Autrice: Claudia
Non c’è
niente che l’uomo sappia amare più di se stesso.
Non c’è
niente che l’uomo sappia temere quanto se stesso.
[Sull’amore ~ Hermann Hesse]
I
suoi passi risuonavano nel corridoio, ma lei a malapena li percepiva,
mascherati dai battiti assordanti del suo cuore.
Odiava
gli ospedali e quel giorno ancora di più che in passato.
L’odore
del disinfettante penetrava nelle sue narici, bruciandole.
Notò
la sua mano tremante, mentre con impeto apriva la porta con
su scritto “107”.
La
stanza era in penombra, le pensiline accostate.
I
suoi occhi scansionarono ogni centimetro della camera, fino a
quando incontrarono tre persone oltre a lei. Una donna, dall’aria stanca
e provata, la guardò richiudere la porta dietro di sè. L’uomo, che le stava
dando le spalle, non si curò della sua presenza e continuò a fissare davanti a
sé con ostinazione, mentre con una mano, teneva una bambina ben salda al suo
fianco.
Rimase
completamente immobile, in piedi, di fronte allo stipite della porta,
attendendo a un cenno che le permettesse di farsi
avanti. La giacca leggera che teneva davanti al grembo, nascondeva alla perfezione
l’agitazione delle sue mani. Tentò mentalmente di calmarsi e poco a poco,
riuscì a distinguere i flebili bip dell’elettrocardiogramma posto accanto al
letto.
La
bambina, che fino a quel momento guardava il letto troppo alto per lei, si
voltò in direzione della porta. Vide le sue labbra sottili sollevarsi in un
lieve sorriso mentre, con le proprie scarpette,
correva verso di lei.
“Caterina!”
Sentì
le piccole mani della bambina afferrare i lembi della gonna, con il volto sorridente
rivolto verso l’alto. Si inginocchiò, cercando di
limitare la differenza di altezza, e posò una mano sul capo della bambina. Era
da tre mesi che non la rivedeva. Sollevò lo sguardo: la donna, che fino a quel
momento, pur avendola vista, non le aveva rivolto la
parola, le fece un breve cenno col capo. L’uomo, sentita meno la presa sulla
bambina, si voltò, facendole in seguito segno di tornare da lui. La bambina,
ubbidiente, tornò dall’uomo, continuando a sorridere verso la sua direzione.
“Non
dovevi disturbarti a venire. Sappiamo che hai da poco preso a lavorare.”
Considerò
le parole della donna, ai piedi del letto, un chiaro invito a farsi avanti.
“Non
ha importanza.” Si limitò semplicemente a risponderle.
“Fratellone,” la bambina si aggrappò alle coperte del letto, con lo
sguardo innocente rivolto verso la persona che vi sdraiava sopra ,”Caterina è
venuta a trovarti!”
Le
parole della piccola non ricevettero risposta. Quando ebbe modo di essere più vicina, vide il giovane dai capelli scuri a cui
la bambina si era rivolta, senza successo. Gli occhi, che sapeva di un grigio
intenso, erano chiusi, mentre le braccia abbandonate lungo il corpo.
“Come è successo?” domandò, trattenendo a stento il groppo
alla gola.
“Tre
giorni fa,” prese a dire l’uomo ,”ha fatto un
incidente con la moto. Da allora non si è più svegliato.”
Guardò
l’uomo, e in un secondo momento, la fasciatura attorno alla testa del ragazzo.
La mascherina per la respirazione le impedì di vedere le labbra del ragazzo,
che immaginava comunque livide. Un esile ago legato a una sacca liquida era la sua unica fonte di alimento.
“Mentre lei è morta.”
Alzò
di scatto la testa, sorpresa per quelle parole. Intuendo all’istante chi fosse il soggetto di quella breve frase, abbassò lo sguardo.
Le dispiaceva. Si, perché chiunque si dispiace per la morte
di una persona. Si portò una mano al petto; in contrasto col dispiacere
provato, sentì un senso di profondo sollievo. Vergognandosi per quella
sensazione inopportuna, scosse la testa come per scacciare il pensiero.
Lentamente, la donna al suo fianco prese a
singhiozzare, cercando di trattenere le lacrime. L’uomo andò per consolarla, posandole un braccio
attorno alle spalle.
“Caterina,
potresti rimanere qui con Sara?” le domandò, conducendo la donna verso la porta
della camera. La ragazza si limitò a un breve cenno
del capo, mentre si avvicinava alla bambina, ancora a fianco del letto.
Appena
udì la porta richiudersi, accostò una sedia al letto ed invitò la bambina a
sederle in braccio. Sara, questo era il nome della piccola, si sollevò sulle
punte dei piedi, lasciando che Caterina la sollevasse da terra.
“Tu
come stai?” le domandò con tono dolce, spostando una ciocca di capelli dal
volto della piccola.
“Bene!”
le rispose, mentre muoveva i piccoli piedi con un ritmo cadenzato. Caterina
sorrise. Desiderava possedere l’ingenuità dei bambini di quattro anni, che
erano ancora del tutto ignari di ciò che accadeva
attorno a loro. Si domandò se solo immaginasse le condizioni in cui riversava
il fratello. Anche se piccoli, i bambini non erano
stupidi e percepivano benissimo lo stato d’animo delle persone attorno a loro,
pur a volte non capendolo.
Tornò
con lo sguardo al giovane nel letto, mentre la vicinanza con il corpo di Sara
andava lentamente creando un senso di torpore e di calore. Alla sua famiglia
aveva detto che il suo lavoro, rispetto a lui, aveva
poca importanza. In realtà, quella mattina aveva dovuto combattere con se
stessa per fargli visita. E anche in quel momento,
vedendolo inerme in un letto d’ospedale, non credeva che si meritasse davvero
la sua preoccupazione.
Non
dopo il suo tradimento.
E per
ironia di una sorte sempre troppo avversa, colei con cui l’aveva tradita, era
morta in quello stesso incidente. Naturalmente, non si erano lasciati in buoni
rapporti e lei era sempre fuggita dai suoi continui tentativi di spiegarsi. Non
esisteva spiegazione a un tradimento. Avevano entrambi
venticinque anni e tra alti e bassi si erano laureati con discreto successo. La
sua laurea in Biologia Molecolare le aveva fatto guadagnare un ottimo posto di
lavoro come ricercatrice in un istituto di CNR [1]; mentre
lui, grazie alla sua laurea in Ingegneria Edile, aveva trovato posto in una
ditta di cotruzioni in cui si stava lentamente facendo strada.
Un
mondo apparentemente perfetto il loro. Il suo e quello di Marco.
L’aveva conosciuto tramite alcuni amici che avevano in
comune, agli inizi dell’università; ma, inizialmente, non sembrava minimamente
interessata a lui; per certi versi, non lo sopportava. Amava essere al centro
dell’attenzione, aveva la battura fin troppo pronta e si atteggiava a
grande uomo, vantandosi delle proprie conquiste come se ogni donna fosse stata
un trofeo da esibire.
Lei,
invece, non era niente di tutto ciò. Amava i posti tranquilli e non faceva
niente per attirare su di sé l’interesse delle altre persone. Era abbastanza
timida e di primo acchito, non si slanciava molto nei rapporti interpersonali;
era un modo come un altro per difendere se stessa dalle altre persone, un
meccanismo che scattava ogni qualvolta che faceva nuove conoscenze.
E con
Marco, si era comportata allo stesso modo.
Le
loro linee di pensiero molto spesso affioravano in vere e proprie discussioni
che li isolavano completamente dal resto del loro gruppo. Non esisteva una sola
cosa sulla quale andassero d’accordo. Tutto ciò che
per lei era bianco, per lui era nero. Ogni sua parola era sempre in completo
disaccordo con quella del ragazzo. Inoltre, ognuno cercava costantemente di
imporre la propria opinione sull’altro, senza accettare alcun tipo di
compromesso pacificatore.
E alla
fine, con una conclusione che le parve anche in quel momento molto banale,
iniziarono a frequentarsi con un interesse ben lontano dalla semplice amicizia.
Ricordò di aver intrapreso quella sorta di relazione con una leggerezza
inaudita; conosceva fin troppo bene i risvolti amorosi
di Marco e, forse proprio per quella ragione, aveva deciso di non costruire
troppi castelli attorno alla loro storia. Invece, contro ogni loro previsione,
continuarono a stare insieme per quattro anni, mantenendo ben vivida la loro
relazione con ogni sorta di battibecco.
Un mondo perfetto, che iniziò a macchiarsi con
l’arrivo di quella donna.
Eleonora. Un nome tanto avvenente quanto la sua persona.
Dai pochi particolari di cui era venuta a conoscenza,
sapeva che era una donna parecchio più grande di loro, che lavorava nella
stessa ditta di Marco. L’aveva conosciuta di persona ancor prima che il
putiferio si scatennasse nelle loro vite, riconoscendole una certa simpatia ed un intelligenza sempre più rara. L’aveva giudicata come una
donna in carriera, capace di separare la propria vita privata dall’ambiente
lavorativo. E proprio a causa di questa sua capacità
fin troppo ben costruita, era rimasta per molto tempo all’oscuro della
relazione che la legava al suo ragazzo.
Non
era mai stata fondamentalmente gelosa. Ciò che pretendeva a gran voce era il
rispetto. Lo stesso rispetto che lei portava alla persona che
amava. Aveva sempre basato le sue relazioni sulla fiducia reciproca e
romperla, significava infrangere tutto ciò che lei aveva contribuito a
costruire. Era fin troppo indulgente, da quel punto di vista, ma non conosceva
mezzi termini. Non chiudeva gli occhi di fronte a dei
tradimenti, non perdonava. Amava la sincerità sopra ogni cosa e, benché
questa ferisse le persone il più delle volte, la preferiva alle verità taciute.
