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Autore: t_ellah    18/10/2009    1 recensioni
Questa storia si è classificata prima al concorso "Il contest delle sigle" di hotaru. su EFP
Annika Lespaul è una giovane ex modella che dalla sua famiglia non ha avuto mai nulla.
Un giorno viene contattata da sua madre per riferirle una notizia: sua sorella Sally si sposa. E così Annika è costretta a lasciare il suo lavoro e la sua casa a New York per una settimana, e tornare nella vecchia casa dei suoi nel Connecticut.
Lì, Annika rivede cose, ricorda episodi e incontra persone. Poi, quando finalmente tutto è finito, prende il treno che la riporta a casa, e su quel treno Annika ripercorre mentalmente tutto quello che ha passato nei giorni appena trascorsi.
Ispirata un po' da una storia vera, un po' da un film che ho visto qualche tempo fa e parecchio dalla frase che ho scelto per il contest "Come un raggio, che ha il coraggio di lasciarsi il sole dietro sé... io credo in me, nel cuore mio!"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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capitolo 9

Hello, goodbye

“Come un raggio che ha il coraggio di lasciarsi il sole dietro sé…

io credo in me, nel cuore mio!”

Il treno lasciò la stazione avanzando lentamente nelle pianure del Connecticut.
Prese velocità solo dopo aver una lieve curva a sinistra, e a quel punto la Central Station di Danbury scomparve alla vista dei viaggiatori.
Il vagone nel quale viaggiava Annika Lespaul era pressoché deserto, fatta eccezione per una coppia di vecchietti in un angolo, e un paio di ragazzi in divisa da boy scout dietro di lei.
Era un treno come tanti, quello. La giovane poteva riconoscere i dettagli che caratterizzavano gli interni di quella linea ferroviaria, e questo le trasmetteva un senso di sicurezza e pace inauditi. Le poltrone blu cobalto, e i vetri doppi. I braccioli graffiati, e il pavimento polveroso. Le luci bianche. Le porticine piccole, porticine da nano.
Era tutto già visto, già conosciuto ed imparato a memoria. Familiare.
Cercando di resistere alla tentazione di accendersi una sigaretta in un luogo dove, lo sapeva bene, era vietato, la ragazza prese a sfogliare distrattamente la rivista che aveva sulle gambe. In copertina, una modella, al limite della denutrizione e fasciata da un tubino rosso, fissava il vuoto con un disco di vinile stretto tra le dita ossute. Sullo sfondo, stampe giapponesi e una lampada rosa piuttosto kitsch.
Annika sospirò, ricordando quando anche lei era così: non magra, no. Quello lo era ancora, e tanto. Ma schiava dell'obiettivo, un oggetto da sistemare e ammirare, un manichino da vestire non lo era più. Per fortuna.

 
-Mio dio, questo vestito di cade addosso come un sacco!- Esclama sua sorella, indispettita.
-Che devo fare? Ingozzarmi di torta alla panna nella speranza di mettere su peso prima di dopodomani?- Risponde lei aspra. Sally non parla, tira malamente la stoffa lilla sui fianchi ossuti di Annika, nel tentativo di rendere l'effetto un po' più aggraziato.
-Oh basta, lascia stare!- Esplode lei.
-D'accordo, allora. Verrai così. In fondo, a te cosa importa? E' solo il mio matrimonio, dopotutto.- Annika sospira.
-Okay, vieni qui. Cerchiamo di sistemare un po' questo vestito da damigella.-

