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Autore: endif    27/10/2009    12 recensioni
“«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore. Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.”
Piccolo spoiler per questa nuova fic, il seguito di My New Moon. Ci saranno tante sorprese, nuove situazioni da affrontare per i nostri protagonisti. Un E/B passionale e coinvolgente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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CAP.10

EDWARD
“Allooooraaaa ti sbrighi?”
Alice batte impaziente la punta del piede sull’asfalto del parcheggio. I suoi pensieri bussano alla mia mente con insistenza.
Non la degno di una risposta.
Non ne ho alcuna voglia.
Prendo le chiavi dal cruscotto della Volvo ed apro la portiera. La sua mano piccola e all’apparenza delicata ghermisce con presa ferrea il mio braccio. Comincia a trascinarmi attraverso il parcheggio.
«Alice, ma la smetti?!» le dico opponendo una lievissima, ma determinata resistenza. Non posso osare di più, rischierei di attirare troppo l’attenzione.
«Sì, sì. Però tu sbrigati. La professoressa Watsford arriverà tra poco» dice mollando la presa, ma continuando a camminare decisa verso l’edificio principale.
Cammino al suo fianco con le mani nelle tasche dei pantaloni. Il cielo plumbeo sopra le nostre teste è carico dell’elettricità che precede la pioggia.
Oggi sono di umore tetro.
Bella ha dormito male anche stanotte.
Nonostante cerchi in tutti i modi di essere il meno invadente possibile, di concederle tutto lo spazio di cui può necessitare.
Nonostante cerchi di resistere alla voglia pazza di tenerla stretta a me, di sfinirla con le mie carezze, di ubriacarla con i miei baci.
Nonostante faccia di tutto per starle lontano, non riesco tuttavia a farla stare meglio, a farla sentire serena.
Senza il mio fiato sul collo.
Ogni istante della giornata. Ogni attimo della notte.
Ormai sono già un paio di settimane che va avanti così. Il suo umore è peggiorato di giorno in giorno, il suo appetito è calato, non fa altro che studiare. Ho preso ad odiare quei libri che sembrano prosciugare ogni sua energia.
Entriamo in aula. Il brusio dei nostri colleghi ormai non si affievolisce più al nostro passaggio. Noi ignoriamo il resto del mondo, il resto del mondo ignora noi. Ci accomodiamo in due poltroncine laterali, ma abbastanza vicini alle prime file. Alice dice che oggi dobbiamo sedere davanti. Non le ho chiesto il motivo, non sono entrato nella sua testa.
Ormai non lo faccio quasi più. Non mi ci è voluto molto per capire che Alice mi oscurava i suoi pensieri e mi ci è voluto ancora meno per identificarne la causa: non vuole rivelarmi qualcosa che ha a che fare con Bella.
Pensavo che la cosa mi avrebbe irritato, che mi avrebbe spinto a premere su mia sorella con maggiore vigore. Il primo a stupirsi di ciò sono stato proprio io. Una sorta di rassegnazione ha cominciato ad avvolgermi.
Da quella sera sfortunata, quella sera in cui ho perso il controllo. Con una specie di pacata mestizia ho accettato che Bella possa aver realmente bisogno di maggiori spazi. Mi sono impegnato con me stesso per riuscire a fornirglieli, per non imporle la mia presenza più del necessario.
O meglio più dei momenti di cui non riesco a privarmi.
La notte è uno di questi. Il mio desiderio più intimo è di farla addormentare tra le mie braccia, di sussurrarle parole dolci alle orecchie e vedere i suoi occhi scivolare con lentezza verso il basso, verso un riposo ristoratore.
Quando ho capito che la mia presenza non serviva a raggiungere lo scopo, ho creduto che la cosa migliore per lei fosse farla addormentare sola. Quando mi rendo conto che sta per scivolare nell’incoscienza la raggiungo. La guardo dormire i suoi sonni inquieti. A volte, l’istinto prevarica la ragione e mi avvicino fino a sfiorarle una guancia, o a liberarle il viso da una ciocca ribelle.
