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Autore: Frances    21/10/2009    4 recensioni
[ZOMBIE LOAN]
Una scommessa non andata come previsto. Niente di grave.
I suoi occhi erano intatti. Brillavano ancora.
Almeno i suoi occhi dorati.
[ Shito x Chika // Estratto dalla raccolta DeadlyUnbalance: Alphabet]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie '{ D E A D L Y U N B A L A N C E } x Ch i k a S i d e'
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Capital Letter #7  - { G }
~ Gambler


Una scommessa non andata come previsto.

Niente di grave.

Shito Tachibana non aveva mai avuto il sonno leggero. A volte aveva problemi ad addormentarsi, quando dopo essersi steso e sistemato sotto le coperte rimaneva a rimuginare con gli occhi fissi sul soffitto; ma solitamente, quando alla fine riusciva a sgomberare la mente e svuotarla di ogni pensiero futile, solo gli incubi su Chizuru riuscivano a svegliarlo prima dell’alba. Qualche volta gli era addirittura capitato di non sentire la sveglia e di rimanere addormentato fino all’ora di pranzo; era raro, ma presentarsi a scuola alla sesta ora si rivelava sempre una buona occasione per stimolare l’indole rompiscatole di Akatsuki – il quale, da bravo ipocrita, in quelle rare circostanze non accennava mai al fatto di aver lui stesso saltato la scuola molte più volte per motivi simili.

Quella notte era una di quelle durante cui non gli riusciva di chiudere occhio. Si era coricato ad un’ora ragionevole, sebbene non tanto presto com’era invece suo solito fare: si era incantato nella vasca, perdendo un po’ di tempo nell’acqua calda del bagno. E quando si era chiuso in camera, frizionandosi i capelli con un asciugamano – dopo aver salutato Michiru e Koyomi che si avviavano verso le docce – si era steso subito, non facendo caso al cuscino che si inumidiva appena.

Insonne, aveva perso la cognizione del tempo; fissava i particolari dell’arredamento nel vano tentativo di rendere le palpebre più pesanti. Ed ogni volta che girava la testa verso la sveglia analogica a forma di Betty – un cimelio che aveva trovato ancora perfettamente funzionante in un mercatino dell’usato qualche anno prima –, la cifra rossa delle ore era sempre diversa.

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Fu intorno alle due di notte che il suo comodino iniziò a vibrare con violenza, facendo un chiasso basso e insistente. Shito si voltò, osservandolo con espressione vacua mentre ad intervalli regolari fremeva e tornava immobile. E fu dopo qualche minuto che riuscì in qualche modo a farsi un’idea su quale fosse il motivo di tale trambusto. Sollevandosi su di un gomito, si sporse verso il primo cassetto e lo aprì piano: andò a tentoni, infilando la mano al suo interno buio. Quando individuò l’origine di quel tremore sordo e spiacevole, lo intrappolò tra le dita e lo estrasse dal cassetto con la stessa cautela con cui avrebbe toccato del materiale radioattivo.

Era stata Yoimachi ad insistere, quando aveva fatto presente che sarebbe stato più semplice tenersi in contatto se tutti si fossero scambiati gli indirizzi e-mail. Shito aveva scosso il capo – non aveva mai avuto un telefono e non aveva intenzione di procurarsi niente del genere per complicarsi l’esistenza –, ma gli era stato impossibile rifiutare quando lei si era gentilmente offerta di prestargli un suo vecchio cellulare.

Osservò lo schermo illuminarsi di luce intermittente per vari, lunghi istanti, prima di decidere che, data l’insistenza, forse avrebbe dovuto iniziare a chiedersi come porre fine a quel tremore. I numeri e gli strani segni che apparivano sul piccolo monitor come a segnalare un’urgenza erano geroglifici sconosciuti affiancati ad una sequenza numerica che non conosceva.

Ad ogni modo osservò i due tasti complementari più riconoscibili sulla tastiera – uno verde ed uno rosso, chiedendosi quale fosse quello per rifiutare la chiamata.

Uno dei motivi che lo avevano sempre reso diffidente nei confronti dei telefoni personali era che Toho avrebbe facilmente rintracciato il suo ID in poco tempo, se avesse voluto. In quel modo avrebbe avuto la possibilità di rintracciarlo ovunque si trovasse.