 
Annika cercò i gli occhiali da sole nella borsa e li indossò, lasciando che l'avvolgente mascherina di Prada la schermasse dal mondo esterno. Avrebbe voluto dormire, ma il sedile era piuttosto scomodo e il sole le batteva proprio in faccia.
Il viaggio fino a New York non sarebbe durato troppo, dopotutto. Una volta arrivata a casa avrebbe dormito per due giorni di seguito, si disse.
Quella settimana a casa dei suoi, nel Connecticut, l'aveva stremata.
Sally, sua sorella, era appena convolata a nozze con un giovane rampante dall'aria idiota e il conto in banca a sei cifre. Robert.
Robert aveva ventotto anni e li aveva trascorsi tutti a sorridere. Sorrideva in sella al suo purosangue; sorrideva quando firmava i contratti con i suoi clienti, nello studio legale di cui era associato; sorrideva quando parlava con il suocero; sorrideva, persino, quando il suo sguardo si posava su di lei. Ma su questo Annika non era completamente certa: forse quella che si congelava sul volto di Robert era una smorfia di disperazione male celata, ogni qualvolta i suoi occhi incontrassero la terrificante cognata.
Annika non sorrideva, mai. Era stata addestrata a mantenere un cipiglio sexy, serio, imbronciato o neutrale, a seconda del tipo di vestito che avesse -o che non avesse- indosso.
Dopo dieci anni di lavoro come modella, Annika aveva dimenticato come si facesse a sorridere.
Aveva cominciato a quattordici anni, sfilando il sabato pomeriggio per piccoli marchi per teenager. A sedici anni un viscido agente l'aveva convinta a mollare la scuola e a trasferirsi a New York, per "sfondare nel mondo della moda", come aveva detto lui.
Brian e Victoria Lespaul, i suoi genitori, avevano accettato la cosa senza fare una piega. Evidentemente consideravano la loro ultimogenita del tutto perduta, anche quando era solo agli inizi della carriera nel mondo della moda.
Annika sorrise malinconicamente, pensando alla differenza abissale che correva tra lei, Sally e Zac, suo fratello maggiore. Sally era la figlia di mezzo perfetta. Sally aveva vinto una tonnellata di stupidi premi scolastici; Sally frequentava il club di letteratura, al liceo; Sally aveva tutte A; Sally aveva preso una schifosa laurea a Stanford; Sally insegnava in una ridicola scuola elementare a dei bambocci bavosi e urlanti. Insomma, Sally era perfetta.
Annika no. Zac... lui era stato pressoché dimenticato dall'intera famiglia Lespaul.

 
-Dov'è la foto mia e di Zac al lago?- Chiede Annika indicando una cornice vuota.
Sua madre la fissa, gli occhi azzurri sono due fessure. Sembra a disagio.
-Oh. Aeeemh. Sì.- Tentenna.
Annika alza un sopracciglio.
-Sai era tutta stropicciata e così l'ho infilata nel vecchio dizionario di latino di tuo padre, così perde un po' la forma. La rimetterò lì quando avrà perso tutte quelle fastidiose piegoline.-
-Oh, capisco. Brutta cosa, le piegoline.-
-Perché devi essere così cattiva con me, Annika?- Domanda Victoria in tono lamentoso.
Potrebbe inscenare una crisi di pianto, se fosse in vena. Magari tra un po' lo farà per davvero.
-Non sono cattiva, mamma. Non sono mica io quella che non ha invitato il fratello maggiore alle nozze della sorella di mezzo, mamma. Non sono mica io quella che ha detto "vieni da solo oppure non presentarti alla mia porta", mammina.-
Victoria spalanca la bocca. Annika sorride.
-Tuo fratello... io... io... non ho mai detto...-
-No, certo.- Annika concentra tutta la sua attenzione sui tovaglioli che sta piegando, quasi fosse una questione di vita o di morte.
-Non gli ho detto questo! Ho solo pensato che fosse troppo presto per presentarsi di fronte a tutti i parenti con il suo nuovo ragazzo, Annika!- Sbottò sua madre.
Annika, dentro di sé, sorrideva. Sghignazzava. Ma solo dentro di sè.
Perché il suo viso era fermo e impassibile, e non tradiva alcuna emozione.
-Il suo nuovo ragazzo! Questa si che è bella, mamma cara. Veramente spassosa. Zac e Jamie stanno insieme da quattro anni. Quattro! Quattro anni fa, mamma, Sally non conosceva ancora Robert.-
Questo è troppo. Victoria lascia cadere nel lavandino le posate che sta asciugando e corre in soggiorno.
Molto bene. Ora Annika potrà fumarsi in pace una sigaretta senza nessuno che le chieda, per favore, tesoro, potresti spegnerla? Il parquet si impregna di fumo e poi puzza.

