Siamo
tornate, coi ruoli invertiti :D!
Enjoy<333
"Ehi,
ehi, niisan."
Alphonse
alzò lo sguardo dalla tazza per la colazione per guardare fisso il fratello
maggiore.
"Qual
è il tuo primo ricordo della mamma?"
Il
fratello maggiore continuò a far girare il cucchiaino, attendendo che lo
zucchero si sciogliesse totalmente nel caffellatte. "Il primo ricordo eh?
Così su due piedi non mi viene nulla. Forse è il suo grande pancione, quando
era incinta di te."
Sollevò
la tazza, cominciando a sorseggiare la sua bevanda, gli occhi che intanto si
posavano sulla testa del fratellino.
"Invece
il mio primo...", iniziò il più giovane, inspirando tutta l'aria che
poteva per riempirsi bene i polmoni, "è quel giorno in cui io e te
inspiegabilmente avevamo avuto lo stesso identico incubo quello che poi ci
siamo raccontanti per un sacco e mamma arriva a razzo, prendendoci entrambi a
dormire con lei e papà." Pausa per respirare. "E, invece, il primo
ricordo che hai con me?"
Al
finì di bere il suo the caldo, prendendo su con le dita la poltiglia che i
biscotti avevano formato sul fondo. "E che sia uno carino, non uno dove mi
picchi."
"Così
però è difficile, niichan." Ridacchiò Ed,
poggiando un attimo la tazza e leccandosi il labbro - un denso strato di panna
a fargli da baffi artificiali. "Vediamo... c'era quella volta che... ah
no, li ti avevo fatto piangere... Allora l'a-... no, neanche questo... mh, ecco. Ma è una cosa troppo scema."
"Voglio
saperla, anche s'è troppo scema. Preferisco una cosa scema ai ricordi dove mi
provochi i lividi!", s'intestardì il più giovane, portando la tazza vuota
nel lavello, senza riempirla d'acqua; i piatti li avrebbe lavati Edward, che
non si premurava mai di riempire d'acqua le stoviglie e le pentole perché si
scrostassero, quando toccava a lui. Dunque, si meritava lo stesso trattamento.
"Su, sputa il rospo, fratello scemo.", aggiunse, appoggiandosi col
sedere contro il lavello, con le braccia incrociate e lo sguardo curioso e il
sorriso dolce.
"Ehi,
modera i termini." Sbottò l’altro, inarcando un sopracciglio, un sorriso
stupido sul viso. "E poi non è colpa mia, se eri tutto delicatino.
Ti ho aiutato a diventare quello che sei." Prese di nuovo in mano la
tazza, mandando giù gli ultimi sorsi della bevanda calda. "E' davvero
troppo scema. Eravamo alla scuola materna, e la maestra ci aveva dato dei fogli
per disegnare. E io stavo disegnando draghi e mostri che mangiavano bambini
grassi e biondi," gli tirò un'occhiata, il sorriso che si allargava.
"e poi sei venuto, col tuo sorriso ebete. E mi hai dato il tuo disegno con
me e te che... beh sì, secondo te giocavamo. E mi sono imbarazzato, e ti ho
dato un colpetto sulla testa."
Alphonse
ridacchiò, senza minimamente nascondere il suo divertimento.
"Bambini
grassi e biondi? Credi forse di essere stato un figurino, da piccolo? I vestiti
che portavo erano i tuoi, e a volte erano anche stretti.", ghignò,
infilzandogli il fianco con un dito. "Il mio primo, invece... uhm." si
portò un dito alle labbra, con aria pensierosa. "Forse quella volta che mi
avevi nascosto nello stanzino, in modo che papà non mi trovasse, quella volta
che gli avevo strappato un libro. Mi trovò poche ore dopo, e ne presi un sacco,
però mi avevi salvato per un po' di ore."
"Ma
non è carino, ti ha menato."
Poggiò
di peso il mento sulla mano, prendendo il cucchiaino e andando a recuperare i
granuli di zucchero ancora integri. "Non erano divertenti, le sue manone sulle chiappe. Proprio no."
"Oh,
fanculo! E' carino perché legato a TE, era la prima
volta che mi salvavi, stupido."
