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Autore: e m m e    21/10/2009    11 recensioni
Quando sei una ragazzina imbranata, senza amici, ma con un unico particolare talento, un aiuto può giungere anche dalla persona di cui hai il terrore più assoluto.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry, Dopo la II guerra magica/Pace
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Autore: emme
Titolo: About Brushes
Fandom: Harry Potter
Personaggi: Severus Snape, Nuovo Personaggio
Riassunto: Quando sei una ragazzina imbranata, senza amici, ma con un unico particolare talento, un aiuto può giungere anche dalla persona di cui hai il terrore più assoluto.
Rating: G
Word: 7151 (fdp)
Note: La storia si è scritta da sola durante l'estate. Le voglio abbastanza bene, e la protagonista mi è simpatica. Si chiama Mary, ma non Mary Sue.
Prompt: Questa immagine (meglio sarebbe se la guardate dopo aver letto... ma è abbastanza indifferente.)

 

About Brushes (Di Pennelli)

 

Il dolore fa il poeta;
ma la gioia fa il pittore.
Camillo Boito

 

La prima volta che vidi Severus Snape avevo da poco compiuto undici anni e mi accingevo a indossare il cappello parlante per essere smistata nella scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.
Non mentirò, cercai di guardarlo il meno possibile perché il suo cipiglio da corvo arrabbiato mi spaventò da primo momento in cui posai gli occhi su di lui e, diciamo la verità, ne ebbi paura per tutto il resto della mia vita.
A parte questo però posso affermare con assoluta sicurezza che gli anni trascorsi ad Hogwarts per me furono un vero calvario.
Ma per essere più precisi scorrerò alcune pagine del mio diario personale e segreto, per cercare di spiegare perché adesso mi trovo qui, davanti a questa porta, per parlare con Harry Potter.

1 settembre 1983

Oggi la mia vita è finita.
Non doveva succedere una cosa del genere! Non doveva!
Papà mi ucciderà, ne sono sicura.
“Non c’è disonore più grande” dice sempre lui. Per Merlino! Come farò adesso?
Ma forse c’è stato uno sbaglio, forse il Cappello Parlante a sbagliato tutto! Forse potrò tornare a casa e dimenticare tutto questo.
Accidenti! Vorrei essere una di quelle bambine nate Babbane i cui genitori non sanno nemmeno che cos’è uno smistamento.
Accidenti ai miei bisnonni, e ai loro bisnonni, e ai miei cugini di terzo e quarto grado! Accidenti a tutta la mia famiglia!
Voglio tornare a casa!
E adesso sto pure piangendo e la boccetta di inchiostro si è rovesciata per terra e ha macchiato il tappeto della mia nuova casa.
E’ un tappeto verde, tutto qui è verde e argento, tutto sa di serposo. Anche la luce è verde, e ho capito che siamo sotto il lago! Io odio le cantine, e adesso mi tocca passare il resto dei miei anni qui dentro.
Oh, ma perché? PERCHE’?! Io dovevo essere smistata a Tassorosso, come il resto della mia famiglia, come TUTTO il resto della mia famiglia, le centinaia di componenti ormai polvere nelle tombe.
E invece eccomi a Serpeverde!
Io non ho niente della serpe, io non ho lunghi e setosi capelli neri o biondi, io non cammino con grazia e eleganza, io non disprezzo i mezzosangue, io non sono intelligente, furba o astuta.
Io non sono altro che una gallina grassa in mezzo ad un branco di volpi.
Ho i capelli rossi e ricci, sono grassa e bassa, i miei vestiti sono di seconda mano, non ho amici, non ho talento, non sono brava in nessuna cosa che faccio.
Che cosa diavolo ci faccio qui?
Come se non bastasse ho già fatto la mia prima figuraccia davanti a tutta la scuola: quando il cappello parlante ha gridato la mia casa io mi sono alzata e mi sono diretta verso il tavolo dei Tassorosso.
Una ragazza lì seduta mi ha fatto cenno di fermarmi e mi ha indicato il mio tavolo.
Io mi sono fermata in mezzo alla sala e l’ho guardata come un idiota, per poi dirigermi a testa bassa verso la mia nuova casa.
Questo è stato il mio ingresso ad Hogwarts: non credo che ce ne sia mai stato uno peggiore.

Ma dunque qual’era il problema? Una casa vale l’altra alla fin fine no?
Bhe, per me e la mia famiglia ovviamente no.
L a mia purissima famiglia.
La mia purissima famiglia Tassorosso.
Ebbene sì, tutti i componenti della mia famiglia sono stati dei Tassi.
Era dunque il mio destino quello di finire tra i Tassi.
Tutto nel mio aspetto gridava: SCARTO!! Eppure alla fine io mi sono ritrovata tra le Serpi.
Per anni, anni e anni, ho sempre creduto che quella sera il Cappello parlante fosse alticcio, avesse bevuto magari tutta la scorta di Wisky incendiario di Silente o roba simile.
Ma alla fine ho capito...
In ogni caso allora avevo 11 anni e un sacco di aspettative, ma come spesso accade a 11 anni tutte le tue aspettative crollano dopo pochi mesi che le hai solo immaginate.
Io ero una bambina bassa per la mia età, grassa e tozza, i miei capelli erano crespi e rossi, la mia pelle ancora liscia, ma da lì a poco si sarebbe riempita di un’acne veramente orrenda, il mio naso a patata.
Vorrei poter dire che con il passare degli anni sarei migliorata, ma non sarei realista.
Camminavo ingobbita tra i corridoi, tenendomi i libri abbracciati sulla pancia per nascondermi, non rendendomi conto che così mi mettevo ancora più in mostra. Ero timida, non rivolgevo la parola a nessuno, piangevo spesso quando i miei compagni mi prendevano in giro, ero sostanzialmente inetta in ogni materia scolastica, non avevo amici, (non cercavo di farmi amici in effetti) e nessuno ovviamente cercava di farsi amica me.
Devo aver dimenticato la parola d’ordine almeno 15 volte in un anno. E nessuno dei miei compagni era mai così gentile da ricordarmela.
Insomma, una Serpeverde perfetta.
Il primo anno fu a dir poco disastroso. Sopravvissi solo per la mia innata capacità di rendermi invisibile quando sapevo di essere indesiderata.
Riuscivo ad essere tranquilla solo nelle lezioni della professoressa McGranitt durante le quali lei cercava sempre di non mettermi in difficoltà e mi sorrideva spesso. I risultati erano comunque disastrosi, ma io riuscivo a non tremare di paura durante le sue ore.
I momenti più drammatici erano ovviamente quelli delle ore di Pozioni.
Dopo cinque giorni di scuola ero già riuscita a far esplodere due calderoni e a mandare tre persone in infermeria.
Probabilmente io sono la prima e l’unica persona appartenente alla casa di Serpeverde che il Professor Snape si divertiva a tormentare.
Insomma, il mio soggiorno presso la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts fu un vero inferno.

