TEMATICA
AUTUNNALE DELLA MAILING LIST
“IL
TEMPIO DI SHUN”
“FOGLIE
D'ACERO COME BARCHE LUNGO IL FIUME”
MOMIZI
MATSURI
Kyoto,
22 ottobre.
Si avvicinava ormai il tramonto su Kyoto, il cielo color fuoco
ardeva sulla città, crepitante di grida e canti in ogni dove; ragazzi e
fanciulle correvano da una parte all’altra delle strade costeggiate di banchetti
e chioschetti, risate e l’odore intenso dell’incenso permeavano
l’aria.
I quartieri risuonavano di esibizioni musicali e teatrali, i koto
agli angoli delle strade accompagnavano i festeggiamenti con vecchie melodie
tradizionali.
Il Jidai Matsuri stava giungendo al
termine.
“Saori-san!!
Saori-san!!”.
Una voce maschile di ragazzo cercava di sovrastare il chiasso della
folla, una folta zazzera scura ondeggiava tra le persone in abiti tradizionali,
un ragazzino appena adolescente, dall’aria visibilmente sperduta che si guardava
nervosamente attorno, cercando di distinguere qualcosa tra la crepitante
moltitudine di turisti e locali che si aggirava per le strade decorate a
festa.
Un ragazzo di poco più grande, dall’aria agitata e confusa, si
lasciò andare a un sospiro, sfregandosi stancamente gli occhi completamente
neri: “è inutile, non possono essere qui. Altrimenti li avremmo già trovati.” si
lamentò, sedendosi su un basso muretto per riprendere fiato e giocherellando con
l’obi; uno scappellotto piombò inesorabile sulla sua nuca, strappandogli
un’imprecazione di dolore.
Si voltò furibondo, squadrando con aria astiosa un coetaneo,
ridacchiante nel suo kimono color inchiostro dai riflessi argentei: “Se ci siamo
persi è solo colpa tua, Ichi!” esclamò questi, sbuffando e scostando lo sguardo;
l’interessato, punto sul vivo, scattò in piedi, prendendolo per il colletto,
“Non è vero!” sbottò, “Si che è colpa tua, fratellino.” sogghignò Nachi,
spostando con malagrazia il braccio del minore, “Hai perso un sandalo e abbiamo
perso tempo per sostituirlo, e in quel lasso di tempo abbiamo perso di vista
Saori-san e gli altri!” sbottò il maggiore,
nervoso.
“Adesso basta, ragazzi! Mi avete
stancato!”
A un gesto imperioso di Jabu, Ben e Geki separarono i due
litiganti.
“Ma ha cominciato lui!” si giustificò Aspides, guardando il
fratello maggiore in cagnesco.
Unicorn si voltò di scatto, i suoi occhi mandavano scintille:
“Quando fate così non vi sopporto!” esclamò con voce seccata, troncando sul
nascere qualunque replica da parte dei due ragazzi più grandi di lui, “Non siamo
più dei bambini e il vostro è un comportamento assolutamente inadeguato!
Dannazione! Riuscite a non scannarvi per cinque minuti? Cinque minuti! È
chiedervi troppo??” imprecò, allontanandosi di qualche
passo.
Jabu sbuffò, calciando via alcune pietre: “Me ne vado, non ne posso
più.” sbottò esasperato.
I due fratelli chinarono lo sguardo, apparentemente concentrati a
studiare i ricami che decoravano i kimono, in assoluto
silenzio.
Per un attimo, negli occhi del moro tredicenne si distinse
chiaramente un lampo di rammarico, ma non vi fu tempo sufficiente per
distinguerlo con chiarezza, perché il giovane, seccato, si voltò e si allontanò
di qualche passo, scomparendo in breve nell’oscurità di un vicoletto buio e
deserto.
Geki sospirò, poggiando una grossa mano sulla spalla destra di
Ichi, che sobbalzò a quel contatto; ma l’albino non si divincolò, lasciò fare al
fratello più grande, che cinse con il braccio entrambe le sue spalle,
spingendoselo contro il petto avvolto dalla seta blu del
kimono.
Il corpo snello del quattordicenne si mosse impercettibilmente,
tremante, poggiando la testa contro il corpo massiccio del fratello; restarono
così per qualche minuto, mentre Nachi, con lo sguardo distratto, continuava
imperterrito a fissare il punto in cui Jabu era scomparso, come se sperasse, da
un momento all’altro, di rivederlo spuntare.