Il numero era sconosciuto. Era evidente che qualcuno lo stesse chiamando. Il tremore iniziava a diventare incredibilmente irritante. 

Dopo qualche istante, premette il tasto verde: l’esplosione che provenne dal telefono fu tanto forte ed improvvisa che Shito sobbalzò all’indietro sul letto.

« Oi! Baka! »

…tasto sbagliato.

« Ooooi! »

Shito fissò l’arnese, incerto, mentre la voce ne prorompeva leggermente disturbata e metallica. Di certo non era Toho, constatò, leggermente sollevato. Ma non era sicuro di quanto fosse positivo, visto che dall’altro capo c’era Chika Akatsuki.

Ponderò riguardo l’idea di premere il tasto rosso per sperimentare le tecniche di utilizzo di quell’oggetto; ma le urla di Akatsuki sembravano un invito a rispondergli nel peggiore dei modi, così avvicinò titubante il microfono al volto.

« Hai.»

La risposta di Akatsuki arrivò a velocità fulminante, rischiando di perforargli il timpano.

I telefoni possono essere pericolosi. Archiviò l’informazione empirica prima di tornare poco interessato alla risata di Chika, che sembrava sollevata.

« Sugoi! Imperdibile! Strabiliante! Per Shito che, dopo una trentina di squilli a vuoto, dimostra di aver intuito come rispondere al telefono, kanpai! » si dilungò inutilmente in altri strani ed eccessivi versi d’esultanza « Sto provando a contattare qualcuno in questo maledetto dormitorio da venti minuti e tu sei l’unico raggiungibile.» ridacchiò « Ho un culo tremendo. Davvero! Mi stavo già rassegnando. Ero certo che stessi dormendo, non avresti risposto, o che avessi dimenticato l’esistenza del telefono lasciandolo scarico in mezzo al ciarpame della tua stanza da otaku incurabile.»

Oh, no.

Si stava perdendo in uno dei suoi soliti sproloqui senza fine. La linea era leggermente disturbata, ma Shito non ci fece caso.

 « Questo la dice lunga sulla tua concezione dell’utile. Con la memoria del cazzo e l’attenzione scarsa che ti ritrovi, saresti capace di perdere qualsiasi cosa non sia legata in qualche modo alle tue fotocopie storpie della figlia di Barbie. In più sei una sega in fatto di tecnologia! Ma mi hai risposto!»

« La prossima volta che chiamerai non farò lo stesso errore.» Shito lo interruppe, seccato, categorico « E guarda caso, sto per sbatterti il telefono in faccia.» ora sapeva come fare. C’era il tasto rosso.

« Ieeee! » il tono di Akatsuki divenne lamentoso, crocchiando e raschiando nell’orecchio di Shito « Matte te! La situazione è critica, kusoShito! »

« Dove sei?» Shito lo chiese senza tono nella voce. La sua vecchia e tuttavia ancora precisa Betty–sveglia segnava le due e mezzo del mattino. Gli pareva che Akatsuki spesso lavorasse part-time di notte, ma non era mai tornato in dormitorio così tardi.

Chika ridacchiò appena:

« Sono chiuso fuori, baka. Questa catapecchia serra i battenti all’una di notte. Alza il culo e vieni ad aprirmi, na? Sono stanco e non ho voglia di passare la notte al freddo. Sekaseru! »

« Non sono obbligato a farlo.» furono le ultime parole che disse prima di affondare il polpastrello sul tasto rosso e constatare che effettivamente era quello il tasto giusto.

E meno di cinque minuti dopo, era già al piano terra, nella sala comune. Apriva il portone principale.

« Shikushou…» Chika emerse dall’oscurità pochi istanti dopo che Shito ebbe aperto i battenti, permettendo alla fioca luce delle candele di illuminare la fessura sulle scale d’entrata. Ovviamente stava imprecando « Ce ne hai messo di tempo, kuso. Stavo iniziando a congelare.» scivolò all’interno, tremando appena, leggermente instabile sui piedi. La luce che veniva lasciata accesa nella sala comune durante la notte non era sufficiente ad illuminare perfettamente i loro volti, ma quello di Akatsuki sembrava abbastanza congestionato. Shito lasciò che l’altro andasse avanti, assicurandosi di richiudere il portone.