17 marzo 1983

Credo che lui mi odi.
Credo che non abbia mai odiato nessuno come odia me.
So di essere una delusione continua, e di rischiare sempre di uccidere qualcuno durante le sue lezioni, ma se soltanto la smettesse di fissarmi come se aspettasse che compia un passo falso e faccia del male a qualcuno, forse riuscirei ad arrivare alla fine di una pozione almeno una volta nella mia vita.
Sono convinta che Snape sia malvagio per natura... dopotutto ho sentito dire che è stato un Mangiamorte!
Questa mattina è cominciata malissimo: sono caduta dal letto, e quando io cado dal letto significano guai per l’intera giornata.
E infatti così è stato.
Avevo pozioni alla prima ora e Snape non ha fatto in tempo a dire di iniziare a leggere gli ingredienti alla lavagna che nel mio calderone avevo già fatto cadere, urtandole con il gomito, due fiale, una di veleno di Acromantula e una di Fuoco Liquido del Brasile.
Le boccette si sono infrante nel silenzio assoluto della classe e Snape si è voltato lentamente verso di me.
A quel punto volevo morire. Mi ha guardato come se avessi distrutto un opera d’arte del medioevo e nemmeno tre secondi dopo il calderone è esploso.
Io mi sono ritrovata senza sopraccigli e con i capelli tutti bruciati.
Mentre la classe scoppiava a ridere e io scoppiavo a piangere Snape mi ha preso per un orecchio, sì, per un orecchio! e mi ha portato in infermeria.
Mi sembrava che stesse trasportando un sacco di spazzatura.
-La tua inettitudine e la tua goffaggine diventeranno proverbiali- mi ha detto.
E poi ha tolto venti punti a Serpeverde. È una cosa che non fa mai, ma evidentemente mi disprezza a tal punto che lascia perdere anche i favoritismi abituali verso la sua casa.
Mi ha scaricato davanti alla porta dell’infermeria mentre mi colava il moccio dal naso e non smettevo di piangere.
Credo di stare abituandomi a questi momenti umilianti che sembrano durare in eterno.

***

Insomma, il mio soggiorno presso la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts fu un vero inferno.
Almeno fino al mio quinto anno.
Ma prima di parlare di questo è necessario fare un piccolo appunto.
Al compimento dei tre anni, mio padre mi aveva regalato una scatola di matite Babbane, quelle colorate.
Le adorai immediatamente e immediatamente iniziai a disegnare.
Inizialmente non se ne accorse nessuno, ma dopo tre mesi mia mamma trovò sotto il divano il disegno di una rosa.
-Era una rosa perfetta!- soleva dire ai nostri amici e vicini che venivano a prendere il tè da noi -Quasi quasi avvicinavo il naso per sentirne il profumo, era una meraviglia! Mia figlia ha una dote naturale! Insomma ha solo tre anni e ha saputo disegnare una rosa praticamente perfetta!-
Per un po’ fui il prodigio di famiglia. Poi crebbi e lo spasso finì.
Ad Hogwarts però gli spunti per disegnare ce n’erano eccome!
Iniziai di nascosto al primo anno a disegnare il castello. Mi sedevo per ore nel giardino e disegnavo quello che vedevo. Finivo album interi in pochi giorni e li nascondevo nel materasso.
In effetti non so bene perché nascondessi i miei disegni, ma probabilmente ero troppo timida anche solo per mostrarli in giro.
Negli anni successivi iniziai a disegnare le persone, principalmente i professori, che potevo osservare bene senza che qualcuno mi intimasse di smettere di fissarlo.
Mi resi conto che il professor Snape, nonostante l’odio assolutamente non represso e il disgusto anch’esso manifestato appieno che provava per me, e il terrore che mi dava, era il più affascinante da disegnare, perché riusciva a fare delle espressioni talmente disgustate e orripilanti che mi divertivo moltissimo a riprodurle.
Iniziai a comprare tele e colori a olio, ma sapevo che avrei dovuto dipingere la notte per non farmi scoprire.
Per un po’ riuscii ad utilizzare un’aula del quinto piano, usata come ripostiglio, ma al mio quinto anno la pacchia finì.

 

 

