Fate
was to blame
Philadelphia,
10 Agosto, cinque minuti alla mezzanotte
Quella
notte il cielo era limpido, nemmeno una nuvola all’orizzonte.
Katja non
riusciva a ricordare, nei suoi ventotto anni di vita, una notte di
S.Lorenzo
tanto serena.
Seduta
da
sola sui gradini di
mattoni rossi, sotto
il portico di una graziosa casetta dai muri color panna, volgeva il suo
sguardo
verso il nero manto celeste, rischiarato soltanto da sporadiche stelle.
Proprio
su
di esse, Katja teneva fissi i suoi occhi, aspettando paziente che uno
di quegli
astri sdrucciolasse rapido verso la terra, lasciando nel cielo un
ultimo grido
di luce, prima di cessare di esistere, per sempre.
La
brezza
notturna si insinuò attraverso il maglioncino appoggiato
sulle sue spalle,
scostandole i lunghi capelli biondi di lato. Lei rabbrividì,
sebbene non
facesse realmente freddo, e strinse al petto le ginocchia.
“Andiamo!”
mormorò in un soffio “Solo una! Solo un
desiderio”
Per
quanto
i suoi amici potessero prenderla in giro, una parte di lei ancora ci
credeva:
una stella caduta, un desiderio.
Negli
anni, da sognatrice incallita, era diventata una donna cinica e
diffidente:
quella stupida speranza era l’unica a bruciare ancora nel suo
cuore, benché lei
non potesse spiegarsene il motivo.
Forse
perché
era ancora convinta che fosse stata una stella a riportare a casa suo
fratello,
disperso in guerra.
E
dopo
quindici anni, aveva un altro desiderio da esprimere: dopo le numerose
delusioni e le speranze vanificate davanti all’ennesimo
tradimento, era l’unico
aiuto che poteva ancora chiedere prima di arrendersi completamente e
dire addio
all’anima gemella.
Proprio
quando stava per rinunciare e tornare dentro dai suoi amici, ecco che
accadde:
una stella si staccò dal cielo e, velocissima,
sparì da qualche parte, lontano.
Stringendo
il bordo della sua gonna, sorridendo di se stessa e del suo
comportamento
infantile, espresse il suo desiderio.
“Voglio
incontrare una persona di cui potermi
innamorare. E questa volta per davvero”
Prima
di
alzarsi, sempre guardando un punto indefinito nel mare notturno,
aggiunse:
“Mandami un segno, così potrò
capire”
Aspettò
a
lungo, sbirciandosi intorno, qua e là, ma non
notò nulla che potesse fungere da
indicazione.
Con
un’altra risata, si sollevò in piedi e
sbattè le mani sul retro della gonna per
toglierne la polvere. Quindi tornò dentro casa, chiudendo la
porta dietro sé.
“Eccoti
qui!” le venne incontro Hanna, con un espressione di
rimprovero a piegarle le
sottili sopracciglia “Dove cavolo eri finita, Kat?”
Katja
alzò
le spalle, abbozzando un sorriso di scuse: “Sono uscita a
prendere una boccata
d’aria”
La
minuta
moretta continuò a fissarla poco convinta: “Non
è che avrai ricominciato a
fumare?”
Lei
sollevò gli occhi al cielo, scuotendo la testa:
“Ma va! Ero solo uscita a
guardare le stelle”
Quelli
di
Hanna si illuminarono in un istante, mentre il suo cervello rielaborava
le
informazioni ricevute. Un furbo sorriso increspò le sue
labbra.
“Ahhh,
ho
capito. Aspettavi la tua stella cadente?”
“Forse…”
mormorò Kat, facendo la vaga.
“Beh,
adesso vieni un po’ di là a ballare”
La
bionda
nordica si lasciò guidare nel salotto, controvoglia, ma
senza protestare.
Quando
attraversarono la soglia, i suoi occhi si posarono su qualche coppia
che
seguiva lentamente la musica, danzando abbracciata.
“Ti
vado a
chiamare Ben?” si offrì Hanna, guardandosi intorno
nella stanza alla ricerca di
un ragazzo alto e bruno “Sono certa che non li dispiacerebbe
tenerti un po’ fra
le sue forti braccia” aggiunse, sogghignando leggermente.