« Dove diavolo eri?» gli chiese atono, voltandosi lapidario nella sua direzione. Era vero, non lo aveva svegliato, ma lo aveva pur sempre costretto a scendere ben due rampe di scale al buio, facendo lo slalom fra le pericolanti assi del pavimento. Chika si fermò incespicando, saltellando su di un piede come un idiota. Shito lo seguì con lo sguardo mentre si agitava nella penombra, sempre più perplesso e seccato. Anche perché Chika non sembrava in grado di evolvere le sue risposte in qualcosa di sensato: continuando a zoppicare verso le scale, dopo avergli dato una rapida occhiata bieca, continuava ad emettere versi senza senso, tirando su con il naso, o imprecando.

E tutto quell’imprecare apparentemente insensato iniziava davvero a graffiare le orecchie già provate di Shito. E la sua pazienza, già scarsa per natura. Gli andò dietro a grandi passi, raggiungendolo in poco tempo: anche con tutto quell’eccessivo e scomposto dimenarsi, Akatsuki si stava avviando verso le scale con un’andatura insolitamente lenta.

« Akatsuki Chika, dove eri?» scandì forte le parole, seguendolo. La sua sagoma sembrava più assurda del solito, in controluce. Quando finalmente si decise a proferire parola, la voce di Chika giunse roca e leggermente affaticata:

« Oi, Shito, lasciami perdere, cazzo. E poi che diamine te ne sbatte? Sai meglio di me che lavoro la notte, non mi rompi sempre i coglioni con la storia del territorio? Chiudi quella fogna una volta perITEEEEEEEEEE

Shito ritirò la mano, fermandosi. Chika si accasciò su sé stesso, premendo forte le dita sulla propria spalla sinistra, là dove Shito lo aveva violentemente afferrato per fermarlo. Riprese fiato con fatica, respirando forte, poi tornò ad urlare, sibilando e ringhiando tra i denti:

« Itee, temee!» ansimando quasi, Chika non perse tempo per voltarsi e guardarlo « Non puoi semplicemente startene fermo e zitto, una volta che te lo chiedono? Cazzo! Si fottano le tue maniera di merda! Mi hai reso il servizio di farmi entrare, arigatou gozaimasu, » sputò il ringraziamento, facendogli perdere ogni valore « ora tornatene da dove sei venuto e fatti i cazzi tuoi!» si arrampicò con dignità sulla ringhiera, verso i piani superiori, sparendo alla vista.

Shito rimase immobile per qualche istante, le luci fioche e lampeggianti delle candele che gli danzavano addosso, sfiorando i lembi del suo pigiama di cotone leggero e le calze bianche. Fissò la rampa di scale, senza fare caso al fracasso che Akatsuki provocava arrancando sui gradini, poi sfregò il pollice e l’indice della mano con cui lo aveva afferrato. Rimase impassibile, riconoscendo l’odore e la consistenza.

Maledetto incosciente.

Si avviò a passo sostenuto verso il piano superiore, stringendo a pungo la mano sporca del sangue di Chika.

« Voglio una spiegazione.» insistette, dopo averlo raggiunto al piano del dormitorio maschile; quel corridoio era sempre ben illuminato da delle lampadine che pendevano dal soffitto.

Trovò Chika premuto contro una parete, la testa che gli ricedeva su di una spalla; respirava profondamente, come a rendere più facile il controllo del battito cardiaco e della pressione sanguigna – un trucco che Shito stesso gli aveva insegnato per le situazioni in cui il dolore delle ferite era troppo anche per uno zombie. La mano destra affondava tra le pieghe stropicciate della manica sinistra, quasi che volesse artigliare la carne sottostante. Ed era difficile non notare la condizione degli abiti: le spalle della camicia erano strappate in vari punti, i pantaloni scuri sporchi di polvere e fango.

Ciò che prima Shito aveva provato nel vederlo, catalogandolo come sorpresa ed irritazione iniziò lentamente a tramutarsi in rabbia.  

« Me la darai ora.» gli ordinò, stupendosi egli stesso della freddezza della propria voce « Kotaerou. »

Chika sospirò, sollevando appena il capo.

« Mio Dio, Shito, sei una maledetta piattola a volte. Una sanguisuga! Una cozza!» si risollevò faticosamente, con un leggero colpo d’anca contro la parete « E che ti devo dire, guarda pure. Se ti diverte. Sei una rottura di cazzo, comunque. Una di proporzioni megagalattiche, accidenti

E quando finalmente Chika si fu voltato a guardarlo, con un’espressione annoiata negli occhi, Shito Tachibana vide il volto di un uomo morto.

