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Autore: Claudia    10/06/2005    4 recensioni
Perdere la memoria, non ricordare amori e affetti, mentre il mondo va avanti, lasciandoti inesorabilmente indietro...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 FIORI DI CARTA

Autrice: Claudia

 

 

 

Non c’è niente che l’uomo sappia amare più di se stesso.

Non c’è niente che l’uomo sappia temere quanto se stesso.

[Sull’amore ~ Hermann Hesse]

 

 

 

I suoi passi risuonavano nel corridoio, ma lei a malapena li percepiva, mascherati dai battiti assordanti del suo cuore.

Odiava gli ospedali e quel giorno ancora di più che in passato.

L’odore del disinfettante penetrava nelle sue narici, bruciandole.

Notò la sua mano tremante, mentre con impeto apriva la porta con su scritto “107”.

La stanza era in penombra, le pensiline accostate.

I suoi occhi scansionarono ogni centimetro della camera, fino a quando incontrarono tre persone oltre a lei. Una donna, dall’aria stanca e provata, la guardò richiudere la porta dietro di sè. L’uomo, che le stava dando le spalle, non si curò della sua presenza e continuò a fissare davanti a sé con ostinazione, mentre con una mano, teneva una bambina ben salda al suo fianco.

 

Rimase completamente immobile, in piedi, di fronte allo stipite della porta, attendendo a un cenno che le permettesse di farsi avanti. La giacca leggera che teneva davanti al grembo, nascondeva alla perfezione l’agitazione delle sue mani. Tentò mentalmente di calmarsi e poco a poco, riuscì a distinguere i flebili bip dell’elettrocardiogramma posto accanto al letto.

 

La bambina, che fino a quel momento guardava il letto troppo alto per lei, si voltò in direzione della porta. Vide le sue labbra sottili sollevarsi in un lieve sorriso mentre, con le proprie scarpette, correva verso di lei.

 

“Caterina!”

 

Sentì le piccole mani della bambina afferrare i lembi della gonna, con il volto sorridente rivolto verso l’alto. Si inginocchiò, cercando di limitare la differenza di altezza, e posò una mano sul capo della bambina. Era da tre mesi che non la rivedeva. Sollevò lo sguardo: la donna, che fino a quel momento, pur avendola vista, non le aveva rivolto la parola, le fece un breve cenno col capo. L’uomo, sentita meno la presa sulla bambina, si voltò, facendole in seguito segno di tornare da lui. La bambina, ubbidiente, tornò dall’uomo, continuando a sorridere verso la sua direzione.

 

“Non dovevi disturbarti a venire. Sappiamo che hai da poco preso a lavorare.

 

Considerò le parole della donna, ai piedi del letto, un chiaro invito a farsi avanti.

 

“Non ha importanza.” Si limitò semplicemente a risponderle.

“Fratellone,” la bambina si aggrappò alle coperte del letto, con lo sguardo innocente rivolto verso la persona che vi sdraiava sopra ,”Caterina è venuta a trovarti!”

 

Le parole della piccola non ricevettero risposta. Quando ebbe modo di essere più vicina, vide il giovane dai capelli scuri a cui la bambina si era rivolta, senza successo. Gli occhi, che sapeva di un grigio intenso, erano chiusi, mentre le braccia abbandonate lungo il corpo.

 

Come è successo?” domandò, trattenendo a stento il groppo alla gola.

“Tre giorni fa,” prese a dire l’uomo ,”ha fatto un incidente con la moto. Da allora non si è più svegliato.”

 

Guardò l’uomo, e in un secondo momento, la fasciatura attorno alla testa del ragazzo. La mascherina per la respirazione le impedì di vedere le labbra del ragazzo, che immaginava comunque livide. Un esile ago legato a una sacca liquida era la sua unica fonte di alimento.

 

Mentre lei è morta.”

 

Alzò di scatto la testa, sorpresa per quelle parole. Intuendo all’istante chi fosse il soggetto di quella breve frase, abbassò lo sguardo. Le dispiaceva. Si, perché chiunque si dispiace per la morte di una persona. Si portò una mano al petto; in contrasto col dispiacere provato, sentì un senso di profondo sollievo. Vergognandosi per quella sensazione inopportuna, scosse la testa come per scacciare il pensiero.

 

Lentamente, la donna al suo fianco prese a singhiozzare, cercando di trattenere le lacrime. L’uomo andò per consolarla, posandole un braccio attorno alle spalle.

 

“Caterina, potresti rimanere qui con Sara?” le domandò, conducendo la donna verso la porta della camera. La ragazza si limitò a un breve cenno del capo, mentre si avvicinava alla bambina, ancora a fianco del letto.

 

Appena udì la porta richiudersi, accostò una sedia al letto ed invitò la bambina a sederle in braccio. Sara, questo era il nome della piccola, si sollevò sulle punte dei piedi, lasciando che Caterina la sollevasse da terra.

 

“Tu come stai?” le domandò con tono dolce, spostando una ciocca di capelli dal volto della piccola.

“Bene!” le rispose, mentre muoveva i piccoli piedi con un ritmo cadenzato. Caterina sorrise. Desiderava possedere l’ingenuità dei bambini di quattro anni, che erano ancora del tutto ignari di ciò che accadeva attorno a loro. Si domandò se solo immaginasse le condizioni in cui riversava il fratello. Anche se piccoli, i bambini non erano stupidi e percepivano benissimo lo stato d’animo delle persone attorno a loro, pur a volte non capendolo.

 

Tornò con lo sguardo al giovane nel letto, mentre la vicinanza con il corpo di Sara andava lentamente creando un senso di torpore e di calore. Alla sua famiglia aveva detto che il suo lavoro, rispetto a lui, aveva poca importanza. In realtà, quella mattina aveva dovuto combattere con se stessa per fargli visita. E anche in quel momento, vedendolo inerme in un letto d’ospedale, non credeva che si meritasse davvero la sua preoccupazione.

 

Non dopo il suo tradimento.

 

E per ironia di una sorte sempre troppo avversa, colei con cui l’aveva tradita, era morta in quello stesso incidente. Naturalmente, non si erano lasciati in buoni rapporti e lei era sempre fuggita dai suoi continui tentativi di spiegarsi. Non esisteva spiegazione a un tradimento. Avevano entrambi venticinque anni e tra alti e bassi si erano laureati con discreto successo. La sua laurea in Biologia Molecolare le aveva fatto guadagnare un ottimo posto di lavoro come ricercatrice in un istituto di CNR [1]; mentre lui, grazie alla sua laurea in Ingegneria Edile, aveva trovato posto in una ditta di cotruzioni in cui si stava lentamente facendo strada.

 

Un mondo apparentemente perfetto il loro. Il suo e quello di Marco.

 

L’aveva conosciuto tramite alcuni amici che avevano in comune, agli inizi dell’università; ma, inizialmente, non sembrava minimamente interessata a lui; per certi versi, non lo sopportava. Amava essere al centro dell’attenzione, aveva la battura fin troppo pronta e si atteggiava a grande uomo, vantandosi delle proprie conquiste come se ogni donna fosse stata un trofeo da esibire.

 

Lei, invece, non era niente di tutto ciò. Amava i posti tranquilli e non faceva niente per attirare su di sé l’interesse delle altre persone. Era abbastanza timida e di primo acchito, non si slanciava molto nei rapporti interpersonali; era un modo come un altro per difendere se stessa dalle altre persone, un meccanismo che scattava ogni qualvolta che faceva nuove conoscenze.

 

E con Marco, si era comportata allo stesso modo.

 

Le loro linee di pensiero molto spesso affioravano in vere e proprie discussioni che li isolavano completamente dal resto del loro gruppo. Non esisteva una sola cosa sulla quale andassero d’accordo. Tutto ciò che per lei era bianco, per lui era nero. Ogni sua parola era sempre in completo disaccordo con quella del ragazzo. Inoltre, ognuno cercava costantemente di imporre la propria opinione sull’altro, senza accettare alcun tipo di compromesso pacificatore.

 

E alla fine, con una conclusione che le parve anche in quel momento molto banale, iniziarono a frequentarsi con un interesse ben lontano dalla semplice amicizia. Ricordò di aver intrapreso quella sorta di relazione con una leggerezza inaudita; conosceva fin troppo bene i risvolti amorosi di Marco e, forse proprio per quella ragione, aveva deciso di non costruire troppi castelli attorno alla loro storia. Invece, contro ogni loro previsione, continuarono a stare insieme per quattro anni, mantenendo ben vivida la loro relazione con ogni sorta di battibecco.

 

Un mondo perfetto, che iniziò a macchiarsi con l’arrivo di quella donna. Eleonora. Un nome tanto avvenente quanto la sua persona. Dai pochi particolari di cui era venuta a conoscenza, sapeva che era una donna parecchio più grande di loro, che lavorava nella stessa ditta di Marco. L’aveva conosciuta di persona ancor prima che il putiferio si scatennasse nelle loro vite, riconoscendole una certa simpatia ed un intelligenza sempre più rara. L’aveva giudicata come una donna in carriera, capace di separare la propria vita privata dall’ambiente lavorativo. E proprio a causa di questa sua capacità fin troppo ben costruita, era rimasta per molto tempo all’oscuro della relazione che la legava al suo ragazzo.