Il
più piccolo, storcendo il naso di fronte all'ottusità del maggiore, prese un
biscotto dalla credenza, l'ultimo rimasto E il tipo preferito di Ed. Forse per
punirlo di essere così scemo.
"Non
vorrai mica mangiartelo."
Il Fullmetal rimase immobile, ad osservare quella figura
snella giocare con il biscotto tra le dita. Non poteva farlo. Alphonse non era
crudele. Non come lui, almeno.
"Certo."
Se
lo infilò per metà in bocca, avvicinandosi poi ad Ed, incitandolo a prendersi
l'ultimo pezzo. Quello lo fece e ci scappò il bacio a fior di labbra della
mattina.
"Altro
giro altro regalo altra domanda!", fece poi Alphonse, sorridendo.
"Però ora tocca a te."
"Sei
in vena di ricordi?" rise il maggiore, prendendolo per la maglia e
avvicinandolo a sé - profumava ancora di calore umano. Era buono, delizioso, e
se lo sarebbe mangiato mille volte, se poi dopo non fosse sparito nel nulla,
come il suo amato biscotto. "Il momento in cui mi hai odiato di più."
"Mmh... quella volta che litigammo all'ospedale. Anche se,
credo, fosse più rabbia che altro.", disse, sbuffando e cacciando in su un
ciuffo di capelli biondi. "Altrimenti non saprei... c'è l'odio infantile
di quando mi accusavi di cose che avevi fatto tu, ma non credo contino."
"Io
odiavo quando andavi dalla mamma a dirle che non ti volevo bene." Arricciò
le labbra, poggiando la fronte sulla pancia del fratellino e strofinandoci
contro il naso. "Pensavo che fossi un vero ingrato."
"Ingrato!",
ripeté Alphonse, scherzosamente indignato. "Ingrato, io! Io ti offrivo gli
anni migliori della mia vita dandoti tutto me stesso e tu, tu!, mi prendevi
sempre a pesci in faccia. E una volta non è stato neppure metaforico!"
"Non
è colpa mia se gridavi come un ossesso per avere il mio giocattolo e la zia Pinako aveva appena portato delle trote dal fiume."
"Non
mi pare proprio una scusa per prendere a pesciate tuo
fratello minore, scemo di un fratello maggiore. Dai, dai!", sorrise poi
Al, che ci aveva preso gusto. "Un'altra domanda."
"Oddio
Al, ma che avevi nel the?" bofonchiò Ed, sollevando lo sguardo. C'erano
volte in cui suo fratello appariva un enigma persino a lui. "Non lo so...
la prima volta che hai pensato di amarmi."
A
questa domanda, Al arrossì un poco. Roteò gli occhi una volta. "La
primissima volta? Credo quando dicesti di voler far resuscitare la mamma. Il
tuo sguardo mi è rimasto dentro, davvero...", pronunciò, arricciando poi
le labbra, sicurissimo che Ed non ci avrebbe messo più di un minuto per
prenderlo in giro tutto il giorno. "Perché era determinato,
profondamente... e, beh, poi mi innamoro di te ogni volta che ti vedo,
quindi..."
"Ma
come siamo carini!" sollevò una mano il maggiore, scompigliandogli i
capelli, mentre un sorriso cresceva radioso sul suo volto. Amava quando le sue
guance si coloravano di quel colore, era la più chiara manifestazione della sua
sincerità. "E precoci..."
"Beh,
beh!", replicò Aruchan, guance gonfie, "Ora
tocca a te rispondere. La prima volta, mh?"
"Ehi,
dovrebbe bastarti sapere che ti amo!" replicò Edward, ridendo. Al,
sorridendo, dovette riconoscere che sentire quelle due parole dalle sue labbra
era sempre un evento nazionale - si imbarazzava profondamente a mostrare
affetto. "Me ne sono reso conto quando ho avuto paura di perderti. Non
fisicamente parlando. Insomma, quando tu pensavi di odiarmi, io ho realizzato
di amarti. E beh sì..." sentiva le guancia scaldarsi, incapace di andare
oltre.
Al
ridacchiò - una risata tenera, soffice, e baciò Edward nell'incavo della
spalla. "Non sono l'unico ad essere carino, eeeh..."