O meglio, di un uomo in fin di vita in seguito ad un furioso pestaggio.

I capelli incrostati di fango e sangue gli coprivano la fronte come un ammasso informe di creta argentata, nascondendo un taglio nella cute che aveva fatto colare un’ampia striscia rossa lungo la tempia e la guancia tumefatta.  Un orribile cratere scuro interrompeva di botto il setto nasale, il labbro inferiore era spaccato malamente su di un lato, uno zigomo recava un taglio che dall’orecchio – il cui lobo era frastagliato e bagnato, forse gli era stato strappato l’orecchino – gli arrivava fino al sopracciglio, troncandolo in due parti. Ma se la sua faccia distrutta fosse stata la cosa peggiore, forse la situazione di Akatsuki non sarebbe stata poi così orribile. All’altezza della spalla la camicia era lacerata con la perfezione di un affondo da arma da taglio: il sangue era colato inzuppando la stoffa fino a renderla di un cupo colore amaranto scuro. E il braccio sinistro pendeva lungo il fianco in una posa scomposta.

Quando Shito ebbe finito di analizzarlo, sollevò gli occhi per incontrare quelli ancora vispi di Akatsuki – almeno quelli non erano stati cavati o altro, o probabilmente Shito sarebbe impazzito.

« Un intero branco di leoni zombie o qualcosa di simile? Formica leoni giganti in mezzo alla strada?»

Chika riuscì a sorridere:

« Una scommessa finita male. Niente di grave.» inarcò un sopracciglio in un’espressione sarcastica e divertita al tempo stesso. Coraggiosamente, dato che anche il solo parlare sembrava fargli un male tremendo « Certo che tu dici cose strane a volte. I formica leoni? Come fa a venirti in mente una cosa simile adesso?»

Sotto la luce gialla delle lampadine il colorito di Chika sembrava particolarmente pallido, il suo sorriso tirato. Quanto sangue aveva perso?

Ignorando la sua osservazione, Shito decretò:

« Yuuta.» non avrebbe sopportato di vederlo in quelle condizioni per più di altri dieci secondi.

Akatsuki schioccò la lingua:

« Hai. Certo.» annuì, facendo debolmente spallucce « Domani.»

Gli occhi di Shito guizzarono.

« Cosa stai dicendo? Lo chiamiamo ora.»

« Non dire cazzate, sai che ore sono?» Chika sbuffò, accigliandosi « Non sono messo così male da non resistere una maledetta notte. Accidenti, ti sembro messo così male?»

Il silenzio di Shito fu abbastanza eloquente e sembrò infastidirlo.

« Senti, baka, è colpa tua. Tua e della tua maledetta mano. Se avessi avuto la mia katana non sarei in queste condizioni pietose.» si passò il dorso della destra sulle labbra per pulirsi il sangue alla meno peggio « Dei coglioni hanno voluto scommettere a biliardo, mi hanno fermato mentre servivo ai tavoli. All’inizio erano diecimila yen, ma continuavo a vincere e sono diventati ventimila!»

« La tua venalità ti porterà alla morte prima dell’anello nero.» lo rimproverò atono Shito, ma Chika trovò subito il modo di contraddirlo, puntandogli un dito insanguinato:

« Chigau. Ti sbagli. E’ proprio grazie a questa mia fissazione che presto saremo vivi.» liberando per un attimo il braccio fratturato iniziò freneticamente a tastarsi i pantaloni, poggiando nuovamente la spalla alla parete « E comunque, cazzo, da come avrai intuito a quei tizi non è andata bene. Non scendeva proprio giù.» infilò la mano destra in una tasca « Erano cinque ed io ero solo. Uno aveva pure un coltello, merda, me la sono vista abbastanza brutta in certi momenti. Ma comunque li ho fatti piangere, credimi.» estraendo trionfalmente la mano dalla tasca, gli mostrò delle banconote stropicciate. Gliele sventolò davanti al naso « Ed ecco qui il mio bottino. Sono un grande. Non si sputa sui soldi anche se sono sporchi di sangue, na

Shito lo fissò per lunghi istanti. Il labbro gonfio continuava a pulsare, il taglio del sopracciglio aveva fatto colare il sangue sulle ciglia. Non riusciva a contare i graffi che gli incrostavano la pelle del volto.