 
Zac aveva dieci anni più di lei: trentasei.
Era un omone enorme, altissimo, spalle larghe e viso gentile. Era stato il suo primo, vero amore, quando aveva sei anni e sedeva accanto a lui mentre lui strimpellava il vecchio pianoforte di casa. Tutte le bambine, si sa, vogliono sposare i propri papà.
Tutte, nessuna esclusa, si vede come la piccola principessa di casa. E al loro fianco, tutte loro, vedono un principe in casacca bianca e pantaloni rossi fruscianti, con una corona in testa e la spada al loro fianco. Queste bimbe non hanno ancora esplorato l'immenso universo maschile, e così danno il volto del proprio babbo a questo principe.
Annika no. Annika aveva sempre immaginato che se avesse sposato un principe, sarebbe stato esattamente come Zac. Avrebbe avuto i suoi capelli castani ondulati, e i suoi occhi azzurri, la voce profonda e le mani che danzavano veloci sui tasti del pianoforte.
Zac aveva praticato hockey su ghiaccio ed era un grande tifoso di basket. Lui e la sorellina guardavano ogni sabato le partite della NBA in televisione. Amava anche leggere, tantissimo. Quando lei aveva otto anni e lui era in procinto di andare all'università, le regalò una vecchia copia di David Copperfield ingiallita dal tempo.
-Tienilo. Leggilo con calma e poi dimmi cosa ne pensi.-
Annika aveva divorato quel grosso librone che odorava di antico. Era una cosa che amava fare: ogni libro, secondo lei, possedeva un odore particolare ed unico. Lo aveva constatato annusando persino i libri di scuola, piccoli tomi colorati e per nulla interessanti, agli occhi della ragazzina.
-Come i vini!- Aveva esclamato Zac quando la sorellina gli aveva confidato quest'idea.
Ogni volta che parlava al telefono con Zac, Annika ripercorreva le avventure di David con lui.
Quando Zac tornava a casa per le vacanze, portava sempre con se qualche nuovo romanzo.
Dopo David Copperfield fu la volta di Orgoglio e pregiudizio, e dopo di quello altri libri ancora.
Annika sognò con Wendy e Peter Pan, viaggiò con Alice, amò insieme a Catherine e Heathcliffe, combatté al fianco dei Greci e dei Troiani e viaggiò con Odisseo, e tutto questo grazie a suo fratello, il suo principe amico.
Ora Zac insegnava storia dell'arte alla Columbia e viveva con il suo compagno da quattro anni in un appartamento del campus. Annika pensò che sarebbe dovuta andare a trovarli, era da tanto che non vedeva né suo fratello né Jamie.

 
-Puoi spegnere quella cosa?-
-Ma non eri andata in soggiorno?-
-Sono di nuovo qui, disturbo per caso?-
-Certo che no. Tranquilla, comunque. La cosa è semplicemente una sigaretta. Non fumerei mai marijuana sotto il vostro tetto.
-Non te lo permetterei!-
Annika trattenne una risatina. Sua madre era piuttosto ingenua, quando ci si metteva.

