L’inimmaginabile
segreto
di
Minerva McGranitt
La Sala Grande era piena di corpi
che si urtavano,
urlavano, si spintonavano e cercavano di arrivare in mezzo alla stanza.
Minerva
era una di quei pochi che non avevano avuto problemi per giungere fino
al luogo
in cui ora lottava senza sosta contro la
persona (se di persona si poteva ancora parlare) contro cui non avrebbe
mai
voluto combattere. Accanto a lei, Horace Lumacorno e Kingsley
Shacklebolt.
Schivò un altro colpo mortale e lanciò uno
schiantesimo che mancò il volto del
Signore Oscuro di pochi centimetri. Lord Voldemort le donò
un’occhiata di
fuoco, prima di respingere con un fluido gesto della bacchetta
l’incantesimo di
Kingsley. A pochi metri da loro, Bellatrix Lestrange fendeva
l’aria con la
bacchetta contro Luna Lovegood, Hermione Granger e Ginny Weasley.
Minerva
schivò un altro Anatema che Uccide e con un movimento fluido
della bacchetta
difese Lumacorno da un altro incantesimo. In quel momento, mentre gli
occhi di
Minerva e Voldemort si incontravano ancora, rabbiosi, un urlo fece
quasi sobbalzare
entrambi.
«Mia
figlia no, cagna!» Minerva si distrasse quel
tanto che bastava per
permettere a Voldemort di attaccare ancora. Ma Kingsley fu veloce e la
protesse
nel suo scudo. Minerva gli sorrise.
Molly Weasley,
intanto, si era tolta il
mantello dalle spalle e aveva tirato da parte le tre piccole
combattenti,
parandosi davanti a Bellatrix.
«No!»
gridò quando alcuni studenti
particolarmente coraggiosi si avvicinarono a lei per aiutarla.
«Indietro! Indietro!
È mia!»
Minera
schivò per pochi centimetri un
altro attacco. Adesso centinaia di persone erano allineate lungo le
pareti
della Sala Grande ad osservare Lord Voldemort contro i suoi tre
avversari e
Bellatrix contro Molly.
Minerva
agitò agile la bacchetta e puntò
al braccio del Signore Oscuro. Non era certa che sarebbe stata capace
di
ucciderlo, se ne avesse avuta l’occasione. Lumacorno, nello
stesso istante,
lanciò un incantesimo contro l’altro braccio di
Voldemort. Questi, però, rapido
come la serpe che era diventato, parò entrambi i colpi con
maestria. Kingsley
imprecò a gran voce e il Signore Oscuro sorrise. Minerva,
per un attimo, fu
abbagliata come quand’era ragazzina da quel sorriso, anche se
in quel volto
serpentesco non lo riconosceva più. La sua distrazione le
procurò una ferita
superficiale alla guancia e le tagliò una ciocca dei capelli
che svolazzavano
liberi dalla solita crocchia sul suo volto.
Fu un attimo: Minerva
lanciò l’ennesima
maledizione, che sfiorò il braccio del Signore Oscuro, e un
corpo cadde nella
Sala Grande.
Lord Voldemort
urlò, mentre le centinaia
di persone ancora in fila sulla pareti esultavano.
Minerva, Kingsley e
Lumacorno, distratti
per una frazione di secondo da quella morte improvvisa, volarono per la
Sala
Grande, contorcendosi in aria, colpiti dalla furia del Signore Oscuro
per aver
perso la sua migliore alleata.
L’ultima
cosa che vide Minerva McGranitt
prima di cadere travolgendo qualche studente non meglio identificato,
fu la
maledizione del Signore Oscuro diretta verso Molly Weasley rimbalzare
contro
uno scudo invisibile e volare via. Poi cadde a terra e
sbatté la schiena contro
il duro pavimento di granito.
Sentì un
urlo morirle in gola e delle mani
che l’aiutavano ad alzarsi, le chiedevano come stava e
urlavano il nome del
Bambino-Che-È-Sopravvissuto tra esclamazioni di gioia e di
stupore. Ma presto
fu tutto soffocato.