19 Dicembre 1988

Non sono molto sicura di quello che è successo ieri notte, ma proverò a raccontarlo cercando di rimanere fedele ai fatti.
Ieri notte ero, come al solito nella mia stanza personale della pittura e stavo finendo il dipinto di Silente, quello che mi piace molto. Insomma, proprio mentre stavo mescolando il giallo con una punta di ocra per riuscire a riprodurre il colore della veste di Silente, Gazza ha spalancato la porta e mi ha sorpreso con un orribile sorriso sulle labbra.
Credo di aver fatto un balzo di dieci centimetri quando la porta si è aperta e la mia tavolozza è caduta a terra, il colore che avevo trovato si è mescolato con tutti gli altri e quindi è andato perduto. E già questo mi ha fatto arrabbiare.
-Ahah! Vieni subito con me ragazzina e portati dietro tutta quella roba!- ha detto il custode sembrando felice come se avesse messo le mani sulla tavoletta di cioccolata più grande del mondo.
Mi sono sentita come un topo in trappola, metà delle sette tele che ho nascosto là dentro non sono completate e l’altra metà era nascosta sotto un panno per evitare che prendessero la polvere.
Le ho raccolte alla meno peggio tutte insieme e le ho fatte levitare dietro di me mentre seguivo il custode come se stessi per andare al patibolo.
-Dove devo andare?- ho chiesto con un filo di voce. In realtà pensavo che mi avrebbe portato dal Preside.
-Dal tuo capo casa ovviamente e adesso tappati quella bocca!-
Da Snape? Tanto valeva farsi amputare un braccio! Il destro se proprio era necessario.
Ho camminato ancora più ingobbita e depressa e le mie tele hanno iniziato a strusciare per terra.
Gazza seguito dal suo fedele gatto (di cui ho fatto più volte il ritratto) si è fermato davanti all’ufficio di Snape e ha bussato tre volte.
Io ho cercato di nascondermi dietro la scheletrica schiena del custode.
La porta si è aperta e nel tentativo di farmi più piccola possibile per poco non sono caduta per terra dalla paura.
Gazza mi ha spinto avanti insieme ai miei dipinti -Professore, ho trovato questa ragazzina fuori dal suo letto...-
Io ho deglutito a fatica quando ho sentito lo sguardo di Snape perforarmi il volto già in fiamme e ho cercato di fissare il pavimento con la più completa concentrazione.
La porta dietro di me si è chiusa e io mi sono sentita come un topo in trappola tra le zampe di un gatto. Un gatto molto affamato.
Ho cercato di impedirmi di iniziare a piangere. Ma come al solito non ho avuto successo.
-La smetta subito di frignare signorina Jenkins!- ha ordinato Snape con voce strascicata e forse un po’ divertita.
Per tutta risposta io ho singhiozzato più forte.
L’ho sentito sospirare e avvicinarsi alle mie tele, allora ho smesso davvero di piangere e ho fatto un balzo avanti per impedirgli di vederle.
L’ho guardato per qualche secondo negli occhi senza sapere che cosa dire e che cosa fare poi con un filo di voce ho detto la prima cosa che mi è passata per la testa -Non...non sono ancora finite...-
Lui ha roteato gli occhi in quel modo strano che ho già notato e mi ha spinto da parte rudemente sollevando con un gesto della mano tutti i pezzi di stoffa che coprivano i miei lavori e lasciandoli levitare a mezz’aria.
Il primo era una veduta del castello dalla capanna di Hagrid, era un giorno piovoso, con la nebbia e i ragazzi nel parco erano dipinti come piccole macchie di colore nero, il castello alle loro spalle era imponente e sembrava trovarsi lì da migliaia di anni, il cielo scuro sopra di lui sembrava confermare questa sensazione.
Snape ha proseguito spostandolo delicatamente con le mani e ha guardato il secondo quadro, mentre io non volevo fare altro che sotterrarmi.
Era un immagine che avevo adorato e per fare un piccolo schizzo avevo rischiato di far cadere tre boccette di inchiostro. Era notte fonda, la luna piena brillava in cielo e io ero appollaiata sulla finestra della guferia mentre stavo spedendo un ordine per nuovi colori ad olio avevo notato il Professor Silente che camminava nel giardino insieme alla Professoressa Sprite e alla Professoressa McGranitt e li avevo subito ritratti sul retro della busta.
Snape ha scorso altri quadri meno interessanti e io mi sono sentita sempre più mancare.
Ho fatto molti suoi ritratti ma mai li ho dipinti su tela, qualche sera fa però l’ho colto in una espressione di tranquilla malinconia che mi aveva affascinato moltissimo. Dunque non ho perso molto tempo a decidere di utilizzare una delle mie tele più piccole per immortalarla per sempre.
Era tra le ultime tre e Snape non ci ha messo molto tempo a trovarla.
Avevo appena finito il bozzetto e mi accingevo a dipingerlo, ma ero riuscita a completare solo la pelle del viso. I capelli, e la veste erano rimasti incompleti, così come gli occhi.
Ma non sono sicura che avrei continuato a dipingere quel quadro perché mi è sembrato di aver colto il mio professore in un momento di profonda intimità, come se lo avessi trovato immerso nella vasca da bagno.
I capelli gli incorniciavano il volto, con la fronte corrugata come se stesse pensando a qualcosa di profondamente importante, la labbra strette ma allo stesso tempo rilassate e gli occhi persi in qualche ricordo, forse doloroso.
Snape si è voltato verso di me tradendo un certo imbarazzo, ma dal canto mio ero solo vagamente consapevole che il mio corpo si stava sciogliendo in un lago di sudore nervoso.
L’ho sentito sospirare quando ho riportato il mio sguardo a terra -Venga con me Signorina Jenkins... sarà il caso di parlare con il Professor Silente...-
Per poco non sono scoppiata di nuovo a piangere, ma mi sono ricordata di coprire di nuovo le mie tele con la stoffa e ho dimenticato per un attimo il momento di panico.
Una volta messe al sicuro ho accennato a seguire il professor Snape che però mi ha fermato -Ha intenzione di lasciare quella roba nel mio ufficio?-
-Mi...Mi scusi...-ho sussurrato e ben sapendo che in quelle condizioni non sarei riuscita nemmeno a compiere la più elementare delle magie ho cercato di abbracciarle tutte con le mani e di trasportarle con la mia esigua forza dei muscoli.
Snape mi ha guardato come se stesse guardando una nullità e senza pronunciare una parola le ha fatte levitare tutte.
Chi non ha mai conosciuto il Professor Severus Snape non saprà mai che cosa significhi sentirsi davvero umiliati.
In ogni caso mi sono apprestata alla mia terza passeggiata di quella notte senza protestare. Ormai mi sentivo già espulsa.
Arrivati davanti al gargoyl che protegge l’entrata dell’ufficio di Silente, Snape ha sussurrato la parola d’ordine, ma poteva anche evitare di sussurrala: agitata com’ero rischiavo di dimenticarmi anche il mio nome.
Il Gargoyl ci ha lasciato passare e, seguiti simpaticamente dalle mie tele, abbiamo iniziato a salire le scale.
Arrivati in cima l’allegra voce di Silente ci ha fatti entrare e io mi sono chiesta se era sua abitudine lavorare fino a quell’ora di notte.
-Che cosa è successo Severus?- Ha chiesto Silente non appena mi ha visto.
Immagino che dal mio aspetto gli sono apparsa in fin di vita pallida com’ero.
-Credo che dovrebbe vedere questi Preside...- ha detto Snape e con la bacchetta ha sollevato i miei sette quadri in alto togliendo loro la protezione del panno di cotone.
Io avrei voluto cadere a terra fulminata. Ma la mia preghiera non è stata esaudita.
-Sei stato ad una mostra d’arte di recente?- Ha chiesto Silente dopo tre minuti di orribile silenzio.
Io ho alzato gli occhi e ho visto Snape roteare gli occhi spazientito. Mi sono ripromessa di ritrarre quella sua espressione, una volta uscita dal carcere.
-Non sono il tipo da mostre Preside- Si è accontentato di rispondere.
-Allora devo supporre che siano opera tua...?- Silente ha spostato i suoi occhi azzurri su di me e mi ha sorriso.
Io non mi sono tranquillizzata nemmeno in quel momento. -Si, Signore...- ho sussurrato fissandomi le scarpe.
-E qual è il problema?- Ha chiesto Silente a quel punto riportando la sua attenzione su Snape.
-Credo che sarebbe il caso di dare alla Signorina Jenkins un permesso per dipingere.- ha detto Snape a quel punto.
Credo che se fosse entrato nella stanza completamente vestito di rosa con un paio di orecchie da coniglietta non sarei stata più stupita.
Evidentemente anche Silente è parso spiazzato. -Nessuno le vieta di dipingere- ha detto a quel punto.
-Ma la Signorina Jenkins pare trovare ispirazione solo nelle ore più tarde della notte e dato che questo sembra essere il suo unico e discutibile talento credo che dovremmo darle questo speciale permesso...-
Io, cadendo dalle nuvole, ma essendo nel profondo del cuore una persona molto affettuosa, avrei a quel punto abbracciato il mio Professore, ma non ho voluto rischiare di morire giovane, così sono rimasta al mio posto, tremando per l’emozione.
Ho visto Silente che sorrideva divertito e in quel memento, in piedi, accanto al professore che da sempre mi terrorizzava, mi sono sentita molto più leggera di quanto mai era accaduto prima.
-Ebbene, credo che si possa fare, a patto però che i suoi voti nelle materie scolastiche non subiscano un calo...- ha detto Silente.
-Oh...- ha risposto Snape maligno ( e finalmente l’ho riconosciuto) -Di questo non c’è pericolo, se i voti della signorina Jenkins si abbassassero ancora scenderebbero sotto lo zero-
Io quasi non l’ho sentito, ma lo stavo guardando come se fosse ricoperto d’oro puro.
Poi, all’ultimo momento mi sono ricordata che il permesso l’ho avuto da Silente, con un gran sorriso sulla mia faccia rotonda e brufolosa l’ho guardato, sprizzando gioia da tutti i pori e ho detto -Grazie Professor Silente... io...io...-
-Mary...- ha detto il Preside a quel punto -Vorrei che tu mi regalassi uno di questi quadri.-
Non sono ancora sicura di aver sentito bene -Oh...ma, ecco...io...-
-Solo se sei d’accordo ovviamente!- si è affrettato ad aggiungere lui.
-Ecco, non so, non credo che siano così buoni da essere regalati...-
Silente mi ha guardato come se avessi appena detto una barzelletta -Mary, questi quadri sono meravigliosi.- ha detto semplicemente.
-Oh, bhe, se le piacciono, cioè, può averne quanti ne vuole...- credo di essere arrossita fino alla punta dei capelli, ma qualcosa di molto simile all’orgoglio mi ha invaso la pancia.
-Per adesso me ne basta uno, mia cara.-
Ho visto che aveva scelto quello in cui si vede Hogwarts nel giorno di pioggia.
-Grazie ancora Professor Silente- ho detto per interrompere il silenzio che si era fatto un po’ pesante per i miei gusti.
-Adesso torni nel suo dormitorio!- mi ha ordinato Snape bruscamente.
Io non me lo sono fatta ripetere due volte e stavo quasi per girarmi quando sono ricordata dei quadri.
Rossa come un peperone li ho richiamati con la bacchetta pregando perché non ne cadesse nessuno a terra.
Mi hanno obbedito tutti tranne quello di Silente e io ho ringraziato il protettore dei ragazzini còlti con le mani infilate nel barattolo delle caramelle.
Mi stavo per dileguare per le scale respirando a malapena. Poi, la piccola parte di me che credo sia davvero una Serpeverde mi ha obbligato a inginocchiarmi e a poggiare l’orecchio alla porta ora chiusa.
Questo è stato quello che ho sentito.
-Ha un talento incredibile... guarda, sembra una fotografia!- ha detto Silente rivolto a Snape.
-Già-. Si è limitato a rispondere lui.
-Mi ricorda molto un ragazzo che ho conosciuto...- ha sussurrato allusivo Silente.
Snape non ha detto nulla.
-Minerva dice che è una ragazzina molto dolce, tienila d’occhio Severus, non credo sia molto adatta a vivere tra i Serpeverde.-
Snape è sembrato esplodere -Non sono qui per far da balia alle bambine inette e sciocche!-
Io ho immaginato Silente sorridere -Sul serio? Io credevo che l’avessi portata qui per questo!-
-La smetta con le sue supposizioni! L’ho portata qui solo perché non volevo togliere punti alla mia casa!-
-Ma certo! Che sciocco...- ha riso Silente.
-Ha altro di cui accusarmi, altre persone da affidarmi? Oppure posso andare?!- ha chiesto lui rabbioso.
-No, no, puoi andare! Buona notte Severus!-
Io a quel punto ero già a mezze scale e correvo come se il diavolo mi stesse inseguendo. E forse era proprio così.