“Ho
fame!” La voce infantile di Sara la riscosse dai suoi pensieri.
“Se
vuoi, dovrei avere dei biscotti nella borsa.” Le
disse, puntando il dito verso l’oggetto di pelle. La bambina scese dalle sue
ginocchia in modo impacciato e andò a rovistare dentro alla
borsa di Caterina, estraendone con successo un piccolo sacchetto di
biscotti. Vedendo il sorriso compiaciuto della piccola, la donna sorrise,
tornando coi propri pensieri alla sua storia.
Il
suo amore finì con le note melodiche di Elisa [2], perché, quel giorno, fu
proprio lei a prendere una chiamata del tutto indesiderata. Solo quando iniziò a
suonare, si accorse che il cellulare di Marco era rimasto nella sua borsa dalla
sera precedente e, anche se sul display illuminato appariva il nome di Eleonora, l’idea di una relazione clandestina non l’aveva
minimamente sfiorata; trovava normale che i colleghi di lavoro si scambiassero
i numeri dei cellulari per essere in ogni momento reperibili. Non trovava
normale che si chiamassero a vicenda con l’appellativo di amore mio.
E da
quella chiamata si scatenarono una serie di eventi che
portarono alla rottura definitiva. Per almeno una settimana, Marco negò in modo
spudorato la relazione con Eleonora cercando di ricucire i legami che stava
lentamente perdendo con lei. Ma essendo proprio lei la
diretta testimone di quella relazione, non accettò alcun tipo di perdono. Uscì
dalla sua vita, esattamente come vi era entrata con l’aggiunta di ferite
sanguinanti al cuore. Abbandonare tutto ciò che aveva posseduto per ben quattro
anni, fu una decisione dolorosa e, nonostante le apparenze, molto sofferta…
perché, essendo la tradita e non la traditrice, il suo amore per Marco rimase
sempre lo stesso per mesi.
Poi,
come è risaputo da molti, il tempo guarisce le ferite,
se non completamente almeno in parte. Il suo lavoro, privo
ormai di un rivale, era diventato la sua unica, grande consolazione. I
rapporti che aveva instaurato con la famiglia del suo ragazzo
durarono ancora per qualche mese e poi, come del resto era inevitabile, gli
incontri andarono pian piano dissipandosi. Fino a quel giorno.
La
moto. Una passione che accettava, benché le riuscisse difficile da capire; ma
ogni tipo di passione, dalla più comune alla più strana, difficilmente viene compresa da chi la ignora. Un gioco
ironico quello del destino: ferirsi o addirittura morire a causa di ciò che si
ama dal profondo. Fortunatamente per lei, morire per mano di innocui francobolli era quanto mai impossibile.
I
suoi ricordi terminarono nel preciso istante in cui la porta, con un scatto metallico, si aprì, introducendo nella stanza il
padre e la madre di Marco. Quest’ultima, nonostante gli occhi rossi, sembrava
essersi calmata. Nonostante la loro fredda accoglienza, Caterina sapeva che
anche loro erano stati travolti dalla serie di eventi
in cui erano precipitati; non si aspettava sorrisi, né parole di conforto.
Il
conforto le era stato dato mesi prima. L’amavano come una figlia e la
separazione improvvisa da Marco, li aveva lasciati spiacevolmente afflitti. Lei
per prima, contro qualsiasi consuetudine del caso, aveva chiesto loro consiglio
e conforto. Cose che avevano saputo darle, nonostante il
pessimo comportamento del loro primogenito. Né il padre, né la madre approvavano la nuova relazione di Marco, benché quest’ultimo
fosse intenzionato a portarla fino in fondo. Dal canto suo, Caterina era felice
che il ragazzo non avesse avuto ripensamenti sulla loro relazione: ricostruire
una storia, partendo da delle fondamenta molto instabili, avrebbe arrecato solo
dolore ad entrambi. Se era davvero amore ciò che Marco
provava per Eleonora, non avrebbe avuto senso riconquistarlo.
Ciò
che veramente l’affliggeva, in realtà, era il suo… di amore.
Odiava il suo essere crocerossina anche in situazioni che la riguardavano
direttamente; aveva rinunciato al suo amore, alla sua
storia per far posto ad un’altra. Negli ultimi mesi, quando aveva preso a
ragionare nuovamente col cervello, si era data più volte della stupida, perché
con il suo comportamento, che continuava a reputare il più giusto, aveva
pensato al bene di tutti, tranne che al suo. Si era lasciata scivolare in un angolo,
cedendo il passo alle altre persone.
Ed in
quel momento?
Accanto
a quel letto, cosa voleva?
Era
troppo tardi pretendere indietro l’amore che le era stato strappato.
***
Osservò
la madre di Marco sistemare i fiori sul comodino del figlio. Erano inutili,
visto che la persona per cui erano stati acquistati
era incapace di vederli; però regalavano colore e profumo ad una stanza già
tristemente morta. Era ormai da tre giorni che veniva a fargli visita terminato
il lavoro… il motivo esatto per cui lo faceva, non lo
sapeva. Dubitava che si trattasse di amore… o per lo
meno l’amore di un tempo e, scandagliando nella sua coscienza, era certa che
non si trattasse nemmeno di sensi di colpa. Semplicemente non aveva un motivo.
“Cara,
sarai stanca… se vuoi, puoi tornare a casa. In fondo,
restare qui serve a poco.”
“Non
si preoccupi. Ad essere sincera non capisco perché mi ostini a venire… forse
perché Marco è stato importante per me. Però, da una
parte, non merita affatto quest’affetto. Mi sa che sono solo stupida.” Disse
Caterina, afferrandosi la fronte con una mano. La madre si sedette a fianco
della ragazza.
“Ogni
giorno cambio i fiori nel vaso,” disse chiudendo gli
occhi ,”anche se so benissimo che non servono a niente e non hanno alcun tipo
di utilità. Ma quando li vedo penso che a Marco
potrebbero piacere e allora li ho in mano ancor prima di riflettere.
Esattamente come i fiori, noi serviamo a poco. Possiamo parlargli, tenergli la mano… ma il nostro volere in questi casi ha un limite. Ma sono certa che esserci è la cosa più importante, a
prescindere dai sentimenti che ciascuno di noi nutre. Quindi,
quando vorrai tornare, non star troppo a pensare al perché. Va bene?”
Caterina
annuì, in parte rincuorata dalle parole della donna.
Dal
primo giorno che aveva messo piede in quella stanza,
temeva che il suo unico intento fosse quello di riavvicinarsi a una persona che
si era volutamente allontanata da lei; temeva che la morte di Eleonora l’avesse
in qualche modo sollevata. Seppur lo pensasse, non
riusciva a comprendere a fondo i suoi stessi pensieri… aveva paura a scoprirsi
una persona tanto meschina.
E quelli,
furono i pensieri che si trascinò dietro per ben sette mesi, prima che lui si
risvegliasse. Una mattina di aprile, mentre tutta la
nazione era in festa, si era recata come sua consuetudine all’ospedale; si
limitava sempre a molto poco: gli parlava, arrivando a sentirsi molto sciocca,
areava la stanza lasciando che i raggi primaverili vi penetrassero con il loro
calore. Fatto strano, non l’aveva mai toccato: non gli aveva mai stretto la
mano, come invece la madre era solita fare più volte. Era chiaro perfino a lei,
che cercava in tutti i modi di evitare qualsiasi forma di contatto.
Invece,
quel giorno, aveva deciso di stringerla nella sua… forse per vincere quel senso
di paura che provava nel ricordare come lui era solito stringerla e toccarla. E Dio aveva ricompensato il suo coraggio con due occhi grigi
ed intensi che, nonostante il loro aspetto opaco, la stavano fissando.
“Grazie
a Dio.”
Quelle
furono le uniche parole che la madre di Marco andò ripetendo durante tutto
l’arco del giorno. Lei partecipava alla loro gioia in silenzio, in un angolo
della stanza. Benché quell’ospedale fosse stato la sua
seconda casa per molti mesi, si sentì come un’estranea. Aveva avuto la
nauseante sensazione che quegli occhi, al loro risveglio, non volessero lei,
non cercassero lei.
Ascoltò
i discorsi dei medici, pienamente soddisfatti dei risultati. La prognosi
rimaneva tuttavia riservata, perché un giorno non era sufficiente per stabilire
le condizioni in cui riversava Marco. Avrebbero atteso almeno un giorno; in
quel modo avrebbero stabilito con certezza gli eventuali danni inflitti al
cervello durante il periodo di coma profondo. Per questa ragione, la gioia per
il risveglio del figlio, lasciò il passo a una nuova,
crescente disperazione: Marco avrebbe potuto perdere l’uso della parola,
rimanere infermo per il resto della sua vita e, nel peggiore dei casi, condurre
una vita da vegetale, collegato ventiquattr’ore su ventiquattro a delle
macchine, necessarie per tenerlo in vita.
Dal
giorno del suo risveglio, Marco si limitò a tenere gli occhi aperti. Non parlò,
in parte impedito dalla mascherina di ossigeno e gli
unici arti che mosse furono le dita delle mani, e nemmeno di frequente perché
quel lieve movimento sembrava costituire uno sforzo sostanzioso. Lei aveva
fatto di tutto per non trovarsi da sola con lui. Anche se non poteva parlare,
il pensiero di essere indesiderata la tormentava di
continuo; per quanto le fu possibile, non si avvicinò nemmeno alla sponda del
letto, tentò di mantenere una certa distanza.