“Non
ci
provare” Katja la fermò appena in tempo,
afferrandole il braccio “Niente lenti
ricordi? Aspetterò la prossima canzone e poi balleremo
insieme” le assicurò,
allontanandosi il più possibile dal centro del salotto,
scelto come pista.
“Guarda
che dopo ti vengo a prendere!” la minacciò allora
l’americana, mentre già Kat
prendeva posto su uno dei divanetti di pelle profumata, scostati tutti
nell’angolo, per lasciare più spazio possibile ai
ballerini.
Sbirciando
i suoi amici da una posizione neutra, si fermò ad ascoltare
le parole di una
vecchia ballata di Madonna, che doveva avere ormai quasi una ventina
d’anni.
I know where beauty lives
I've seen it once, I know the warm she gives
The light that you could never see
It shines inside, you can't take that from me
A man can tell a thousand lies
I've learned my lesson well
Hope I live to tell
The secret I have learned, 'till then
It will burn inside of me
The
truth is never far behind
You kept it hidden well
If I live to tell
The secret I knew then
Will I ever have the chance again
If I ran away, I'd never have the strength
To go very far
How would they hear the beating of my heart
Will it grow cold
The secret that I hide, will I grow old
How will they hear
When will they learn
How will they know
***
West
Chester,
10 Agosto, dieci minuti alla mezzanotte
Ville
sedeva da solo su una panchina del parco, dietro al castello di Bam, a
West
Chester, godendosi lentamente l’ennesima sigaretta della
giornata.
Soffiava
una leggerissima brezza, che gli scompigliava i capelli, spingendo
qualche
ciocca sul suo viso: dopo il caldo soffocante del giorno, al quale il
giovane
finlandese era tutt’altro che abituato, quel vento sottile
era decisamente
piacevole.
Anche
il
silenzio e la solitudine gli erano mancati molto: passare la settimana
con Bam,
Missy e la scatenata combriccola di americani fuori di testa, era
sempre
divertente, o come era solito dire Gas ‘da spanciarsi dalle
risate’, ma ogni
tanto la situazione tendeva a degenerare e, adesso che Ville non beveva
più,
lui tendeva a rendersene conto.
Così,
saltuariamente, fuggiva la compagnia per restare da solo qualche minuto.
Ora
sedeva
semplicemente su quella panchina, guardando gli alberi e le siepi
fiorite, non
pensando a nulla in particolare.
Terminata
la sua sigaretta, si sdraiò, incrociando le braccia dietro
alla testa. Sollevò
lo sguardo verso il cielo, stranamente limpido quella sera, ricercando
con gli
occhi qualche costellazione di cui non ricordava realmente il nome.
Fu
allora
che si accorse di un repentino movimento nella distesa oscura,
disseminata di
puntini luminosi: una di quelle piccole e lontanissime stelle era
caduta,
sdrucciolata dal suo posto preferito nel cielo.
‘Che
fortuna’ sorrise il darkman tra sé e
sé, preparandosi ad esprimere il suo
desiderio.
Si
ricordò
che qualcuno gli aveva accennato che, la notte del 10 Agosto, a causa
di
determinate e complicate coincidenze astronomiche, era molto
più facile
assistere a quel particolare fenomeno.
‘Voglio incontrare la mia anima gemella, una
volta per tutte. Non voglio più soffrire, non voglio
più essere preso in giro’
Quando
era
stato lasciato dalla sua ultima ragazza, la donna alla quale aveva
concesso il
suo cuore, con la quale già progettava la sua vita insieme,
per sempre, era
entrato in un incubo senza fine, fatto di alcol e giorni privi di
senso, dal
quale era riuscito a sottrarsi con dolore e fatica.
Da
allora
guardava ad ogni esponente del gentil sesso con diffidenza, fiutando
pericoli e
delusioni dietro ad ogni angolo.
Forse,
quello di cui aveva bisogno, era solo un piccolo aiuto da parte del
destino.
Non
credeva davvero al miracoloso potere delle stelle cadenti, ma lasciarsi
sfuggire un desiderio, senza prezzo, era stupido.
