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Autore: _ki_    27/10/2009    2 recensioni
Minerva covava da tempo un amore nascosto. Era riuscita a dimenticarlo, per un certo verso, ma i ricordi tornarono a galla quando vide questa persona in fin di vita. Ma c’era solo una cosa che poteva fare: guardarlo morire.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Minerva McGranitt, Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’inimmaginabile segreto di Minerva McGranitt

 

La Sala Grande era piena di corpi che si urtavano, urlavano, si spintonavano e cercavano di arrivare in mezzo alla stanza. Minerva era una di quei pochi che non avevano avuto problemi per giungere fino al luogo in cui ora lottava senza sosta contro la persona (se di persona si poteva ancora parlare) contro cui non avrebbe mai voluto combattere. Accanto a lei, Horace Lumacorno e Kingsley Shacklebolt. Schivò un altro colpo mortale e lanciò uno schiantesimo che mancò il volto del Signore Oscuro di pochi centimetri. Lord Voldemort le donò un’occhiata di fuoco, prima di respingere con un fluido gesto della bacchetta l’incantesimo di Kingsley. A pochi metri da loro, Bellatrix Lestrange fendeva l’aria con la bacchetta contro Luna Lovegood, Hermione Granger e Ginny Weasley. Minerva schivò un altro Anatema che Uccide e con un movimento fluido della bacchetta difese Lumacorno da un altro incantesimo. In quel momento, mentre gli occhi di Minerva e Voldemort si incontravano ancora, rabbiosi, un urlo fece quasi sobbalzare entrambi.

«Mia figlia no, cagna!» Minerva si distrasse quel tanto che bastava per permettere a Voldemort di attaccare ancora. Ma Kingsley fu veloce e la protesse nel suo scudo. Minerva gli sorrise.

Molly Weasley, intanto, si era tolta il mantello dalle spalle e aveva tirato da parte le tre piccole combattenti, parandosi davanti a Bellatrix.

«No!» gridò quando alcuni studenti particolarmente coraggiosi si avvicinarono a lei per aiutarla. «Indietro! Indietro! È mia!»

Minera schivò per pochi centimetri un altro attacco. Adesso centinaia di persone erano allineate lungo le pareti della Sala Grande ad osservare Lord Voldemort contro i suoi tre avversari e Bellatrix contro Molly.

Minerva agitò agile la bacchetta e puntò al braccio del Signore Oscuro. Non era certa che sarebbe stata capace di ucciderlo, se ne avesse avuta l’occasione. Lumacorno, nello stesso istante, lanciò un incantesimo contro l’altro braccio di Voldemort. Questi, però, rapido come la serpe che era diventato, parò entrambi i colpi con maestria. Kingsley imprecò a gran voce e il Signore Oscuro sorrise. Minerva, per un attimo, fu abbagliata come quand’era ragazzina da quel sorriso, anche se in quel volto serpentesco non lo riconosceva più. La sua distrazione le procurò una ferita superficiale alla guancia e le tagliò una ciocca dei capelli che svolazzavano liberi dalla solita crocchia sul suo volto.

Fu un attimo: Minerva lanciò l’ennesima maledizione, che sfiorò il braccio del Signore Oscuro, e un corpo cadde nella Sala Grande.

Lord Voldemort urlò, mentre le centinaia di persone ancora in fila sulla pareti esultavano.

Minerva, Kingsley e Lumacorno, distratti per una frazione di secondo da quella morte improvvisa, volarono per la Sala Grande, contorcendosi in aria, colpiti dalla furia del Signore Oscuro per aver perso la sua migliore alleata.

L’ultima cosa che vide Minerva McGranitt prima di cadere travolgendo qualche studente non meglio identificato, fu la maledizione del Signore Oscuro diretta verso Molly Weasley rimbalzare contro uno scudo invisibile e volare via. Poi cadde a terra e sbatté la schiena contro il duro pavimento di granito.

Sentì un urlo morirle in gola e delle mani che l’aiutavano ad alzarsi, le chiedevano come stava e urlavano il nome del Bambino-Che-È-Sopravvissuto tra esclamazioni di gioia e di stupore. Ma presto fu tutto soffocato.

Nella Sala Grande cadde un silenzio teso, carico di pericoli e paura. Minerva si alzò in piedi nel momento in cui il Prescelto incominciava a parlare.

«Non voglio aiuto. Doveva andare così. Devo essere io».

Il Signore Oscuro ghignò malefico, e Minerva sentì le lacrime arrivarle agli occhi e premere con prepotenza per uscire all’aria fredda della notte. Voldemort sibilò, gli occhi vermigli spalancati.

«Potter non voleva dire questo. Non è così che si comporta, vero? Chi userai come scudo oggi, Potter?» Minerva capì da quelle parole che il Signore Oscuro non era più così sicuro come lo era stato una volta di poter vincere tutto e tutti.

«Nessuno. Non ci sono altri Horcrux. Siamo solo tu ed io. Nessuno dei due può vivere se l’altr sopravvive, e uno di noi sta per andarsene per sempre...»