***
Le
lacrime della madre e il volto scuro del padre non furono esattamente le cose
che Caterina si aspettava di vedere quel giorno. L’ipotesi che fosse morto fu subito all’apice dei suoi pensieri, mentre
con sguardo esitante attendeva una spiegazione da uno dei due coniugi.
“Ha
perso la memoria, Caterina. Non si ricorda più di noi.”
Le disse la madre, tra i singhiozzi strozzati. Vedendo l’impossibilità della donna
a parlare, il padre si scusò e si allontanò nel corridoio, anch’egli con gli
occhi gonfi ed ormai privi di lacrime. Ancor prima che
potesse pensare a ciò che le era stato detto, vide un
medico avvicinarsi a lei.
“Lei
è una conoscente?” domandò l’uomo in camice bianco.
“Un’amica.”
Tenne a specificare Caterina.
“Pare
che il paziente,” prese a dire il medico schiudendo un
poco la porta della stanza, in modo che la ragazza potesse scorgervi il letto
,”abbia perso la memoria. Fisicamente sta bene, tra qualche
mese, con una dovuta riabilitazione, potrà tornare di nuovo a camminare.
E’ già un miracolo trovarlo in queste condizioni dopo un incidente come il suo.
Questo nella migliore delle ipotesi.”
“E nella peggiore?” domandò Caterina esitante.
“Nella
peggiore,” prese a dire il medico ,” non accadrà
niente di tutto questo. La perdita di memoria potrebbe essere un fattore
momentaneo come permanente; se il paziente non avrà la forza di andare avanti,
non otterrà alcun giovamento. Potrebbe anche ostinarsi a non collaborare con i
fisioterapisti.”
“Capisco,
quindi non c’è niente che noi possiamo fare…”
“L’unico
modo è sollecitarlo ed incitarlo costantemente. Ma, come uomo e non come
medico, sarò franco con lei… visto il suo carattere la vedo molto difficile.”
“Carattere?”
disse Caterina sorpresa.
Una
voce all’altoparlante nominò il nome del medico con cui Caterina stava parlando
e l’uomo, congedatosi con una stretta di mano, sparì nei corridoi
dell’ospedale. Senza aver ottenuto risposta alla sua perplessità, Caterina
entrò nella stanza e la trovò più buia del normale. Vide Marco semi-seduto, con
le spalle affondate nel cuscino del letto e lo sguardo rivolto nella direzione
opposta. Aveva pensato più volte a come comportarsi in quella circostanza… addirittura,
aveva pensato di non presentarsi affatto… ma questo
solo se Marco conservava la minima parte dei suoi ricordi.
Il
ragazzo, probabilmente, sentì la sua presenza e si voltò a guardarla. Non
sapendo come comportarsi con una persona che non ricordava niente di nessuno,
Caterina arrossì leggermente sentendosi, con il passare dei secondi, sempre più
a disagio.
“Come
stai?” gli domandò riluttante, dandosi della sciocca appena un secondo dopo.
Marco continuò a guardarla e, senza rispondere, si voltò nella direzione
opposta. Contrariata per quell’atteggiamento di indifferenza,
Caterina prese una sedia e l’accostò ai bordi del letto. Si sedette,
appoggiando la borsa sul pavimento.
“Non ricordo affatto di conoscerti. Se sei qui per strillare
e per piangere, torna pure da dove sei venuta.”
Caterina
rimase in silenzio, mantenendo le mani ben intrecciate tra loro. Immaginò che
la madre si fosse comportata esattamente come il ragazzo le aveva
avvertito di non comportarsi. In quel momento comprese anche l’allusione
del medico riguardo al suo carattere.
“Vorrà
dire che se non ti và, non strillerò e non piangerò.”
Anche se Caterina aveva una voglia matta di urlare e
di piangere. Più
o meno per ragioni diverse. Per tutta risposta, Marco sbuffò, senza
degnarsi di risponderle.
“Sono
stupita, la tua loquacità mi sorprende.” Disse con
tono ironico, tentando di stuzzicare l’indifferenza del ragazzo. Sapeva che si
stava lentamente addentrando in un campo minato.
“Vattene via, mi stai irritando.”
Caterina
sospirò, rassegnata. Si alzò, raggiungendo una poltrona in fondo alla stanza e,
sedendovi sopra, prese a sfogliare un giornale con poco interesse. Di tanto in
tanto, sollevò gli occhi in modo discreto, per vedere cosa
stesse facendo il ragazzo.
“Dicono che il tuo carattere sia cambiato,” disse lei,
voltando una pagina ,”ma a me sembra perfettamente identico a prima.”
Quella
frase sembrò destare un minimo di interesse. Notando
che quella poteva essere la strada giusta da intraprendere, continuò a parlare,
senza tuttavia guardarlo negli occhi.
“Ma naturalmente a te non interessa sapere niente. Quindi… come non detto.”
Detto
ciò, sollevò lo sguardo, appena in tempo per notare un moto di delusione
attraverso i suoi occhi. Si alzò nuovamente e tornò a sedersi sulla sedia
accanto al letto di Marco.
“Perché a te non interessa, vero?”
Marco
rimase in silenzio.
“Ti
hanno per lo meno detto come ti chiami?”
“Marco.
O per lo meno questo è il nome con cui mi ha chiamato quella donna.”
“Quella
donna sarebbe tua madre.”
“Così
pare.”
Caterina
osservò la bendatura che ancora avvolgeva la fronte del ragazzo. Notò come
alcuni ciuffi ribelli contrastassero con il biancore
delle bende.
“So
che è una domanda che ti avranno già fatto, ma proprio non ricordi niente?”
“Brava,
me l’hanno già fatta.”
E
con ciò voleva dire che aveva risposto con un no.
Caterina
guardò l’orologio che teneva al polso e fece il gesto per alzarsi. Diversamente
dalle sue aspettative, Marco si voltò di scatto a
guardarla.
“Dove vai?” più che una domanda, a Caterina parve
un’affermazione.
“Tra
poco chiude il passo,” gli rispose ,”ed io ho una vita
privata da mandare avanti.”
Tutto
l’interesse dimostrato da Marco sfumò in pochi secondi. Da quando era entrata
non gli aveva detto chi fosse e le ragioni per cui lo
conosceva. Si era guardata bene dal rivelargliele. Ma
in quel momento fu mossa a compassione; benché Marco si dimostrasse ostinato,
non ricordare niente di sé e degli altri, doveva essere traumatizzante e
spaventoso. Risvegliarsi in un mondo dove tutti ti conoscono e tu non conosci
nessuno…un mondo che nel tuo sonno senza sogni non sapevi
nemmeno che esistesse.
Si
sedette di nuovo.
“Il
passo può aspettare.”
“Non
ti ho chiesto di rimanere.” Disse acido lui.
“Che strano, all’idea non sembrava.”
Caterina
si complimentò da sola per la capacità con cui riusciva a tenergli testa.
Quattro anni di vita insieme erano alla fine serviti a
qualcosa.
“Chi
sei?” la domanda che tanto aveva atteso, giunse alla fine senza sorprendere
Caterina più di tanto.
“Chi
sono? Non sarebbe meglio che ti dicessi chi invece sei
tu?”
Il
ragazzo non rispose e Caterina interpretò il suo silenzio come un chiaro segno
a continuare a parlare.
“Marco
Orsini. Hai venticinque anni e, per quel che ne so io, lavori in una ditta di costruzioni
come Ingegnere Edile. Hai una grande
passione per le moto, ma a quando pare hai avuto un incidente che ti ha portato
in coma per più di sette mesi.”
“Sono
un ingegnere… dove mi sono laureato?”
“A
Pisa.”
“E per quanto tempo ho lavorato?”
“Per
più di un anno… credo.”
“Non
sembri convinta.”
“Non
posso sapere tutto.”
Dopo
qualche minuto trascorso in silenzio, Marco ripeté di nuovo la domanda.
“E tu saresti?”
“Considerando
come sono andate le cose… la tua ex fidanzata.”
Marco
sgranò gli occhi. La prima espressione diversa che
Caterina gli aveva visto fare.
“La…
la mia cosa?”
“Ex
fidanzata.” Gli disse Caterina con maggior convinzione.
Vide
Marco afferrarsi il volto con una mano.
“Per
oggi è meglio smettere.” Disse Caterina alzandosi in piedi.
“Aspetta!”
Il
tono di voce del ragazzo la bloccò all’istante.
“Come
ti chiami?”
“…
Caterina.”
“Caterina.”
Ripeté il suo nome come per imprimerlo nella sua
memoria.
“Dimmi… ti amavo?”
Caterina
sorpresa, si lasciò sfuggire una piccola risata.
“Presuppongo
di sì… per lo meno prima che ci lasciassimo.”
“E adesso?”
Caterina
serrò le labbra come in una smorfia.
“N-non
credo.” In fondo, lo pensava veramente.
“Perché ci siamo lasciati?”
“Non
credo che sia il momento giusto per parlartene.” Disse
Caterina, cercando una via di fuga a quel pressante interrogatorio.
“Per
lo meno dimmi se c’è una persona a cui voglio bene ora!”