“Ah,
e se
non ti dispiace” aggiunse ridacchiando di se stesso, mentre
si ritrovava a
blaterare da solo “Un segno di qualche genere non farebbe
male, che so, una
foto o un identikit dettagliato…”
“Ma
con
chi diavolo stai parlando?” lo interruppe la testa di Bam,
comparendo
all’improvviso nel suo campo visivo.
Ville
sussultò per lo spavento, rialzandosi di scatto e mancando
per un soffio la
fronte dell’amico.
Bam
lo
continuava a scrutare con occhio critico, le braccia appoggiate ai
fianchi, gli
occhi fin troppo sgranati a causa della quantità di alcol
che probabilmente
circolava ancora nel suo corpo.
“Con
nessuno” si affrettò a rispondere il frontman
degli HIM, tossicchiando appena.
“Ah
no?”
borbottò Bam, poco convinto “Eppure io ti ho
sentito, ne sono sicuro”
Ville
ridacchiò, tirandogli una pacca sulla spalla “Beh,
tu sei sempre sicuro di
molte cose. Ricordi quando eri convinto di aver visto tua nonna ballare
la
lapdance nel tuo salotto?”
L’americano
si fermò un momento, guardandosi le scarpe e, nel frattempo,
spremendosi le
meningi.
“Mh,
sì!
Con un gonnellino hawaiano!” aggiunse, con un sorriso radioso.
“Sì,
Bam,
appunto” Ville sospirò, guidandolo verso la manor
house.
“E
non
c’era veramente, giusto?” domandò
conferma, abbracciando la spalla dell’amico
mentre si lasciava trascinare verso casa.
“No”
“Okay”
Camminarono
in silenzio per forse una dozzina di secondi, poi lo skater
ricominciò con le
sue elucubrazioni filosofiche: “Quindi, se lei non
c’era davvero, allora…” si
voltò nella direzione dell’amico, corrugando la
fronte “Ma di cosa stavamo
parlando?”
Il
darkman
non riuscì a trattenere una risata: “Non
preoccuparti Bam, ora pensa a muovere
i piedi in avanti e cerca di non sfondarmi una spalla”
Con
un
ghigno, Bam tentò a suo modo di seguire la richiesta del suo
ospite.
Erano
giunti sin quasi alla veranda della villa, quando si alzò
una folata di vento
ben più forte, che sollevò polvere, terra e
rametti dal terreno del parco.
Entrambi
si bloccarono, proteggendosi istintivamente con le braccia.
“Wooo!
E
quello cos’era?” gridò lo stuntman,
saltellando esaltato, non appena tutto
tornò normale.
Ville
scrollò le spalle: “Non ne ho idea”
Portò
una
mano all’orecchio, avvertendo che qualcosa si era incastrato
nel suo
padiglione.
“Che
diavolo hai?” gli chiese l’altro, sbirciandolo con
la testa piegata da un lato,
strizzando le palpebre.
Ville
tirò
estrasse l’elemento misterioso e, tenendolo tra le dita, lo
avvicinò al naso
per osservarlo. Bam fece altrettanto, facendosi anche troppo vicino.
Poi
scoppiò a ridere come un idiota ubriaco: “Avevi un
fiore dentro l’orecchio!
Ahahhaah!”
Il
finnico
storse il naso, sbuffando e lasciando cadere parte di un giglio rosso
al suolo.
“Ah-ah
si,
molto divertente. Ora muoviti Bam”
“Un
fiore---nell’orecchio!” continuava a ripetere
l’amico, ridendo senza trovare
requie.
Ma
facevo
anch’io così? Si domandò Ville, facendo
roteare gli occhi, mentre ricordava al
padrone di casa come entrare dalla sua
porta.
**
Katja
lasciò che uno steward educato e sorridente strappasse il
suo biglietto, prima
di avviarsi a passo spedito attraverso il ponte sospeso che
l’avrebbe condotta
al suo aereo.
Quando
ormai, grande e grossa e laureanda, era andata a vivere in un
appartamento
tutto suo, vicino al college, i suoi genitori avevano considerato che
tra
qualche miglio di distanza ed un oceano intero a dividerli, non
c’era poi tutta
questa differenza, almeno a loro parere. La loro non più
piccola bambina se la
sarebbe cavata benissimo e, in qualunque caso, c’era sempre
il suo fratellone
pronto a darle una mano fisica e immediata.