 

Non era mai stata fondamentalmente gelosa. Ciò che pretendeva a gran voce era il rispetto. Lo stesso rispetto che lei portava alla persona che amava. Aveva sempre basato le sue relazioni sulla fiducia reciproca e romperla, significava infrangere tutto ciò che lei aveva contribuito a costruire. Era fin troppo indulgente, da quel punto di vista, ma non conosceva mezzi termini. Non chiudeva gli occhi di fronte a dei tradimenti, non perdonava. Amava la sincerità sopra ogni cosa e, benché questa ferisse le persone il più delle volte, la preferiva alle verità taciute.

 

“Ho fame!” La voce infantile di Sara la riscosse dai suoi pensieri.

“Se vuoi, dovrei avere dei biscotti nella borsa. Le disse, puntando il dito verso l’oggetto di pelle. La bambina scese dalle sue ginocchia in modo impacciato e andò a rovistare dentro alla borsa di Caterina, estraendone con successo un piccolo sacchetto di biscotti. Vedendo il sorriso compiaciuto della piccola, la donna sorrise, tornando coi propri pensieri alla sua storia.

 

Il suo amore finì con le note melodiche di Elisa [2], perché, quel giorno, fu proprio lei a prendere una chiamata del tutto indesiderata. Solo quando iniziò a suonare, si accorse che il cellulare di Marco era rimasto nella sua borsa dalla sera precedente e, anche se sul display illuminato appariva il nome di Eleonora, l’idea di una relazione clandestina non l’aveva minimamente sfiorata; trovava normale che i colleghi di lavoro si scambiassero i numeri dei cellulari per essere in ogni momento reperibili. Non trovava normale che si chiamassero a vicenda con l’appellativo di amore mio.

 

E da quella chiamata si scatenarono una serie di eventi che portarono alla rottura definitiva. Per almeno una settimana, Marco negò in modo spudorato la relazione con Eleonora cercando di ricucire i legami che stava lentamente perdendo con lei. Ma essendo proprio lei la diretta testimone di quella relazione, non accettò alcun tipo di perdono. Uscì dalla sua vita, esattamente come vi era entrata con l’aggiunta di ferite sanguinanti al cuore. Abbandonare tutto ciò che aveva posseduto per ben quattro anni, fu una decisione dolorosa e, nonostante le apparenze, molto sofferta… perché, essendo la tradita e non la traditrice, il suo amore per Marco rimase sempre lo stesso per mesi.

 

Poi, come è risaputo da molti, il tempo guarisce le ferite, se non completamente almeno in parte. Il suo lavoro, privo ormai di un rivale, era diventato la sua unica, grande consolazione. I rapporti che aveva instaurato con la famiglia del suo ragazzo durarono ancora per qualche mese e poi, come del resto era inevitabile, gli incontri andarono pian piano dissipandosi. Fino a quel giorno.

 

La moto. Una passione che accettava, benché le riuscisse difficile da capire; ma ogni tipo di passione, dalla più comune alla più strana, difficilmente viene compresa da chi la ignora. Un gioco ironico quello del destino: ferirsi o addirittura morire a causa di ciò che si ama dal profondo. Fortunatamente per lei, morire per mano di innocui francobolli era quanto mai impossibile.

 

I suoi ricordi terminarono nel preciso istante in cui la porta, con un scatto metallico, si aprì, introducendo nella stanza il padre e la madre di Marco. Quest’ultima, nonostante gli occhi rossi, sembrava essersi calmata. Nonostante la loro fredda accoglienza, Caterina sapeva che anche loro erano stati travolti dalla serie di eventi in cui erano precipitati; non si aspettava sorrisi, né parole di conforto.

 

Il conforto le era stato dato mesi prima. L’amavano come una figlia e la separazione improvvisa da Marco, li aveva lasciati spiacevolmente afflitti. Lei per prima, contro qualsiasi consuetudine del caso, aveva chiesto loro consiglio e conforto. Cose che avevano saputo darle, nonostante il pessimo comportamento del loro primogenito. Né il padre, né la madre approvavano la nuova relazione di Marco, benché quest’ultimo fosse intenzionato a portarla fino in fondo. Dal canto suo, Caterina era felice che il ragazzo non avesse avuto ripensamenti sulla loro relazione: ricostruire una storia, partendo da delle fondamenta molto instabili, avrebbe arrecato solo dolore ad entrambi. Se era davvero amore ciò che Marco provava per Eleonora, non avrebbe avuto senso riconquistarlo.

 

Ciò che veramente l’affliggeva, in realtà, era il suo… di amore. Odiava il suo essere crocerossina anche in situazioni che la riguardavano direttamente; aveva rinunciato al suo amore, alla sua storia per far posto ad un’altra. Negli ultimi mesi, quando aveva preso a ragionare nuovamente col cervello, si era data più volte della stupida, perché con il suo comportamento, che continuava a reputare il più giusto, aveva pensato al bene di tutti, tranne che al suo. Si era lasciata scivolare in un angolo, cedendo il passo alle altre persone.

 

Ed in quel momento?

Accanto a quel letto, cosa voleva?

Era troppo tardi pretendere indietro l’amore che le era stato strappato.

 

 

***

 

Osservò la madre di Marco sistemare i fiori sul comodino del figlio. Erano inutili, visto che la persona per cui erano stati acquistati era incapace di vederli; però regalavano colore e profumo ad una stanza già tristemente morta. Era ormai da tre giorni che veniva a fargli visita terminato il lavoro… il motivo esatto per cui lo faceva, non lo sapeva. Dubitava che si trattasse di amore… o per lo meno l’amore di un tempo e, scandagliando nella sua coscienza, era certa che non si trattasse nemmeno di sensi di colpa. Semplicemente non aveva un motivo.

 

“Cara, sarai stanca… se vuoi, puoi tornare a casa. In fondo, restare qui serve a poco.”

“Non si preoccupi. Ad essere sincera non capisco perché mi ostini a venire… forse perché Marco è stato importante per me. Però, da una parte, non merita affatto quest’affetto. Mi sa che sono solo stupida.” Disse Caterina, afferrandosi la fronte con una mano. La madre si sedette a fianco della ragazza.

“Ogni giorno cambio i fiori nel vaso,” disse chiudendo gli occhi ,”anche se so benissimo che non servono a niente e non hanno alcun tipo di utilità. Ma quando li vedo penso che a Marco potrebbero piacere e allora li ho in mano ancor prima di riflettere. Esattamente come i fiori, noi serviamo a poco. Possiamo parlargli, tenergli la mano… ma il nostro volere in questi casi ha un limite. Ma sono certa che esserci è la cosa più importante, a prescindere dai sentimenti che ciascuno di noi nutre. Quindi, quando vorrai tornare, non star troppo a pensare al perché. Va bene?”

 

Caterina annuì, in parte rincuorata dalle parole della donna.

 

Dal primo giorno che aveva messo piede in quella stanza, temeva che il suo unico intento fosse quello di riavvicinarsi a una persona che si era volutamente allontanata da lei; temeva che la morte di Eleonora l’avesse in qualche modo sollevata. Seppur lo pensasse, non riusciva a comprendere a fondo i suoi stessi pensieri… aveva paura a scoprirsi una persona tanto meschina.

 

E quelli, furono i pensieri che si trascinò dietro per ben sette mesi, prima che lui si risvegliasse. Una mattina di aprile, mentre tutta la nazione era in festa, si era recata come sua consuetudine all’ospedale; si limitava sempre a molto poco: gli parlava, arrivando a sentirsi molto sciocca, areava la stanza lasciando che i raggi primaverili vi penetrassero con il loro calore. Fatto strano, non l’aveva mai toccato: non gli aveva mai stretto la mano, come invece la madre era solita fare più volte. Era chiaro perfino a lei, che cercava in tutti i modi di evitare qualsiasi forma di contatto.

 

Invece, quel giorno, aveva deciso di stringerla nella sua… forse per vincere quel senso di paura che provava nel ricordare come lui era solito stringerla e toccarla. E Dio aveva ricompensato il suo coraggio con due occhi grigi ed intensi che, nonostante il loro aspetto opaco, la stavano fissando.

 

“Grazie a Dio.”

 

Quelle furono le uniche parole che la madre di Marco andò ripetendo durante tutto l’arco del giorno. Lei partecipava alla loro gioia in silenzio, in un angolo della stanza. Benché quell’ospedale fosse stato la sua seconda casa per molti mesi, si sentì come un’estranea. Aveva avuto la nauseante sensazione che quegli occhi, al loro risveglio, non volessero lei, non cercassero lei.

 

Ascoltò i discorsi dei medici, pienamente soddisfatti dei risultati. La prognosi rimaneva tuttavia riservata, perché un giorno non era sufficiente per stabilire le condizioni in cui riversava Marco. Avrebbero atteso almeno un giorno; in quel modo avrebbero stabilito con certezza gli eventuali danni inflitti al cervello durante il periodo di coma profondo. Per questa ragione, la gioia per il risveglio del figlio, lasciò il passo a una nuova, crescente disperazione: Marco avrebbe potuto perdere l’uso della parola, rimanere infermo per il resto della sua vita e, nel peggiore dei casi, condurre una vita da vegetale, collegato ventiquattr’ore su ventiquattro a delle macchine, necessarie per tenerlo in vita.