Continuavano a spostarsi di lato, disegnando un cerchio perfetto tra la folla. Gli occhi di uno erano immersi in quelli dell’altro. Occhi verdi in occhi rossi. Minerva sentì la paura affiorarle da una parte remota del cuore. Voldemort schernì Harry Potter con un «Uno di noi?» Minerva vedeva perfettamente ogni muscolo del Signore Oscuro contratto per la tensione. I suoi occhi rossi erano perfettamente immobili: un serpente pronto all’ultimo attacco, ma anche un serpente impaurito pronto alla morte.

Che senso ha tutto ciò? pensò Minerva in un moto di disperazione. Arrenditi. Salvati. Non ha senso combattere una battaglia persa.

Harry parlava con calma, fluidità, e Minerva sapeva che questo avrebbe fatto arrabbiare Lord Voldemort come non mai. Ricordava come, quando il professor Silente parlava lui con il suo tono calmo e ragionevole lui non resisteva e finiva col arrabbiarsi ancor di più. Il Tom Riddle che Minerva McGranitt aveva conosciuto detestava le persone calme quando lui non lo era.

«Casi!» urlò difatti la serpe poco dopo che Minerva ebbe realizzato quei pensieri. Ma ancora, quando Voldemort provocò il Prescelto, questi rispose con calma e decisione. Quando, alla fine della sua spiegazione, pronunciò: «Non impari dai tuoi errori, Riddle, vero?» Minerva seppe che la fine non era lontana.

«Tu osi...» sibilò Lord Voldemort minaccioso.

«Sì, io oso. Io so cose che tu non sai, Tom Riddle. Io so molte cose importanti che tu non sai. Vuoi sentirne qualcuna, prima di commettere un altro grosso errore?» Minerva sentì qualcuno accanto a lei trattenere il fiato debolmente. Un altro sussurrò che andava tutto bene, che presto sarebbe tutto finito. Erano sussurri così flebili che Minerva pensò che sarebbero potuti essere benissimo la sua immaginazione.

«È di nuovo l’amore?» ringhiò Voldemort, il volto contorto in una smorfia di scherno. Minerva sobbalzò a quella parola pronunciata con tanto odio. «La soluzione preferita di Silente, l’amore, che a sentir lui vince la morte. Ma l’amore non gli ha impedito di cadere dalla Torre e andare in pezzi come una vecchia statuina di cera. L’amore non ha impedito a me di schiacciare quella Mezzosangue di tua madre come uno scarafaggio, Potter... e pare che nessuno ti ami abbastanza da farsi avanti, questa volta, a prendersi la mia maledizione. Quindi che cosa ti impedirà di morire, adesso, quando colpirò?»

Minerva si accorse di aver accanto Ginny Weasley solo quando la vide divincolarsi alla presa di due suoi fratelli. Sembrava dire con gli occhi: «Io lo amo, io lo andrò a salvare!» ma le espressioni dei suoi fratelli dicevano chiaramente che non l’avrebbero lasciata andare per nessuna ragione al mondo. Minerva vide le lacrime rigare il volto della piccola di casa Weasley e si sentì mancare.

Ricordò con terrore un giorno di tanti anni prima, troppi anni prima, mentre riceveva la notizia più terribile di tutte: Tom Riddle era diventato Lord Voldemort. Ricordò le lacrime che le rigavano il viso con una velocità incredibile che Minerva non aveva mai attribuito all’acqua. Ricordò le urla di dolore quando, sedici anni prima, le era arrivata la voce della sconfitta di Lord Voldemort, del Tom Riddle che lei aveva conosciuto e che era così tanto cambiato. Ricordò la durezza delle parole di sua madre, mentre le spiegava che stupida ragazzina era stata ad innamorarsi di una persona come Voldemort. Ricordò la sua fuga di casa, ricordò quando fu accolta a Hogwarts da Albus Silente. Ricordò quando giurò a sé stessa che, nel caso Voldemort fosse tornato, lei non sarebbe ricaduta nel baratro che aveva minacciato di sotterrarla per tutto il tempo in cui aveva coltivato quell’insano sentimento verso quell’essere.

Arrenditi. si ritrovò ancora a pensare Minerva, contro ogni sua aspettativa. Arrenditi. Salvati da una fine tremenda. Salvati...

Dal guizzo repentino negli occhi vermigli di Voldemort, Minerva credette per un istante che fosse riuscito a sentirla.

«Silente è morto!» risuonò chiara la voce di Voldemort nella sala, e Minerva si diede della stupida per aver pensato quelle cose. Voldemort era troppo concentrato su quello che Harry diceva per prestarle attenzione. E perché mai, poi, avrebbe dovuto? Lui non aveva mai saputo dell’amore segreto di Minerva, nessuno l’aveva saputo, apparte la sua defunta migliore amica e sua madre. Tutti credevano che fosse una persona dura, di ghiaccio, insensibile a qualunque sentimento. Nessuno si era mai fermato a guardarla per quel che era realmente: una donna innamorata di una persona impossibile da raggiungere.