Ma niente di tutto questo accadde e lui si ritrovò, senza quasi
accorgersene, a fissare dispiaciuto il ciuffo pallido dei capelli di Ichi, il
viso nascosto dalla stoffa della veste di Geki.
Sinceramente dispiaciuto.
Due forti braccia lo circondarono, spostandolo con malagrazia:
“Andiamo a recuperare Jabu, prima di perdere anche lui in questa bolgia.”
esclamò con un sorriso gentile Ban, spingendolo avanti con
urgenza.
Lo stesso fece Geki con Ichi e i quattro si inoltrarono in silenzio
nel vicolo buio.
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“Che strano posto!” esclamò Aspides, muovendosi circospetto e
curioso lungo l’argine di un fiume improvvisamente comparso dinanzi a loro dopo
qualche minuto di cammino.
Ghiaia e sassolini si infilavano tra i plantari dei sandali,
graffiando i piedi dei quattro fratelli che avanzavano lungo la strada , il
ritmo del loro respiro sembrava sincronizzato col lento scorrere dell’acqua
cristallina del torrente: si riusciva a vedere chiaramente il fondo, cosparso di
alghe, mosse dalla corrente come alberi al vento e rocce grigiastre, su cui,
ogni tanto si riuscivano a scorgere girini e piccole ranocchie, goffe e color
nero; carpe koi dai vari colori brillanti e tendenti al rosso nuotavano
tranquille con eleganti colpi di pinna, simili a veli
setosi.
Piccole e graziose abitazioni dai caratteristici tetti spioventi
color ruggine e dalle pareti lignee erano disposte in bell’ordine sul margine
dello stretto viottolo, le pareti di carta di riso erano decorate con delicati
motivi floreali, che variavano a ogni sguardo, grida gioiose di bimbi e risate
spontanee provenivano dall’interno delle abitazioni, nei cui giardini fiorivano
forti e magnifiche le camelie, contorno di bevute con amici seduti a bassi
tavolini in bambù. Una leggera brezza conduceva sino a loro il profumo intenso
dei fiori, alcuni petali volteggiavano sulla via, baciati dagli ultimi raggi di
sole.
Alcuni bambini di qualche anno più giovani di loro correvano e
scherzavano a poca distanza, bambine dai furisode color azzurro cercavano invano
di riprendersi qualcosa dalle mani dei compagni maschili, probabilmente un
nastro, ma non c’era ostilità nei loro gesti, solo allegria e
gioco.
“Baka! Ridammi il mio cerchietto!” urlò una bambina, incespicando
nell’orlo della veste.
Barcollando paurosamente, scivolò a terra, ma non toccò mai il
terreno ghiaioso perché due forti braccia la presero al volo, impedendole di
farsi male; la piccola alzò lo sguardo, incrociando il sorriso gentile e bonario
di Geki: “Tutto bene, piccina?” le chiese con tono burbero il Saint,
rimettendola con facilità in piedi; lei si sistemò la veste e annuì con
sollievo: “Grazie signore.” pigolò lei, il visetto imporporato per l’imbarazzo.
Gli amichetti la raggiunsero subito, circondandola premurosi: “Tsuki-chan!”
esclamò una bambolina dai corti capelli neri, abbracciandola fraternamente, “Non
preoccupatevi, bimbi, è tutta intera. Nostro fratello sembra un orco ma è docile
come un agnellino!” lo schernì scherzoso Nachi, dando un buffetto sul fianco al
gigantesco moro.
Due fanciulline si posero dinanzi all’amica frugando nelle borsette
di perline al fianco e consegnarono al guerriero qualcosa, che sparì nelle sue
grandi mani: “Arigatou gozaimasu per aver aiutato Tsuki-chan!” esclamarono
allegre le due, voltandosi e afferrando la piccola per un
polso.
Il gruppetto sparì in una casa e tutti i Kido si radunarono attorno
a Geki, che aprì lentamente la mano massiccia, due foglie rosso acceso
risaltavano sulla carnagione chiara del guerriero: “Che strano!” esclamò Ichi,
afferrandone una e rigirandola tra le dita sottili, “Guardate! C’è scritto
qualcosa…” borbottò Ban, avvicinando il viso, “Sembrano kanji… è una frase di
ringraziamento.” concluse lui, passandola a Nachi, “Sono state gentili,”
aggiunse Lupo sorridendo bonario, “L’orco cattivo ha conquistato le bimbe di
Kyoto!” sogghignò il Leone Minore.