Non ne posso fare a meno.
Soffocare la mia naturale impulsività, il bisogno che sento di starle vicino, di averla … a beneficio della sua serenità è una lotta che mi sfinisce, che mi ha portato al limite.
La signora Watsford entra a passo cadenzato in aula. Nonostante l’apparenza severa e distaccata, devo ammettere che è molto capace nella sua materia e ha catturato l’interesse di Alice in maniera particolare.
In effetti è quasi impossibile trovare a Dartmouth un professore impreparato: la selezione c’è per gli studenti così come per gli insegnanti.
E qualcuno ha anche una scintilla in più. La signora Watsford insegna nel corso giusto per lei essendo dotata di una comunicatività innata.
Alice ne è rimasta stregata.
E’ sempre la prima ad avere la mano tesa quando la professoressa fa una domanda, non salta un’ora di lezione neanche quando c’è un sole spaccato ed è ricambiata da una predilezione equivalente da parte della Watsford nei suoi riguardi.
Osservo mia sorella mentre si sistema meglio nella poltroncina al mio fianco. E’ impaziente. Non prevedo nulla di buono quando si lascia trasportare dall’entusiasmo. La lezione comincia, mentre la mia mente inizia a divagare.
Penso già alla fine delle due ore, il momento in cui rivedrò Bella. Torniamo a casa insieme anche se stamane l’ho lasciata andare sola con Alice.
Lo faccio di malavoglia, ma preferisco lasciarle andare sole e regalare loro un momento di privacy, piuttosto che assistere impotente al loro “shopping di due ore”, ormai un’abitudine settimanale.
Se non costringo Bella a mentire, non sapere diviene più sopportabile, mi pare di soffrirne di meno.
“Puoi sforzarti di prestare un po’ di attenzione, fra poco si rivolgerà a noi” Alice mi distrae con i suoi pensieri molesti.
L’unico segno che emerge all’esterno di questa muta conversazione tra noi due, è il cambio di direzione dei miei occhi: dalla finestra si puntano sulla professoressa. Tuttavia l’espressione è la stessa: noia.
«Stiamo per concretizzare un lavoro cominciato l’anno scorso con il Centro di Dialettologia di Bellinzona, la Società Italiana di Glottologia e l’Università di Berna » comincia a dire la Watsford. Alice scatta sull’attenti.
«So che siete impazienti come me di poter essere coinvolti in prima persona  in questa cosa, ma purtroppo per ora comincia come un esperimento.» Alice scalpita sulla propria poltrona.
Devo essermi perso qualche puntata per la strada.
Un lavoro con altre università internazionali?
Guardo Alice di sottecchi e mi concentro.
Dai, dai vieni al dunque … la piccoletta non è nei panni.
«Ma non voglio divagare troppo, per questo vengo al dunque» la professoressa freme di impazienza. Il mio sguardo saetta dall’una all’altra.
«Ho deciso di chiedere la cooperazione di tre di voi. L’impegno che mi aspetto sarà enorme , ma voglio che sappiate che siete liberi di rifiutare senza pregiudicare in alcun modo il vostro esame finale » si schiarisce la voce e prende un foglio con una mano, inforcando un paio di occhiali da lettura nell’altra :«Pregherei questi signori di venire avanti»
Alice ha posto le mani sui braccioli della poltrona e sembra un corridore che si prepara a scattare al bang.
«Theodor Price». Un ragazzo si alza dalla terza fila e trotterella avanti.
«Philip Grey». Un altro tipo scivola accanto a noi a piccoli passetti frettolosi.
Punto gli occhi sul viso di Alice.
“Alice Cullen. Alice Cullen …” ripete nella sua mente fremente di impazienza.
«E Alice Cullen» la Watsford accompagna le parole con un sorriso, pallido riflesso del sorriso di trionfo sul viso di mia sorella. Guardo Alice con gli occhi sgranati, praticamente fuori dalle orbite e non faccio in tempo a fermarla che è già al fianco degli altri due convocati.