Per giorni cercai di farmi notare il meno possibile, non solo dai miei compagni, ma anche da Snape, e sperai che non avesse preso troppo sul serio la richiesta di Silente di tenermi d’occhio.
Inoltre non avevo ancora deciso che cosa pensare della velata allusione del preside nei miei riguardi.
Che stesse parlando di Snape stesso? Era forse lui il ragazzo che tanto mi assomigliava?
Trovavo alquanto improbabile che Snape da giovane fosse stato un imbranato come me, ma certo, nella vita si cambia...
In ogni caso, pochi giorni dopo, mentre stavo cercando di fare colazione ignorando i ragazzi del settimo anno che gettavano pezzi di pancake inzuppati di cioccolato nella mia ciotola di cereali per poco non mi strozzai con il mio succo di zucca quando vicino a me delle ragazze del primo anno dissero pressappoco queste parole.
-Ho sentito da un quadro del secondo piano che nella nostra casa c’è qualcuno che disegna in modo impeccabile!-
-Che tipo di disegni?- chiese l’altra interessata.
-Qualsiasi cosa, dicono che basta che veda qualcosa una sola volta ed è in grado di riprodurlo perfettamente sulla tela. Monumenti, nature morte, ritratti, qualsiasi cosa. Dicono che i suoi soggetti sembrano così reali che pare schizzino fuori dalla tela!-
-Che sciocchezza, qui tutti i quadri si muovono!-
-Già! Ma lei non usa l’inchiostro speciale, sono colori ad olio, semplicissimi!-
-Non ci credo! E perché questo prodigio non ci ha ancora mostrato il suo genio!? Secondo me è uno scherzo dei quadri... capirai, con i pochi divertimenti che hanno!-
Io mi alzai in tutta fretta abbandonando la mia colazione e raccogliendo velocemente i miei quaderni che adesso mi sembravano bombe a mano pronte per esplodere.
Corsi nell’aula di Pozioni, dove avevo la prima lezione, arrivando prima di tutti gli altri con la faccia rossa per la corsa e tutti i miei schizzi nascosti dentro i libri che mi sembrava stessero premendo per uscire.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi abbandonai al fiatone.
Il professor Snape ancora non era arrivato e in base a ciò io ritenni di aver già sprecato la mia dose giornaliera di fortuna. Mi misi a sedere al mio posto iniziando a pensare.
Volevo cercare di rigirare la situazione a mio favore: non volevo rendere pubblico il mio talento (dato che ormai anche io ero convinta di avere un po’ di talento), ma non volevo nemmeno sprecarlo disegnando solo per divertirmi.
In quel momento iniziai a ideare il piano che mi avrebbe permesso di divertirmi moltissimo nei miei ultimi anni di scuola.

