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Autore: AnAngelFallenFromGrace    30/10/2009    5 recensioni
Quando perdi fiducia nell'amore, a volte è necessario un piccolo miracolo per tornare a credere. O una stella cadente. Stanchi di infinite delusioni, Katja e Ville si affidano quasi per gioco ai poteri di una notte magica. E se il destino ti spingesse fra le braccia di qualcuno che non avresti mai pensato? Dedicato a tutti quelli che non si stancano mai di esprimere desideri =)

“Mi scusi” cercò di attirare l’attenzione dello sconosciuto, voltato verso il finestrino, tossendo rumorosamente “Quello sarebbe il mio posto”
Il ragazzo in questione si girò lentamente, squadrandola da capo a piedi con i suoi occhi verdi e penetranti.
Dopo una lunghissima ed irritante pausa, Ville rispose svogliatamente, masticando una gomma “Davvero?”
Katja fece roteare gli occhi, sospirando: “No, per finta. Se vuole le posso mostrare il mio biglietto”
“Beh” mormorò candidamente lui, dando una scrollatina di spalle “Non puoi semplicemente sedersi qui?” e così dicendo indicò il posto accanto a sé.
“Veramente” ribattè la ragazza, incrociando le braccia al petto “Io preferisco stare accanto al finestrino, per questo ho fatto la prenotazione un sacco di tempo fa, chiedendo espressamente di avere un posto interno”
Mentre si alzava di malavoglia dal sedile, rischiando tra l’altro di battere la testa contro il portabagagli, Ville si maledisse per aver lasciato il compito di fare la prenotazione a quello stordito di Bam, che si era dimenticato di fargli riservare un posto in prima classe. Così, oltre a doversi sorbire un viaggio di 10 ore su poltrone decisamente più scomodo, avrebbe dovuto sopportare anche quella noiosa sconosciuta.
“Prego” le fece un cenno con la mano, abbozzando una specie di sorriso privo di cordialità, al quale Katja rispose con una smorfia altrettanto antipatica.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fate was to blame

 

 

Philadelphia, 10 Agosto, cinque minuti alla mezzanotte

 

Quella notte il cielo era limpido, nemmeno una nuvola all’orizzonte. Katja non riusciva a ricordare, nei suoi ventotto anni di vita, una notte di S.Lorenzo tanto serena.

Seduta da sola sui gradini  di mattoni rossi, sotto il portico di una graziosa casetta dai muri color panna, volgeva il suo sguardo verso il nero manto celeste, rischiarato soltanto da sporadiche stelle.

 

Proprio su di esse, Katja teneva fissi i suoi occhi, aspettando paziente che uno di quegli astri sdrucciolasse rapido verso la terra, lasciando nel cielo un ultimo grido di luce, prima di cessare di esistere, per sempre.

 

La brezza notturna si insinuò attraverso il maglioncino appoggiato sulle sue spalle, scostandole i lunghi capelli biondi di lato. Lei rabbrividì, sebbene non facesse realmente freddo, e strinse al petto le ginocchia.

“Andiamo!” mormorò in un soffio “Solo una! Solo un desiderio”

Per quanto i suoi amici potessero prenderla in giro, una parte di lei ancora ci credeva: una stella caduta, un desiderio.

 

Negli anni, da sognatrice incallita, era diventata una donna cinica e diffidente: quella stupida speranza era l’unica a bruciare ancora nel suo cuore, benché lei non potesse spiegarsene il motivo.

Forse perché era ancora convinta che fosse stata una stella a riportare a casa suo fratello, disperso in guerra.

E dopo quindici anni, aveva un altro desiderio da esprimere: dopo le numerose delusioni e le speranze vanificate davanti all’ennesimo tradimento, era l’unico aiuto che poteva ancora chiedere prima di arrendersi completamente e dire addio all’anima gemella.

 

Proprio quando stava per rinunciare e tornare dentro dai suoi amici, ecco che accadde: una stella si staccò dal cielo e, velocissima, sparì da qualche parte, lontano.

Stringendo il bordo della sua gonna, sorridendo di se stessa e del suo comportamento infantile, espresse il suo desiderio.