 

Dal giorno del suo risveglio, Marco si limitò a tenere gli occhi aperti. Non parlò, in parte impedito dalla mascherina di ossigeno e gli unici arti che mosse furono le dita delle mani, e nemmeno di frequente perché quel lieve movimento sembrava costituire uno sforzo sostanzioso. Lei aveva fatto di tutto per non trovarsi da sola con lui. Anche se non poteva parlare, il pensiero di essere indesiderata la tormentava di continuo; per quanto le fu possibile, non si avvicinò nemmeno alla sponda del letto, tentò di mantenere una certa distanza.

 

 

***

 

Le lacrime della madre e il volto scuro del padre non furono esattamente le cose che Caterina si aspettava di vedere quel giorno. L’ipotesi che fosse morto fu subito all’apice dei suoi pensieri, mentre con sguardo esitante attendeva una spiegazione da uno dei due coniugi.

 

“Ha perso la memoria, Caterina. Non si ricorda più di noi. Le disse la madre, tra i singhiozzi strozzati. Vedendo l’impossibilità della donna a parlare, il padre si scusò e si allontanò nel corridoio, anch’egli con gli occhi gonfi ed ormai privi di lacrime. Ancor prima che potesse pensare a ciò che le era stato detto, vide un medico avvicinarsi a lei.

 

“Lei è una conoscente?” domandò l’uomo in camice bianco.

“Un’amica.” Tenne a specificare Caterina.

“Pare che il paziente,” prese a dire il medico schiudendo un poco la porta della stanza, in modo che la ragazza potesse scorgervi il letto ,”abbia perso la memoria. Fisicamente sta bene, tra qualche mese, con una dovuta riabilitazione, potrà tornare di nuovo a camminare. E’ già un miracolo trovarlo in queste condizioni dopo un incidente come il suo. Questo nella migliore delle ipotesi.

E nella peggiore?” domandò Caterina esitante.

“Nella peggiore,” prese a dire il medico ,” non accadrà niente di tutto questo. La perdita di memoria potrebbe essere un fattore momentaneo come permanente; se il paziente non avrà la forza di andare avanti, non otterrà alcun giovamento. Potrebbe anche ostinarsi a non collaborare con i fisioterapisti.

“Capisco, quindi non c’è niente che noi possiamo fare…”

“L’unico modo è sollecitarlo ed incitarlo costantemente. Ma, come uomo e non come medico, sarò franco con lei… visto il suo carattere la vedo molto difficile.

“Carattere?” disse Caterina sorpresa.

 

Una voce all’altoparlante nominò il nome del medico con cui Caterina stava parlando e l’uomo, congedatosi con una stretta di mano, sparì nei corridoi dell’ospedale. Senza aver ottenuto risposta alla sua perplessità, Caterina entrò nella stanza e la trovò più buia del normale. Vide Marco semi-seduto, con le spalle affondate nel cuscino del letto e lo sguardo rivolto nella direzione opposta. Aveva pensato più volte a come comportarsi in quella circostanza… addirittura, aveva pensato di non presentarsi affatto… ma questo solo se Marco conservava la minima parte dei suoi ricordi.

 

Il ragazzo, probabilmente, sentì la sua presenza e si voltò a guardarla. Non sapendo come comportarsi con una persona che non ricordava niente di nessuno, Caterina arrossì leggermente sentendosi, con il passare dei secondi, sempre più a disagio.

 

“Come stai?” gli domandò riluttante, dandosi della sciocca appena un secondo dopo. Marco continuò a guardarla e, senza rispondere, si voltò nella direzione opposta. Contrariata per quell’atteggiamento di indifferenza, Caterina prese una sedia e l’accostò ai bordi del letto. Si sedette, appoggiando la borsa sul pavimento.

 

Non ricordo affatto di conoscerti. Se sei qui per strillare e per piangere, torna pure da dove sei venuta.

 

Caterina rimase in silenzio, mantenendo le mani ben intrecciate tra loro. Immaginò che la madre si fosse comportata esattamente come il ragazzo le aveva avvertito di non comportarsi. In quel momento comprese anche l’allusione del medico riguardo al suo carattere.

 

“Vorrà dire che se non ti và, non strillerò e non piangerò.”

 

Anche se Caterina aveva una voglia matta di urlare e di piangere. Più o meno per ragioni diverse. Per tutta risposta, Marco sbuffò, senza degnarsi di risponderle.

 

“Sono stupita, la tua loquacità mi sorprende. Disse con tono ironico, tentando di stuzzicare l’indifferenza del ragazzo. Sapeva che si stava lentamente addentrando in un campo minato.

 

Vattene via, mi stai irritando.”

 

Caterina sospirò, rassegnata. Si alzò, raggiungendo una poltrona in fondo alla stanza e, sedendovi sopra, prese a sfogliare un giornale con poco interesse. Di tanto in tanto, sollevò gli occhi in modo discreto, per vedere cosa stesse facendo il ragazzo.

 

Dicono che il tuo carattere sia cambiato,” disse lei, voltando una pagina ,”ma a me sembra perfettamente identico a prima.”

 

Quella frase sembrò destare un minimo di interesse. Notando che quella poteva essere la strada giusta da intraprendere, continuò a parlare, senza tuttavia guardarlo negli occhi.

 

Ma naturalmente a te non interessa sapere niente. Quindi… come non detto.”

 

Detto ciò, sollevò lo sguardo, appena in tempo per notare un moto di delusione attraverso i suoi occhi. Si alzò nuovamente e tornò a sedersi sulla sedia accanto al letto di Marco.

 

Perché a te non interessa, vero?”

 

Marco rimase in silenzio.

 

“Ti hanno per lo meno detto come ti chiami?”

“Marco. O per lo meno questo è il nome con cui mi ha chiamato quella donna.

“Quella donna sarebbe tua madre.”

“Così pare.”

 

Caterina osservò la bendatura che ancora avvolgeva la fronte del ragazzo. Notò come alcuni ciuffi ribelli contrastassero con il biancore delle bende.

 

“So che è una domanda che ti avranno già fatto, ma proprio non ricordi niente?”

“Brava, me l’hanno già fatta.”

 

E con ciò voleva dire che aveva risposto con un no.

 

Caterina guardò l’orologio che teneva al polso e fece il gesto per alzarsi. Diversamente dalle sue aspettative, Marco si voltò di scatto a guardarla.

Dove vai?” più che una domanda, a Caterina parve un’affermazione.

“Tra poco chiude il passo,” gli rispose ,”ed io ho una vita privata da mandare avanti.”

 

Tutto l’interesse dimostrato da Marco sfumò in pochi secondi. Da quando era entrata non gli aveva detto chi fosse e le ragioni per cui lo conosceva. Si era guardata bene dal rivelargliele. Ma in quel momento fu mossa a compassione; benché Marco si dimostrasse ostinato, non ricordare niente di sé e degli altri, doveva essere traumatizzante e spaventoso. Risvegliarsi in un mondo dove tutti ti conoscono e tu non conosci nessuno…un mondo che nel tuo sonno senza sogni non sapevi nemmeno che esistesse.

 

Si sedette di nuovo.

 

“Il passo può aspettare.”

“Non ti ho chiesto di rimanere.” Disse acido lui.

Che strano, all’idea non sembrava.”

 

Caterina si complimentò da sola per la capacità con cui riusciva a tenergli testa. Quattro anni di vita insieme erano alla fine serviti a qualcosa.

 

“Chi sei?” la domanda che tanto aveva atteso, giunse alla fine senza sorprendere Caterina più di tanto.

“Chi sono? Non sarebbe meglio che ti dicessi chi invece sei tu?”

 

Il ragazzo non rispose e Caterina interpretò il suo silenzio come un chiaro segno a continuare a parlare.

 

“Marco Orsini. Hai venticinque anni e, per quel che ne so io, lavori in una ditta di costruzioni come Ingegnere Edile. Hai una grande passione per le moto, ma a quando pare hai avuto un incidente che ti ha portato in coma per più di sette mesi.”

 

“Sono un ingegnere… dove mi sono laureato?”

“A Pisa.”

E per quanto tempo ho lavorato?”

“Per più di un anno… credo.”

“Non sembri convinta.”

“Non posso sapere tutto.”

 

Dopo qualche minuto trascorso in silenzio, Marco ripeté di nuovo la domanda.

 

E tu saresti?”

“Considerando come sono andate le cose… la tua ex fidanzata.

 

Marco sgranò gli occhi. La prima espressione diversa che Caterina gli aveva visto fare.

 

“La… la mia cosa?”

“Ex fidanzata.” Gli disse Caterina con maggior convinzione.

Vide Marco afferrarsi il volto con una mano.

“Per oggi è meglio smettere.” Disse Caterina alzandosi in piedi.

“Aspetta!”

 

Il tono di voce del ragazzo la bloccò all’istante.

 

“Come ti chiami?”

“… Caterina.”

“Caterina.” Ripeté il suo nome come per imprimerlo nella sua memoria.

Dimmi… ti amavo?”

 

Caterina sorpresa, si lasciò sfuggire una piccola risata.

 

“Presuppongo di sì… per lo meno prima che ci lasciassimo.”

E adesso?”

 

Caterina serrò le labbra come in una smorfia.

 

“N-non credo.” In fondo, lo pensava veramente.

Perché ci siamo lasciati?”

“Non credo che sia il momento giusto per parlartene. Disse Caterina, cercando una via di fuga a quel pressante interrogatorio.