Lo
sguardo della ragazza si fece cupo. Comprendeva la situazione in cui riversava Marco, ma quella conversazione stava andando per le lunghe e
la stava ferendo più di quanto avesse immaginato. Non era giusto che fosse
proprio lei a decantare il suo amore per Eleonora. O peggio, non era giusto che
fosse proprio lei a dirgli che era morta.
“Non
puoi pretendere che io risponda a queste domande.”
Disse, cercando di nascondere il tono ferito della voce. Marco l’osservò con
attenzione, forse comprendendo il limite che voleva oltrepassare.
“Adesso
devo andare. Domani tornerò a farti visita.”
E
dopo quelle parole, se ne andò veramente.
***
Quando
aprì gli occhi, si sentì sollevato. I medici, seppur in modo confuso, gli
avevano spiegato a grandi linee ciò che gli era successo e le sue condizioni
fisiche e mentali. Per questo, sapendo, aveva avuto il terrore di non poter più
aprire gli occhi, di non aver più la capacità di pensare. Come per la mattina
precedente, un’infermiera venne per assisterlo e dopo tre giorni dal suo
risveglio, ebbe la possibilità di sedersi sulla poltrona della stanza,
abbandonando, almeno per mezza giornata, il letto che tanto odiava. Come era diventata ormai consuetudine, riceveva
quotidianamente la visita di coloro che si erano definiti i suoi genitori;
nonostante parlassero spesso di lui e della vita che conduceva prima
dell’incidente, notò che non pronunciavano mai il nome di Caterina e tutte le
volte che entrava nell’argomento, cambiavano discorso come per volergli
nascondere qualcosa.
“Mamma?”
alla fine aveva deciso di assecondare la donna, chiamandola nel modo che le
spettava per natura. La madre sentendosi chiamata dal figlio, si voltò,
distogliendo il proprio sguardo dal vaso di fiori.
“Quella
ragazza… Caterina… in questi giorni non l’ho vista.”
“Oh,
Caterina…” disse la donna, sentendosi con le spalle al muro ,”…
probabilmente il lavoro la impegna molto. In questi mesi veniva a farti visita quasi tutti i giorni, pur avendo orari poco
flessibili. Ci ha aiutato molto quando io e tuo padre non potevamo
assisterti.”
“Mi
ha detto,” prese a dire Marco osservando la madre
,”che una volta eravamo fidanzati.”
La
donna, sorpresa per quelle parole, urtò un bicchiere sul comodino del figlio,
frantumandolo in mille pezzi. Con aria mortificata, la madre del ragazzo si
chinò per raccogliere come meglio poteva i pezzi di vetro più evidenti; non
conosceva sua madre, o per meglio dire, non la ricordava. Ma
era chiaro perfino a lui che la donna aveva reagito troppo bruscamente alle sue
parole.
“Che lavoro fa?” disse, fingendosi interessato.
La
madre, una volta alzatasi, gli sorrise “E’ una
biologa. Pare che ultimamente abbia trovato lavoro in un Centro Nazionale di
Ricerca.”
“Sai
il motivo per cui ci siamo lasciati?” Notando il
silenzio persistente aggiunse “Ho provato a chiederlo direttamente a lei, ma
non mi ha voluto rispondere. Pretendete che mi torni la memoria, ma non fate
niente per aiutarmi a ricordare.”
“Non
è mai facile ritornare su certe questioni.” Gli disse
la madre, sedendosi di fianco alla sua poltrona.
“Invece
io voglio tornaci! Maledizione, io VOGLIO ricordare!” Il tono alterato del
figlio, portò la donna a fare un’ampio respiro.
“Vi
siete conosciuti durante i primi anni di università…
non so molto bene i particolari, ma posso dirti che siete stati fidanzati per
ben quattro anni. Dopodiché vi siete lasciati a causa
di un’altra donna.” Tagliò corto la madre.
“Un’altra
donna?” Marco osservò la madre poco propensa a parlare.
“Si,
proprio come te lavorava nella tua stessa ditta di
costruzioni. Caterina ha scoperto la vostra relazione accidentalmente… e dopo,
quando ti ha lasciato, hai iniziato a frequentare questa donna regolarmente.” Marco notò una punta di amarezza
nella voce della madre.
“Se, come dici, è davvero la donna che amavo, per quale
motivo non l’ho ancora vista?” domandò il ragazzo. La madre assunse
un’espressione grave e di questo Marco se ne accorse.
“Perché è morta.”
A
quelle parole, seguì un silenzio di molti minuti. Marco si lasciò andare sullo
schienale della poltrona, fissando con ostinazione la madre di fianco a lui.
Sentì il cuore colmo di sorpresa. Non riusciva a provare tristezza perché non
ricordava niente della donna in questione; la donna che amava era un emerita sconosciuta, come il resto delle persone che lo
circondavano. Sentì una fitta di dolore alla testa, mentre a stento domandava
il nome della donna alla madre di fianco a lui.
“Eleonora.
Purtroppo non so dirti altro… non l’ho mai conosciuta
di persona. Io e tuo padre non abbiamo mai approvato questa tua relazione.”
“Quando è morta? Prima o dopo il mio incidente?” domandò,
ignorando la durezza nelle parole della madre. La donna l’osservò attentamente
prima di rispondergli. Sembrava indecisa se parlare o meno.
Gli psicologi che avevano preso in cura il figlio
avevano raccomandato a lei e al marito di non svelare fatti od eventi troppo
dolorosi… un eccesso di brutti ricordi avrebbe potuto risvegliare troppo
violentemente una memoria già fin troppo latente.
“Non
so se sia il caso di dirtelo.” Osservò la madre.
“Se
non lo farai tu, costringerò quella ragazza a dirmelo.”
Le rispose, con un tono indifferente della voce. La madre gli rivolse uno sguardo
di disapprovazione mentre incurvava gli angoli della
bocca verso il basso.
“E’
morta durante l’incidente… viaggiava insieme a te,
quando la moto ha sbandato fuori strada.” La verità pronunciata dalla madre lo
pugnalò diritto al cuore; la sua schiena fu percorsa da un brivido che
scomparve non appena raggiunse la base del collo. Una sensazione di nausea lo
invase, mentre con ostinazione cercava dentro di sé una traccia di colpa. Un misero senso di colpa che avrebbe contribuito a far rinascere la
sua memoria; ma per quanto si sforzasse, provava solo indifferenza. La
stessa indifferenza che si prova quando si spengono
persone a noi del tutto sconosciute.
***
Non
lo sapeva con certezza, ma aveva avuto la sensazione che lei, fin da quando era entrata nella stanza, avesse in tutti i modi
cercato di evitare il suo sguardo. E anche in quel
momento, mentre era intenta a sistemare dei fiori nel vaso, non aveva mai
voltato il capo verso la direzione del letto. Memore delle parole della madre,
Marco si vergognò di provare indifferenza nei confronti di ciò che era
successo, come si vergognava, allo stesso modo, di ciò che aveva fatto:
innamorarsi di una donna, condividendo il letto con un'altra (perché questo era
ciò che lui immaginava).
“Tu
e mia madre non fate altro che riempire questa stanza
di fiori, adesso anche finti.”
Disse,
tentando di smorzare la situazione.
“Questi
fiori non sono finti, ma di carta… il che è diverso.”
Precisò Caterina.
“Di
plastica, di carta che differenza vuoi che faccia?
Rimangono comunque dei fiori fittizzi.”
“Fittizzi
o no, sono belli. Peccato che negli anni anche loro si deteriorano.” Disse Caterina, osservando sconsolata i fiori cartacei.
“Quindi, oltretutto sono anche inutili.” Disse Marco,
sbuffando.
Caterina
sospirò: anche se i fiori di carta non profumavano e non erano capaci di
riempire l’occhio con il loro splendore, si deterioravano esattamente come i
fiori veri e propri. Quella mattina, dopo averli comprati, aveva formulato una
strana analogia tra essi e il suo amore per Marco. A lungo andare i fiori bianchi si sarebbero ingialliti
esattamente come i suoi sentimenti. Infine si sarebbero sgretolati esattamente
come la loro storia.
“Come
stai oggi?” Domandò la ragazza, scacciando via i suoi pensieri.
“Mi
fa male la testa.” Disse Marco con tono coinciso e un po’ brusco. Benché
celasse non curanza, aveva cercato tutta la notte di ricordare la sua vita
precedente, la sua vita prima dell’incidente senza però ottenere dei risultati…
come se, a un tratto, il suo pensiero si bloccasse di
fronte a un ostacolo, del tutto incapace di attraversarlo.
La
vide rimanere in silenzio, mentre avvicinava una sedia vicino alla sponda del
letto. Prima di quel giorno, non aveva avuto modo di guardarla… guardarla veramente. Mentre si chinava per prendere posto, due ciuffi di capelli castani le scivolarono
davanti alle spalle, ricoprendo quell’unica porzione di pelle nuda che si
intravedeva attorno al collo. Era vestita con abiti sobri, che allo stesso
tempo conferivano un aspetto elegante e distinto; non era truccata e non aveva
gioielli, eccezion fatta che per un paio di pendenti. Era carina e, seppur
non bellissima, molto attraente. Probabilmente, come ragionò Marco in quel
momento, era quel genere di ragazza che non metteva in
prima linea il proprio corpo, ma preferiva coltivare la sua intelligenza.
“Hai
detto di chiamarti Caterina, vero?”
“Si, l’ho detto.”
“Mia
madre mi ha raccontato pressochè tutto,” disse, senza
rigiri di parole. Notò le guance della ragazza diventare di un rosato molto
acceso.
“Oh,
bene.” Reagì Caterina, con un’espressione sorpresa.