Così,
senza farsi troppi scrupoli, i signori Harroiken avevano lasciato la
caotica
Philadelphia, dove si erano trasferiti una trentina di anni prima per
motivi di
lavoro, ed erano tornati nella loro piccola, amata e freddissima
Helsinki.
E
prima
che il tempo tornasse ad essere troppo impervio nella capitale
finlandese,
Katja aveva deciso di prendersi due settimane di ferie dal suo impiego
di
novella editrice, per far visita ai genitori lontani.
Furono
questa volta due hostess bionde e minute ad accoglierla
sull’aereo, salutandola
in americano. Lei tuttavia rispose nella sua lingua madre,
guadagnandosi un
sorriso ancora più ampio da parte delle assistenti di volo.
Una
le
porse anche un quotidiano finnico, che lei accettò
volentieri: il suomi era la
sua vera lingua, la lingua dei suoi avi, ma questo non significava che
non
avesse bisogno di una spolveratina.
Tenendo
d’occhio il numero segnato sul suo biglietto,
seguì lo stretto corridoio
contornato da luci di segnalazione spente. L’aereo era di
piccole dimensioni,
raggiunse il suo posto molto rapidamente, per scoprire che qualcuno lo
aveva
già occupato.
Perfetto.
Quella
mattina non era molto di buon umore: naturalmente la sveglia non aveva
suonato
all’ora giusta, era stata costretta a prepararsi in un tempo
improbabile e, contemporaneamente,
terminare gli ultimi preparativi: così era sicura di aver
dimenticato di
mettere qualcosa nella sua valigia, o, peggio, di essersi dimenticata
di fare
qualcosa di estremamente importante a casa, come spegnere il gas o
chiudere la
porta a chiave. Ma soprattutto, andando così di fretta, non
era riuscita ad
immettere nel suo organismo nemmeno una goccia di caffè. E
questo era male,
molto male.
“Mi
scusi”
cercò di attirare l’attenzione dello sconosciuto,
voltato verso il finestrino,
tossendo rumorosamente “Quello sarebbe il mio posto”
Il
ragazzo
in questione si girò lentamente, squadrandola da capo a
piedi con i suoi occhi
verdi e penetranti.
Dopo
una
lunghissima ed irritante pausa, Ville rispose svogliatamente,
masticando una gomma
“Davvero?”
Katja
fece
roteare gli occhi, sospirando: “No, per finta. Se vuole le
posso mostrare il
mio biglietto”
“Beh”
mormorò candidamente lui, dando una scrollatina di spalle
“Non puoi
semplicemente sedersi qui?” e così dicendo
indicò il posto accanto a sé.
“Veramente”
ribattè la ragazza, incrociando le braccia al petto
“Io preferisco stare
accanto al finestrino, per questo ho fatto la prenotazione un sacco di
tempo
fa, chiedendo espressamente di avere un posto interno”
Mentre
si
alzava di malavoglia dal sedile, rischiando tra l’altro di
battere la testa
contro il portabagagli, Ville si maledisse per aver lasciato il compito
di fare
la prenotazione a quello stordito di Bam, che si era dimenticato di
fargli
riservare un posto in prima classe.
Così,
oltre a doversi sorbire un viaggio di 10 ore su poltrone decisamente
più
scomodo, avrebbe dovuto sopportare anche quella noiosa sconosciuta.
“Prego”
le
fece un cenno con la mano, abbozzando una specie di sorriso privo di
cordialità, al quale Katja rispose con una smorfia
altrettanto antipatica.
Quando
lo
scambio di posti fu terminato, entrambi si chiusero in un religioso
silenzio,
immergendosi ciascuno nei propri pensieri. Godendo di quella quiete
insperata,
si ritrovarono a considerare che forse quel viaggio non sarebbe stato
poi così
terribile.
Ville
si
rese conto che avrebbe potuto trovarsi tra capo e collo una fan piovra
e
zucchina e che quindi, nonostante il burrascoso inizio, poteva
ritenersi
fortunato; mentre per Kat il tenebroso sconosciuto si rivelò
più tranquillo di
quello che aveva immaginato, essendo, in più, anche
piuttosto interessante da
osservare di tanto in tanto. Naturalmente non vista.