“Per lo meno dimmi se c’è una persona a cui voglio bene ora!”

 

Lo sguardo della ragazza si fece cupo. Comprendeva la situazione in cui riversava Marco, ma quella conversazione stava andando per le lunghe e la stava ferendo più di quanto avesse immaginato. Non era giusto che fosse proprio lei a decantare il suo amore per Eleonora. O peggio, non era giusto che fosse proprio lei a dirgli che era morta.

 

“Non puoi pretendere che io risponda a queste domande. Disse, cercando di nascondere il tono ferito della voce. Marco l’osservò con attenzione, forse comprendendo il limite che voleva oltrepassare.

 

“Adesso devo andare. Domani tornerò a farti visita.

 

E dopo quelle parole, se ne andò veramente.

 

 

***

 

 

Quando aprì gli occhi, si sentì sollevato. I medici, seppur in modo confuso, gli avevano spiegato a grandi linee ciò che gli era successo e le sue condizioni fisiche e mentali. Per questo, sapendo, aveva avuto il terrore di non poter più aprire gli occhi, di non aver più la capacità di pensare. Come per la mattina precedente, un’infermiera venne per assisterlo e dopo tre giorni dal suo risveglio, ebbe la possibilità di sedersi sulla poltrona della stanza, abbandonando, almeno per mezza giornata, il letto che tanto odiava. Come era diventata ormai consuetudine, riceveva quotidianamente la visita di coloro che si erano definiti i suoi genitori; nonostante parlassero spesso di lui e della vita che conduceva prima dell’incidente, notò che non pronunciavano mai il nome di Caterina e tutte le volte che entrava nell’argomento, cambiavano discorso come per volergli nascondere qualcosa.

 

“Mamma?” alla fine aveva deciso di assecondare la donna, chiamandola nel modo che le spettava per natura. La madre sentendosi chiamata dal figlio, si voltò, distogliendo il proprio sguardo dal vaso di fiori.

 

“Quella ragazza… Caterina… in questi giorni non l’ho vista.

“Oh, Caterina…” disse la donna, sentendosi con le spalle al muro ,”… probabilmente il lavoro la impegna molto. In questi mesi veniva a farti visita quasi tutti i giorni, pur avendo orari poco flessibili. Ci ha aiutato molto quando io e tuo padre non potevamo assisterti.”

“Mi ha detto,” prese a dire Marco osservando la madre ,”che una volta eravamo fidanzati.”

 

La donna, sorpresa per quelle parole, urtò un bicchiere sul comodino del figlio, frantumandolo in mille pezzi. Con aria mortificata, la madre del ragazzo si chinò per raccogliere come meglio poteva i pezzi di vetro più evidenti; non conosceva sua madre, o per meglio dire, non la ricordava. Ma era chiaro perfino a lui che la donna aveva reagito troppo bruscamente alle sue parole.

 

Che lavoro fa?” disse, fingendosi interessato.

La madre, una volta alzatasi, gli sorrise “E’ una biologa. Pare che ultimamente abbia trovato lavoro in un Centro Nazionale di Ricerca.

“Sai il motivo per cui ci siamo lasciati?” Notando il silenzio persistente aggiunse “Ho provato a chiederlo direttamente a lei, ma non mi ha voluto rispondere. Pretendete che mi torni la memoria, ma non fate niente per aiutarmi a ricordare.

“Non è mai facile ritornare su certe questioni. Gli disse la madre, sedendosi di fianco alla sua poltrona.

“Invece io voglio tornaci! Maledizione, io VOGLIO ricordare!” Il tono alterato del figlio, portò la donna a fare un’ampio respiro.

 

“Vi siete conosciuti durante i primi anni di università… non so molto bene i particolari, ma posso dirti che siete stati fidanzati per ben quattro anni. Dopodiché vi siete lasciati a causa di un’altra donna.” Tagliò corto la madre.

 

“Un’altra donna?” Marco osservò la madre poco propensa a parlare.

“Si, proprio come te lavorava nella tua stessa ditta di costruzioni. Caterina ha scoperto la vostra relazione accidentalmente… e dopo, quando ti ha lasciato, hai iniziato a frequentare questa donna regolarmente. Marco notò una punta di amarezza nella voce della madre.

Se, come dici, è davvero la donna che amavo, per quale motivo non l’ho ancora vista?” domandò il ragazzo. La madre assunse un’espressione grave e di questo Marco se ne accorse.

Perché è morta.”

 

A quelle parole, seguì un silenzio di molti minuti. Marco si lasciò andare sullo schienale della poltrona, fissando con ostinazione la madre di fianco a lui. Sentì il cuore colmo di sorpresa. Non riusciva a provare tristezza perché non ricordava niente della donna in questione; la donna che amava era un emerita sconosciuta, come il resto delle persone che lo circondavano. Sentì una fitta di dolore alla testa, mentre a stento domandava il nome della donna alla madre di fianco a lui.

 

“Eleonora. Purtroppo non so dirti altro… non l’ho mai conosciuta di persona. Io e tuo padre non abbiamo mai approvato questa tua relazione.

Quando è morta? Prima o dopo il mio incidente?” domandò, ignorando la durezza nelle parole della madre. La donna l’osservò attentamente prima di rispondergli. Sembrava indecisa se parlare o meno. Gli psicologi che avevano preso in cura il figlio avevano raccomandato a lei e al marito di non svelare fatti od eventi troppo dolorosi… un eccesso di brutti ricordi avrebbe potuto risvegliare troppo violentemente una memoria già fin troppo latente.

 

“Non so se sia il caso di dirtelo.” Osservò la madre.

“Se non lo farai tu, costringerò quella ragazza a dirmelo. Le rispose, con un tono indifferente della voce. La madre gli rivolse uno sguardo di disapprovazione mentre incurvava gli angoli della bocca verso il basso.

“E’ morta durante l’incidente… viaggiava insieme a te, quando la moto ha sbandato fuori strada.” La verità pronunciata dalla madre lo pugnalò diritto al cuore; la sua schiena fu percorsa da un brivido che scomparve non appena raggiunse la base del collo. Una sensazione di nausea lo invase, mentre con ostinazione cercava dentro di sé una traccia di colpa. Un misero senso di colpa che avrebbe contribuito a far rinascere la sua memoria; ma per quanto si sforzasse, provava solo indifferenza. La stessa indifferenza che si prova quando si spengono persone a noi del tutto sconosciute.

 

 

***

 

Non lo sapeva con certezza, ma aveva avuto la sensazione che lei, fin da quando era entrata nella stanza, avesse in tutti i modi cercato di evitare il suo sguardo. E anche in quel momento, mentre era intenta a sistemare dei fiori nel vaso, non aveva mai voltato il capo verso la direzione del letto. Memore delle parole della madre, Marco si vergognò di provare indifferenza nei confronti di ciò che era successo, come si vergognava, allo stesso modo, di ciò che aveva fatto: innamorarsi di una donna, condividendo il letto con un'altra (perché questo era ciò che lui immaginava).

 

“Tu e mia madre non fate altro che riempire questa stanza di fiori, adesso anche finti.”

Disse, tentando di smorzare la situazione.

“Questi fiori non sono finti, ma di carta… il che è diverso. Precisò Caterina.

“Di plastica, di carta che differenza vuoi che faccia? Rimangono comunque dei fiori fittizzi.”

“Fittizzi o no, sono belli. Peccato che negli anni anche loro si deteriorano. Disse Caterina, osservando sconsolata i fiori cartacei.

Quindi, oltretutto sono anche inutili.” Disse Marco, sbuffando.

 

Caterina sospirò: anche se i fiori di carta non profumavano e non erano capaci di riempire l’occhio con il loro splendore, si deterioravano esattamente come i fiori veri e propri. Quella mattina, dopo averli comprati, aveva formulato una strana analogia tra essi e il suo amore per Marco. A lungo andare i fiori bianchi si sarebbero ingialliti esattamente come i suoi sentimenti. Infine si sarebbero sgretolati esattamente come la loro storia.

 

 

“Come stai oggi?” Domandò la ragazza, scacciando via i suoi pensieri.

“Mi fa male la testa.” Disse Marco con tono coinciso e un po’ brusco. Benché celasse non curanza, aveva cercato tutta la notte di ricordare la sua vita precedente, la sua vita prima dell’incidente senza però ottenere dei risultati… come se, a un tratto, il suo pensiero si bloccasse di fronte a un ostacolo, del tutto incapace di attraversarlo.

 

La vide rimanere in silenzio, mentre avvicinava una sedia vicino alla sponda del letto. Prima di quel giorno, non aveva avuto modo di guardarla… guardarla veramente. Mentre si chinava per prendere posto, due ciuffi di capelli castani le scivolarono davanti alle spalle, ricoprendo quell’unica porzione di pelle nuda che si intravedeva attorno al collo. Era vestita con abiti sobri, che allo stesso tempo conferivano un aspetto elegante e distinto; non era truccata e non aveva gioielli, eccezion fatta che per un  paio di pendenti. Era carina e, seppur non bellissima, molto attraente. Probabilmente, come ragionò Marco in quel momento, era quel genere di ragazza che non metteva in prima linea il proprio corpo, ma preferiva coltivare la sua intelligenza.

 

“Hai detto di chiamarti Caterina, vero?”

Si, l’ho detto.”