Nella Sala Grande
cadde un silenzio teso,
carico di pericoli e paura. Minerva si alzò in piedi nel
momento in cui il
Prescelto incominciava a parlare.
«Non voglio
aiuto. Doveva andare così.
Devo essere io».
Il Signore Oscuro
ghignò malefico, e
Minerva sentì le lacrime arrivarle agli occhi e premere con
prepotenza per
uscire all’aria fredda della notte. Voldemort
sibilò, gli occhi vermigli
spalancati.
«Potter non
voleva dire questo. Non è così
che si comporta, vero? Chi userai come scudo oggi, Potter?»
Minerva capì da
quelle parole che il Signore Oscuro non era più
così sicuro come lo era stato
una volta di poter vincere tutto e tutti.
«Nessuno.
Non ci sono altri Horcrux. Siamo
solo tu ed io. Nessuno dei due può vivere se
l’altr sopravvive, e uno di noi
sta per andarsene per sempre...»
Continuavano a
spostarsi di lato,
disegnando un cerchio perfetto tra la folla. Gli occhi di uno erano
immersi in
quelli dell’altro. Occhi verdi in occhi rossi. Minerva
sentì la paura
affiorarle da una parte remota del cuore. Voldemort schernì
Harry Potter con un
«Uno di noi?» Minerva vedeva perfettamente ogni
muscolo del Signore Oscuro
contratto per la tensione. I suoi occhi rossi erano perfettamente
immobili: un
serpente pronto all’ultimo attacco, ma anche un serpente
impaurito pronto alla
morte.
Che
senso ha tutto ciò? pensò
Minerva in un moto di disperazione. Arrenditi.
Salvati. Non ha senso combattere una battaglia persa.
Harry parlava con
calma, fluidità, e
Minerva sapeva che questo avrebbe fatto arrabbiare Lord Voldemort come
non mai.
Ricordava come, quando il professor Silente parlava lui con il suo tono
calmo e
ragionevole lui non resisteva e finiva col arrabbiarsi ancor di
più. Il Tom
Riddle che Minerva McGranitt aveva conosciuto detestava
le persone calme quando lui non lo era.
«Casi!»
urlò difatti la serpe poco dopo che Minerva ebbe realizzato
quei pensieri. Ma
ancora, quando Voldemort provocò il Prescelto, questi
rispose con calma e
decisione. Quando, alla fine della sua spiegazione,
pronunciò: «Non impari dai
tuoi errori, Riddle, vero?» Minerva seppe che la fine non era
lontana.
«Tu
osi...» sibilò Lord Voldemort minaccioso.
«Sì,
io oso. Io so cose che tu non sai,
Tom Riddle. Io so molte cose importanti che tu non sai. Vuoi sentirne
qualcuna,
prima di commettere un altro grosso errore?» Minerva
sentì qualcuno accanto a
lei trattenere il fiato debolmente. Un altro sussurrò che
andava tutto bene,
che presto sarebbe tutto finito. Erano sussurri così flebili
che Minerva pensò
che sarebbero potuti essere benissimo la sua immaginazione.
«È
di nuovo l’amore?» ringhiò Voldemort,
il volto contorto in una smorfia di scherno. Minerva
sobbalzò a quella parola
pronunciata con tanto odio. «La soluzione preferita di
Silente, l’amore, che a
sentir lui vince la
morte. Ma l’amore non gli ha impedito di cadere dalla Torre e
andare in pezzi
come una vecchia statuina di cera. L’amore non ha impedito a
me di schiacciare
quella Mezzosangue di tua madre come uno scarafaggio, Potter... e pare
che
nessuno ti ami abbastanza da farsi avanti, questa volta, a prendersi la
mia
maledizione. Quindi che cosa ti impedirà di morire, adesso,
quando colpirò?»