“Non
mi domandi cosa ne penso?” le domandò Marco, senza
guardarla negli occhi.
Dopo
un breve attimo di pausa, Caterina accennò a un lieve
sorriso “No. Semplicemente perché credo di sapere ciò a cui pensi.”
“E sarebbe, signora Indovina?”
Caterina
lo fissò; aveva assunto l’espressione di chi cercava, in tutti i modi, di
trovare le parole più appropriate da dire.
“Se,
come dici, non ricordi niente… dubito che tu possa
capire qualcosa di ciò che è avvenuto in passato… non puoi pensare niente visto
che non rammenti i sentimenti che ti legavano a me ed a Eleonora.”
Caterina
si sorprese della facilità con la quale aveva pronunciato quel nome.
“Eleonora…”
La
voce pacata di Marco che pronunciava un nome per lei
tanto peccaminoso, smosse un poco la gelosia sopita nell’animo di Caterina.
“Ho
parlato con il dottore che ti ha in cura. Tra qualche giorno potrai iniziare la
riabilitazione. E’ una buona cosa.” Disse Caterina,
cercando di distogliere l’attenzione del ragazzo sulla conversazione
precedente.
“Tsk,
quello è solo bravo con le parole. Le mie condizioni fisiche sono pessime.”
“Invece
il cervello mi sembra fin troppo funzionante.” Disse
lei, serafica.
“Se la cosa ti dispiace, puoi fare anche a meno di venire.
Nessun ti obbliga.”
Caterina
rimase per qualche secondo in silenzio e poi, alzatasi dalla sedia, raggiunse i
piedi del letto. Marco, semi-sdraiato, l’osservò con aria interrogativa fino a quando la ragazza prese a fissare la parte della coperta
che ricopriva i suoi arti inferiori. Caterina, con leggerezza, premette le dita
attorno alle caviglie del ragazzo.
“Non
senti niente?” domandò.
Marco, pur concentrando la sua attenzione sul punto di
contatto, scosse la testa in segno di diniego. La mano di Caterina risalì lungo la gamba, toccando
il ginocchio ed infine il femore del ragazzo. Quando
sollevò lo sguardo, notò un’espressione di disagio dipinta negli occhi grigi di
Marco.
“Qualcosa
non va?”
“Ci
stai mettendo… troppa confidenza.” Le rispose Marco, abbassando lo sguardò
verso la mano di lei. Caterina sorrise, per niente
imbarazzata.
“Siamo
stati fidanzati per quattro anni… credimi, questa non è certo
l’unica parte del tuo corpo che ho toccato.” Concluse, imprimendo una buona
dose di malizia nelle sue parole. Per tutta risposta, Marco emise un suono
molto simile a un grugnito e, benché tentasse di
ostentare un’aria indifferente, le sue guance lo tradivano accennando a un
lieve rossore.
“Anche
se il dottore è un ciarlatano,” prese a dire Caterina,
ricollegandosi al discorso precedente ,” la riabilitazione potrebbe farti
acquistare di nuovo l’uso delle gambe.”
“E a cosa servono le gambe se non posso avere indietro la mia
memoria?”
“Tornare
a camminare è un desiderio che molte persone vorrebbero veder realizzato.
Potrebbe essere un passo in avanti.”
“Non
hai idea,” disse Marco, stringendo i pugni attorno
alle lenzuola .”di quello che si prova la mattina quando ci si risveglia; non
sapere chi sei, non ricordare niente e nessuno. Non puoi sapere cosa significhi
avere un muro che ti impredisce di guardare il mondo
al suo esterno! Non riesco nemmeno a ricordare i volti delle persone che ho
amato e che ho odiato!”
Caterina
notò che Marco aveva preso a respirare in modo affannosso.
“E’
vero. Non possiamo capirti, ma possiamo aiutarti! Dopo
un incidente del genere è un miracolo solo il fatto che tu sia vivo; ti sei
risvegliato senza subire danni alla parola e al pensiero, non puoi camminare,
ma hai la possibilità di tornare a reggerti sulle tue gambe con una
riabilitazione intensiva! La perdita di memoria può essere momentanea, come può
andare avanti per anni, ma, accidenti, sei VIVO!”
disse Caterina tutto d’un fiato.
“Quando
ti portarono qui,” prese a dire, tornando a sedersi
,”non volevo venire. Credevo che dopo tutto quello che
era successo tra noi, non meritassi né la mia compassione, né la benché minima
attenzione. In un certo senso, pensavo egoisticamente che non eri più affar mio. Ero arrabbiata con me stessa perché non
avevo fatto niente per farti tornare da me ed ero
arrabbiata con te per il modo in cui mi avevi trattato, per come avevi dato
scarsa importanza ai miei sentimenti. Ti ho odiato. E in parte mi sei tutt’ora insopportabile. E proprio per questo,” disse sollevando il capo sorridente ,”non lascerò che tu
scelga la via più semplice dell’abbandono, dovrai sgobbare fino all’ultimo per
tornare ad essere ciò che eri.”
“E
se un giorno dovessi recuperare la memoria, cosa faresti?” domandò Marco, senza
accennare a un minimo di emozione.
“Quando
arriverà quel giorno, ci penserò.” Disse semplicemente
Caterina.
“Sei
davvero stupida.” Disse Marco, scuotendo il capo. “Solo una stupida tornerebbe
da chi l’ha tradita.” Caterina sorrise mestamente.
“Ma io
non sto tornando dal Marco borioso e allegro che mi ha tradito… sto solo
cercando di aiutare una persona scorbutica che vuole dettar legge su ogni cosa.”
***
Con
sguardo neutro, sfogliava le pagine di un album di famiglia. Quella stessa
mattina, sotto sua esplicita richiesta, sua madre
aveva tolto dalla polvere degli scatoloni le fotografie che avevano ritratto la
loro vita in più di una pellicola sensibile. Osservava ciascuna foto per molti
minuti, chiedendo spesso alla madre di raccontargli ciò che aveva preceduto lo
scatto. E la donna, felice per l’innaspettato interessamento, gli forniva con doverosa pazienza tutte le risposte alle due domande.
“Questo
è il giorno in cui tu e Caterina vi siete laureati,
stavate sempre insieme.”
“E questo chi è?” domandò Marco, puntando il dito indice
contro l’immagine di un uomo sorridente.
“Massimiliano.
Un tuo amico fin dai tempi delle medie. Adesso lavora
negli Stati Uniti.”
Marco
chiuse di scatto l’album, suscitando sorpresa nella madre. Con delicatezza lo
ripose sul piccolo comodino che affiancava il letto.
“Sono
stanco. Voglio dormire.” Disse. Un chiaro invito alla madre
di lasciarlo da solo.
“Ma è ancora presto prima della chiusura del passo. Sei
sicuro che non ti serve niente?”
Marco
non le rispose, semplicemente si limitò ad abbassare
la sponda automatica del letto. La donna, un poco contrariata
per quel comportamento poco rispettoso, prese le proprie cose e abbandonò la
stanza del figlio. Appena fuori, vide Caterina
camminare verso di lei.
“Buongiorno.”
Disse Caterina ossequiosa.
“Ciao, cara. Sei venuta a trovarlo
anche oggi? Ti rovinerai la vita, credimi.”
“E’
forse successo qualcosa?”
“Oh,
diciamo che Marco è di nuovo scorbutico. Fossi in te non entrerei. Mi ha liquidato dicendo
che vuole dormire.”
Detto
ciò, la donna si allontanò, dopo aver salutato la ragazza.
Caterina
rimase in piedi, osservando le spalle della donna mentre
si incamminava verso l’uscita. Il suo sguardo si spostò, successivamente,
sulla porta della stanza in cui era ricoverato Marco; memore delle parole della
madre, Caterina si affacciò con cautela, volgendo lo sguardo al letto.
Marco
si voltò, avvertendo la presenza della ragazza.
“Mi
è stato riferito che oggi sei più scorbutico del solito.”
Disse Caterina.
“Dipende
da cosa si intende per scorbutico.”
La
classica frase evasiva, pensò Caterina.
“Voglio
evitare di dispiegare al vento le mie doti intellettive, quindi, mi domando se
posso entrare.”
“Sono
stanco e ho sonno.” Fu la risposta di Marco.
“Ok,
allora entro.” Disse Caterina, entrando. Marco
l’osservò con sguardo sorpreso e contrariato. A differenza della madre,
Caterina non sembrava rimaner più di tanto offesa dal
suo comportamento. E forse era proprio quel suo
aspetto, che lo interessava.
Appena
seduta, Caterina estrasse dalla propria borsa qualcosa di molto simile alla
carta.
“Ieri
mi sono permessa di entrare nel tuo appartamento.”
“Appertamento?
Non sapevo di averne uno.” Disse Marco, fissando la ragazza.
“Si,
vivevi da solo.”
“Oh,
e come hai fatto ad entrare?” domandò il ragazzo, sollevando un sopracciglio.
“Semplice.
Quando stavamo insieme abbiamo condiviso lo stesso spazio e a me è rimasta una
copia delle chiavi.”
“Ah.”
Marco
tornò ad osservare le mani della ragazza che stringevano delle foto.
“Se
sei venuta per ravvivare la mia memoria, oggi non è giornata.”
Osservò acido.
“Ho
pensato a ciò che mi hai detto…quindi ho deciso di
dare un volto alle persone di cui ti parliamo. Come conseguenza alle tue
parole, ho portato queste.”
Caterina
gli mise tra le mani una prima foto.