 
Aveva provato l'ecstasy una volta sola, e si era ripromessa di non caderci mai più. La distruggeva completamente, e il suo corpo, debole per via della dieta ferrea e per l'allenamento continuo, non avrebbe retto una seconda pasticca.
Sfuggiva l'eroina perché, dicevano, ti rende dipendente dopo la prima siringa. Non voleva diventare una tossicodipendente, ci mancava solo quella.
A volte aveva assaggiato un po' di cocaina. Alle feste, nei backstage. Solo se veniva offerta, e mai troppa: cercava mantenere una minuscola percentuale di autocontrollo in un angolo del suo cervello, per non diventare violenta. Non si preoccupava di beccare roba cattiva. Nel suo mondo ne girava solo di perfetta, nè troppo pura -l'avrebbe uccisa, probabilmente- nè piena di schifezze.
Non era dipendente, però. Si dava delle regole. un po' come il cibo.
Era ottima, ma non era quell'esperienza fantastica, meravigliosa, ai confini della realtà come la definivano molti. Sentiva la fame sparire di colpo, ed era pronta a stare sveglia per settimane. Le dava una certa carica.
Una volta una delle sue coinquiline le aveva offerto una striscia. Aveva risposto -Oh, sì!- Tutta eccitata. Quando si era resa conto della sua risposta, era uscita in fretta da casa ed era andata al cinema. Poi al McDonald's: Big Mac, patatine, Coca-Cola e frullato di fragole. Se era euforica prima di toccare la roba, significava che doveva darci un taglio immediatamente.
Quello fu uno dei pasti più abbondanti che fece, nel periodo in cui lavorava come modella a New York. Viveva in un appartamento con altre tre ragazze, modelle anche loro, e il frigo era perennemente vuoto. Il suo stomaco altrettanto.
Si era imposta un pranzo e una colazione veri a settimana. Era un trucco che aveva imparato da una ragazza franco-americana che faceva la modella da quando aveva tre anni e la sua faccia compariva su tutti i cartelloni pubblicitari degli USA, accanto allo slogan di una nota marca di pannolini.
-Il lunedì mangi una ciambella e bevi un cappuccino appena sveglia. Poi mangia quello che ti pare. Fai la fame, se ti va. Il venerdì mangi un piatto di pasta, roast beef e patate, pollo con i peperoni... Quello che ti pare. E poi fai il digiuno fino al lunedì successivo, se a te sta bene. Con questo metodo ti tieni in forma che è una bellezza.-
Qualcun altro le aveva sconsigliato fortemente la marijuana.
-La fumano le teenager, lascia perdere quella merda! E poi ti mette una fame chimica pazzesca, e a quel punto sei costretta a diventare anche bulimica. Un consiglio? Lascia perdere. Se vuoi un aiutino, butta giù un po' di vodka alla pesca e ti tirerà su in un baleno.-
A casa, quando ancora viveva con i suoi, aveva provato la marijuana diverse volte. In effetti, subito dopo correva sempre a svuotare la dispensa.
Sua madre appariva più disgustata che Annika avesse realmente mangiato qualcosa, piuttosto che stesse continuando con la sua dieta assurda.
A volte si era domandata se i suoi genitori fossero stupidi o semplicemente non riconoscevano dei sintomi palesi quando li avevano davanti.
Era sempre stato così, in tutte le situazioni.
Victoria partecipava a stupide riunioni di donne di mezza età che si vantavano per le opere di carità fatte e roba del genere. Il tutto avveniva sempre in ridicole sale da ricevimento, e le partecipanti indossavano ogni volta un abito nuovo. Annika aveva sempre pensato che si trattasse di un modo alquanto singolare di schiaffeggiare la povertà di cui tanto si preoccupavano.
Le donne che frequentavano questo tipo di riunioni avevano conti in banca ben più forniti di quello dei Lespaul. E si trattava comunque di conti personali, cioè solo una parte dello stipendio del capofamiglia, che si premurava ogni mese di versare soldi a nome dell'amata coniuge. Tuttavia, Victoria si era sempre sentita a casa sua tra quelle donne.
Annika, però, guardava con occhio impietosito questa cosa: nessuna di loro sembrava veramente interessata a sua madre. Se mancava a qualche riunione, nessuno si prendeva il disturbo di chiamarla. Un paio di volte qualcuno di loro era venuta a casa quando Annika era in visita dai suoi. Si erano appollaiate sulle poltrone e avevano sorseggiato il loro tè, rispondendo con educata freddezza ai tentativi di fare conversazione di Victoria.
Di ritorno dal bagno, mentre sua madre era in cucina, Annika aveva sentito la voce di una paio di quelle vecchie, grasse signore in tailleur firmato.
-Povera Victoria, dopotutto deve pur riempire le sue giornate in qualche modo...-
-Eh già che poi con quei figli che si ritrova... Uno peggio dell'altro! Il maggiore è... insomma, avete capito. E la più piccola... L'avete vista, no?!-
-Oh, sì... Sally magari è l'unica parte sana della mela marcia, ma trovo comunque che sia una giovane piuttosto ordinaria.-
-Precisamente! Ordinaria, è proprio questa l'impressione che mi da la ragazza. D'aspetto, di modi e di carattere, mai vista ragazza tanto ordinaria.-
Quelle parole sembravano ricalcare quasi perfettamente quelle che, per sbaglio, aveva udito nei bagni dell'hotel nel quale c'era stato il ricevimento per il matrimonio.