«Severus Piton non era tuo. Piton era di Silente, di Silente dal momento in cui tu hai incominciato a dare la caccia a mia madre. E non te ne sei mai accorto, per via della cosa che non puoi capire. Non hai mai visto Piton evocare un Patronus, vero, Riddle?»

Minerva McGranitt aggrottò le sopracciglia: si stava perdendo brandelli di conversazione. Pensare a ciò che era successo anni addietro non la faceva star attenta a ciò che accadeva nella Sala. Un attimo prima, infatti, stavano parlando della morte di Silente, ora parlavano di Severus Piton...

Voldemort non rispose alla domanda del Prescelto. Continuavano a girare in tondo, come lupi pronti a sbranarsi.

Minerva sentì come propria la rabbia ribollire nel corpo di Voldemort. Seppe che non doveva mancare molto, che la fine era vicina, che se qualcuno non li avesse fermati, uno dei due lottatori sarebbe morto, quella sera. E, a giudicare dalla calma e dal brillio negli occhi di Harry Potter, la fine avrebbe fatto calare le palpebre del suo contendente.  

Harry continuò a parlare, sembrava la calma fatta a persona. A Minerva ricordava tanto Albus Silente.

È cresciuto, il ragazzo. Pensò, per un attimo. Ed era vero. Minerva ricordava ancora quella notte, sedici anni prima, in cui aveva lasciato un fagotto addormentato davanti alla porta del numero 4 di Privet Drive. Ricordava le lacrime bagnarle gli occhi, sia per la fine orrenda di due persone meravigliose, che per l’immagine fugace della vita di quel bambino che aveva davanti, che per la perdita di quella persona che aveva amato, che aveva giurato di non amare più, ma che alla fine non aveva mai dimenticato.

Sono davvero incoerente.

Ormai i pensieri viaggiavano a ruota libera nella mente di Minerva, e si ritrovò presto a pensare a tutte le volte che, in un corridoio o nel cortile, aveva incrociato quegli occhi una volta di un profondo color cioccolato...

«Quindi è tutto qui, capisci? La bacchetta che hai in mano sa che il suo ultimo proprietario è stato Disarmato? Perché se lo sa... sono io il vero padrone della Bacchetta di Sambuco».

Minerva ritornò al presente con uno strattone così possente che rischiò di finire gambe all’aria. Sentiva nell’aria l’elettricità dello scontro, la pressione della fine.

E, quando un bagliore d’oro rosso divampò sul soffitto incantato sopra la sua testa e uno spicchio di sole accecante apparve sul davanzale della finestra più vicina, sentì che non era pronta. No, non era pronta a dire addio, ad esultare per la sua morte, a dimenticare per sempre. Non era pronta a vederlo morire così, sconfitto da un errore (a quando aveva capito) che aveva appena appreso di aver commesso. Era troppo, troppo...

Cosa? Innamorata?

Sì, forse era troppo innamorata. E troppo vecchia per dimenticare.

Chiuse gli occhi nello stesso momento in cui i volti del contendenti venivano illuminati dalla fiamma dorata e due urla riempivano il silenzio della Sala Grande. Chiuse gli occhi, mentre sentiva uno scoppio potente che le sollevò i capelli della fronte, che le asciugò la piccola goccia salata che aveva ingannato il suo volto sempre impassibile e calcolato.

Chiuse gli occhi, e tutto quello che sentì della fine di Lord Voldemort fu il corpo che atterrava con un tonfo soffocato sul pavimento di marmo e il silenzio statico che si estendeva per la Sala Grande come uno sciame di api assassine.

Ma durò un secondo solo. Il secondo dopo, la tensione era crollata, con un boato così forte e possente che rischiò seriamente di far implodere i pochi resti della scuola di magia e stregoneria.

Le urla, i ruggiti, le esclamazioni, si mischiarono con i pianti, con le parole. Minerva venne trascinata dalla mischia verso il Prescelto, colui che aveva salvato il Mondo. E, dentro di sé, mentre cercava di non guardare quel punto scuro raggomitolato su se stesso che le attirava gli occhi come una calamita potentissima, seppe che era finita.

Comunque sarebbe andata in futuro, per quanto avrebbe ancor sofferto a ripensare a quel giorno, per quante lacrime avrebbe versato, quella era davvero la fine.

La fine della tirannia, la fine delle violenze, la fine delle morti premature. Ma anche la fine del suo amore, la fine delle sue preoccupazione verso cosa avrebbe fatto davanti a Lui, la fine delle lacrime. La fine del suo amore impossibile verso una persona altrettanto impossibile.

 

. . .Fine. . .

 

Uhm... la fine non mi convince molto. Voi che dite? Va bene o è meglio buttare tutto nel cestino? Aspetto un vostro commentino, anche su come è penosa questa storia e che devo impegnarmi in altre cose perché se no rischio di fare una brutta fine... ^_^ Grazie mille in anticipo a tutti quelli che leggeranno e (se ce ne saranno) recensiranno e metteranno tra i preferiti questa storia (bah... x me neanche uno...)

Baci e abbracci...

_ki_

   
 
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