“In
questa foto eravamo a Praga durante il periodo primaverile. Il ragazzo con te
nella foto si chiama Andrea. Ecco, tu l’hai sempre odiato.”
“Odiato?
Ma se abbiamo l’aria di divertirci?”
“Oh,
certo… ma non hai la più pallida idea di quanto c’hai messo
per fare la foto. Sei sempre stato molto bravo a mascherare i tuoi sentimenti
ed in un certo senso l’hai fatto anche con me.”
Prima
che potesse replicare, Caterina gli porse una seconda
foto.
“Qui
siamo io e te in un locale che eravamo soliti frequentare.
Ti ho portato questa foto perché mi è sembrato molto strano trovarla nel tuo
appartamento.”
“E che vuoi che ne sappia io?”
“Di solito finita una relazione le foto si gettano via o per
lo meno si nascondono.”
“Mi
sarà sfuggita.”
“No,
perché ne ho trovate delle altre… comunque, andiamo
avanti.”
Terza
foto. Stavolta data con maggior esitazione.
“Chi
è?” domandò Marco, osservando una donna mora dai lunghi capelli riccioli.
“Eleonora.”
Disse asettica Caterina.
Il
ragazzo ebbe come un sussulto. Al suo fianco, stava seduta colei che si era
identificata come la sua ex-ragazza, mentre, in una mano, stringeva l’ultima
persona che, come gli era stato detto, aveva amato.
“Ho
pensato che era giusto che tu la vedessi. Nasconderti
la sua identità sarebbe stato un gesto egoistico. Al suo posto mi sarei
risentita.”
Con
un gesto che la sorprese, Marco lasciò andare la foto che, ondeggiando con
leggerezza, cadde a terra.
“E’
inutile. Non ricordo niente e nessuno.”
Però, nel
non ricordare niente, era certo di una cosa: il tremendo senso di disagio che
stava provando in quel momento. Caterina si chinò per raccogliere la foto,
riponendola, un secondo dopo, insieme alle altre.
“Hai
deciso,” disse riponendo le foto nella borsa ,”per la
riabilitazione?”
“Non
ho avuto il tempo per pensarci.”
“Ah.”
Caterina osservò Marco: il tempo era sicuramente l’ultima cosa che gli mancava.
“Potremmo
andare fuori in cortile. Oggi è una bella giornata… è
uno spreco stare sempre rinchiuso qui dentro. Che ne dici?”
Propose la ragazza, per niente fiduciosa in una risposta positiva.
“Non
ho intenzione di essere portato su una sedia a rotelle. E’ degradante.” Disse Marco con disprezzo. Caterina, con mossa improvvisa,
afferrò l’esile polso del ragazzo.
“Allora
lo vedi quanto sei stupido?! Non fare la
riabilitazione vuol dire rimanere su una sedia a rotelle a vita! Ma tu, che della riabilitazione te ne freghi, non vuoi la
sedia a rotelle! Se credi che tutte le persone attorno a te siano sceme, allora
lascia che ti dica una cosa: tutti, me compresa, si stanno preoccupando per la
tua stupida salute e se credi che siamo qui per pura e semplice compassione…
bhé mi dispiace deluderti!! Ma hai ragione, la vita è
tua e se vuoi continuare ad essere rilegato in un letto d’ospedale
mentre ti logri fino allo sfinimento non sarò certo io a impedirtelo.
Vuoi rimanere così? E allora smettila di lagnarti e
sta zitto!”
Lasciò
andare la presa sull’arto del ragazzo, ricomponendosi per non attirare più di
tanto l’attenzione delle altre persone.
“Ti
ripeto la domanda: vuoi uscire?”
***
A
Caterina parve chiaro l’intento di Marco di non parlarle.
Mentre
spingeva con cura la carrozzina lungo il viale alberato, aveva abbassato più
volte lo sguardo per studiare il comportamento del ragazzo. Marco, dotato esclusivamente
di una coperta e di una giacca a vento, si lasciava trasportare da Caterina,
che aveva volutamente deciso di ignorare.
L’ospedale
in cui era ricoverato Marco disponeva di un ampio
giardino dove molte persone solevano passeggiare per allontanarsi dal grigiore
delle proprie stanze. Ed esattamente come Caterina,
altre persone accompagnavano nella loro camminata consueta, i propri malati. La ragazza, sentendo le proprie braccia indolenzite, decise di
fermarsi, attirando su di sé la disapprovazione di Marco.
“Ehi,
nessuno ti ha detto di fermarti!” sbottò il ragazzo.
“Ehi,” fece eco di scherno lei ,”tu non sei nella posizione di
poter scegliere.”
Marco,
sbuffando e costretto dalle circostanze, si limitò a rimanere in silenzio,
mentre Caterina prendeva posto su una panchina. I
raggi caldi del sole che sfioravano la pelle le arrecarono un senso di sollievo
e beatitudine, tanto che, instintivamente, chiuse gli occhi, abbandonandosi a
quel dolce tepore. Quando le sue iridi tornarono a vedere, un uomo, a prima
vista loro coetaneo, stava in piedi, sorridente.
“Massimiliano!”
Caterina si alzò, salutando calorosamente l’uomo che
Marco, inizialmente, non riconobbe.
Udito il nome dalla ragazza, Marco ricordò una delle foto che sua madre gli
aveva portato quella stessa mattina e come il sole che sguarcia le nubi, il
volto dell’uomo non gli parve più molto estraneo.
“Marco!”
L’amico gli s’avvicinò con premura. Quando gli afferrò
le mani, intrappolandole tra le sue, Marco sentì una sensazione di repulsione.
“Spiacente,” prese a dire Marco, indifferente ,”ma non mi ricordo di
te.”
Massimiliano,
rimasto sorpreso da quelle parole, si rivolse verso Caterina che, annuendo, non
fece altro che confermare quanto Marco aveva detto.
“Allora
non lo sapevi che ha perso la memoria…”
“No,
sinceramente sono tornato dagli Stati Uniti solo oggi.”
“Massimiliano,
eh?” Marco fece un mezzo sorriso. “Mia madre mi ha parlato di te oggi. A quanto pare eravamo amici.”
“A
quanto pare…” si limitò a dire l’uomo.
Caterina, percependo una strana tensione nell’aria,
sorrise imbarazzata invitando i due ragazzi a rientrare. Una volta nella sua stanza, Marco fu aiutato da due
infermieri e tornò ad assumere la sua consueta posizione da semi-sdraiato. Per
la centesima volta da quando si era svegliato, Marcò ascoltò la storia del
proprio incidente che Caterina, con dovizia nei particolari, stava
meticolosamente raccontando al loro presunto amico. Dal canto
suo, Marco si limitò ad ascoltare, osservando di tanto in tanto le espressioni
facciali di Massimiliano; per una ragione che non sapeva spiegarsi, provava una
certa diffidenza per l’uomo che gli sedeva accanto, ma soprattutto per l’uomo
che si era proclamato suo amico.
Quando
Caterina terminò di parlare, Massimiliano espresse la sua opinione riguardo la riabilitazione e, come Marco immaginava, tale opinione
coincideva con quella di Caterina. E fu proprio
osservando la ragazza, che quella sensazione di diffidenza nei confronti
dell’amico continuò a crescere: per tutto il tempo in cui Caterina aveva avuto
modo di parlare, aveva mostrato una certa mietezza nei movimenti ed una
pazienza che con lui non era mai esistita.
Provò
un sentimento che, seppur in modo confuso, riconobbe come “gelosia”.
La
sera, quando sia Caterina che Massimiliano se ne andarono,
giunse la madre del ragazzo.
“Caterina
mi ha detto che Massimiliano è venuto a farti visita.”
“Mhm.”
Si limitò a dire Marco.
“Allora
è proprio vero che hai perso la memoria… un tempo non gli avresti mai parlato.”
Incuriosito
dall’affermazione della madre, Marco la incitò a continuare il discorso.
“Bhè,
non c’è molto da dire,” si fece pregare la madre ,”da
quel che ne so Massimiliano ha sempre avuto un debole per Caterina… anche nel
periodo in cui tu e lei stavate insieme.”
“Questo
potrebbe spiegare la mia diffidenza.” Disse Marco,
ripensando al sentimento provato nel pomeriggio.
“Diffidenza?
O caro, io parlerei piuttosto di gelosia. Quando hai scoperto che amava Caterina andasti su tutte le furie!
Ricordo che tornasti a casa con due lividi sul volto e mi toccò medicarti con
bistecche sanguinanti…” disse allegramente la madre.
“E
Caterina,” prese a dire Marco, distogliendo la sua
mente da tale visione ,”lo sa?”
“Non
credo. Può darsi però che Massimiliano si sia confessato
dopo che vi siete lasciati.”
Poteva essere, pensò Marco. E ciò poteva spiegare il comportamento mite e pacato della ragazza.
***
“Io
e chi?” domandò sbalordita Caterina, smettendo di sbucciare la mela che teneva
in mano.
“Non
lo ripeterò una seconda volta.” Disse monocorde Marco. La
ragazza, osservò sbalordita l’ex fidanzato, mentre un rosato tenue andò
a dipingerle le guance.
“Quando ci metti a sbucciarmela?” domandò Marco esigente.
Caterina, come risvegliatasi in quel momento, gli porse la mela, senza avere la
più pallida idea di come reagire a tale domanda.
“Ametto
che…” prese a dire con riluttanza ,”… dopo che ci
siamo lasciati si è fatto avanti.”
Marco
smise di addentare la mela, tornando con lo sguardo a Caterina.