I suoi occhi erano intatti. Brillavano ancora.

Almeno i suoi occhi dorati.

Incosciente senza cervello.

Gli strappò i soldi di mano in un moto di rabbia estrema, ricevendo in risposta un verso di sorpresa. Allontanò la mano dalla sua portata prima di intimargli, freddo come il ghiaccio:

« Togliti quella roba di dosso. Fai pena. Almeno lavati.»

Seccato – forse voleva che Shito lo ringraziasse per ciò che aveva fatto – Akatsuki strinse le labbra, di nuovo astioso:

« Non mi dici cosa devo fare o non fare, baka. Se andrò a lavarmi lo farò perché lo decido di mia spontanea volontà.»

« Come vuoi tu.» Shito voltò lo sguardo, avviandosi a passi ampi verso la sua stanza « Basta che lo faccia prima che io vomiti.»

« Vaffanculo.»

Shito non si voltò. Continuò ad avanzare, freddo, le banconote umide che gli crepitavano tra le dita.

Si sbatté la porta di camera sua alle spalle, gettando con violenza il denaro per terra. Seguì i movimenti placidi della filigrana incrostata di sangue che si afflosciava sul pavimento di legno.

Akatsuki Chika era un idiota! E doppiamente stupido era Shito Tachibana, a stargli dietro! Lo era stato a rispondergli al telefono – anche se per puro caso –, lo era stato di nuovo a farlo entrare; e infine aveva dato sfoggio della propria stoltezza nell’inseguirlo per il corridoio, nel modo in cui il sangue gli era defluito dal volto nel vedere le sue condizioni, nella velocità con cui la rabbia lo aveva assalito nel constatare la sua completa noncuranza.

Chika Akatsuki non si meritava nulla!

Si sedette sul letto, piantando i forte i piedi per terra in un gesto definitivo, le toghe che scricchiolavano rumorosamente. Fissò torvo le banconote abbandonate davanti alla porta serrata, quasi che con quello sguardo potesse innescare la scintilla che le avrebbe rese cenere in un istante.

Tutto a causa della sua maledetta fissazione per il denaro. Avido e stupido. Non avrebbe più mosso un dito per quel disgraziato. Quella feccia. Per quanto gli importava avrebbe anche potuto morire quella notte, galleggiando nell’acqua calda del bagno mentre il sangue gli defluiva dalle maledette ferite. Che morisse pure!

E meno di mezz’ora dopo, quando ebbe terminato di scaricare la propria rabbia su qualsiasi cosa il suo sguardo toccasse, stava attraversando ancora l’andito, muovendo lenti passi pieni di frustrazione. Andava da lui.

Trovò aperta la porta della sua stanza: Akatsuki era al suo interno, con addosso i pantaloni bianchi della tuta che usava per dormire ed un asciugamano bianco in testa che gli pendeva su di una spalla. Shito si fermò sulla soglia, senza fare rumore. Lesse lentamente la storia impressa sulle scapole nude di Chika, sulla sua schiena, sul suo braccio spezzato, su ogni centimetro di pelle scoperta. Quei lividi erano davvero troppi: gli punteggiavano il corpo come crudeli baci infuocati. I graffi aveva smesso di sanguinare, ma non erano di meno. Quanto a lungo era durata quella maledetta rissa? Per ore? Shito deglutì forte, ingoiando il malessere fisico che provava nel vedere il corpo di Chika ridotto a quel modo.

Il braccio sano di Akatsuki si mosse lentamente, afferrando l’asciugamano poco prima che scivolasse via: prese a frizionarsi goffamente i capelli bagnati e puliti, mentre tentava di sollevare qualcosa da terra con rapidi movimenti del piede. Era riuscito a lavarsi in poco tempo, ma di quel passo avrebbe finito per coricarsi al sorgere dell’alba. E soprattutto, con un braccio solo cosa avrebbe combinato?

Shito respirò forte dal naso, irritato. Fu alle sue spalle in due soli passi: guardandolo mentre sussultava, le spalle ampie e magre che si incurvavano, gli strappò di mano l’asciugamano:

« Frana.» gli disse, mentre lui voltava appena lo sguardo accigliato per guardarlo.