“Mia madre mi ha raccontato pressochè tutto,” disse, senza rigiri di parole. Notò le guance della ragazza diventare di un rosato molto acceso.

“Oh, bene.” Reagì Caterina, con un’espressione sorpresa.

“Non mi domandi cosa ne penso?” le domandò Marco, senza guardarla negli occhi.

Dopo un breve attimo di pausa, Caterina accennò a un lieve sorriso “No. Semplicemente perché credo di sapere ciò a cui pensi.”

E sarebbe, signora Indovina?”

Caterina lo fissò; aveva assunto l’espressione di chi cercava, in tutti i modi, di trovare le parole più appropriate da dire.

“Se, come dici, non ricordi niente… dubito che tu possa capire qualcosa di ciò che è avvenuto in passato… non puoi pensare niente visto che non rammenti i sentimenti che ti legavano a me ed a Eleonora.”

 

Caterina si sorprese della facilità con la quale aveva pronunciato quel nome.

 

“Eleonora…”

 

La voce pacata di Marco che pronunciava un nome per lei tanto peccaminoso, smosse un poco la gelosia sopita nell’animo di Caterina.

 

“Ho parlato con il dottore che ti ha in cura. Tra qualche giorno potrai iniziare la riabilitazione. E’ una buona cosa. Disse Caterina, cercando di distogliere l’attenzione del ragazzo sulla conversazione precedente.

 

“Tsk, quello è solo bravo con le parole. Le mie condizioni fisiche sono pessime.

“Invece il cervello mi sembra fin troppo funzionante. Disse lei, serafica.

Se la cosa ti dispiace, puoi fare anche a meno di venire. Nessun ti obbliga.”

 

Caterina rimase per qualche secondo in silenzio e poi, alzatasi dalla sedia, raggiunse i piedi del letto. Marco, semi-sdraiato, l’osservò con aria interrogativa fino a quando la ragazza prese a fissare la parte della coperta che ricopriva i suoi arti inferiori. Caterina, con leggerezza, premette le dita attorno alle caviglie del ragazzo.

 

“Non senti niente?” domandò.

Marco, pur concentrando la sua attenzione sul punto di contatto, scosse la testa in segno di diniego. La mano di Caterina risalì lungo la gamba, toccando il ginocchio ed infine il femore del ragazzo. Quando sollevò lo sguardo, notò un’espressione di disagio dipinta negli occhi grigi di Marco.

 

“Qualcosa non va?”

“Ci stai mettendo… troppa confidenza.” Le rispose Marco, abbassando lo sguardò verso la mano di lei. Caterina sorrise, per niente imbarazzata.

“Siamo stati fidanzati per quattro anni… credimi, questa non è certo l’unica parte del tuo corpo che ho toccato.” Concluse, imprimendo una buona dose di malizia nelle sue parole. Per tutta risposta, Marco emise un suono molto simile a un grugnito e, benché tentasse di ostentare un’aria indifferente, le sue guance lo tradivano accennando a un lieve rossore.

 

“Anche se il dottore è un ciarlatano,” prese a dire Caterina, ricollegandosi al discorso precedente ,” la riabilitazione potrebbe farti acquistare di nuovo l’uso delle gambe.”

E a cosa servono le gambe se non posso avere indietro la mia memoria?”

“Tornare a camminare è un desiderio che molte persone vorrebbero veder realizzato. Potrebbe essere un passo in avanti.

“Non hai idea,” disse Marco, stringendo i pugni attorno alle lenzuola .”di quello che si prova la mattina quando ci si risveglia; non sapere chi sei, non ricordare niente e nessuno. Non puoi sapere cosa significhi avere un muro che ti impredisce di guardare il mondo al suo esterno! Non riesco nemmeno a ricordare i volti delle persone che ho amato e che ho odiato!”

 

Caterina notò che Marco aveva preso a respirare in modo affannosso.

 

“E’ vero. Non possiamo capirti, ma possiamo aiutarti! Dopo un incidente del genere è un miracolo solo il fatto che tu sia vivo; ti sei risvegliato senza subire danni alla parola e al pensiero, non puoi camminare, ma hai la possibilità di tornare a reggerti sulle tue gambe con una riabilitazione intensiva! La perdita di memoria può essere momentanea, come può andare avanti per anni, ma, accidenti, sei VIVO!” disse Caterina tutto d’un fiato.

 

“Quando ti portarono qui,” prese a dire, tornando a sedersi ,”non volevo venire. Credevo che dopo tutto quello che era successo tra noi, non meritassi né la mia compassione, né la benché minima attenzione. In un certo senso, pensavo egoisticamente che non eri più affar mio. Ero arrabbiata con me stessa perché non avevo fatto niente per farti tornare da me ed ero arrabbiata con te per il modo in cui mi avevi trattato, per come avevi dato scarsa importanza ai miei sentimenti. Ti ho odiato. E in parte mi sei tutt’ora insopportabile. E proprio per questo,” disse sollevando il capo sorridente ,”non lascerò che tu scelga la via più semplice dell’abbandono, dovrai sgobbare fino all’ultimo per tornare ad essere ciò che eri.”

 

“E se un giorno dovessi recuperare la memoria, cosa faresti?” domandò Marco, senza accennare a un minimo di emozione.

 

“Quando arriverà quel giorno, ci penserò. Disse semplicemente Caterina.

 

“Sei davvero stupida.” Disse Marco, scuotendo il capo. “Solo una stupida tornerebbe da chi l’ha tradita. Caterina sorrise mestamente.

“Ma io non sto tornando dal Marco borioso e allegro che mi ha tradito… sto solo cercando di aiutare una persona scorbutica che vuole dettar legge su ogni cosa.

 

 

***

 

Con sguardo neutro, sfogliava le pagine di un album di famiglia. Quella stessa mattina, sotto sua esplicita richiesta, sua madre aveva tolto dalla polvere degli scatoloni le fotografie che avevano ritratto la loro vita in più di una pellicola sensibile. Osservava ciascuna foto per molti minuti, chiedendo spesso alla madre di raccontargli ciò che aveva preceduto lo scatto. E la donna, felice per l’innaspettato interessamento, gli forniva con doverosa pazienza tutte le risposte alle due domande.

 

“Questo è il giorno in cui tu e Caterina vi siete laureati, stavate sempre insieme.”

E questo chi è?” domandò Marco, puntando il dito indice contro l’immagine di un uomo sorridente.

“Massimiliano. Un tuo amico fin dai tempi delle medie. Adesso lavora negli Stati Uniti.”

 

Marco chiuse di scatto l’album, suscitando sorpresa nella madre. Con delicatezza lo ripose sul piccolo comodino che affiancava il letto.

 

“Sono stanco. Voglio dormire.” Disse. Un chiaro invito alla madre di lasciarlo da solo.

Ma è ancora presto prima della chiusura del passo. Sei sicuro che non ti serve niente?”

 

Marco non le rispose, semplicemente si limitò ad abbassare la sponda automatica del letto. La donna, un poco contrariata per quel comportamento poco rispettoso, prese le proprie cose e abbandonò la stanza del figlio. Appena fuori, vide Caterina camminare verso di lei.

 

“Buongiorno.” Disse Caterina ossequiosa.

Ciao, cara. Sei venuta a trovarlo anche oggi? Ti rovinerai la vita, credimi.”

“E’ forse successo qualcosa?”

“Oh, diciamo che Marco è di nuovo scorbutico. Fossi in te non entrerei. Mi ha liquidato dicendo che vuole dormire.”

 

Detto ciò, la donna si allontanò, dopo aver salutato la ragazza.

Caterina rimase in piedi, osservando le spalle della donna mentre si incamminava verso l’uscita. Il suo sguardo si spostò, successivamente, sulla porta della stanza in cui era ricoverato Marco; memore delle parole della madre, Caterina si affacciò con cautela, volgendo lo sguardo al letto.

Marco si voltò, avvertendo la presenza della ragazza.

 

“Mi è stato riferito che oggi sei più scorbutico del solito. Disse Caterina.

“Dipende da cosa si intende per scorbutico.”

 

La classica frase evasiva, pensò Caterina.

 

“Voglio evitare di dispiegare al vento le mie doti intellettive, quindi, mi domando se posso entrare.

“Sono stanco e ho sonno.” Fu la risposta di Marco.

“Ok, allora entro. Disse Caterina, entrando. Marco l’osservò con sguardo sorpreso e contrariato. A differenza della madre, Caterina non sembrava rimaner più di tanto offesa dal suo comportamento. E forse era proprio quel suo aspetto, che lo interessava.

 

Appena seduta, Caterina estrasse dalla propria borsa qualcosa di molto simile alla carta.

“Ieri mi sono permessa di entrare nel tuo appartamento.

“Appertamento? Non sapevo di averne uno.” Disse Marco, fissando la ragazza.

“Si, vivevi da solo.

“Oh, e come hai fatto ad entrare?” domandò il ragazzo, sollevando un sopracciglio.

“Semplice. Quando stavamo insieme abbiamo condiviso lo stesso spazio e a me è rimasta una copia delle chiavi.

“Ah.”

 

Marco tornò ad osservare le mani della ragazza che stringevano delle foto.

 

“Se sei venuta per ravvivare la mia memoria, oggi non è giornata. Osservò acido.

“Ho pensato a ciò che mi hai detto…quindi ho deciso di dare un volto alle persone di cui ti parliamo. Come conseguenza alle tue parole, ho portato queste.