Minerva si accorse di
aver accanto Ginny
Weasley solo quando la vide divincolarsi alla presa di due suoi
fratelli.
Sembrava dire con gli occhi: «Io lo amo, io lo
andrò a salvare!» ma le
espressioni dei suoi fratelli dicevano chiaramente che non
l’avrebbero lasciata
andare per nessuna ragione al mondo. Minerva vide le lacrime rigare il
volto
della piccola di casa Weasley e si sentì mancare.
Ricordò
con terrore un giorno di tanti
anni prima, troppi anni prima, mentre riceveva la notizia
più terribile di
tutte: Tom Riddle era diventato Lord Voldemort. Ricordò le
lacrime che le
rigavano il viso con una velocità incredibile che Minerva
non aveva mai
attribuito all’acqua. Ricordò le urla di dolore
quando, sedici anni prima, le
era arrivata la voce della sconfitta di Lord Voldemort, del Tom Riddle
che lei
aveva conosciuto e che era così tanto cambiato.
Ricordò la durezza delle parole
di sua madre, mentre le spiegava che stupida ragazzina era stata ad
innamorarsi
di una persona come Voldemort. Ricordò la sua fuga di casa,
ricordò quando fu
accolta a Hogwarts da Albus Silente. Ricordò quando
giurò a sé stessa che, nel
caso Voldemort fosse tornato, lei non sarebbe ricaduta nel baratro che
aveva
minacciato di sotterrarla per tutto il tempo in cui aveva coltivato
quell’insano sentimento verso quell’essere.
Arrenditi.
si
ritrovò ancora a
pensare Minerva, contro ogni sua aspettativa. Arrenditi.
Salvati da una fine tremenda. Salvati...
Dal guizzo
repentino negli occhi vermigli di Voldemort, Minerva credette per un
istante
che fosse riuscito a sentirla.
«Silente
è morto!» risuonò chiara
la voce di Voldemort nella sala, e Minerva si diede della stupida per
aver
pensato quelle cose. Voldemort era troppo concentrato
su quello che
Harry diceva per prestarle attenzione. E perché mai, poi,
avrebbe dovuto? Lui
non aveva mai saputo dell’amore segreto di Minerva, nessuno
l’aveva saputo,
apparte la sua defunta migliore amica e sua madre. Tutti credevano che
fosse
una persona dura, di ghiaccio, insensibile a qualunque sentimento.
Nessuno si
era mai fermato a guardarla per quel che era
realmente: una donna
innamorata di una persona impossibile da raggiungere.
«Severus
Piton non era tuo. Piton era di
Silente, di Silente dal momento in cui tu hai incominciato a dare la
caccia a
mia madre. E non te ne sei mai accorto, per via della cosa che non puoi
capire.
Non hai mai visto Piton evocare un Patronus, vero, Riddle?»
Minerva McGranitt
aggrottò le
sopracciglia: si stava perdendo brandelli di conversazione. Pensare a
ciò che
era successo anni addietro non la faceva star attenta a ciò
che accadeva nella
Sala. Un attimo prima, infatti, stavano parlando della morte di
Silente, ora
parlavano di Severus Piton...
Voldemort non rispose
alla domanda del
Prescelto. Continuavano a girare in tondo, come lupi pronti a
sbranarsi.
Minerva
sentì come propria la rabbia
ribollire nel corpo di Voldemort. Seppe che non doveva mancare molto,
che la
fine era vicina, che se qualcuno non li avesse fermati, uno dei due
lottatori
sarebbe morto, quella sera. E, a giudicare dalla calma e dal brillio
negli
occhi di Harry Potter, la fine avrebbe fatto calare le palpebre del suo
contendente.
Harry
continuò a parlare, sembrava la
calma fatta a persona. A Minerva ricordava tanto Albus Silente.
È
cresciuto, il ragazzo. Pensò, per
un attimo. Ed era vero. Minerva
ricordava ancora quella notte, sedici anni prima, in cui aveva lasciato
un
fagotto addormentato davanti alla porta del numero 4 di Privet Drive.