Buttò
giù un altro biscotto. "Questo gioco mi sta divertendo, ancora,
ancora!"
"Sì,
ma domanda tu, non mi viene niente in mente da chiederti!" Rise.
"Anzi sì." Sollevò il viso verso quello del fratellino, tirandogli la
guancia. "La volta che ti è piaciuta di più."
"Tutte,
scopi meravigliosamente."
"Non
ci credo che non ci sia stata una volta che ti è piaciuta di più."
Quello
roteò gli occhi, mugolando. "Rispondimi prima tu, in questo momento non mi
sovviene nulla."
"Che
bugiardo..." rise Ed. Gli molestò il petto con un indice, il polpastrello
che viaggiava seguendo le pieghe della sua maglia.
"...
quella volta che mi hai fatto venire due volte nello stesso giorno.",
sputò fuori Al, imbarazzato, tradendo un po' quel che Ed si immaginava -
fratellone convinto di una doppia natura di miele e zucchero, che avrebbe
grandemente inciso sulla risposta. Almeno, secondo lui. "Quella volta che
non mi hai fatto neppure poggiare la borsa, quando sono tornato a casa, e mi
hai buttato sul letto, legandomi i polsi con la cravatta e e
e lo sai poi cos'hai fatto!!", finì acuto.
"Oh
sì, ricordo come ti era piaciuto." Sogghignò Edo, piacevolmente stupito.
Lo trascinò per il colletto verso di sé, costringendolo a sedersi a cavalcioni
sulle sue gambe. "Lo ricordo più che bene."
"So
bene quanto sia particolareggiata la tua porno memoria." Aru incrociò le braccia, sbuffando con gli occhi chiusi. Li
aprì, baciando il fratello sulle labbra. "Ora tocca a te."
L'altro
ricambiò il bacio, accarezzando appena le labbra dell'altro con la lingua.
"Dunque, vediamo... è difficile, considerando tutte le soddisfazioni che
mi dai a letto... Credo comunque fosse quella volta che stavamo andando da zia Pinako, e tu mi hai ordinato di accostare al primo buco.
All'inizio pensavo dovessi fare solo pipì, ma quando mi sono ritrovato la tua
testa tra le gambe..." sospirò, sorridendo, quasi volesse emanare un
cuoricino dalle sue labbra, deliziato.
"La
volta che ti è piaciuta di più è stata un pompino? Pensavo di meglio..."
"Nah, ma il preambolo era decisamente insolito." Rise,
soffiandogli sulle labbra. "Quando ti ho preso e ti ho messo sopra e hai
cominciato a cavalcare come un dannato, lì è stato il bello."
"Mh, scemo...", mormorò Al, in realtà leggermente compiaciuto
dei bizzarri complimenti del suo fratellone. "... me ne dici ancora?"
"Il
gioco non era così." Rise, il dito che scorreva ancora, andando a
molestargli l'ombelico. "Eh, fratellino voglioso?"
"No!
Mi piace sentire i tuoi complimenti...", rispose quello, mordicchiandogli
l'orecchio. "Me ne fai così pochi, fuori dal letto..."
"Certo,
altrimenti ti abitui, e poi non vedo più la tua faccia imbarazzata e mi sento
triste!"
Attorcigliò
un dito nella maglia candida del fratello, poggiando la testa sul suo petto.
Sentiva il battito accelerare lentamente, mentre parlava. "E comunque sei
sempre bravo. Soprattutto quando fai di testa tua."
"Ah,
quanto sei bravo a tirare fuori scuse, eh!"
Al
si chinò sul suo viso, per prendergli un orecchio fra i denti e tirarlo
leggermente. "Lo so che sono sempre bravo, lo vedo bene per quanto sporchi
me e le lenzuola. Mmh...", si rimise a
ponderare, e le rotelline del cervello facevano quasi rumore, "il mio
pregio più grande e il mio difetto peggiore."
"Non
ti sei ancora stancato?" rise l’altro, stringendo un occhio per il dolore
innocuo che suo fratello gli stava procurando. "Mh...
sei sempre disponibile e sei troppo disponibile. Metti che poi approfittano di
te e io rimango senza fratello. Rimarrei inculato alla grande."