Alice deve aver perso il lume della ragione. Lo sa che una delle regole fondamentali per vivere in mezzo agli umani è non attirare l’attenzione, non esporsi troppo.
La fisso con insistenza, ma lei guarda ovunque tranne che nella mia direzione.
«Si tratta di un’esperienza interessante, che speriamo possa darci l’opportunità di realizzare nella pratica il concetto teorico di corso evolutivo del linguaggio. Raffrontando ambienti e situazioni …» la professoressa riprende a parlare, ma non la seguo più.
I miei occhi si immobilizzano sulla figuretta all’apparenza esile di mia sorella.
Alice si è irrigidita, i suoi occhi sono diventati vitrei.
La sua visione mi colpisce come uno schiaffo.
Bella seduta sola ad un tavolino.
Mi alzo dalla poltrona come se fossi stato sulla sedia elettrica.
La professoressa si blocca con una mano a mezz’aria e l’ultima parola le muore in bocca mentre mi vede avvicinarmi ad Alice.
Nell’aula scende un silenzio tombale.
Non appena sono al suo fianco le passo un braccio intorno alla vita ed un altro sotto al gomito per sorreggerla. Contemporaneamente le bisbiglio in un orecchio un: «Tranquilla, sono qui» che solo noi possiamo sentire.
«Che succede?» chiede la Watsford con una nota di sincera preoccupazione nella voce.
Guarda Alice, guarda me.
«Nulla di grave. Mia sorella è diabetica. A volte capita che la sua glicemia scenda troppo. Le dispiace se l’accompagno fuori un attimo?» rifilo uno dei nostri siparietti agli ignari spettatori e, senza attendere la risposta, già mi avvio verso l’uscita dell’aula.
Riesco a trascinare Alice in giardino senza che troppe teste si girino al nostro passaggio. Lei si lascia trasportare inerme, senza opporre la minima resistenza, gli occhi sempre fissi davanti a sé. La alzo di peso quando siamo lontani da occhi indiscreti e raggiungo una panchina isolata, sulla quale la depongo con delicatezza.
Mi inginocchio davanti a lei e le prendo le mani tra le mie.
«Alice» la chiamo dolcemente, ma è ancora in trance.
Rivedo negli occhi l’immagine del viso di Bella, i suoi occhi tristi. Sento un fremito alla base dello stomaco.
Il veleno zampilla sulla mia lingua e lo deglutisco ricacciandolo nel mio corpo.
«Alice» riprovo con voce ferma imponendomi una calma che in questo momento non mi appartiene.
«Bella …» mormora lei piano. Aggrotta le sopracciglia come se si sforzasse di concentrarsi, come se non riuscisse a vedere, a focalizzare una scena.
Mi concentro anche io sulla sua mente.
Sì, le immagini sono tutte sfocate. Alice ha difficoltà a chiarire le circostanze della sua visione.
Un’altra immagine più chiara delle altre, mi colpisce.
Un uomo, di spalle, si sta avvicinando a Bella con decisione. Sembra incedere con determinazione. Gli occhi di lei assumono un’espressione prima stupita, poi preoccupata, quasi … spaventata.
Stringo forte le palpebre:«Alice , ti prego … dimmi se è in pericolo … dimmi se sta per succederle qualcosa …» il mio tono è a metà fra il supplichevole ed il disperato. Devo mantenere la calma, devo farlo.
Edward non perdere la testa, le visioni di Alice sono a volte imprecise … ripeto queste parole nella mia mente.
I secondi scorrono come ore.
Un altro flash illumina la mia mente e scorgo in un lampo rapidissimo il volto dell’uomo.
Jensen, il professore di Bella.
Poi, la mente di Alice si oscura ed io apro gli occhi. Lei mantiene, invece i suoi chiusi, o meglio serrati.
Si sta sforzando con notevole evidenza.