Geki voltò lo sguardo, sbuffando, e si riprese le due foglie,
nascondendole dietro l’obi color cielo pallido; non poterono giurarci, ma erano
quasi sicuri di aver scorto un improvviso rossore sulle gote del ragazzo: “Basta
fare i bambini ragazzi, dobbiamo ritrovare Jabu alla svelta e poi riprendere a
cercare Saori-san e gli altri.” sbottò, avviandosi a passo veloce lungo il fiume
brillante per il Sole.
I tre rimasti indietro sghignazzarono e lo
seguirono.
Dopo qualche minuto, la loro marcia fu interrotta: “Eccolo laggiù.”
indicò Aspides, guardando interrogativo i compagni.
Jabu stava poggiato contro il parapetto di un imponente ponte,
intento a fissare apatico la superficie del grande fiume, l’orlo del kimono
ondeggiava al vento.
“Andiamo.” decretò imperioso Leone Minore, afferrando senza
riguardo i due fratelli più piccoli per le maniche e trascinandoseli dietro:
“Ehi!! Aspetta!!” si lamentò Ichi, massaggiandosi il
braccio.
“Poche storie niichan, andiamo!”.
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“Per quanto hai ancora intenzione di stare qui a fissare l’acqua
come un ebete?”
La voce pesante dell’Orsa Minore fece sobbalzare Unicorn, che però
non si mosse, “Non sto fissando nulla!” si difese Jabu, voltando lo sguardo dal
fiume, “Cosa ci fate qui?” chiese poi, affossando la testa nell’incavo
dell’avambraccio, “Sbaglio o dobbiamo ritrovare Lady Saori-san?” interloquì
Geki, scompigliandogli con affetto i folti ciuffi ebano, “Se non ti decidi a
tagliarli, prima o poi diventeranno più disordinati di quelli di Seiya-chan.”
affermò sorridendo.
Il fratello minore sospirò, voltandosi verso di loro: “Cosa fate
qui?” chiese, puntellandosi coi gomiti alla ringhiera in metallo; Aspides e Wolf
vennero spinti in avanti senza troppe cerimonie, ma i loro sguardi non
incrociarono mai quello del più giovane, troppo concentrati in apparenza a
studiare i sassolini sul terreno.
Uno scappellotto piombò inesorabile sulle loro nuche: “Forza!
Parlate!” esclamò con tono burbero Ban; un borbottio indefinito proruppe dalle
labbra dei due Saint, un borbottio che Jabu afferrò come un goffo tentativo di
scusa.
Un tenue sorriso rassegnato si dipinse sulle sue labbra sottili:
“Lasciate perdere, non sono più arrabbiato..” esordì il moro, dondolandosi sui
talloni con fare bambinesco, “Abbiamo sbagliato tutti quanti.” concluse,
tornando a fissare con aria serena la corrente.
Le colline che chiudevano la vallata come uno scrigno erano un
tripudio di colori sotto il tramonto, tonalità che andavano dal rosso
all’arancio intenso sino all’oro coloravano ogni cosa attorno a loro, il lento
volteggiare di sanguigne foglie nell’aria fresca del pomeriggio d’autunno
catalizzò per un attimo la loro attenzione, mentre l’allegro schiamazzare dei
bambini sulla riva del grande fiume Ooi strappava un sorriso malinconico ai
cinque fratelli.
Bambini e ragazzi di tutte le età sguazzavano nelle acque basse
presso la riva, afferrando gioiosamente qualcosa dal pelo dell’acqua ed esibendo
con orgoglio il bottino appena conquistato: “Chissà cosa staranno facendo di
così divertente…” chiese Nachi con tono curioso, poggiandosi al
parapetto.
“Ehi!!
Jabu-kun!! Nachi-kun!! Guardate
laggiù!“ esclamò agitato Ichi, indicando qualcosa affiorare sul pelo dell’acqua,
qualcosa di rosso, che galleggiava inerte sotto la pigra spinta della
corrente.
Con eleganza, il moro tredicenne scese verso la riva bassa e mosse
qualche passo nell’acqua, tenendo leggermente sollevato l’orlo del kimono; con
la destra, afferrò lo strano oggetto, luccicante e bagnato e lo esibì trionfale
agli altri: “è una foglia d’acero, ragazzi, deve essere giunta sin qui dalle
colline, trasportata dal fiume!” esclamò, sventolandola a mò di
bandiera.