« Oi! Potresti almeno bussare! Non sei tu il primo a tenere alla tua maledetta privaoow..?» le parole gli morirono in bocca quando Shito gli sbatté in testa prima l’asciugamano e poi entrambe le mani, con forza ed i palmi aperti, facendogli emettere un sommesso lamento. Stava per ribattere con la sua solita furia ma ammutolì, l’asciugamano che gli ricadeva sulla fronte e sugli occhi; Shito gli stava asciugando i capelli, frizionandoli piano. Gli occhi di Chika si spalancarono, ma non fu in grado di proferire parola. Strano.

« Almeno ora non puzzi di morte in quella maniera ripugnante di prima.» Shito lo disse con un cenno di disgusto nella voce. Sentiva un vago odore di pulito ma il fetore del sangue non sarebbe sparito fino a che le ferite non fossero state risanate.

Tch.

Dopo qualche istante di silenzio la protesta di Chika provenne fioca da sotto l’asciugamano:

«… non mi pare di averti chiamato, baka. O di aver chiesto aiuto. Posso farcela da solo.»

« Hai.» Una risposta come un’altra, che fu ignorata da entrambi. Se fosse stata diversa non avrebbe fatto alcuna differenza: a volte le proteste di Akatsuki erano davvero un infantile modo di far prendere aria alla bocca.

E mentre Chika si lasciava docilmente aiutare, Shito lo osservò. Quasi tutte le ferite avevano smesso di sanguinare: erano pulite ed iniziavano ad annerirsi, senza cicatrizzarsi. Il sangue degli zombie coagulava ma non c’era modo per la carne di rimarginarsi: era in quelle condizioni il corpo di Chika. Il taglio sulla spalla era profondo, slabbrato e nero, come l’affondo di una lama infuocata.

« Questa è brutta.» constatò, attirando appena l’attenzione di Akatsuki « Ti ha intaccato l’osso,» si vedeva uno squarcio di bianco avorio oltre i lembi lacerati « E immagino che ti sia partita la succlavia.»

Chika ridacchiò, sollevando lo sguardo verso di lui:

 « A Yuuta piacerà.» ghignò, sbattendo le palpebre « Mi chiedevo cosa fosse tutto il freddo che sentivo. Anche ora sto davvero gelando, cazzo.» rabbrividì appena.

Shito represse il desiderio di toccarlo, poggiando le dita vicino alla ferita, sul suo collo sottile. Avrebbe sentito il suo cuore che batteva oppure si era fermato anche quello?

« Se non fossi stato uno zombie, ora saresti già morto per dissanguamento.»

Chika questa volta sbuffò; rise debolmente, sarcastico:

« Se non fossi zombie, non sarei qui a farmi fare una testa così delle tue paranoie e prima ancora di certo non sarei finito in quel fottuto vicolo a farmi pestare a sangue da quei tre teppisti del cazzo. Saremmo vivi entrambi, » abbassò lo sguardo e la sua risata iniziò ad assumere il sapore della tristezza « e sarei di certo molto più felice di quanto lo sia ora.»

Shito non seppe come rispondere. E preferì rimanere in silenzio.

Abbassando appena lo sguardo oltre le clavicole di Akatsuki aveva intravisto solo macchie di cupo viola, probabilmente delle costole rotte – le vedeva in trasparenza, che premevano contro la pelle del suo torace piatto. Un secondo taglio perfetto e profondo allo stomaco, poco al disotto del polmone sinistro, gli fece chiudere gli occhi con forza. Il sollievo di non vederlo imbrattato di sangue non era niente in confronto a ciò che sentiva in quel momento, più forte ogni volta che lo sguardo coglieva nuove ferite. Fu costretto a cercare i suoi occhi mielati per non perdere il controllo. I suoi occhi che non erano cambiati.

« Vado a chiamare Michiru o Koyomi.» sentenziò, guardandolo in faccia « Devi almeno farti fare una medicazione provvisoria.» qualsiasi cosa sarebbe andata bene, purché coprisse quello scempio « Se non fai attenzione anche Yuuta potrebbe avere problemi ad aiutarti.»

Chika emise un verso stizzito, soffiando tra i denti:

« Non svegli proprio nessuno, wakatta yo?» indicò il cumulo informe di garza bianca che giaceva scomposto sul bordo del suo letto – stranamente la scimmia aveva mostrato un pizzico di buonsenso ed aveva preso delle bende e dei cerotti dall’infermeria prima di tornare in camera « Ad una cosa del genere ci arrivo da solo, accidenti. Non sono così idiota.» si chinò scricchiolando ed afferrò un lembo di stoffa bianca, iniziando goffamente ad avvolgerlo intorno ad un grosso taglio che aveva riportato sul polso del braccio rotto « E non ho bisogno di una femminuccia amorevole che mi impacchetti come una mummia per la notte. So badare a me stesso.»