"Ma
che scemo! Ma chi mi ruba..."
Era
dolce, il suo amato fratellone, sotto quella scorza un po' acida.
Tremendamente.
"Tu
sei... protettivo. E' questa la cosa che mi piace di più, mi fa sentire...
perfetto. E poi come mi guardi, come mi dici, silenzioso, quanto mi ami e
quanto mi apprezzi... sei isterico, ma vabbè."
"L'isteria
non è un difetto. E poi non sono isterico!" sbraitò, il viso rosso come la
palandrana che indossava spesso durante i suoi viaggi. Se non lo era, ora di
certo non ne stava dando dimostrazione. "... lo sono tanto?" aggiunse
poi, grattandosi la testa.
"Ti
sei risposto da solo, fratello cretino."
"Non
darmi del cretino, a lungo andare potrei crederci."
Fece
scattare le gambe, il suo fratellino che si aggrappò alle spalle nel tentativo
di non cadere.
"Faresti
bene a crederci. Dai, dai, altroooo..."
"Non
saprei... Falle tu le domande, io rispondo."
"C'è
qualcosa che non mi hai mai detto? Mai mai mai? E che ora senti l'impellente bisogno di dirmi?"
"No."
e stavolta i suoi occhi si incollarono a quelli di Alphonse, a mostrargli la
totale purezza delle sue parole. "No, mai. A parte i mille di amo che non
ti dico mai perché sono stupido, e tutti i ringraziamenti che non saranno mai
abbastanza."
"Mh, e tutti i nascondigli dei miei giocattoli?",
domandò Al, prendendolo in contropiede, per dissimulare un po' l'imbarazzo
dell'eccessivo miele inaspettato.
"Dimenticati."
sentenziò, sorridendo. "Ma possiamo andare da Lick'n'Suck a comprarne dei nuovi, se ti va." Ammiccò,
sperando di essere stato abbastanza esplicito.
"Ah,
se vuoi."
Sia
mai di essere preso in giro da Edward senza tenergli testa. O, almeno, da
quando era diventato grande, tentava sempre di ribattere.
"A
te non piace l'idea?", sorrise, infilando una mano sotto la maglia, ad
accarezzargli la schiena.
"Sì
che mi piace, ma ci pensiamo dopo. Se io morissi, niisan, cosa faresti?"
"Che
domande. Ti seguirei." Roteò gli occhi, considerando la risposta scontata
e la domanda altrettanto banale. "Ho faticato per mille, per riportarti
indietro. Credo che potrei impazzire se ti perdessi di nuovo."
Istintivamente
lo strinse a sé, concentrandosi ancor di più sui battiti del suo cuore. A dire
la verità era una paura sottile, che gli ronzava intorno come moscerini
risvegliatisi dopo l'inverno.
"Che
stupido!"
Alphonse
lo allontanò da sé per guardarlo meglio in viso. "Non ci pensare neppure.
Se io dovessi andarmene prima di te, anche tra quarant'anni, non voglio vederti
così presto. Non venire a tormentarmi subito anche nell'al di là!
Stupido."
"Ma
la smetti di chiamarmi stupido?!" Gonfiò le guance, guardandolo torvo.
"Porta rispetto, bambino!"
"Abbiamo
solo un anno di differenza, stupido fratello! E poi, uffa, non volevo che si
prendesse questa piega, volevo continuare il mio questionario. Altra domanda?
Altrimenti usciamo, che dobbiamo fare la spesa."
"Prima
voglio sapere cosa faresti tu."
Scambio
equivalente, no? L'altro sospirò.
"Non
posso negare che ne sarei traumatizzato. Ma mi farei forza, e continuerei a
vivere di ricordi, forse aggrappandomi a loro e fuggendo un po'... ma vorrei
continuare a vivere, almeno per te."
"Questo
mi rincuora." Sorrise, acchiappando il naso con le dita e tirandoglielo un
poco. "Almeno in famiglia qualcuno si salva. E adesso, ultima domanda... cosa
vuoi a cena?" gli domandò, allungandosi sulle sue labbra e attendendo un
bacio.