 
Annika rimane chiusa nel suo cubicolo, sebbene sia perfettamente in ordine e abbia già tirato l'acqua. Ha sentito il ticchettare di qualche paio di tacchi -Non sa bene quanti.
-Ridicola, la damigella d'onore. E' talmente magra che quel vestito le sta addosso come uno straccio. E avete visto che occhiaie?-
-E' la sorella di Sally. Un'ex modella drogata e alcolizzata, anoressica e probabilmente qualcos'altro.-
-Sì, a casa ho una montagna di Vanity con lei in copertina. Comunque anche Victoria Lespaul non scherza. Con quel vestito sembra una meringa al limone!-
Ridono. Rumore di borse che si aprono, fruscio di vestiti che si sistemano, trousse del trucco che scattano.
-Suo fratello Zac non è venuto. Immagino che sua madre non l'abbia voluto. E' un professore omo della Columbia, sai che scandalo!-
-Avete visto come Victoria sta sempre appiccicata a mio padre? Dio, è così orrendo che siamo diventati parenti.- E' Lucy, la sorella di Robert, il novello sposo.
-Magari spera di trovare presto qualcuno per sistemare la più piccola.-
-E chi?!-
-Un esorcista, magari. Potrebbero andare d'accordo!-

 
Il treno fa una fermata, e Annika viene bruscamente riportata alla realtà dopo quell'interminabile arabesco di pensieri.
Vede scendere i due boy scout, i vecchietti. Pensa che forse sta per rimanere sola.
E invece no.
Perché ora è una giovane coppia a salire sul suo stesso vagone: lui capelli scuri e occhi verdi, lei capelli rossi ricci e occhiali scuri. E poi una mamma con le sue tre deliziose bambine, e un ragazzo con il chiodo e i capelli dritti di gel.
Annika ripensa ad una delle frasi confuse che ha captato in quello che, seppure di lusso, era pur sempre un cesso.
Un'ex modella drogata e alcolizzata, anoressica e probabilmente qualcos'altro.
Avrebbe davvero voluto uscire fuori e fare il punto della situazione.
Prima di tutto, non aveva più niente a che fare con la moda da anni. Ora gestiva una minuscola libreria sulla Fifth Avenue di New York, viveva da sola e aveva persino un gatto.
In secondo luogo, erano almeno due anni che non vedeva della droga nemmeno in fotografia. Aveva bevuto del vino al matrimonio, sicuro, ma prima di questo era rimasta sobria per mesi.
Era magra, questo sì. Mangiava poco, certo. Ma stava combattendo anche contro quel mostro. Come un raggio, che ha il coraggio di lasciarsi il sole dietro sè, anche lei voleva buttarsi alle spalle il passato.
Stava lottando con tutte le sue forze, e ne era fiera.
Ma soprattutto, pensò con un sorrisetto di scherno rivolto agli alberi del Connecticut che le sfrecciavano davanti ora che il treno aveva ripreso la sua corsa, era fiera di una cosa: di non essere una totale, abnorme e irrecuperabile stronza!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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NdA: La storia si è classificata prima al contest di hotaru. Non vi dico la mia sorpresa nel sapere il risultato!
Comunque, la storia si è ispirata in parte ad una storia vera, in parte ad un vecchio film che ho visto tanto tempo fa (di cui non ricordo neppure il titolo XD) e, ovviamente, alla frase che ho scelto per partecipare al contest (la trovate nel sottotitolo e nel testo della shot).
Spero che vi piaccia. So che sembra un po' confusa (i continui flashback, che magari non sembrano nemmeno legarsi bene con il resto della narrazione) ma, almeno nella mia testa, tutta la shot un filo logico ce l'ha. E non credo che sia troppo difficile per voi trovarlo, se seguite bene. ^^
Ah, e se ve lo state chiedendo... Si, esiste davvero una ragazza che si chiama Annika. E' la migliore amica di una mia cara amica. =)
XOXO Deerockt94
  
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