Un grido dei piccini poco lontano da loro attirò la sua attenzione,
i fanciulli si sbracciavano nella sua direzione, sventolando anche loro delle
foglie d’acero; gli fecero qualche segno, poi, ridendo e scherzando, uscirono
schiamazzanti dall’acqua, zuppi ma felici, e si diressero di corsa verso monte,
sparendo in breve alla vista.
Unicorn risalì sulla riva con attenzione, scrollandosi di dosso
l’acqua che impregnava in gran parte le sue calzature e lambiva la pelle già di
suo infreddolita: “Chissà cosa volevano dire con quei gesti…” si chiese, facendo
per raggiungere i fratelli sul ponte.
“Per l’amor del cielo figliolo, chissà tua madre come sarà poco
contenta di rivederti a casa con i sandali completamente zuppi! Non ti hanno
detto che per la raccolta delle foglie devi prima toglierti i
sandali?”.
La voce preoccupata di una donna anziana lo fece voltare di scatto
e si trovò dinanzi una nonnina, bassa e dalle forme rotondeggianti, che teneva
sottobraccio un ampio paniere colmo di foglie rosse e gialle, ancora cosparse di
perle d’acqua; Jabu chinò il capo in segno di rispetto: “Mi scusi, ma non siamo
di queste parti…” sussurrò con tono improvvisamente triste, “Siamo di Tokyo, ma
ci siamo persi di vista con i nostri fratelli e nostra sorella e ci siamo
ritrovati qui. Abbiamo visto qualcosa galleggiare e sono andato a controllare.”
e così dicendo, abbozzò un inchino.
La donna sorrise benevolmente: “Scusa piccolo, non potevo sapere.
Quindi hai raccolto quella foglia senza sapere il vero significato del gesto?”
esordì subito, accarezzandogli materna la testa arruffata; Jabu scosse il capo,
“No, glielo ho detto, abbiamo visto dei bambini che facevano lo stesso, però.
Può gentilmente spiegare?” chiese educato il ragazzo, subito raggiunto dai
quattro Kido; la donna annuì con espressione affabile dipinta sul viso tondo,
“Se seguite questa strada, massimo dieci minuti di cammino, arriverete nei
pressi di un giardino di bambù. In fondo al giardino, c’è il Santuario Nonomiya,
lì vi verrà spiegato tutto. Spero di vedervi stasera.” dichiarò lei, avviandosi
verso uno stretto vicoletto e salendo su un risciò.
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Il bosco di bambù era immerso in una calma meravigliosa, un
silenzio quasi irreale, rotto solo dai loro passi guardinghi e timorosi e dal
lontano frinire di qualche cicala ritardataria, probabilmente ingannata dal
caldo apparente dell’aria che pareva quasi estiva; lo smeraldino dell’erba e
degli arbusti attorno a loro li avvolgeva come una conchiglia fa con la sua
perla, piccole statuette votive ai lati della strada sterrata sorvegliavano
attente i loro movimenti.
Non una parola dissero i cinque fratelli durante la marcia, ognuno
perso nei propri pensieri e nei propri sogni ad occhi aperti, anche Ichi e Nachi
avevano rinunciato a litigarsi e ora, mentre Aspides non perdeva di vista
nemmeno per un momento Jabu, Wolf li seguiva a distanza, sorvegliandoli con
cura, sotto lo sguardo attento e bonario dei due fratelli più
grandi.
“Ehi, ci siamo.” esordì Unicorn, rompendo il
silenzio.
Dinanzi a loro era comparsa una breve scalinata in granito e un
portone in legno decorato con festoni colorati e
luci.
Al di là, un monaco curvo sul selciato, spazzava con una scopa di
saggina attento i gradini, lambiti dal muschio; l’anziano religioso alzò di
scatto il capo, volgendosi verso di loro: “Buongiorno figlioli, cosa posso fare
per voi?” chiese con tono paterno, poggiando la ramazza in un cantuccio e
andando verso di loro. Ban e Geki tirarono fuori le foglie e gliele
consegnarono: “In paese ci hanno detto di rivolgerci qui per sapere l’esatto
significato di queste.” dissero i due; l’uomo aguzzò lo sguardo, sorridendo e
ridacchiando, “Non siete di qui, vero? Vi spiegherò tutto, cercavo giusto una
scusa per smettere e affidare questo compito ai novizi. Venite dentro, davanti a
una tazza di bancha è tutto più facile da
spiegare.”.