«Alice, ma cosa …?» comincio a chiederle ma lei scuote il capo senza parlare.
«Lei … lei non centra niente … non è come … come pensi.» le parole le escono a fatica dalle labbra, se possibile strizza gli occhi ancora di più. Con le dita stringe il bordo della panchina, quasi lo sbriciola.
Le avvicino con dolcezza una mano sulla guancia. La accarezzo piano, lentamente. Con l’altra mano scendo in una lieve carezza su quelle dita strette con forza sulla pietra: «Non capisco Alice, cosa … cosa vuoi dirmi?» sento la mia voce lontana, mentre dentro di me si fa strada una nuova, strisciante consapevolezza.
D’un tratto apre gli occhi e vi leggo dentro la disperazione. Con questo movimento mi piombano addosso tutta una serie di immagini che – adesso soltanto capisco – Alice ha cercato invano di trattenere finora. L’impatto è così violento che ho bisogno di aggrapparmi con le dita al bordo della panchina ai lati delle sue gambe.
Bella e Jensen seduti al tavolino insieme.
Sorrisi, sguardi fugaci.
La mano di lui che sfiora quella di Bella.
Lui che le sussurra un “Ci vediamo più tardi”.
Lei che gli sorride.
Poi, il buio.
Mi alzo in piedi lentamente.
Gli occhi di mia sorella sono fissi nei miei, si alza insieme a me.
«Edward non saltare a conclusioni affrettate …» comincia a dire lei ed io inclino il capo come se la vedessi per la prima volta «il loro rapporto è solo professionale, te lo giuro.»
Mi volto appena, gli occhi ridotti a due fessure e dico atono: «Quando»
«Ti scongiuro, credimi!» la voce di mia sorella è supplichevole.
«Quando» ripeto senza inflessione.
«Tra poco» risponde afflitta.
Mi si aggrappa ad un braccio e mi scuote:«Edward non fare sciocchezze, tra loro non c’è nulla!»
«Dov’è?» la guardo con sdegno, come se la ritenessi colpevole. Il fatto che provi a giustificarla equivale a renderla complice.
Silenzio.
«E’ al Tandem?» chiedo. Lei serra le labbra, non mi risponde.
«Tu lo sapevi?» le chiedo ancora senza irritazione nella voce, senza rabbia. Voglio solo la verità.
«Credimi, maledizione!» sbatte un piede a terra con rabbia e mi lancia delle immagini di lei e Bella che parlano del corso di Jensen ad uno di quegli stessi tavolini a cui adesso siede anche mia moglie.
Le mie labbra si incurvano in un sorriso di scherno:«E con questo?»
Gli occhi di mia sorella si puntano sul mio viso smarriti. Non sa più come fare per convincermi. Sembra davvero sincera, e di certo è sinceramente dispiaciuta.
“Edward, ascoltami. Non fare stupidaggini. Non essere cieco, ti prego. Tu hai soltanto … paura. Paura della verità.” Mi dice con il pensiero.
«Ma quale verità?!» le dico io e la mia voce vibra pericolosamente «La sola verità che so è che mi state mentendo entrambe da un pezzo» le mie parole sono secche, deluse. Poi, come se gli argini della mia compostezza fossero improvvisamente crollati, le scarico addosso tutto il mio disprezzo.
«Perché volevi tenermi all’oscuro di questa visione, se non c’era nulla da nascondere? Perché Bella ti chiede così spesso di uscire con lei? Credi che non sappia che non andate a fare shopping? Ti sembro così ingenuo?! Tu la stai coprendo!» le parole mi escono come una valanga, nei miei occhi l’accusa.
Alice barcolla sotto il peso della mia furia trattenuta a stento.
Le sondo un’altra volta la mente alla ricerca di qualche altra immagine che riguardi Bella. Buio. Ancora.
Le mie labbra si incurvano nuovamente in un sorriso amaro: «Cosa altro mi stai nascondendo, Alice?» le chiedo con sforzo. Mi sento un idiota a spiare mia moglie nella mente di mia sorella.