 

Caterina gli mise tra le mani una prima foto.

 

“In questa foto eravamo a Praga durante il periodo primaverile. Il ragazzo con te nella foto si chiama Andrea. Ecco, tu l’hai sempre odiato.

“Odiato? Ma se abbiamo l’aria di divertirci?”

“Oh, certo… ma non hai la più pallida idea di quanto c’hai messo per fare la foto. Sei sempre stato molto bravo a mascherare i tuoi sentimenti ed in un certo senso l’hai fatto anche con me.

 

Prima che potesse replicare, Caterina gli porse una seconda foto.

 

“Qui siamo io e te in un locale che eravamo soliti frequentare. Ti ho portato questa foto perché mi è sembrato molto strano trovarla nel tuo appartamento.

E che vuoi che ne sappia io?”

Di solito finita una relazione le foto si gettano via o per lo meno si nascondono.”

“Mi sarà sfuggita.”

“No, perché ne ho trovate delle altre… comunque, andiamo avanti.”

 

Terza foto. Stavolta data con maggior esitazione.

 

“Chi è?” domandò Marco, osservando una donna mora dai lunghi capelli riccioli.

“Eleonora.” Disse asettica Caterina.

 

Il ragazzo ebbe come un sussulto. Al suo fianco, stava seduta colei che si era identificata come la sua ex-ragazza, mentre, in una mano, stringeva l’ultima persona che, come gli era stato detto, aveva amato.

 

“Ho pensato che era giusto che tu la vedessi. Nasconderti la sua identità sarebbe stato un gesto egoistico. Al suo posto mi sarei risentita.

 

Con un gesto che la sorprese, Marco lasciò andare la foto che, ondeggiando con leggerezza, cadde a terra.

 

“E’ inutile. Non ricordo niente e nessuno.

 

Però, nel non ricordare niente, era certo di una cosa: il tremendo senso di disagio che stava provando in quel momento. Caterina si chinò per raccogliere la foto, riponendola, un secondo dopo, insieme alle altre.

 

“Hai deciso,” disse riponendo le foto nella borsa ,”per la riabilitazione?”

“Non ho avuto il tempo per pensarci.”

“Ah.” Caterina osservò Marco: il tempo era sicuramente l’ultima cosa che gli mancava.

“Potremmo andare fuori in cortile. Oggi è una bella giornata… è uno spreco stare sempre rinchiuso qui dentro. Che ne dici?” Propose la ragazza, per niente fiduciosa in una risposta positiva.

 

“Non ho intenzione di essere portato su una sedia a rotelle. E’ degradante. Disse Marco con disprezzo. Caterina, con mossa improvvisa, afferrò l’esile polso del ragazzo.

“Allora lo vedi quanto sei stupido?! Non fare la riabilitazione vuol dire rimanere su una sedia a rotelle a vita! Ma tu, che della riabilitazione te ne freghi, non vuoi la sedia a rotelle! Se credi che tutte le persone attorno a te siano sceme, allora lascia che ti dica una cosa: tutti, me compresa, si stanno preoccupando per la tua stupida salute e se credi che siamo qui per pura e semplice compassione… bhé mi dispiace deluderti!! Ma hai ragione, la vita è tua e se vuoi continuare ad essere rilegato in un letto d’ospedale mentre ti logri fino allo sfinimento non sarò certo io a impedirtelo. Vuoi rimanere così? E allora smettila di lagnarti e sta zitto!”

 

Lasciò andare la presa sull’arto del ragazzo, ricomponendosi per non attirare più di tanto l’attenzione delle altre persone.

 

“Ti ripeto la domanda: vuoi uscire?”

 

 

***

 

 

A Caterina parve chiaro l’intento di Marco di non parlarle.

Mentre spingeva con cura la carrozzina lungo il viale alberato, aveva abbassato più volte lo sguardo per studiare il comportamento del ragazzo. Marco, dotato esclusivamente di una coperta e di una giacca a vento, si lasciava trasportare da Caterina, che aveva volutamente deciso di ignorare.

 

L’ospedale in cui era ricoverato Marco disponeva di un ampio giardino dove molte persone solevano passeggiare per allontanarsi dal grigiore delle proprie stanze. Ed esattamente come Caterina, altre persone accompagnavano nella loro camminata consueta, i propri malati. La ragazza, sentendo le proprie braccia indolenzite, decise di fermarsi, attirando su di sé la disapprovazione di Marco.

 

“Ehi, nessuno ti ha detto di fermarti!” sbottò il ragazzo.

“Ehi,” fece eco di scherno lei ,”tu non sei nella posizione di poter scegliere.”

 

Marco, sbuffando e costretto dalle circostanze, si limitò a rimanere in silenzio, mentre Caterina prendeva posto su una panchina. I raggi caldi del sole che sfioravano la pelle le arrecarono un senso di sollievo e beatitudine, tanto che, instintivamente, chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel dolce tepore. Quando le sue iridi tornarono a vedere, un uomo, a prima vista loro coetaneo, stava in piedi, sorridente.

 

“Massimiliano!”

 

Caterina si alzò, salutando calorosamente l’uomo che Marco, inizialmente, non riconobbe. Udito il nome dalla ragazza, Marco ricordò una delle foto che sua madre gli aveva portato quella stessa mattina e come il sole che sguarcia le nubi, il volto dell’uomo non gli parve più molto estraneo.

 

“Marco!” L’amico gli s’avvicinò con premura. Quando gli afferrò le mani, intrappolandole tra le sue, Marco sentì una sensazione di repulsione.

“Spiacente,” prese a dire Marco, indifferente ,”ma non mi ricordo di te.”

Massimiliano, rimasto sorpreso da quelle parole, si rivolse verso Caterina che, annuendo, non fece altro che confermare quanto Marco aveva detto.

“Allora non lo sapevi che ha perso la memoria…”

“No, sinceramente sono tornato dagli Stati Uniti solo oggi.

“Massimiliano, eh?” Marco fece un mezzo sorriso. “Mia madre mi ha parlato di te oggi. A quanto pare eravamo amici.”

“A quanto pare…” si limitò a dire l’uomo.

 

Caterina, percependo una strana tensione nell’aria, sorrise imbarazzata invitando i due ragazzi a rientrare. Una volta nella sua stanza, Marco fu aiutato da due infermieri e tornò ad assumere la sua consueta posizione da semi-sdraiato. Per la centesima volta da quando si era svegliato, Marcò ascoltò la storia del proprio incidente che Caterina, con dovizia nei particolari, stava meticolosamente raccontando al loro presunto amico. Dal canto suo, Marco si limitò ad ascoltare, osservando di tanto in tanto le espressioni facciali di Massimiliano; per una ragione che non sapeva spiegarsi, provava una certa diffidenza per l’uomo che gli sedeva accanto, ma soprattutto per l’uomo che si era proclamato suo amico.

 

Quando Caterina terminò di parlare, Massimiliano espresse la sua opinione riguardo la riabilitazione e, come Marco immaginava, tale opinione coincideva con quella di Caterina. E fu proprio osservando la ragazza, che quella sensazione di diffidenza nei confronti dell’amico continuò a crescere: per tutto il tempo in cui Caterina aveva avuto modo di parlare, aveva mostrato una certa mietezza nei movimenti ed una pazienza che con lui non era mai esistita.

 

Provò un sentimento che, seppur in modo confuso, riconobbe come “gelosia”.

 

La sera, quando sia Caterina che Massimiliano se ne andarono, giunse la madre del ragazzo.

“Caterina mi ha detto che Massimiliano è venuto a farti visita.”

“Mhm.” Si limitò a dire Marco.

“Allora è proprio vero che hai perso la memoria… un tempo non gli avresti mai parlato.

 

Incuriosito dall’affermazione della madre, Marco la incitò a continuare il discorso.

 

“Bhè, non c’è molto da dire,” si fece pregare la madre ,”da quel che ne so Massimiliano ha sempre avuto un debole per Caterina… anche nel periodo in cui tu e lei stavate insieme.”

“Questo potrebbe spiegare la mia diffidenza. Disse Marco, ripensando al sentimento provato nel pomeriggio.

“Diffidenza? O caro, io parlerei piuttosto di gelosia. Quando hai scoperto che amava Caterina andasti su tutte le furie! Ricordo che tornasti a casa con due lividi sul volto e mi toccò medicarti con bistecche sanguinanti…” disse allegramente la madre.

“E Caterina,” prese a dire Marco, distogliendo la sua mente da tale visione ,”lo sa?”

“Non credo. Può darsi però che Massimiliano si sia confessato dopo che vi siete lasciati.”

 

Poteva essere, pensò Marco. E ciò poteva spiegare il comportamento mite e pacato della ragazza.

 

 

 

***

 

 

“Io e chi?” domandò sbalordita Caterina, smettendo di sbucciare la mela che teneva in mano.

“Non lo ripeterò una seconda volta.” Disse monocorde Marco. La ragazza, osservò sbalordita l’ex fidanzato, mentre un rosato tenue andò a dipingerle le guance.

Quando ci metti a sbucciarmela?” domandò Marco esigente. Caterina, come risvegliatasi in quel momento, gli porse la mela, senza avere la più pallida idea di come reagire a tale domanda.

“Ametto che…” prese a dire con riluttanza ,”… dopo che ci siamo lasciati si è fatto avanti.”