“Ma ho rifiutato!” si affrettò a dire la ragazza, quasi come
se volesse giustificarsi. Il ragazzo tornò con la propria attenzione sul frutto
e Caterina trasse un sospiro di sollievo nel veder
lontani occhi così grigi ed intensi.
“Questo...
è il frutto del peccato, non è vero?” domandò Marco, con lo sguardo rivolto
alla mela che teneva tra le mani. Prima che Caterina potesse
rispondergli con un affermazione, Marco la precedette.
“Chissà
perché, ma alcune cose, come questa, le ricordo. Non
ricordo niente della mia vita, ma so con certezza che la mela è il frutto del
peccato. Non è stato solo l’uomo ad essere tentato. La donna è altrettanto
peccatrice.” Disse, tornando con lo sguardo alla
ragazza.
Caterina
rimase in silenzio, ingabbiata da quelle parole.
“Una
cosa… la ricordo.” Farfugliò Marco, mentre riduceva gli occhi a due fessure
nello sforzo di ricordare. All’improvviso un’immagine nitida e chiara gli
attraversò la mente: benché fosse stata solo una
reminiscenza della durata di pochi secondi, riuscì a distinguere l’immagine di
Caterina. Ed insieme ad essa, quella di Massimiliano.
Sorpreso da un flashback di tale portata, Marco si
afferrò il capo con le mani, mentre altre sequenze di ricordi sconnessi
penetravano prepotentemente la sua mente. Uno dopo l’altro, alcuni frammenti della sua vita si sovrapposero…
Eleonora, la sua moto, Caterina e di nuovo
Massimiliano. Non avendo potere sui propri ricordi emergenti, gemette, mentre
la testa gli
pulsava per lo sforzo causato da quelle immagini. E
mentre sprazzi di memoria tornavano ad emergere in Marco, Caterina si spaventò
non poco per la reazione improvvisa del ragazzo. La donna si avvicinò alla
sponda del letto e toccò con mano tremante la spalla del giovane.
Marco,
credendo di aver finalmente compreso almeno in parte un particolare
preponderante della propria vita, scacciò violentemente la mano della ragazza,
mosso da un forte senso di repulsione. Caterina, sorpresa e spaventata allo
stesso tempo, ritrasse la mano offesa.
“Marco?”
“Vattene
via.” La voce era diventata dura e tagliente.
Caterina
non disse niente, rimase semplicemente immobile.
“Esci
subito.” Marco, senza fissare la ragazza, si trattenne dall’urlare.
“Si
può sapere che ti prende adesso?” Ebbe finalmente il coraggio di dire Caterina.
Il ragazzo
non rispose alla sua domanda e intimò Caterina ad andarsene con un tono di voce
sempre più elevato. Dopo pochi minuti, entrambi si accorsero
di aver attirato l’attenzione delle persone che passavano per il corridoio del
reparto.
“Dimmi,
riesci a mentire come hai fatto con me anche con le persone che ti porti a
letto?!” Marco, incurante di calibrare le proprie
parole, rivolse uno sguardo furente alla ragazza di fianco a lui. Caterina, dal
canto suo, rimase interdetta di fronte ad una frase tanto diffamatoria.
“Non
capisco di cosa stai parlando.” Ribattè.
“Ah,
non capisci.” Le rispose velenoso Marco. “A quanto pare non sono l’unico ad aver perso la memoria.”
“Se
c’è qualcosa che tu sai ed io no, probabilmente non mi riguarda.” Disse, sulle difensive, Caterina.
“Oh,
ti riguarda eccome. Ma non solo te… anche quel bastardo di Massimiliano.” Sentendo tirare in ballo anche il nome dell’altro uomo e
vedendo l’atteggiamento sempre più arrabbiato di Marco, Caterina sospettò che
ci fosse davvero qualcosa a cui lei non aveva dato
particolare importanza.
“Sono
sicuro che hai goduto nello scopare entrambi
indifferentemente!”
Il
respiro di Caterina si bloccò e il petto della ragazza, seppur per pochi
secondi, non si sollevò.
“Stai
dicendo cose assurde! Mi stai forse accusando di essere andata a letto con il
tuo migliore amico?” Caterina si ritrasse offesa.. Non
riusciva a comprendere la situazione, né tanto meno la reazione del ragazzo. In
pochi minuti era stata accusata di un torto che sapeva di non aver commesso. Dalla convinzione che fuoriusciva dalle parole del ragazzo,
Caterina comprese che la memoria latente stava riaffiorando, benché non
trovasse concordanza con ciò che era realmente accaduto nella loro vita.
“E smettila di fingere!”Ringhiò Marco furente. Di lì a poco,
la sua rabbia si trasmise nei suoi gesti e, con uno
scatto violento della mano, il ragazzo fece cadere a terra tutto ciò che stava
sul comodino di fianco al suo letto. Caterina si spostò, evitando i frammenti
di un bicchiere che cadde rovinosamente a terra.
“Ricordo…Un
giorno ti dissi che sarei rincasato tardi, ma quando
tornai ti beccai in compagnia nel MIO letto e con UN ALTRO UOMO!”
“E’
impossibile…” disse Caterina dispiegando le labbra in un sorriso amaro.
“Hai
recitato molto bene il tuo ruolo di santarellina, credevi
forse che la memoria non sarebbe più tornata? Mi spiace deluderti, ma non ha
funzionato.”
“Si
può sapere cosa vai farneticando? Io non ho mai fatto una
cosa del genere…” Caterina scosse la testa, negando con tutta se stessa.
Realmente non ricordava e sapeva di non aver mai fatto un torto simile alla
persona che le stava di fronte.
“La
tua ostinazione mi fa schifo.” Disse con disprezzo Marco, mentre una smorfia
attraversava il suo bel volto. “Rispetto. Stronzate. Pretendevi rispetto, ma
sei stata la prima a non darne. E hai pensato bene di infinocchiarmi
con le tue belle parole. Adesso ti stupisci ancora del perché ti ho mollato?
Anzi... lo sai perché ti ho tradito? Per farti assaporare lo
stesso dolore che ho provato io. Adesso ricordo tutto con chiarezza.
Eleonora… lei non era una persona costruita. Almeno lei non aveva interesse di
portarsi a letto quel bastardo del mio migliore amico."
A
Caterina parve tutto inconcepibile.
“A quanto pare ti è tornata la memoria.”
Alle
spalle di Caterina comparve la figura snella ed elegante di Massimiliano. La
ragazza, cercando in lui una via di salvezza, pregò l’uomo di dire a Marco ciò
che era successo veramente, ovvero che loro due non
avevano mai avuto rapporti sessuali durante la relazione di Caterina con
l’ex-fidanzato.
“Mi
spiace, ma non posso.” Massimiliano chinò il capo e quel gesto aumentò le
convinzioni di Marco.
“Cosa vorrebbe dire che non puoi?” domandò sgomenta Caterina.
“Non c’è mai stato niente. E’ assurdo! Perché non neghi?!”
“Non
posso semplicemente perché ciò che ha detto Marco… è vero.”
Caterina
sgranò gli occhi.
“Stai
scherzando. Mi state prendendo in giro, non è vero?”
arretrò di qualche passo, con la speranza di scorgere l’aria canzonatoria sui
volti dei ragazzi.
“E’
rivoltante quanto tu ti ostini a mentire.” Disse
sprezzante Marco. “E tu”, prese a dire rivolto a Massimiliano “sei spregevole quanto lei. Andatevene via, subito.”
Caterina,
raggiunta l’apice della disperazione, afferrò la giacca di Massimiliano,
schiaffeggiandolo con quanta più forza aveva. Le lacrime, lentamente, presero a
scenderle dalle guance, mentre si ostinava a credere nella sua innocenza.
“Perché
diavolo stai mentendo, stronzo!??” gridò con voce
strozzata.
Massimiliano
afferrò il polso della ragazza, allontanandole la mano dalla sua giacca.
“In
verità… c’è una spiegazione al motivo per cui tu non
ricordi niente.”
Sia
Caterina che Marco lo fissarono, chi con lo sguardo
appannato dalle lacrime, chi con la rabbia negli occhi.
“Quella
sera, mentre aspettavamo il ritorno di Marco, mi offristi da bere. Alla fine,
considerato il numero ingente di lattine di birra, ti sei ubriacata ed io… io
credo di averne approfittato.” Disse, con un filo di
voce. Caterina rimase ad osservarlo incredula.
“Mi
dispiace. Ma ho sempre invidiato Marco tanto che
quando vi siete lasciati sono stato felice. Molto felice.” Prima ancora che
Massimiliano potesse alzare lo sguardo per osservare
le due persone di fronte a lui, Caterina rimarcò un secondo schiaffo sulla
guancia dell’uomo, mentre le lacrime sembravano poco intenzionate a smettere di
scendere.
“LURIDO
BASTARDO!” gridò, piangendo. Caterina uscì dalla stanza, correndo, e nella sua
fuga, travolse la madre di Marco che nel mentre stava
entrando nella stanza. Sorpresa per il comportamento della giovane, la signora
Orsini rivolse lo sguardo ai due ragazzi.
“Cosa è successo qui?”
Senza
rispondere alla madre, Marco fece per alzarsi dal letto, ma cadde rovinosamente
a terra. Avendo intuito le intenzioni dell’amico, Massimiliano arretrò di un
passo e scappò dalla stanza, travolgendo a sua volta un’infermiera attirata
dalle grida. La madre del ragazzo corse per sorreggerlo e dalle frasi sconnesse
che andò pronunciando, la signora Orsini intuì ciò che
era successo. Tentò di placare la rabbia del figlio che, nel
mentre, malediceva la propria incapacità di correre. Sorretto dalla
genitrice e dall’infermiera, Marco tornò con le spalle appoggiate al materasso
e la testa affondata nel cuscino.