«Non ti nascondo nulla! E’ che da un po’ le mie visioni sono così incerte … su Bella a volte ho dei black-out più o meno lunghi …» dice accorata, gesticolando nervosamente con le mani.
«Smettila!» sibilo velenoso.
Si zittisce di botto, come se l’avessi schiaffeggiata. Ha gli occhi lucidi, vorrebbe poter piangere, lo so.
Anche io, in questo momento.
“Io le ho promesso …” pensa, incerta se proseguire e tradire la fiducia della sua amica discolpandosi o tacere e tenere fede alla parola data.
Mi volto e comincio a camminare lasciandola impietrita dietro di me.
“Edward, dammi retta. Non essere impulsivo o rischi di perderla” i suoi ultimi pensieri mi rimbombano a lungo nella testa, mentre incedo a passo umano ma risoluto, alla volta del Tandem.
 
 NOTA DELL’AUTRICE: Ogni promessa è debito, ed eccomi qua dopo un’attesa spero non troppo lunga. Lo so, lo so … vi aspettavate un cappy pieno di … azione!!! Ma vi prego, siate obiettivi: se univo questo ed il precedente si faceva una “Mischia Francesca” di oltre venti pagine e , anche se amate i cappy lunghi, avrei davvero superato il mio record! Abbiate fede,  e pensate al … “Sabato del Villaggio.”
Noto con piacere che mooolti di voi hanno aggiunto questa storia tra  preferiti/seguiti. Vi ringrazio, anche se scegliete di affidarvi ad una lettura silenziosa.
Grazie ancora per “Una sera, per caso …” : visite e commenti continuano ad aumentare. *_*
tsukinoshippo: Mia cara, tu hai centrato la storia con una tale lucidità che è estranea persino a me che la sto scrivendo! Scherzo, e mi compiaccio davvero molto del fatto che non ti fermi ad una lettura superficiale , ma preferisci “scavare”. Tuttavia … a questo punto dovresti conoscermi un pochino e sapere che “una litigata” nel senso canonico del termine non è nel mio stile … Io sono mooooolto più sadica di così!!!!! Vedrai. J)))))))))  Per il commento all One-shot, non posso dirti che GRAZIE. Di TUTTO ciò che hai scritto. Kiss
rodney: in effetti … ci siamo quasi, ma non come immagini tu! Comunque, come hai visto non mi sono fatta attendere troppo … sono brava eh a cambiare discorso!!!!!!Al prossimo capitolo Simo, un bacio.
keska: Ciao piccolina, le tue parole sono sempre un balsamo per i miei nervi …. Grazie Francesca, sei tanto cara a lasciarmi sempre un complimento, anche nascosto tra le righe!!!! Sono contenta che il cappy scorso ti sia sembrato “intenso” e hai ragione. Paradossalmente è stato un capitolo complesso, anche se non succede nulla, ma dovevo preparare la scena con minuziosità. Te ne sei accorta. Non avevo dubbi. :))) Baci
Ginevra87: Ehi, benvenuta in questa barca di folli ….Grazie, per il tuo commento e per i complimenti J)))))))) Alla prossima, kiss
arual93: Tranki Laura!!!! Come sono impegnata io, so che lo siete anche voi e so che non leggete solo la mia storia! Comunque grazie sia per i commenti due-in-uno, che per quello alla One-shot.
Michelegiolo: Ma lo sai che la tua idea non è niente male …. Adesso cancello gli altri cappy e li riscrivo!!! Scherzo però, continua a seguire, le nostre menti non lavorano in modo molto diverso! Kiss
Antonya: Ciao cara, grazie sono contenta che la mia storia ti piaccia e sono contenta che hai deciso di dirmelo …! Bella è davvero molto fragile … e qualche pasticcio ci sarà!! Continua a seguirmi. Baci

Per tutti gli altri: grazie e un abbraccio.
M.Luisa

   
 
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