Marco smise di addentare la mela, tornando con lo sguardo a Caterina.

Ma ho rifiutato!” si affrettò a dire la ragazza, quasi come se volesse giustificarsi. Il ragazzo tornò con la propria attenzione sul frutto e Caterina trasse un sospiro di sollievo nel veder lontani occhi così grigi ed intensi.

“Questo... è il frutto del peccato, non è vero?” domandò Marco, con lo sguardo rivolto alla mela che teneva tra le mani. Prima che Caterina potesse rispondergli con un affermazione, Marco la precedette.

“Chissà perché, ma alcune cose, come questa, le ricordo. Non ricordo niente della mia vita, ma so con certezza che la mela è il frutto del peccato. Non è stato solo l’uomo ad essere tentato. La donna è altrettanto peccatrice. Disse, tornando con lo sguardo alla ragazza.

 

Caterina rimase in silenzio, ingabbiata da quelle parole.

 

“Una cosa… la ricordo.” Farfugliò Marco, mentre riduceva gli occhi a due fessure nello sforzo di ricordare. All’improvviso un’immagine nitida e chiara gli attraversò la mente: benché fosse stata solo una reminiscenza della durata di pochi secondi, riuscì a distinguere l’immagine di Caterina. Ed insieme ad essa, quella di Massimiliano.

 

Sorpreso da un flashback di tale portata, Marco si afferrò il capo con le mani, mentre altre sequenze di ricordi sconnessi penetravano prepotentemente la sua mente. Uno dopo l’altro, alcuni frammenti della sua vita si sovrapposero… Eleonora, la sua moto, Caterina e di nuovo Massimiliano. Non avendo potere sui propri ricordi emergenti, gemette, mentre la testa  gli pulsava per lo sforzo causato da quelle immagini. E mentre sprazzi di memoria tornavano ad emergere in Marco, Caterina si spaventò non poco per la reazione improvvisa del ragazzo. La donna si avvicinò alla sponda del letto e toccò con mano tremante la spalla del giovane.

 

Marco, credendo di aver finalmente compreso almeno in parte un particolare preponderante della propria vita, scacciò violentemente la mano della ragazza, mosso da un forte senso di repulsione. Caterina, sorpresa e spaventata allo stesso tempo, ritrasse la mano offesa.

“Marco?”

“Vattene via.” La voce era diventata dura e tagliente.

Caterina non disse niente, rimase semplicemente immobile.

“Esci subito.” Marco, senza fissare la ragazza, si trattenne dall’urlare.

“Si può sapere che ti prende adesso?” Ebbe finalmente il coraggio di dire Caterina.

 

Il ragazzo non rispose alla sua domanda e intimò Caterina ad andarsene con un tono di voce sempre più elevato. Dopo pochi minuti, entrambi si accorsero di aver attirato l’attenzione delle persone che passavano per il corridoio del reparto.

 

“Dimmi, riesci a mentire come hai fatto con me anche con le persone che ti porti a letto?!” Marco, incurante di calibrare le proprie parole, rivolse uno sguardo furente alla ragazza di fianco a lui. Caterina, dal canto suo, rimase interdetta di fronte ad una frase tanto diffamatoria.

“Non capisco di cosa stai parlando.” Ribattè.

“Ah, non capisci. Le rispose velenoso Marco. “A quanto pare non sono l’unico ad aver perso la memoria.”

“Se c’è qualcosa che tu sai ed io no, probabilmente non mi riguarda. Disse, sulle difensive, Caterina.

“Oh, ti riguarda eccome. Ma non solo te… anche quel bastardo di Massimiliano. Sentendo tirare in ballo anche il nome dell’altro uomo e vedendo l’atteggiamento sempre più arrabbiato di Marco, Caterina sospettò che ci fosse davvero qualcosa a cui lei non aveva dato particolare importanza.

“Sono sicuro che hai goduto nello scopare entrambi indifferentemente!”

Il respiro di Caterina si bloccò e il petto della ragazza, seppur per pochi secondi, non si sollevò.

“Stai dicendo cose assurde! Mi stai forse accusando di essere andata a letto con il tuo migliore amico?” Caterina si ritrasse offesa.. Non riusciva a comprendere la situazione, né tanto meno la reazione del ragazzo. In pochi minuti era stata accusata di un torto che sapeva di non aver commesso. Dalla convinzione che fuoriusciva dalle parole del ragazzo, Caterina comprese che la memoria latente stava riaffiorando, benché non trovasse concordanza con ciò che era realmente accaduto nella loro vita.

 

E smettila di fingere!”Ringhiò Marco furente. Di lì a poco, la sua rabbia si trasmise nei suoi gesti e, con uno scatto violento della mano, il ragazzo fece cadere a terra tutto ciò che stava sul comodino di fianco al suo letto. Caterina si spostò, evitando i frammenti di un bicchiere che cadde rovinosamente a terra.

 

“Ricordo…Un giorno ti dissi che sarei rincasato tardi, ma quando tornai ti beccai in compagnia nel MIO letto e con UN ALTRO UOMO!”

 

“E’ impossibile…” disse Caterina dispiegando le labbra in un sorriso amaro.

 

“Hai recitato molto bene il tuo ruolo di santarellina, credevi forse che la memoria non sarebbe più tornata? Mi spiace deluderti, ma non ha funzionato.

 

“Si può sapere cosa vai farneticando? Io non ho mai fatto una cosa del genere…” Caterina scosse la testa, negando con tutta se stessa. Realmente non ricordava e sapeva di non aver mai fatto un torto simile alla persona che le stava di fronte.

 

“La tua ostinazione mi fa schifo.” Disse con disprezzo Marco, mentre una smorfia attraversava il suo bel volto. “Rispetto. Stronzate. Pretendevi rispetto, ma sei stata la prima a non darne. E hai pensato bene di infinocchiarmi con le tue belle parole. Adesso ti stupisci ancora del perché ti ho mollato? Anzi... lo sai perché ti ho tradito? Per farti assaporare lo stesso dolore che ho provato io. Adesso ricordo tutto con chiarezza. Eleonora… lei non era una persona costruita. Almeno lei non aveva interesse di portarsi a letto quel bastardo del mio migliore amico."

 

A Caterina parve tutto inconcepibile.

 

A quanto pare ti è tornata la memoria.”

Alle spalle di Caterina comparve la figura snella ed elegante di Massimiliano. La ragazza, cercando in lui una via di salvezza, pregò l’uomo di dire a Marco ciò che era successo veramente, ovvero che loro due non avevano mai avuto rapporti sessuali durante la relazione di Caterina con l’ex-fidanzato.

“Mi spiace, ma non posso.” Massimiliano chinò il capo e quel gesto aumentò le convinzioni di Marco.

Cosa vorrebbe dire che non puoi?” domandò sgomenta Caterina. “Non c’è mai stato niente. E’ assurdo! Perché non neghi?!

“Non posso semplicemente perché ciò che ha detto Marco… è vero.

 

Caterina sgranò gli occhi.

“Stai scherzando. Mi state prendendo in giro, non è vero?” arretrò di qualche passo, con la speranza di scorgere l’aria canzonatoria sui volti dei ragazzi.

“E’ rivoltante quanto tu ti ostini a mentire.” Disse sprezzante Marco. “E tu”, prese a dire rivolto a Massimiliano “sei spregevole quanto lei. Andatevene via, subito.”

Caterina, raggiunta l’apice della disperazione, afferrò la giacca di Massimiliano, schiaffeggiandolo con quanta più forza aveva. Le lacrime, lentamente, presero a scenderle dalle guance, mentre si ostinava a credere nella sua innocenza.

“Perché diavolo stai mentendo, stronzo!??” gridò con voce strozzata.

Massimiliano afferrò il polso della ragazza, allontanandole la mano dalla sua giacca.

 

“In verità… c’è una spiegazione al motivo per cui tu non ricordi niente.”

 

Sia Caterina che Marco lo fissarono, chi con lo sguardo appannato dalle lacrime, chi con la rabbia negli occhi.

“Quella sera, mentre aspettavamo il ritorno di Marco, mi offristi da bere. Alla fine, considerato il numero ingente di lattine di birra, ti sei ubriacata ed io… io credo di averne approfittato. Disse, con un filo di voce. Caterina rimase ad osservarlo incredula.

“Mi dispiace. Ma ho sempre invidiato Marco tanto che quando vi siete lasciati sono stato felice. Molto felice.” Prima ancora che Massimiliano potesse alzare lo sguardo per osservare le due persone di fronte a lui, Caterina rimarcò un secondo schiaffo sulla guancia dell’uomo, mentre le lacrime sembravano poco intenzionate a smettere di scendere.

“LURIDO BASTARDO!” gridò, piangendo. Caterina uscì dalla stanza, correndo, e nella sua fuga, travolse la madre di Marco che nel mentre stava entrando nella stanza. Sorpresa per il comportamento della giovane, la signora Orsini rivolse lo sguardo ai due ragazzi.

Cosa è successo qui?”

Senza rispondere alla madre, Marco fece per alzarsi dal letto, ma cadde rovinosamente a terra. Avendo intuito le intenzioni dell’amico, Massimiliano arretrò di un passo e scappò dalla stanza, travolgendo a sua volta un’infermiera attirata dalle grida. La madre del ragazzo corse per sorreggerlo e dalle frasi sconnesse che andò pronunciando, la signora Orsini intuì ciò che era successo. Tentò di placare la rabbia del figlio che, nel mentre, malediceva la propria incapacità di correre. Sorretto dalla genitrice e dall’infermiera, Marco tornò con le spalle appoggiate al materasso e la testa affondata nel cuscino.

