Stamattina sono arrivata a
scuola. Tutto sembrava spento, grigio, l’atmosfera non era normale.
Ho visto delle mie compagne
parlare con ragazze di altre classi: bisbigliavano. Mi avvicino, parlano
sommessamente, come avessero paura di disturbare qualcuno.
Colgo poche parole:
“L’avevo vista proprio ieri pomeriggio”.
Un attimo dopo una mia
amica mi dice: “Sai perché piangono tutti? è morta una ragazza della scuola”.
Mi giro e mi guardo
intorno: a pochi metri da me un gruppo di ragazzi che conosco solo di vista
piange, si consola, esprime il suo dolore.
Loro questa mattina sono
venuti a scuola con la consapevolezza di aver perso un’amica; io questa mattina
mi sono lamentata perché dovevo prendere l’autobus…
Volgo lo sguardo, un altro
mio compagno si è avvicinato.
“Sai che è morta una
ragazza? Si chiamava Giulia”
Lui scuote la testa, sembra
informato sui fatti: “Non si chiamava Giulia…”
La mia mente non coglie il
resto della frase, il mio sguardo è tornato a quel gruppetto affranto.
E lo vedo.
Con una sigaretta in una
mano, appoggiato ad una amica sta piangendo. Piange, piange: non avrei mai
potuto immaginare proprio lui piangere.
All’uscita da scuola, un
silenzio irreale mi accoglie.
Neanche il rumore dei
pianti riesce a spezzare il sortilegio che sembra avvolgere la scuola. Sono di
nuovo davanti a me i tuoi amici, i tuoi compagni di classe.
Stanno piangendo per te,
per te e nessun altro.
Cercano conforto l’uno
negli altri, ma nulla può davvero aiutarli a capire una morte come la tua.
E lo vedo, di nuovo.
Il ragazzo che osservo da
lontano ormai da anni: sembra il più sconvolto. Mi viene quasi voglia di
avvicinarmi per consolarlo. Ma ovviamente lui non mi conosce. Ma conosceva te…
Chi era lui per te? Il tuo
ragazzo? Un semplice amico? Il tuo migliore amico? Ha più importanza in un
momento come questo?
Chiunque lui fosse, ti
voleva bene. Come gli altri ragazzi intorno a lui. Come tanta altra gente che
io non conosco. Li hai segnati, per sempre.
In realtà neanche io ti
conoscevo ma mi hai segnato comunque.
La morte non è così lontana
da noi come vogliamo credere, è sempre più vicina di quanto siamo pronti ad
accettare. Ed ogni volta che questo si manifesta veniamo colpiti nel profondo
in maniera indelebile.
Mi riprendo dalle mie
riflessioni: devo chiamare mio padre.
Mi allontano dalla folla di
ragazzi: mi sembra irrispettoso turbare quel silenzio per la mia stupida
telefonata…
Sono in un bar, ho davanti
un giornale: ci sei tu.
Parlano di te, della tua
morte, delle sue cause. Come a cercare a tutti i costi una ragione in cose che
non ce l’hanno.
Ci sei tu, in una piccola
foto: eri in vacanza. Non potevi immaginare…
Magari anche solo ieri
stavi dicendo alle tue amiche:
“Cosa facciamo sabato
sera?”
E adesso non puoi più fare
progetti, mai più.
Nota dell’autrice:
ci tengo a precisare che
questa shot è vera, tutto basato sulla disgrazia che
venerdì pomeriggio ha colpito una ragazza della mia scuola. Tutti i pensieri
presenti sono veritieri, gli ho trascritti di getto il pomeriggio dopo la
tragedia.