Shito tirò via l’asciugamano, smuovendogli i capelli arruffati ed ancora umidi. Lo studiò per lunghi istanti, mentre tentava di bendarsi da solo, seduto sul letto, stringendo forte i denti ad ogni movimento. E rimase in piedi fino a che non lo vide prendere la garza tra i denti e tagliarla con un secco strappo, la mandibola che scioccava. Faceva quasi tenerezza nel suo orgoglioso ostentare coraggio ed onnipotenza. Nel suo ostinarsi a non chiedergli aiuto, sebbene cercasse di non gridare ogni volta che inavvertitamente muoveva il braccio sinistro.

Imbattibile.

L’imbattibilità dei giovani stupidi.

Dopo che Akatsuki si fu lasciato scappare l’ennesima imprecazione – non riusciva a fare il nodo intorno alla medicazione raffazzonata intorno al polso – Shito si curò di strappargli di mano anche le bende.

E quando fu riuscito a zittire tutte le sue proteste oltraggiate, fece attenzione a fasciarlo nel modo più rude possibile. Qualsiasi strattone, qualsiasi nodo troppo stretto, qualsiasi colpo involontario sulla sua schiena tumefatta era una giusta punizione. E Akatsuki si lamentava ad ogni gesto.

« Shito, cazzo.» Chika lo sibilò dopo che la medicazione attorno all’osso rotto fu ultimata con una soddisfatta e brusca tirata alle bende « Hai la delicatezza di un fottuto…»

Shito non udì le parole che seguirono. Non le udì per niente.

Si immobilizzò nell’atto di tendere un nuovo lembo di garza, nell’osservare il gesto con cui Akatsuki si era portato la mano destra a volto per sistemarsi un cerotto sul sopracciglio.

La mano di Akatsuki.

La fissò, assorto, percependone i movimenti come se fossero rallentati. Il pollice si piegava con un’angolazione innaturale, il palmo era nero e raggrumato, quasi che la pelle fosse stata poggiata sulla marmitta bollente di una motocicletta e si fosse sciolta. Le nocche erano scarnificate, l’indice ed il medio erano coperti da mozziconi frastagliati e neri, ciò che rimaneva delle cuticole.

E poi dopo qualche istante Shito Tachibana comprese che la leggera disperazione che quella vista gli suscitava era dovuta ad un semplice fatto.

Quella era la mano destra.

La sua.

Akatsuki si accorse del suo sguardo e sbiancò appena – come se non fosse già abbastanza pallido: perdendo interesse per il cerotto messo di traverso sul proprio zigomo, abbassò la mano, affondandola nel materasso su cui era seduto come a nasconderla.

« Matte! Non iniziare ad urlare, chiaro? Dimenticatene fino a che non sarà domani. Yuuta te la rimetterà apposto. E comunque scusami tanto, eh!» alzò la voce, subito acido « Sai, ad un certo punto un coglione mi ha spezzato un braccio con una spranga, e la tua maledetta mano era l’unica rimasta. Non avevo tempo di farci molta attenzione.»

Shito fece una smorfia.

Con la spranga. C’era bisogno di aggiungere quel particolare?

« Sei un disastro.» Shito ringhiò tra i denti « Feccia.»

Quando si sporse verso di lui, Chika reagì spostandosi appena da una parte. Forse pensava che lo avrebbe colpito in qualche modo, ma come poteva anche solo sfiorare l’idea che osasse toccarlo nelle condizioni in cui era?

Con quale arma ancora?

Il coltello, la spranga. E poi?

Cos’hai affrontato, da solo?

Akatsuki cercò di nascondere ancora la mano destra. Forse pensava che Shito volesse scambiarla. Che volesse puntargli l’ennesima arma della serata.

Shito si avvicinò ancora, riuscendo infine ad intrappolargli il polso, raggiungendo la mano.

Perché sei così, Chika Akatsuki?