L’anziano confratello afferrò lo spazzolone e lo affidò a uno dei
giovani adepti del Tempi e sparì dentro il grande edificio dinanzi alla porta,
subito seguito dal gruppetto di guerrieri.
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“Allora, da dove possiamo cominciare?”
Il sestetto sedeva su ampi cuscini posti sul parquet lucido e
decorato della sala da ricevimento del Tempio, adorno di arazzi e stuoie
colorate; ciondoli e campanelle votive penzolavano qua e là al tenue soffio
dello Zefiro, risuonando allegre e piacevoli, l’arancio brillante del Sole
lambiva come fiamma il legno pregiato, scaldando i piedi di Jabu, posto con le
gambe oltre la porta scorrevole; i cinque ragazzi tenevano tra le mani i
profumati contenitori pieni di tè ambrato, aspirandone avidamente l’aroma
intenso.
“Noi siamo arrivati qua e abbiamo visto dei bambini in acqua, che
probabilmente stavano raccogliendo foglie simili a questa.” esordì Nachi,
passando al vecchio uno dei due doni ricevuto dalle bimbe; a quella vista, il
religioso sorrise affabile: “è molto semplice, ragazzi miei. Questa è una
momizi-ha d’autunno e questo è il quartiere di Arashiyama, dalle nostre parti,
sin dalla notte dei tempi, i ciliegi rosati salutano l’arrivo della primavera,
gli aceri rossi quello dell’autunno. Ogni 22 ottobre avviene, in parallelo col
Jidai Matsuri, il Momizi Matsuri, la festa degli Aceri.” spiegò il nonnino,
sorseggiando con calma il suo thè, “E in cosa consiste?” chiese Ichi curioso,
tormentando l’obi, “quando cala la sera, l’intero quartiere di dirige sulle
sponde del fiume Ooi e deposita sull’acqua le foglie raccolte al pomeriggio in
quello stesso punto, salutando l’arrivo dell’autunno. È una pratica molto antica
ma i bambini la adorano ugualmente, passano ore a sguazzare nella corrente con
il pretesto di raccogliere le loro amate foglie, su cui poi, se vogliono,
scrivono piccoli pensieri o desideri da affidare ad Amaterasu-gami.” ridacchiò
lui, stringendosi nello scialle drappeggiato sulle spalle
scarne.
Un leggero bussare alla porta in legno fece trasalire i ragazzi, la
testa rasata di un loro coetaneo fece capolino dentro: “Signore, è ora di
andare, la festa sta per incominciare.” disse lui, prima di ritirarsi di
scatto.
Il vecchio padre rise, mettendosi in piedi: “Venite con me
ragazzi.” li invitò l’uomo, passando a ciascuno un certo numero di foglie e un
calamaio con qualche pennello da calligrafia, “Scrivete qualche frase anche voi,
così potrete partecipare con noi. E se non avete un posto dove stare, per
stanotte potrete dormire qui, abbiamo qualche stanza per gli ospiti e mi fa
sempre piacere avere attorno dei bravi ragazzi come voi.” sorrise il
monaco.
Dopodiché uscì: “Vi aspetto fuori, fate con
calma.”.
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Calò la notte su Arashiyama e tutto era immerso nella luce allegra
delle lanterne di carta di riso e nelle risa ciarliere dei bambini e le
chiacchiere degli adulti.
Jabu, Geki, Ichi, Nachi e Ban scendevano verso il fiume assieme al
vecchio sacerdote e ai novizi, chiacchierando allegramente e scherzando tra
loro, tenendosi per mano, i visi rilassati e distesi, erano anni che sui loro
visi non si scorgevano espressioni simili.
“Ehi! Cosa avete scritto voi?” chiese il quattordicenne Wolf,
voltandosi improvvisamente, “Dai, sono curioso! Cosa avete scritto?” incalzò,
cercando di prendere la foglia di Geki, “Non sono affari vostri!” esclamò
Unicorn, nascondendo la sua nella cintura.
Hydra sbuffò, una tenera espressione imbronciata sul viso pallido:
“Antipatico… Io non mi nascondo!”; un dito puntato sulla fronte lo sospinse
all’indietro, “E allora parla!” sghignazzò il Leone
Minore.