Ma
quella
pace era destinata a terminare, ancor prima che l’aereo
decollasse.
O
meglio,
che non decollasse. I passeggeri del volo 508 diretto a Helsinki,
Finlandia,
furono infatti informati che, a causa di alcuni problemi tecnici,
l’aereo
sarebbe partito con qualche minuto di ritardo.
I
due
compagni di viaggio imprecarono silenziosamente, mantenendo comunque un
atteggiamento dignitosamente composto, riuscendo anche ad impostare un
amabile
sorriso di fronte alla hostess che, scusandosi ripetutamente per il
contrattempo, offriva ai passeggeri qualcosa da bere.
Ville
domandò una coca-cola. Katja notò gli occhi
languidi della giovane assistente
di volo, mentre versava in un bicchiere il contenuto di una piccola
lattina, e
sorrise tra sé e sé di quel comportamento.
Sbirciò ancora il ragazzo,
concordando sul fatto che effettivamente avesse il suo
perchè. E quando era
gentile, la sua voce profonda e suadente era piacevole da ascoltare.
Okay, più
che piacevole.
Quando
fu
il suo turno di decidere, la donna richiese una spremuta
d’arancia. Proprio
mentre si sporgeva per afferrare il bicchiere, Ville urtò
senza volerlo il suo
braccio, facendola sussultare, mentre gran parte del contenuto della
coppetta
di plastica finiva, inevitabilmente, sui pantaloni dei darkman.
“Merda!”
sbottò questi, quando i suoi occhi scivolarono con orrore a
contemplare il
disastro.
“Mi
dispiace” sussurrò Katja, portando una mano alla
bocca.
“Ti
dispiace?” la assalì lui in un sibilo
“Guarda che casino!”
Se
per un
momento la donna si era sentita realmente dispiaciuta, davanti ad un
tale
comportamento tutti i suoi buoni propositi si eclissarono in un colpo.
“Guarda
che sei stato tu ad urtarmi!” gli fece notare, mentre una
ruga di irritazione
solcava la sua fronte.
Ville
inarcò un sopracciglio, per poi voltarsi con una smorfia
spazientita verso la
hostess che gli tendeva premurosa un fazzoletto per pulirsi. Lo prese
senza
tante cerimonie e tentò, invano, di rimediare almeno in
parte al danno.
L’assistente
di volo lanciò alla ragazza un’occhiata piena
d’odio, visibilmente turbata dal
fatto che il suo cliente preferito avesse subito un simile trattamento.
Cercò
in tutti modi di compiacerlo, ma il cantante la liquidò
rapidamente.
Bevve
lentamente il suo bicchiere di coca-cola, mentre Katja restava,
letteralmente,
a bocca asciutta.
Entrambi
presero in mano il quotidiano, immergendosi nella lettura, o meglio
sfogliando rapidamente
le pagine e adocchiando distrattamente i titoli, mentre la mente,
ancora
risentita per l’incidente, lanciava al vicino coloriti
improperi.
Accorgendosi
che nessuna delle notizie riportate attirava veramente la sua
attenzione, Katja
tirò fuori dalla sua borsa sformata il libro che aveva
cominciato quella
settimana e che aveva quasi terminato, sperando che la lettura di un
thriller
l’avrebbe distratta con più successo.
Per
i
primi cinque minuti, le sembrò di aver avuto
l’idea migliore del mondo, e,
presa dall’avvincente romanzo riuscì perfino a
rilassarsi sul sedile,
nonostante il darkman continuasse ad agitarsi di fianco a lei, piegando
e
ripiegando il suo giornale e cercando nella tasca della giacca il
pacchetto di
gomme.
Nei
cinque
minuti successivi, tuttavia, la donna cominciò a sentirsi
sempre meno a suo
agio, quasi oppressa da un qualche inquisitrice forza esterna. Ci misi
poco a
comprendere di essere osservata.
Si
voltò
di scatto, sorprendendo Ville mentre allungava il collo per sbirciare
le
lettere nere d’inchiostro stampate sulle pagine del suo
libro, uno strano
sorrisetto a piegargli quasi impercettibilmente le labbra.