 

***

 

Un anno dopo

 

“Mamma, cosa stai facendo ancora qua?” Marco si affacciò alla camera dove per lungo tempo aveva trascorso la sua degenza. La madre, che stava dando le spalle alla porta, si voltò, tenendo tra le braccia un fascio di fiori.

“Stavo dimenticando questi fiori nel vaso. Disse, afferrando con una mano la borsa che aveva posato sul letto.

“Non capisco perché diavolo vuoi portarteli via. Sono finti e sicuramente tornerebbero comodo al mio successore. Disse Marco, canzonando la madre.

“Oh, non essere sciocco. A me questi fiori piacciono e quindi me li porto a casa. Disse la signora Orsini con una naturalezza che al figlio parve disarmante.

“Tra l’altro li portò Caterina durante la tua convalescenza. Mi sembra un peccato lasciarli qua. La madre, incurante di aver ricordato al figlio la ragazza, uscì dalla stanza.

 

Marco mosse un piede e, camminando adagio, uscì dall’ospedale. Esattamente di rimpetto all’entrata, il padre camminò verso di lui con la chiara intenzione di aiutarlo mentre Sara lo attendeva ansiosa in macchina. La riabilitazione sembrava aver avuto effetto, tanto che, seppur a fatica, Marco era riuscito ad abbandonare le stampelle. I medici avevano acconsentito alla sua uscita una settimana prima di quel giorno e lui aveva accettato di buon grado la notizia. La sua memoria era stata parzialmente ricostruita anche se presentava in alcuni punti lacune o vuoti che non ricordava. E con la mente si era accesso di nuovo il sentimento che lo legava ad Eleonora: la morte della ragazza non fu più indifferenza, ma tristezza e senso di colpa.

 

Per il resto, i pezzi mancanti sarebbero di nuovo tornati alla luce, esattamente come dei reperti archeologici. Sapeva che tutto ciò che doveva fare era semplicemente avere pazienza. Quando la macchina si mise in moto, il paesaggio prese a sfrecciare velocemente oltre il vetro del finestrino; per due anni e più non aveva riassaporato il senso di libertà che stava provando in quel momento. Benché fosse felice di dare nuovamente una continuazione alla propria vita, Marco aveva l’impressione che vi fosse una mancanza dentro di sé, una mancanza per niente analoga ai suoi vuoti di memoria. E quando pensava a Caterina, questa mancanza si riempiva per pochi secondi di un senso a lui sconosciuto.

 

 

***

 

Sorrise al mazzo di fiori che un uomo, un anziano dall’aria allegra e per niente stanca, gli aveva dato in occasione del Congresso tenuto a Roma di Genetica Applicata. Sentì la fragranza emanata dai fiori, adesso rivolti sul sedile accanto a lei. La voce microfonata della hostess pregò i passeggeri di allacciarsi le cinture, avvertendoli dell’imminente atterraggio. Dopo che l’aereo ebbe terminato la sua corsa, la rampa per i passeggeri fu applicata al fianco del veivolo. Caterina afferrò i fiori e il proprio bagaglio a mano, attendendo il proprio turno per scendere. L’aria dicembrina le sferzò il volto, mentre a fatica si sistemava il foulard che aveva avvolto intorno al collo. Le mani, intorpidite dal freddo, andarono riscaldandosi non appena la donna mise piede nel Terminal dell’aereporto. Prese ad osservare la folla, alla ricerca della persona che aveva pregato di andarla a prendere. In lontananza vide la mano di una donna che sventolava in alto verso la sua direzione.

“Giulia!”

“Finalmente, pensavo tu non tornassi più!”

“L’aereo ha avuto un ritardo, mi spiace di averti fatto aspettare così tanto.”

“Non preoccuparti, tanto in laboratorio c’è chi mi sostituisce. Il Congresso? Com’è andato?”

“Le solite cose, ipotesi, teorie, teorie, ipotesi. Disse sbuffando, dirigendosi verso il Ritiro Bagagli. Dopo aver recuperato il proprio bagaglio, gentilmente trascinato dall’amica Giulia, Caterina fece per dirigersi verso l’uscita dell’aereoporto. Non appena le porte scorrevoli si richiusero alle loro spalle, Caterina notò l’amica fermarsi.

“Qualcosa non ?” domandò Caterina, osservando Giulia.

“A dire la verità non sono venuta da sola. C’è un’altra persona che è venuta a prenderti… e a dir la verità ho pensato di farti accompagnare da lei.”

Caterina alzò un sopracciglio, un poco contrariata per la decisione intrapresa dalla collega.

E chi sarebbe? Mia madre?”

Giulia non rispose, si limitò ad indicare con un dito un punto oltre le spalle di Caterina. La ragazza si voltò puntando con lo sguardo la direzione che le era stata indicata e, nonostante i raggi del sole che gli abbagliavano gli occhi, Caterina riconobbe la figura di un uomo che conosceva molto bene.

“Oh, no, no, non se ne parla neanche!” prese a dire, gesticolando.

Ma…”

“Io vengo a casa con te. Punto e basta.” Detto ciò, prese a camminare verso il piazzale dell’aereporto, ignorando completamente l’uomo che la stava aspettando. Giulia tentò di fermare l’amica e l’uomo, capita la reazione di Caterina, si spostò a passo veloce per raggiungerla. Quando il mazzo di fiori le scivolò di mano, cadendo sull’asfalto bagnato, Caterina fu costretta a fermarsi; in pochi secondi, vide una mano afferrare lo stelo del mazzo, sollevandolo completamente. Caterina si riportò diritta sulla schiena, avvampando, nonostante il freddo, di fronte alla persona che le stava di fronte.

“Sempre di corsa. Volevi forse evitare qualcuno?” disse l’uomo, ironicamente.

“Può darsi.” Caterina afferrò il mazzo di fiori che le veniva porto.

“Sono fiori veri quelli?”

Caterina spostò lo sguardo sui fiori, come se la domanda, formulata in modo coinciso, necessitasse di una risposta altrettanto concreta.

“Si.” Rispose ingenuamente.

Giulia, che aveva assistito da lontano alla scena, si avvicinò ai due, sorridendo lieta all’uomo.

“Sono felice di vedere che stai bene, Marco.

L’uomo sorrise in modo impacciato.

 

Un sorriso che non gli si addice, pensò Caterina.

 

“Bene, allora, visto che ti sei offerto volontario ti lascerei Caterina in custodia.” Disse Giulia, prendendo dalla borsa le chiavi della sua auto.

Ma, sbaglio o dovevi parlarmi di qualcosa?” domandò Caterina, sperando che l’amica captasse il segnale di s.o.s. Giulia pensò per qualche secondo, ma alla fine scosse la testa in segno di diniego. Dopo aver salutato entrambi con molta enfasi, Giulia mise in moto la Pegeout 106 e sfrecciò fuori dall’aereoporto.

 

“Ti trovo bene.” Disse Caterina a Marco, cercando di allontanare il senso di disagio persistente.

“Già. Alla fine, avevi ragione tu. La riabilitazione ha dato i suoi frutti.”

 

Calò un silenzio imbarazzante, ma Caterina non si sorprese: l’ultima volta che si erano visti, avevano dato vita ad una conversazione poco piacevole. La donna seguì Marco fino alla sua macchina e, mentre quest’ultimo sistemava il suo bagaglio nel cofano posteriore dell’auto, Caterina affondò nel morbido sedile del passeggero. E proprio in quel mentre, intravide sul cruscotto un fiore di carta.

 

“Questo fiore mi sembra di riconoscerlo.” Disse, afferrandolo tra le mani.

“Ah, quello? Se non ricordo male è uno dei fiori fittizzi che mi portasti una volta.” Disse con semplicità Marco, mentre con abilità da pilota, si immergeva nel traffico autostradale. “A quanto pare non è ingiallito.” Aggiunse qualche secondo più tardi.

 

E non si era nemmeno deteriorato.

 

“Hai recuperato la memoria?” domandò Caterina, mentre Marco arrestava la macchina di fronte a un casello automatico. L’uomo sorrise.

“Diciamo all’ottanta per cento.”

“E il restante venti per cento?” domandò la donna, osservandolo mentre pagava il casellante.

“… lo ripongo in quel fiore. A patto che tu sia d’accordo.” Disse Marco, fissando la strada davanti a sé.

 

Caterina sorrise e posò il fiore di carta laddove lo aveva trovato.

Esso preservava intatto il suo colore, non una macchia deturpava il materiale cartaceo di cui era fatto.

Caterina osservò in silenzio il mondo sfrecciare oltre il finestrino, pensando al tutti quei fiori pieni di vita, invidiosi del suo piccolo fiore di carta.

 

 

 

 

Note:

[1] Centro di Ricerca Nazionale

[2] Riferimento alla melodia di Beethoveen “Elisa”, celeberrima suoneria in qualsiasi tipo di telefonino.

 

Fiori di Carta ha partecipato al 16° concorso indetto dall'EFP. Ringrazio Erika per il suo giudizio!

Claudia

  
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