Iniziai semplicemente, con qualche disegno lasciato qua e là in modo che i miei compagni di scuola lo trovassero.
Ho già accennato alla mia capacità di rendermi invisibile per non subire più le angherie dei miei colleghi studenti, bhe, in quegli ultimi anni affinai questa mia capacità rendendomi realmente invisibile agli altri.
In questo modo ascoltavo, vedevo, e percepivo tutto. A dire la verità non è un incantesimo difficile, semplicemente basta mantenere alta la concentrazione mentre si è sotto il suo effetto.
Segreti, bugie, malefatte, tradimenti, quasi niente riusciva a sfuggirmi, a me e alla mia penna.
Le mie caricature divennero ben presto proverbiali: con il disegno svelavo i segreti più intimi dei miei persecutori, lasciavo i miei fogli in giro, sulle scale,appesi nelle classi, sui tavoli della Sala Grande, ma mai nella sala comune: non volevo che qualcuno confermasse la voce che il misterioso disegnatore fosse di Serpeverde.
Ma non vendicavo soltanto me: le mie vittime erano tra i bulli della scuola, i malvagi, gli sciocchi che pensavano di fare le scarpe ai bambini del primo anno dato che loro erano grandi e grossi.
Divenni una leggenda e quasi senza accorgermene iniziai a cambiare, la mia insicurezza, le mie paure, i miei imbarazzi diventarono sempre più lontani nei miei ricordi.
Non divenni mai volgare, non arrivai mai ad offendere profondamente: più che altro si trattava di schermaglie, quasi a livello di un gioco.
Mi chiesi più volte se stessi facendo la cosa giusta, se quelle piccole vendette servissero davvero a qualcosa, ma alla fine le umiliazioni di chi continuava ad umiliare mi davano una tale soddisfazione che non riuscivo a smettere.
Molte volte Snape mi aveva chiamato nel suo ufficio e mi aveva interrogato, ma io negavo sempre la paternità dei miei disegni. Sapevo bene che lui sapeva che ero io l’autrice, ma sapevo del resto che non poteva né voleva dimostrarlo.
In effetti con il passare dei mesi lo vedevo sempre più soddisfatto, come se vendicare le piccole crudeltà subite ogni giorno dagli studenti più deboli lo rendessero fiero di me.
Era forse un pensiero egoistico, forse vedevo ciò che non c’era, ma dentro di me sentivo che vendicando me stessa vendicavo in qualche modo anche quello che lui aveva dovuto subire a scuola.
Ovviamente erano (e sono) tutte supposizioni, dettate soprattutto dal desiderio di avere un appoggio all’interno della scuola.
Ma, e di questo me ne sarei accorta solo successivamente, di appoggi ne avevo molti. Se solo avessi confessato di essere io il misterioso pittore metà della scuola avrebbe voluto linciarmi, ma l’altra metà avrebbe preso di sicuro le mie difese, Serpeverde o meno.
Così andarono avanti gli ultimi miei anni di scuola: più che studiare disegnavo, ma questo non interferiva con il mio andamento scolastico che in ogni caso non sarei stata in grado di migliorare.
Il mio unico amico, se così si può chiamare, e se mi è concesso, è stato Severus Snape.
Non che lui si considerasse mio amico, ma era la persona con cui avevo maggiori contatti e con cui parlavo maggiormente.
Certo, non ci siamo mai messi a spazzolarci i capelli a vicenda e a raccontarci la nostra vita sentimentale (anche se presumo non sia esistita per entrambi), ma credo che non ci sia persona al mondo che mi conosce bene quanto mi conosce Snape. E io dal canto mio, non ho mai capito nulla di lui.
Credo che abbia sofferto per amore in passato, ma chi non ha sofferto per amore?
In ogni caso fu lui a farmi vedere dove si trova la Stanza Delle Necessità, al cui interno ideai la maggior parte delle mie opere, e della quale non mi stancai mai dato che mi riforniva lei stessa di matite, tempere e colori a olio.
Inoltre verso la fine dell’ultimo anno fu Snape stesso a darmi l’idea più grande che ho mai avuto, e che mai avrò. Lo fece con la sua abituale ruvidezza, ma fu il momento in cui praticamente ammise senza troppi giri di parole di aver sempre saputo che ero io a lasciare i dipinti in giro per la scuola.
Eravamo nel suo ufficio dopo che avevo svelato alla scuola che una ragazza, che non la smetteva di rovesciare bottiglie di inchiostro indelebile sulla testa delle più piccole, aveva una relazione tormentata con tre bei ragazzoni del settimo anno: la cosa divertente era che i tre erano fratelli gemelli.
Uno spunto meraviglioso. Che per sfortuna della fanciulla si era concluso con il suo bagno nel lago e il suo quasi affogamento dato che non sapeva nuotare.
Ciò che probabilmente piaceva a Snape era il fatto che non mi sentissi minimamente in colpa.
-La scuola sta finendo- mi disse infatti quella sera dopo il consueto interrogatorio che iniziava ad annoiare entrambi.
-Così dicono...- risposi io chiedendomi dove volesse andare a parare.
-Mi chiedo se questo misterioso disegnatore avrà una trovata geniale da rendere pubblica durante l’ultima cena...-
-Ce lo chiediamo tutti professore... dopotutto un ragazzo o una ragazza di questo talento avrà sicuramente ideato qualcosa di spettacolare per lasciare la scuola... sempre che appartenga all’ultimo anno, non crede?-
Era una bugia bella e buona: la verità è che non ci avevo nemmeno pensato a come lasciare la scuola, anzi, non avevo nemmeno pensato a lasciarla in qualche modo.
-Spero che non voglia fare qualcosa contro i professori, altrimenti potrebbero annullare i suoi MAGO...- Buttò là Snape incrociando le dita davanti al volto con un sogghigno.
-Non credo che i soggetti preferiti dal nostro amico, o amica, siano i professori, a meno che non abbia un asso nella manica sconosciuto a tutti...-
-Adesso puoi andare signorina Jenkins... è tutto!-
-Buona sera Professor Snape...- Dissi alzandomi e uscendo velocemente dallo studio.
Dopo questo colloquio, che, lo so, divertì entrambi, mi misi a pensare di buona lena, ma la verità era che non avevo nemmeno una minuscola idea.
Non avrei potuto, in una sola serata mettere in mutande metà scuola, ma per uscire di scena in modo decoroso avrei dovuto trovare il modo.