Per tutta risposta, il giovane dai capelli biancastri gli fece una
linguaccia e tirò fuori dall’obi la sua, vergata in leggeri hiragana: “Prometto
solennemente di non perdere più il sandalo alla prossima festa!” giurò il
guerriero sorridendo.
Sonore risate fecero eco alla sua promessa: “Guarda che ci conto,
eh??” lo schernì Nachi, dandogli un buffetto sulla
spalla.
Jabu sorrise piano, tenendo una mano dietro la schiena, le dita
sfioravano la superficie liscia del piccolo oggetto nascosto tra il kimono e la
cintura; ciò che aveva scritto era troppo imbarazzante per farlo vedere ai suoi
fratelli…
Lo avrebbero preso in giro in eterno.
Eppure, anche se quel loro comportamento lo faceva spesso, e
volentieri, arrabbiare, non avrebbe mai potuto pensare a una vita
diversa.
A una vita senza le loro battute stupide, senza il punzecchiarsi
continuo di Ichi e Nachi.
Senza le litigate quasi giornaliere con Seiya, i rimproveri di Ikki
e il sorriso di Saori-san.
“Sono simpatici, vero?”
La voce del vecchio bonzo fece trasalire il guerriero, che subito
scattò con la testa: “Sembrate molto giovani, eppure so per certo che tra voi
c’è qualcosa di veramente speciale. E vedo anche che tenete moltissimo l’uno
all’altro.” sorrise affabile l’anziano, standogli accanto, “Già, ma è una lunga
storia da spiegare la nostra… però, ha ragione, sono davvero simpatici.” sorrise
malinconico, guardando con dolcezza le figure che si allontanavano lungo il
sentiero delimitato dalle lanterne.
“Per tutte le stelle che dominano il firmamento, desidero avere
sempre loro accanto a me.”
Le parole del monaco scossero profondamente Jabu: “Ecco perché hai
scritto questo, vero, ragazzo?”.
Unicorn non rispose, tenne ostinatamente il capo chino, anche se
sulle sue guance si distingueva chiaramente un lampo di imbarazzo, “Sono parole
bellissime, e sono sicuro che anche per gli altri è così. Avete tutta la vita
davanti, e capirete presto quanto questo vostro legame può portarvi
lontano.”.
L’adolescente annuì, un tremulo sorriso gli illuminò il viso
leggermente imporporato e, sollevando leggermente l’orlo del kimono, troppo
lungo per lui, corse in direzione dei fratelli.
§§§§§§§§§
Le rive del fiume Ooi erano cosparse di tantissimi puntini luminosi
e sagome che si muovevano nel buio, la Luna si ergeva alta su di loro, oltre le
cime delle colline, inargentate dai suoi raggi, e colorava anche il fiume come
un nastro sottile di metallo che serpeggiava elegante verso il
mare.
Tutto era silenzio e pace.
Solo la musica dei flauti e dei koto si poteva udire, qualche
timido uccello notturno si azzardava di quando in quando a rompere quella
sacrale tranquillità.
Come un sol uomo, le persone assiepate sulla rive, si levarono i
sandali, disponendoli con cura sull’acciottolato della riva e per qualche passo,
si mossero nell’acqua fredda, le alghe solleticavano loro i piedi e le rocce
aguzze graffiavano leggermente la pelle, ma non importava; immersi sino alle
ginocchia, depositarono leggermente le foglie sul pelo
dell’acqua.
Come piccole barche, col loro carico di pensieri, sogni e speranze
per il futuro, scivolarono leggere verso sud, sospinte dal vento e dalla
corrente, inconsapevoli di recare con sé i desideri di tanti piccoli spiriti
mortali.
Unicorn restò imbambolato per qualche minuto a fissare anche
l’ultima foglia allontanarsi, seguire la via segnata dai raggi lunari, affidando
al destino il suo più recondito desiderio.
“Ehi, fratellino, esci fuori, vuoi per caso
ammalarti?”.
Questi non rispose, si limitò a scrollare il capo: “No, arrivo.”
disse il giovane, risalendo la china e issandosi sulla riva, “Abbiamo deciso di
fare un giro, tu cosa fai?” gli chiese Nachi, passandogli un piccolo canovaccio
per asciugarsi i piedi, “Se non vi spiace, io preferisco restare da solo per
qualche minuto… Vi raggiungo più tardi, d’accordo?” chiese il tredicenne,
sedendosi sulla riva.
