ancora viva.

Sorreggendola a vicenda, l’avrebbero costretta a volgere lo sguardo verso il falso cielo azzurro dell’Hueco Mundo, permettendole di inspirare nuovamente aria dalle narici ormai otturate dai granuli sabbiosi.

Alla fine, tra i due, lei sarebbe stata nuovamente l’unica in grado di rialzarsi.

Perché sei più debole di me.

Per una sola volta, Nel avrebbe voluto non aver ragione.

   
 
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