Avevo da tempo smesso di scrivere sul mio diario e lo usavo solo in casi di grande emergenza, quella sembrava proprio una grande emergenza, così iniziai a prendere degli appunti.
Ma anche volendo non avrei potuto trovare un qualche segreto che avrebbe reso ridicoli cinquecento ragazzi. Non era umanamente possibile.
Così iniziai a demordere, e proprio quando credevo che non sarebbe accaduto nulla di interessante prima della fine della scuola, mentre ero in giro a caccia di notizie mi imbattei nella squadra di Quiddich della mia casa .
Per farla breve, avevano fatto in modo di stregare le palle usate nel gioco per vincere la finale contro i Tassorosso.
In effetti quell’anno avremmo perso, perché i Tassi avevano in campo una squadra fortissima, mentre noi avevamo i nostri tre giocatori migliori infortunati in panchina.
Ora, a me piace vincere, ma quella era una vera carognata.
In effetti meditai se consegnarli direttamente a Silente, ma non potevo certo lasciarmi scappare un boccone così prelibato.
Così mi misi a cucire.

Mi chiedo ancora oggi come ho fatto a nascondere l’enorme tela che avevo dipinto sopra il portone della sala grande la notte prima dell’ultimo giorno di scuola, ma sta di fatto che nessuno si accorse di nulla. Oppure, se anche qualche professore si è accorto di qualcosa ha creduto che fosse una trovata di Silente e non ha chiesto nulla a nessuno.
In ogni caso, durante il banchetto, quando la coppa delle case venne consegnata ai Corvonero, e quando tutti avevano finito di mangiare, dato che non avrei voluto rovinare la cena a nessuno e soprattutto non volevo rischiare un lancio di cibo destinato tutto a me, pronunciai le due semplici paroline e il mio dipinto rotolò come un tappeto rosso lungo la parete della Sala Grande comparendo in tutta la sua grandezza.
In effetti era enorme: prendeva tutta la parete...
Avevo scelto di rappresentare il tutto come una striscia fumettistica.
Iniziava con le caricature della nostra squadra di Quiddich che confabulavano dicendo idiozie dentro la biblioteca. Poi proseguiva con l’illustrazione della loro uscita notturna per incantare le quattro palle e infine finiva con il nostro cercatore, nonché il capitano della squadra che afferrando il boccino pensava ...Siamo stati proprio furbi a parlare del nostro piano in biblioteca, dove tutti possono sentirci...
In basso a destra inoltre la mia firma spiccava nitida e ben visibile.
Ci fu qualche minuto di silenzio assoluto, mentre alcuni professori in piedi, allibiti, continuavano a leggere.
Io, che, devo ammetterlo, molto intelligentemente, mi ero seduto alla fine del tavolo, in modo da poter fuggire dal sicuro linciaggio che i miei compagni di casa avrebbero desiderato tanto farmi, ero già pronta allo scatto finale.
Ma stavo aspettando le risate.
Che salirono, partendo da un piccolo brusio fino a diventare un enorme torrente che mi invase e mi rese più che felice.
Guardai verso il tavolo dei professori. Snape mi guardava, stupito e forse un po’ arrabbiato, dopotutto avevo tradito la mia casa. Il fatto è che non sopporto di vincere con l’inganno.
Poi, piano piano, tutti i Serpeverde che per anni mi avevano tiranneggiato o avevano ignorato la mia esistenza si voltarono verso di me.
Erano solo un filino arrabbiati.
Io mi alzai e iniziai a correre, ma, e questo la dice lunga su quanto fossi cambiata da quella bambina goffa e impacciata del primo anno, proprio quando la mia testa sfiorava il bordo del dipinto mi voltai e con un sorriso mi inchinai alla scuola.
Fui ripagata da uno scroscio di applausi delle altre tre case e poi mi dileguai andando a nascondermi nella stanza delle necessità fino alla mattina dopo.
Presi il treno all’ultimo minuto e mi infilai in un bagno per non essere scoperta e ricoperta di incantesimi e fatture.
Il mio ultimo giorno ad Hogwarts fu sicuramente migliore del mio primo...
Ma ovviamente non mi dimenticai di salutare.
Ho immaginato più volte il professor Snape entrare nel suo ufficio la mattina dopo per preparare le valige e trovare, in bella vista sulla sua scrivania, quel dipinto che lui stesso aveva visto la notte in cui era diventato il mio professore preferito.
Era un dipinto incompleto, che non avrei mai completato, ma avevo aggiunto in alto sulla tela, solo una parola: Grazie.