I fratelli lo guardarono dubbiosi per qualche istante, poi
annuirono: “Non c’è problema, però cerca di non perderti.” decretò Ban,
scompigliandogli i capelli per poi allontanarsi con gli
altri.
Jabu sorrise malinconico, affossando il viso nell’incavo
dell’avambraccio, lo sguardo perso nell’osservare il fiume scorrere davanti ai
suoi occhi, dolcemente cullato dal suo canto, così simile a una ninnananna;
senza accorgersene, si ritrovò a fischiettare un motivetto allegro, lo stesso
che cantavano quel pomeriggio in una delle case sulla
via.
“Ehi, ti senti bene?”
La voce preoccupata di un ragazzo riscosse il Saint dal torpore in
cui stava scivolando inesorabilmente; con uno sbadiglio, scosse violentemente il
capo, facendo agitare la folta chioma: “Sto benissimo… Mi stavo addormentando..
Sono un po’ stanco…” si scusò, cercando di distinguere nella semioscurità il
viso del suo interlocutore, non poteva esserne sicuro, ma era quasi certo che
stesse sorridendo, “meno male, mi sono preoccupato vedendoti qui seduto tutto
solo durante una festa così bella, non hai nessuno con cui stare?” domandò lui,
accucciandosi dinanzi a lui, “Sono venuto qui con la mia famiglia, ma sono
andati a fare un giro, mentre io ho preferito stare qui a riflettere.” ammise
Jabu, stiracchiandosi.
“Perché non ti unisci a noi? Sono venuto in gita coi miei fratelli,
sono sicuro che gli farà piacere” propose il fanciullo, tendendogli una mano per
alzarsi; dubbioso, il guerriero la afferrò, la trovò sottile e liscia al tocco,
simile a quella di un bambino.
Lentamente, si spostarono verso la luce, e grande fu la sorpresa di
Jabu quando, alla luce della lanterna più vicina, scorse serici fili di rame
ondeggiare allo Zefiro, incornicianti un volto pallido e delicato dai lineamenti
familiari.
“SHUN!” esclamò il moro, stringendo la presa sulla mano del
brunetto coetaneo, “MA DOVE ERAVATE FINITI?!?” sbottò, segretamente sollevato
nel vedere i grandi occhi del fratello riempirsi di
lacrime.
“OTOOTO! COSA STAI FACENDO?”
La voce burbera di Ikki troncò sul nascere ogni risposta da parte
del fanciullo, che si gettò con trasporto al collo dell’Unicorno: “Jabu-chan!!
Finalmente vi abbiamo ritrovato!” gridò con gioia l’Andromeda, stringendolo
forte, “Dove sono gli altri?” chiese subito, mentre attorno a loro si radunava
qualcuno, “Sono andati a zonzo, ma sono tutti interi.” replicò il moro
sorridente.
Una mano robusta lo afferrò per il colletto del kimono, tirandolo
all’indietro: “Razza di idioti, avete idea di quanto ci avete fatto
preoccupare!” urlò Seiya, saltellando dinanzi a lui, “Ikki, lascialo andare, non
respira così!” affermò Shiryu, Jabu gli fu profondamente
grato.
Si lasciò cadere intontito a terra: “Grazie per l’accoglienza
Phoenix.” ringhiò, massaggiandosi il collo e guardando con astio il fratello
maggiore, che lo ignorò bellamente, “Affari tuoi, non sparivate a questo modo.”
replicò, sogghignando.
Hyoga lo aiutò a rialzarsi: “Saori-san dov’è?” domandò, scuotendosi
la polvere da dosso, “Sta parlando con i monaci, sarà contenta di sapere che vi
abbiamo ritrovato. Andiamo a recuperare gli altri, forza!” esultò Seiya, correndo in mezzo alla folla, “Aspetta
Seiya-chan!!” lo inseguì Shiryu, sparendo anche
lui.
I quattro rimasti sospirarono: “Andiamo anche noi prima di perderci
nuovamente.” ordinò lapidario Ikki, afferrando il polso di Shun e sparendo con
lui.
L’Unicorno guardò per un momento il fiume, in lontananza gli pareva
di scorgere ancora qualche foglia galleggiare sul pelo
dell’acqua.
“Per tutte le stelle che dominano il firmamento, desidero avere
sempre loro accanto a me.”
“Si, è proprio quello che desidero…”