***
Un anno dopo
“Mamma,
cosa stai facendo ancora qua?” Marco si affacciò alla camera dove per lungo
tempo aveva trascorso la sua degenza. La madre, che stava dando le spalle alla
porta, si voltò, tenendo tra le braccia un fascio di fiori.
“Stavo
dimenticando questi fiori nel vaso.” Disse, afferrando
con una mano la borsa che aveva posato sul letto.
“Non
capisco perché diavolo vuoi portarteli via. Sono finti
e sicuramente tornerebbero comodo al mio successore.”
Disse Marco, canzonando la madre.
“Oh,
non essere sciocco. A me questi fiori piacciono e quindi me li porto a casa.” Disse la signora Orsini con una naturalezza che al figlio
parve disarmante.
“Tra
l’altro li portò Caterina durante la tua convalescenza. Mi sembra un peccato
lasciarli qua.” La madre, incurante di aver ricordato
al figlio la ragazza, uscì dalla stanza.
Marco
mosse un piede e, camminando adagio, uscì dall’ospedale. Esattamente di
rimpetto all’entrata, il padre camminò verso di lui con la chiara intenzione di
aiutarlo mentre Sara lo attendeva ansiosa in macchina.
La riabilitazione sembrava aver avuto effetto, tanto che, seppur a fatica,
Marco era riuscito ad abbandonare le stampelle. I
medici avevano acconsentito alla sua uscita una settimana prima di quel giorno
e lui aveva accettato di buon grado la notizia. La sua memoria era stata
parzialmente ricostruita anche se presentava in alcuni
punti lacune o vuoti che non ricordava. E con la mente si era accesso di nuovo
il sentimento che lo legava ad Eleonora: la morte della ragazza non fu più indifferenza, ma tristezza e senso di colpa.
Per
il resto, i pezzi mancanti sarebbero di nuovo tornati alla luce, esattamente
come dei reperti archeologici. Sapeva che tutto ciò che doveva fare era
semplicemente avere pazienza. Quando la macchina si
mise in moto, il paesaggio prese a sfrecciare velocemente oltre il vetro del
finestrino; per due anni e più non aveva riassaporato il senso di libertà che
stava provando in quel momento. Benché fosse felice di dare nuovamente una
continuazione alla propria vita, Marco aveva l’impressione che vi fosse una mancanza dentro di sé, una mancanza per niente
analoga ai suoi vuoti di memoria. E quando pensava a Caterina, questa mancanza
si riempiva per pochi secondi di un senso a lui
sconosciuto.
***
Sorrise
al mazzo di fiori che un uomo, un anziano dall’aria allegra e per niente
stanca, gli aveva dato in occasione del Congresso tenuto a Roma di Genetica
Applicata. Sentì la fragranza emanata dai fiori, adesso rivolti sul sedile
accanto a lei. La voce microfonata della hostess pregò
i passeggeri di allacciarsi le cinture, avvertendoli dell’imminente
atterraggio. Dopo che l’aereo ebbe terminato la sua corsa, la rampa per i
passeggeri fu applicata al fianco del veivolo. Caterina afferrò i fiori e il
proprio bagaglio a mano, attendendo il proprio turno
per scendere. L’aria dicembrina le sferzò il volto, mentre a fatica si
sistemava il foulard che aveva avvolto intorno al collo. Le mani, intorpidite
dal freddo, andarono riscaldandosi non appena la donna mise piede nel Terminal dell’aereporto. Prese ad
osservare la folla, alla ricerca della persona che aveva pregato di andarla a
prendere. In lontananza vide la mano di una donna che sventolava in alto
verso la sua direzione.
“Giulia!”
“Finalmente,
pensavo tu non tornassi più!”
“L’aereo
ha avuto un ritardo, mi spiace di averti fatto aspettare così
tanto.”
“Non
preoccuparti, tanto in laboratorio c’è chi mi sostituisce. Il Congresso? Com’è
andato?”
“Le
solite cose, ipotesi, teorie, teorie, ipotesi.” Disse
sbuffando, dirigendosi verso il Ritiro Bagagli. Dopo aver recuperato il proprio
bagaglio, gentilmente trascinato dall’amica Giulia, Caterina fece per dirigersi
verso l’uscita dell’aereoporto. Non appena le porte scorrevoli si richiusero
alle loro spalle, Caterina notò l’amica fermarsi.
“Qualcosa
non và?” domandò Caterina, osservando Giulia.
“A dire la verità non sono venuta da sola. C’è un’altra persona
che è venuta a prenderti… e a dir la verità ho pensato
di farti accompagnare da lei.”
Caterina
alzò un sopracciglio, un poco contrariata per la
decisione intrapresa dalla collega.
“E chi sarebbe? Mia madre?”
Giulia
non rispose, si limitò ad indicare con un dito un
punto oltre le spalle di Caterina. La ragazza si voltò puntando con lo sguardo
la direzione che le era stata indicata e, nonostante i raggi del sole che gli
abbagliavano gli occhi, Caterina riconobbe la figura di un uomo che conosceva
molto bene.
“Oh,
no, no, non se ne parla neanche!” prese a dire, gesticolando.
“Ma…”
“Io
vengo a casa con te. Punto e basta.” Detto ciò, prese a camminare verso il
piazzale dell’aereporto, ignorando completamente l’uomo che la stava
aspettando. Giulia tentò di fermare l’amica e l’uomo, capita
la reazione di Caterina, si spostò a passo veloce per raggiungerla. Quando il mazzo di fiori le scivolò di mano, cadendo
sull’asfalto bagnato, Caterina fu costretta a fermarsi; in pochi secondi, vide
una mano afferrare lo stelo del mazzo, sollevandolo completamente. Caterina si
riportò diritta sulla schiena, avvampando, nonostante il freddo, di fronte alla
persona che le stava di fronte.
“Sempre
di corsa. Volevi forse evitare qualcuno?” disse
l’uomo, ironicamente.
“Può
darsi.” Caterina afferrò il mazzo di fiori che le veniva
porto.
“Sono
fiori veri quelli?”
Caterina
spostò lo sguardo sui fiori, come se la domanda, formulata in modo coinciso, necessitasse di una risposta altrettanto concreta.
“Si.”
Rispose ingenuamente.
Giulia,
che aveva assistito da lontano alla scena, si avvicinò ai due, sorridendo lieta
all’uomo.
“Sono
felice di vedere che stai bene, Marco.”
L’uomo
sorrise in modo impacciato.
Un
sorriso che non gli si addice, pensò Caterina.
“Bene,
allora, visto che ti sei offerto volontario ti
lascerei Caterina in custodia.” Disse Giulia, prendendo dalla borsa le chiavi
della sua auto.
“Ma, sbaglio o dovevi parlarmi di qualcosa?” domandò
Caterina, sperando che l’amica captasse il segnale di s.o.s. Giulia pensò per
qualche secondo, ma alla fine scosse la testa in segno di diniego. Dopo aver
salutato entrambi con molta enfasi, Giulia mise in moto la Pegeout 106 e
sfrecciò fuori dall’aereoporto.
“Ti
trovo bene.” Disse Caterina a Marco, cercando di allontanare il senso di
disagio persistente.
“Già.
Alla fine, avevi ragione tu. La riabilitazione ha dato i suoi frutti.”
Calò
un silenzio imbarazzante, ma Caterina non si sorprese:
l’ultima volta che si erano visti, avevano dato vita ad una conversazione poco
piacevole. La donna seguì Marco fino alla sua macchina e, mentre quest’ultimo
sistemava il suo bagaglio nel cofano posteriore dell’auto, Caterina affondò nel
morbido sedile del passeggero. E proprio in quel
mentre, intravide sul cruscotto un fiore di carta.
“Questo
fiore mi sembra di riconoscerlo.” Disse, afferrandolo tra le mani.
“Ah,
quello? Se non ricordo male è uno dei fiori fittizzi che mi portasti
una volta.” Disse con semplicità Marco, mentre con abilità da pilota, si immergeva nel traffico autostradale. “A
quanto pare non è ingiallito.” Aggiunse qualche secondo più tardi.
E non si
era nemmeno deteriorato.
“Hai
recuperato la memoria?” domandò Caterina, mentre Marco arrestava la macchina di
fronte a un casello automatico. L’uomo sorrise.
“Diciamo
all’ottanta per cento.”
“E il restante venti per cento?” domandò la donna, osservandolo
mentre pagava il casellante.
“…
lo ripongo in quel fiore. A patto che tu sia d’accordo.” Disse Marco, fissando
la strada davanti a sé.
Caterina
sorrise e posò il fiore di carta laddove lo aveva trovato.
Esso
preservava intatto il suo colore, non una macchia deturpava il materiale
cartaceo di cui era fatto.
Caterina
osservò in silenzio il mondo sfrecciare oltre il finestrino, pensando al tutti quei fiori pieni di vita, invidiosi
del suo piccolo fiore di carta.
Note:
[1]
Centro di Ricerca Nazionale
[2] Riferimento alla melodia di Beethoveen “Elisa”, celeberrima suoneria in qualsiasi tipo di telefonino.
Fiori di Carta ha partecipato al 16° concorso indetto dall'EFP. Ringrazio Erika per il suo giudizio!
Claudia