Ricordava
le lacrime bagnarle gli occhi, sia per la fine orrenda di due persone
meravigliose, che per l’immagine fugace della vita di quel
bambino che aveva
davanti, che per la perdita di quella persona che aveva amato, che
aveva
giurato di non amare più, ma che alla fine non aveva mai
dimenticato.
Sono davvero
incoerente.
Ormai i pensieri
viaggiavano a ruota
libera nella mente di Minerva, e si ritrovò presto a pensare
a tutte le volte
che, in un corridoio o nel cortile, aveva incrociato quegli occhi una
volta di
un profondo color cioccolato...
«Quindi
è tutto qui, capisci? La bacchetta
che hai in mano sa che il suo ultimo proprietario è stato
Disarmato? Perché se
lo sa... sono io il vero padrone della Bacchetta di Sambuco».
Minerva
ritornò al presente con uno
strattone così possente che rischiò di finire
gambe all’aria. Sentiva nell’aria
l’elettricità dello scontro, la pressione della
fine.
E, quando un bagliore
d’oro rosso divampò
sul soffitto incantato sopra la sua testa e uno spicchio di sole
accecante
apparve sul davanzale della finestra più vicina,
sentì che non era pronta. No,
non era pronta a dire addio, ad esultare per la sua morte, a
dimenticare per
sempre. Non era pronta a vederlo morire così, sconfitto da
un errore (a quando
aveva capito) che aveva appena appreso di aver commesso. Era troppo,
troppo...
Cosa? Innamorata?
Sì, forse
era troppo innamorata. E troppo
vecchia per dimenticare.
Chiuse gli occhi
nello stesso momento in
cui i volti del contendenti venivano illuminati dalla fiamma dorata e
due urla
riempivano il silenzio della Sala Grande. Chiuse gli occhi, mentre
sentiva uno
scoppio potente che le sollevò i capelli della fronte, che
le asciugò la
piccola goccia salata che aveva ingannato il suo volto sempre
impassibile e
calcolato.
Chiuse gli occhi, e
tutto quello che sentì
della fine di Lord Voldemort fu il corpo che atterrava con un tonfo
soffocato
sul pavimento di marmo e il silenzio statico che si estendeva per la
Sala
Grande come uno sciame di api assassine.
Ma durò un
secondo solo. Il secondo dopo,
la tensione era crollata, con un boato così forte e possente
che rischiò
seriamente di far implodere i pochi resti della scuola di magia e
stregoneria.
Le urla, i ruggiti,
le esclamazioni, si
mischiarono con i pianti, con le parole. Minerva venne trascinata dalla
mischia
verso il Prescelto, colui che aveva salvato il Mondo. E, dentro di
sé, mentre
cercava di non guardare quel punto scuro raggomitolato su se stesso che
le
attirava gli occhi come una calamita potentissima, seppe che era finita.
Comunque sarebbe
andata in futuro, per
quanto avrebbe ancor sofferto a ripensare a quel giorno, per quante
lacrime
avrebbe versato, quella era davvero la fine.
La fine della
tirannia, la fine delle
violenze, la fine delle morti premature. Ma anche la fine del suo
amore, la
fine delle sue preoccupazione verso cosa avrebbe
fatto davanti a Lui, la
fine delle lacrime. La fine del suo amore impossibile verso una persona
altrettanto impossibile.
.
. .Fine. . .
Uhm...
la fine non
mi convince molto. Voi che dite? Va bene o è meglio buttare
tutto nel cestino? Aspetto
un vostro commentino, anche su come è penosa questa storia e
che devo
impegnarmi in altre cose perché se no rischio di fare una
brutta fine... ^_^
Grazie mille in anticipo a tutti quelli che leggeranno e (se ce ne
saranno)
recensiranno e metteranno tra i preferiti questa storia (bah... x me
neanche
uno...)
Baci
e abbracci...
_ki_