“Vuoi
qualcosa?” gli domandò direttamente, senza tanti
giri di parole.
Lui
alzò
le spalle, perdendo in un secondo il sorriso “No”
“Allora
potresti piantarla di fissarmi?” lo pregò, con
voce assolutamente atona.
“Non
ti
sto fissando” le fece il verso Ville, facendo roteare gli
occhi davanti al suo
egocentrismo “Sbirciavo soltanto il tuo libro. Si tratta di
Heartsick, non è
vero?”
Kat
annuì,
colta di sorpresa.
“Mi
è
piaciuto molto. Soprattutto la parte che stai leggendo
adesso” continuò il
darkman, con una
strana espressione
assorta, che scatenò la curiosità della bionda
“E’ un romanzo davvero
conturbante, era da tempo che non leggevo qualcosa che mi prendesse
tanto”
Il
fuoco
letterario che bruciava vivo in lei, quella stessa fiamma che
l’aveva spinta a
seguire un determinato percorso di studi, fino al suo odierno lavoro di
editrice, fu sul punto di prendere il sopravvento: quell’uomo
la ispirava
molto, dal punto di vista culturale s’intende, e avrebbe
desiderato intavolare
una sana discussione, ma poi si ricordò di essere
mortalmente offesa e replicò
secca.
“Se
non ti
dispiace, mi piacerebbe terminare il mio libro in pace”
L’espressione
di Ville tornò di conseguenza dura, mentre tamburellando con
le dita sul
tavolino pieghevole, tornava a pensare agli affari propri, considerando
quanto
potesse essere maleducata la gente.
Di
lì a
pochi minuti, il pilota annunciò finalmente che
l’aereo era pronto alla
partenza. Katja, pur fingendo di essere completamente assorbita dalla
sua
occupazione, non poté fare a meno di notare quanto
l’agitazione del suo
compagno di viaggio fosse aumentata: mentre il mezzo di trasporto si
alzava in
volo, piegandosi in diagonale, le dita dell’uomo si strinsero
più forti intorno
ai braccioli del sedile e i muscoli del viso si contrassero per la
tensione.
Non
riuscì
a trattenersi dal ridacchiare: “Cos’è,
non hai mai preso un aereo?”
Il
darkman
si girò, rosso in viso per l’imbarazzo e
digrignando un po’ i denti: “No, sono
quasi certo di averne presi più di te, dolcezza”
Katja
arricciò le labbra, davanti all’ennesima
espressione di presunzione, anche in
un momento del genere “E allora come mai tutto questo
terrore?”
“Non
ho
paura” ribatté l’uomo, punto sul vivo.
Si raddrizzò sul sedile, ma fu costretto
a farsi di nuovo piccolo e rattrappito, quando l’aereo
traballò più del normale
a causa di qualche turbolenza.
“No?”
lo
incalzò lei, con un altro risolino.
“No!”
negò
Ville spudoratamente “Solo, avrei bisogno di una
sigaretta”
“Ahh,
ora
è tutto più chiaro”
Le
parole
piene di ironia della donna lo irritarono solo di più e, non
appena i segnali
intermittenti che invitavano i passeggeri ad allacciare le cinture, e
al
contempo di mantenere gli apparecchi elettronici spenti, furono
disattivati,
trasse fuori dalla tasca il suo lettore mp3.
Senza
degnare di una risposta la sconosciuta, si infilò le cuffie
nelle orecchie, e
con un sospiro iniziò a cercare una canzone che potesse
tranquillizzarlo almeno
un poco.
Con
un
altro sorriso di soddisfazione per essere stata la vincitrice di
quell’ultimo
battibecco, Katja riprese in mano il suo romanzo, con tutta
l’intenzione di terminarlo
una volta per tutte.
Ma
non si
poteva certo dire che il giovane finlandese dai capelli scuri tenesse
la sua
musica ad un livello minimo. Anzi.
Per
quanto
cercasse di mantenere la concentrazione, la donna non riusciva a
eliminare
dalle sue orecchie quel fastidiosissimo ronzio. Il suono di una
batteria
martellava troppo rapido e vicino al suo orecchio sinistro, tanto che
iniziò a
mordersi con furia il labbro inferiore, per evitare di compiere qualche
gesto
illegale del quale poi si sarebbe pentita.