***

12 Giugno 1997

Non ho più aperto questo diario da ormai otto anni.
E in tutto questo tempo mi sono resa conto che nei miei anni di scuola ho parlato principalmente di Severus Snape. Così per riporre finalmente queste pagine, voglio raccontare gli avvenimenti di ieri sera perché (anche se so che non accadrà mai) non voglio rischiare di dimenticarli.
Circa una settimana fa è arrivato a casa un gufo che mi invitava a partecipare ad una riunione di ex studenti a Hogsmeade.
A parte il principale momento di stupore, non sono stata molto sicura di partecipare fino a che non mi sono smaterializzata proprio due minuti prima che iniziasse la riunione, soprattutto a causa di quello che era successo l’ultimo giorno di scuola, che non solo ci aveva fatto perdere la coppa di Quiddich, ma aveva anche riempito di compiti extra i ragazzi della squadra che non appartenevano all’ultimo anno. Ma Marcus mi ha convinto ad andare adducendo come pretesto il fatto che ormai fossimo tutti adulti e i vecchi rancori di ragazzi avrebbero dovuto essere svaniti da tempo. Certo.
Dentro di me però sapevo (e so), che in questi tempi oscuri, quando il destino degli uomini si trova tra le mani di un ragazzo di appena sedici anni, di aver bisogno di rivedere una faccia amica.
Insomma, in poche parole, alla fine sono andata solo nella speranza di rivedere Snape.
So che descrivere la sua come un faccia amica può sembrare un’assurdità bella e buona, ma è questo che lui significa per me.
In realtà sapevo che la mia speranza sarebbe stata delusa,ma alla fine, nonostante questa certezza, sono andata.
La cena è stata una completa delusione. Mi aspettavo che i miei vecchi e cari compagni mi osservassero e mi parlassero con il solito e familiare disprezzo, ma evidentemente la notorietà paga.
Da quando la mia arte si è espansa in tutto il mondo e il mio conto in banca si è espanso in proporzione ad essa, evidentemente sono diventata una persona interessante. Qualcuno aveva addirittura portato i miei vecchi schizzi perché io li firmassi.
Mi sono sentita terribilmente usata, ma alla fine li ho firmati tutti. Non potevo certo dire “Non firmo niente a nessuno! Siete tutti degli ipocriti schifosi e io sono qui solo nella speranza di rivedere Severus Snape!”
Insomma, circondata da sorrisi e parole false e costretta a mia volta a sorridere e parlare con falsa dolcezza e divertimento, la cena è stata non solo noiosa, ma anche più umiliante di quanto sarebbe stato un lancio di pomodori in nome dei vecchi rancori.
Quando proprio credevo di non resistere più, allo scoccare dell’una si sono alzati quasi tutti e scusandosi se ne sono andati svanendo per le strade o smaterializzandosi promettendo di “rifare questa cosa deliziosa prestissimo”. Mi sono scusata e ho promesso anch’io e, finalmente, ho abbandonato gli ultimi resti di un mondo che non mi appartiene, né mi è mai appartenuto e me ne sono andata.
Ho acceso una sigaretta e mi sono avviata verso il castello, solo in parte consapevole che stavo andando in quella direzione.
D’un tratto una voce mi ha bloccato in mezzo alla strada.
-Fumi adesso?-
Ho sorriso mentre (e non mi vergogno a dirlo) la felicità mi invadeva -Tutti i grandi artisti hanno avuto qualche vizio professor Snape!- Ho risposto, voltandomi velocemente e accogliendo la sua silenziosa e nera figura con un sorriso.
Ma il sorriso mi è morto sulle labbra.
Che cosa possono fare otto anni ad un uomo? Che cosa hanno fatto questi otto anni a quest’uomo?
Gli occhi sono la cosa che mi ha più spaventato di lui. Sono più freddi, più duri, più impenetrabili, ma allo stesso modo più sofferenti.
Non ho mai creduto a quello che si sussurra in giro, secondo cui Tu-Sai-Chi ha reclutato i vecchi Mangiamorte, anche quelli che lo avevano tradito, lo vedo più come un uomo (mostro?) volto alla vendetta, ma se anche ci avessi creduto non mi sarebbe mai passato per la testa che Snape si fosse unito di nuovo a loro.
Ma in quel momento, quando i miei occhi si sono scontrati un attimo con i suoi nel buio della sera, qualcosa mi ha fatto capire che mi sono sbagliata.
Voldemort ha allungato nuovamente la sua mano su di lui.
E ho avuto davvero paura. Ho avuto paura perché non mi ero mai resa conto che, nonostante lui avesse cercato in ogni modo di impedirmelo, alla fine sono arrivata a capire di lui più di quanto io stessa avrei mai creduto (e voluto).
-Sono qui per farti una commissione...- ha detto, dopo un silenzio che è valso mille parole.
-Vuole un ritratto professore?- ho chiesto con la voce che mi moriva in gola, come quando al primo anno avevo fatto esplodere il mio primo calderone.
-Non essere sciocca.- ha risposto dall’ombra con il suo solito tono di voce gelido e misurato -Per il professor Silente-.
Credo di averlo guardato a bocca aperta, con un sentimento di panico che si faceva strada dentro il mio cuore.
-Naturalmente il Professor Silente ha accettato di posare per quanto sarà necessario-
Allora mi sono rilassata, per qualche motivo il fatto che Silente sapesse di questo ritratto mi ha infuso un attimo di tranquillità.
-Certamente.- ho risposto, cercando di nascondere il tremore che avevo nelle braccia.
C’è qualcosa che non mi convince in tutta questa faccenda e non so come fare a scoprire che cosa sta succedendo.
-Puoi andare Signorina Jenkins- ha detto allora, e io all’improvviso sono scoppiata a ridere e mi sono accorta di essermi stretta gli avambracci tra le dita fino a far rimanere sulla pelle la loro impronta rossa.
-Ci trovi da ridere?- ha chiesto spazientito.
-Non siamo nel suo ufficio Professore!- ho risposto mentre quell’inquietudine empatica provata poco prima svaniva.
-Lo vedo bene. Hai intenzione di tenermi qui in piedi tutta la notte a fare conversazione?-
-Non credo che sia il tipo- ho risposto ridacchiando.
-Credi bene.- Stava per voltarsi e ritornare nella scuola, quando, non so perché, ho detto -Professore, il mese scorso mi sono sposata... spero che i miei figli possano averla come insegnante.-
Lui si è voltato un attimo, ma non sono riuscita a vedergli il volto.
-Vai a casa Signorina Jenkins, dormi e rifletti su quello che speri.- ed è sparito. Non se n’ è andato, è proprio sparito nella notte.
E io sono rimasta con un palmo di naso e una brutta, bruttissima sensazione.