Gliela prese tra le proprie, questa volta sfiorandola con delicatezza. Vi impresse dei baci leggeri, a fior di pelle, ripercorrendo le sottili dita graffiate. Si chiese cosa esattamente stesse facendo, a che diavolo servisse poggiare piano le labbra sulle ferite sentendone il sapore amaro, ma in fondo baciare la propria mano sarebbe stato stupido, quindi forse stava baciando Akatsuki.

E quello avrebbe di sicuro avuto più senso.

Chika lo guardava con gli occhi leggermente socchiusi:

« Baka, yamero.» la voce si era improvvisamente abbassata di qualche tono, era stanca, abbandonata e sofferente. E mentiva « E’ rivoltante.»

Shito mugolò, attirandolo piano a sé, sostenendolo mentre le gambe stanche lo reggevano appena mentre si alzava, tremando:

« Hai.» un’altra risposta inutile. Insignificante.

E quando lo ebbe tra le proprie braccia, sentendo le ossa spigolose contro di sé, quando percepì la fragilità di quel corpo provato ed allo stremo, quando ebbe affondato il volto tra i suoi capelli argentati, si chiese come diavolo avesse fatto a resistere fino a quel momento senza toccarlo neppure una volta.

Gli esplorò il volto con le dita, sfiorando i graffi, toccando appena le guance, il pollice e l’indice che gli inclinavano il mento dopo aver carezzato piano il solco del labbro spaccato.

Un istante dopo baciava Chika Akatsuki.

Non riusciva a pensare a nulla che potesse avere più senso.

Chika ricambiò il bacio immediatamente, quasi che quel contatto fosse l’unica vera cosa avesse voluto da lui, sin da quando lo aveva cercato al cellulare. La sua bocca sapeva di sangue, la sua pelle, la sua lingua: tutto in lui quella notte aveva il sapore della morte. Era nauseante, ma se fosse servito a guarirlo lì sul posto, immediatamente, se avesse fatto sparire il naso rotto o la ferita che gli aveva quasi trafitto il cuore, sarebbe stato pronto a baciarlo fino all’alba, senza mai riprendere fiato.

E forse lo avrebbero fatto, se Chika non avesse emesso un gemito sulle sue labbra, bisbigliando:

« Itai, Shito.» soffocò un sospiro di dolore, muovendosi appena nel suo abbraccio « Fa male. Lasciami.»

Shito obbedì subito, anche se avrebbe preferito non farlo. Ebbe la consapevolezza immediata di aver circondato i suoi fianchi tumefatti e indolenziti con troppa forza.

Ci fu un istante di silenzio, si sentiva solo il ronzio freddo della lampada appesa al soffitto; Akatsuki abbassò lo sguardo in preda a brividi, forse di freddo, Shito non poteva sapere. Poi Chika ricadde di peso sul letto, stendendosi, sospirando:

« Forse è meglio azzerarmi, per oggi.»

Shito annuì, riluttante. Era d’accordo ma a volte odiava davvero quel suo modo di esprimersi.

Lo osservò mentre sofferente cercava una posizione comoda sul letto, senza neppure smuovere le lenzuola. Fu a quel punto, dopo più o meno un’ora e mezzo di lotta, che Chika si sfilò il cuscino da sotto la testa e se lo premette con forza sulla faccia. L’urlo di dolore che proruppe dalla sua gola venne attutito e assorbito, un lamento estremo e soffocato. Shito fu l’unico a sentirlo nella sua chiara e angosciata esplosione, prima che morisse.

Quando si sedette sul bordo del letto era certo che se Akatuski lo avesse fatto di nuovo sarebbe probabilmente uscito definitivamente di testa.

« Hai freddo.» lo constatò, sfiorandogli una mano. La sua temperatura corporea era quella di un cadavere. Di solito, pur essendo un cadavere, la pelle di Chika Akatsuki bruciava sempre come il sole.

Chika non tolse il cuscino, ma annuì.

Non farlo mai più, Chika Akatsuki.

Shito Tachibana spense la luce. Sapeva che il proprio corpo non sarebbe mai stato abbastanza caldo da dargli sollievo.

« Cerca di dormire. Almeno provaci.»

La voce di Chika gli giunse debole. Sembrava quasi il suo ultimo respiro:

« Hai. »

Non combattere da solo.

Shito Tachibana rimase con lui tutta la notte, in silenzio. Lo guardò respirare.

Accertati che io sia con te per coprirti le spalle. 

Lo guardò respirare.

(xxx)

   
 
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