Quando
i
suoi nervi stavano per saltare definitivamente, la musica
cambiò
improvvisamente, diventando più lenta e dolce. E in qualche
modo familiare.
Ora
che
bassi e batteria erano quasi inesistenti, la melodia era anche molto
meno
forte.
Incuriosita
da quella strana sensazione di famigliarità, abbandonato
ancora una volta il
povero libro sulle ginocchia, Katja non si rese conto di essersi
spostata di
qualche centimetro sulla poltrona, per accostare un poco il capo allo
sconosciuto.
Ville,
d’altro canto, se ne accorse eccome.
“Cosa
stai
facendo, scusa?” chiese di punto in bianco, interrompendo
bruscamente la
canzone.
Katja
sussultò, spalancando le palpebre.
“Io?
Ehm..cioè, nulla” cominciò a
balbettare, rendendo geloso, con il suo nuovo
colorito, un pomodoro maturo.
Fu
il
turno di Ville di ridacchiare senza ritegno: “Ah no? Sembrava
fossi sul punto
di annusarmi” dichiarò maliziosamente.
“Che
cosa?” esplose Katja, sentendo il viso in fiamme
“Ma cosa diavolo vai a
pensare? Stavo soltanto cercando ci capire che canzone stavi
ascoltando”
spiegò, abbassando lo sguardo.
“Credevo
fossi la paladina della privacy” le fece notare il darkman
con ironia,
mettendola ancora più in difficoltà.
“Scusa”
borbottò lei in un soffio, non sapendo in che altro modo
riparare.
Pur
avendo
capito benissimo, Ville continuò ad approfittarsi della
situazione. Vederla
così in imbarazzo lo divertiva troppo e non voleva sprecare
nemmeno
un’occasione per provocarla.
“Puoi
ripetere per favore, non ho sentito molto bene” le
domandò con la sua migliore
faccia da schiaffi.
Con
un
sorriso angelico, Kat gli strappò senza delicatezza una
cuffia da un orecchio,
benché si rendesse conto che la musica, spenta, non era di
certo un impedimento
alla comprensione.
“Scusa!”
ripeté, questa volta urlandogli direttamente nel canale
uditivo.
Ville
si
ritrasse con una smorfia, portandosi una mano all’orecchio:
“Wow. Hai dei bei
polmoni”
“Grazie”
le
sue labbra si piegarono nuovamente agli angoli, ma mosse dal
divertimento.
“Shhhhh”
soffiò una vecchietta seduta nei posti accanto a loro, al di
là del corridoio,
lanciando loro uno sguardo pieno di disapprovazione che li fece ridere
ancora
più forte.
“Cosa
stavi ascoltando comunque?” domandò Katja curiosa,
non appena si fu ripresa.
Ville
scrutò attentamente il suo viso ora meno teso, tenendo saldo
il contatto con i
suoi occhi celesti, mentre rifletteva se fosse il caso di mantenersi
arrabbiato, o cercare di intavolare una conversazione civile con quella
ragazza, dato che non sembrava proprio possibile fingere che non ci
fosse. Ad
ogni tentativo, il destino li spingeva ancora sullo stesso sentiero fin
troppo
angusto.
La
seconda
opzione sembrò, alla fine, più ragionevole.
“Live
to
tell”
La
fronte
di lei si corrugò in un’espressione concentrata,
mentre cercava di ricordare
“Credo di averlo già sentito,
ma…”
“E’
una
canzone di Madonna, ha qualche annetto ormai” aggiunse lui,
sistemandosi più
comodo sul sedile.
“Madonna?”
domandò lei sorpresa: non avrebbe mai indovinato che a quel
ragazzo così strano,
con un braccio completamente ricoperto da tatuaggi tribali, di cui in
realtà
non conosceva nemmeno il nome, piacesse la regina del pop
“Ascolti Madonna?”
“Qualche
canzone” rispose Ville con un ghigno “Questa la
conosci allora?”