Ciò che ho fatto nelle settimane che precedettero la morte di Silente è stato recarmi in totale tre volte nell’ufficio del vecchio preside che si prestava alle ore di posa ininterrotta senza protestare e parlandomi ininterrottamente.
Solitamente lavoro nel più completo silenzio, ma sentir parlare uno dei più grandi maghi della storia è un privilegio sempre apprezzabile.
Ho parlato molto del mio lavoro e Silente si è scusato più volte perché con tutto quello che avevo da fare perdevo tanto tempo con lui.
Successivamente mi sono chiesta spesso come sia possibile che quel vecchio mago così intelligente, così abile, brillante e capace sia morto in meno di mezzo secondo.
Ma ora so la verità.
Non ho più visto Severus Snape da quella notte a Hogsmeade, non ho più parlato con lui, non ho più parlato di lui, ma, e credetemi, non ho mai creduto che avesse davvero ucciso Silente.
Semplicemente non potevo credere che l’uomo che aveva a tutti gli effetti risollevato la mia vita dal baratro in cui stava precipitando e mi aveva elevato fino a farmi brillare di luce propria mentre lui rimaneva nelle tenebre, fosse davvero malvagio.
Ero impossibilitata a crederlo.
Così adesso, ad un mese dalla fine della battaglia di Hogwarts a cui io e Marcus abbiamo dato il nostro modesto contributo, ad un mese dalla sconfitta di Voldemort, ad un mese dalla morte di Severus Snape, che era e rimarrà per sempre di Silente, io sono alla porta della famiglia Wesley a chiedere di parlare con Harry Potter.
Mi apre una signora corpulenta, rossa di capelli, con profonde occhiaie. So che la famiglia ha subito molti lutti.
Sento un pianto di bambino risuonare nelle mura e una voce femminile che cerca di calmarlo.
-Desidera?- mi chiede quella che deve essere Molly Wesley.
-Vorrei parlare con Harry Potter.- dico.
Il sorriso gentile anche se stanco con cui mi ha accolto svanisce all’istante.
-Niente giornalisti! Ne ha già passate tante quel povero ragazzo! Adesso basta!- e fa per richiudermi la porta in faccia.
-Signora- la interrompo allora -non sono una giornalista, desidero solo scambiare due parole con Harry a proposito di Severus Snape.-
Lei continua a guardarmi in cagnesco quando un ragazzo, un giovane ragazzo di diciotto anni si avvicina e mi invita ad entrare sorridendo alla donna e tranquillizzandola.
Lei sbuffa, ma ritorna in casa e mi lascia sola con Harry Potter.
-Signor Potter, è un piacere- dico e stringo la mano che mi stava porgendo.
-A cosa devo la sua visita signora...?-
-Mary Jenkins... e bando alle ciance, io sono troppo giovane per essere chiamata signora e tu sei troppo giovane per tutte queste presentazioni! -sono contenta di strappargli un sorriso.
Non mi invita a sedermi, ma non me ne dispiace, non sono a mio agio davanti a tazze di tè fumanti e poltrone comode.
-Mi dica che cosa desidera Mary...- dice allora lui.
-Vorrei chiederle il permesso di occuparmi del quadro del Professor Snape, quello per la stanza del Preside.-
Lui mi guarda stranito, -Lei come conosce Snape?-
-Diciamo che mi ha salvato la vita... a suo modo.- capisco che è la cosa giusta da dire non appena Harry mi sorride calorosamente e dice -Penso che fosse una delle sue abitudini meno conosciute, quella di salvare la vita alle persone.-
-Lo penso anch’io-dico a mia volta, certa ormai di avere la possibilità di dipingere il quadro come mio personale regalo di addio.
Tocco il mio pancione e rimpiango che mio figlio non potrà mai conoscere Severus Snape, uno degli uomini più coraggiosi che io abbia mai incontrato e che incontrerò mai.

Fine

  
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