“Io…”
borbottò, spremendosi le meningi “Non riesco
proprio a capire. Mi dice
qualcosa, ma non so esattamente cosa” terminò
grattandosi la punta del naso “La
mia memoria è pessima”
“Vuoi
ascoltarla?” le parole scivolarono dalle sue labbra prima
ancora che il darkman
potesse davvero pensarle. Fu solo dopo averle pronunciate che si
meravigliò di
se stesso, considerando che forse stava passando da un eccesso
all’altro.
Ma
Katja
era fin troppo desiderosa di risolvere quel mistero per poter trovare
la
richiesta insensata. Accettò volentieri, prendendo la cuffia
che il ragazzo le
stava porgendo.
Per
poterla infilare con più facilità
nell’orecchio ed evitare che si impigliasse
nei capelli, scostò la lunga chioma al di là
della spalla sinistra, scoprendo
così una buona porzione del suo collo, fino a quel momento
rimasta nascosta
alla vista.
Fu
allora
che Ville si accorse del tatuaggio sulle tonalità del rosso
che spiccava sulla
pelle chiara: sbattè una volta le palpebre, come sopraffatto
da una bizzarra
sensazione a cui non riusciva a dare un nome.
“Cosa?”
chiese lei, preoccupata, davanti alla sua espressione quasi sconvolta,
pensando
forse di avere le
orecchie o il collo
sporchi.
Lui
scosse
la testa, riprendendosi e regalandole un mezzo sorriso:
“Nulla, stavo solo
guardando il tuo tatuaggio”
“Ah”
sospirò lei, sollevata “A volte non mi ricordo
neanche di averlo” confessò, ed
in effetti era la verità: aveva tatuato quel giglio quasi
tre mesi prima, ma
non si era ancora abituata. Forse perché per la maggior
parte del tempo restava
coperto dai capelli.
Aveva
deciso di incidere quel fiore sulla sua pelle in un atto di ribellione
e di
pazzia, come lo amavano definire le sue amiche. E forse non avevano
tutti i
torti: una mattina, dopo aver litigato con la lavatrice, il postino e
infine
con il suo datore di lavoro, era scappata dall’ufficio e
aveva realizzato uno
dei sogni di quando era ragazzina, rimasto chiuso in un cassetto per
più di
dieci anni. Il giglio, come ispirazione di cambiamento, come bisogno di
novità.
Non
passava occasione in effetti che non se ne pentisse, almeno un poco. Ma
ormai
era fatta. Per una volta non era stata la persona precisa e perfetta
che tutti
conoscevano. E forse non era poi un male.
“E’
davvero così brutto?” domandò ridendo,
notando che il darkman sembrava ancora
un po’ confuso.
“No”
rispose lui distrattamente, mentre riavviava il brano
dall’inizio.
Mentre
dunque Katja ascoltava attentamente il testo e la melodia, cercando un
appiglio
nella sua memoria, anche Ville interrogava i suoi neuroni, sfogliando
le
immagini nella sua testa, quasi fossero state le pagine di un libro.
All’improvviso,
la potenza del ricordo li travolse in una sola ondata.
“Il
mio
segno. La mia stella” pensarono insieme, con una sola voce
silenziosa. Per un
attimo, l’idea che quelli che apparentemente erano stati due
casuali
avvenimenti, l’ascolto di una canzone ad una festa, il volo
di un fiore
sospinto dal vento, fossero stati invece due segni mandati dal destino
per
indicare ad essi la via da seguire, per la realizzazione del loro
desiderio più
recondito, li fece rabbrividire sino alla punta delle ossa.
E
poi
entrambi si beffarono di se stessi e della propria ingenuità.
Di
certo
doveva trattarsi di una semplice coincidenza, e la loro immaginazione
era fin
troppo fervida.
“Allora,
ti sei ricordata?” chiese Ville alla ragazza, non appena la
canzone si
concluse.
“No”
mentì
lei, con un sorriso dolcissimo “Ma è una bella
canzone”
Ville
si
ritrovò a sorridere di rimando, senza un motivo preciso,
come sotto l’influsso
di quel caldo sguardo.
Forse
era
tutto un caso e forse le stelle non centravano proprio nulla.
Eppure…
The
end
“Questa
storia è totalmente frutto della mia fantasia, non
è stata scritta a scopo di
lucro e non ha nessuna attinenza con la realtà. Inoltre ,
non ha intenzione di
offendere i personaggi citati in alcun modo”