 

“Voglio incontrare una persona di cui potermi innamorare. E questa volta per davvero”

 

Prima di alzarsi, sempre guardando un punto indefinito nel mare notturno, aggiunse: “Mandami un segno, così potrò capire”

 

Aspettò a lungo, sbirciandosi intorno, qua e là, ma non notò nulla che potesse fungere da indicazione.

Con un’altra risata, si sollevò in piedi e sbattè le mani sul retro della gonna per toglierne la polvere. Quindi tornò dentro casa, chiudendo la porta dietro sé.

 

“Eccoti qui!” le venne incontro Hanna, con un espressione di rimprovero a piegarle le sottili sopracciglia “Dove cavolo eri finita, Kat?”

Katja alzò le spalle, abbozzando un sorriso di scuse: “Sono uscita a prendere una boccata d’aria”

La minuta moretta continuò a fissarla poco convinta: “Non è che avrai ricominciato a fumare?”

Lei sollevò gli occhi al cielo, scuotendo la testa: “Ma va! Ero solo uscita a guardare le stelle”

 

Quelli di Hanna si illuminarono in un istante, mentre il suo cervello rielaborava le informazioni ricevute. Un furbo sorriso increspò le sue labbra.

“Ahhh, ho capito. Aspettavi la tua stella cadente?”

“Forse…” mormorò Kat, facendo la vaga.

“Beh, adesso vieni un po’ di là a ballare”

La bionda nordica si lasciò guidare nel salotto, controvoglia, ma senza protestare.

Quando attraversarono la soglia, i suoi occhi si posarono su qualche coppia che seguiva lentamente la musica, danzando abbracciata.

 

“Ti vado a chiamare Ben?” si offrì Hanna, guardandosi intorno nella stanza alla ricerca di un ragazzo alto e bruno “Sono certa che non li dispiacerebbe tenerti un po’ fra le sue forti braccia” aggiunse, sogghignando leggermente.

“Non ci provare” Katja la fermò appena in tempo, afferrandole il braccio “Niente lenti ricordi? Aspetterò la prossima canzone e poi balleremo insieme” le assicurò, allontanandosi il più possibile dal centro del salotto, scelto come pista.

“Guarda che dopo ti vengo a prendere!” la minacciò allora l’americana, mentre già Kat prendeva posto su uno dei divanetti di pelle profumata, scostati tutti nell’angolo, per lasciare più spazio possibile ai ballerini.

 

Sbirciando i suoi amici da una posizione neutra, si fermò ad ascoltare le parole di una vecchia ballata di Madonna, che doveva avere ormai quasi una ventina d’anni.


I know where beauty lives
I've seen it once, I know the warm she gives
The light that you could never see
It shines inside, you can't take that from me

A man can tell a thousand lies
I've learned my lesson well
Hope I live to tell
The secret I have learned, 'till then
It will burn inside of me

 

The truth is never far behind
You kept it hidden well
If I live to tell
The secret I knew then
Will I ever have the chance again

If I ran away, I'd never have the strength
To go very far
How would they hear the beating of my heart
Will it grow cold
The secret that I hide, will I grow old
How will they hear
When will they learn
How will they know


 

***

 

 

West Chester, 10 Agosto, dieci minuti alla mezzanotte

 

Ville sedeva da solo su una panchina del parco, dietro al castello di Bam, a West Chester, godendosi lentamente l’ennesima sigaretta della giornata.

Soffiava una leggerissima brezza, che gli scompigliava i capelli, spingendo qualche ciocca sul suo viso: dopo il caldo soffocante del giorno, al quale il giovane finlandese era tutt’altro che abituato, quel vento sottile era decisamente piacevole.

 

Anche il silenzio e la solitudine gli erano mancati molto: passare la settimana con Bam, Missy e la scatenata combriccola di americani fuori di testa, era sempre divertente, o come era solito dire Gas ‘da spanciarsi dalle risate’, ma ogni tanto la situazione tendeva a degenerare e, adesso che Ville non beveva più, lui tendeva a rendersene conto.

Così, saltuariamente, fuggiva la compagnia per restare da solo qualche minuto.

 

Ora sedeva semplicemente su quella panchina, guardando gli alberi e le siepi fiorite, non pensando a nulla in particolare.

Terminata la sua sigaretta, si sdraiò, incrociando le braccia dietro alla testa. Sollevò lo sguardo verso il cielo, stranamente limpido quella sera, ricercando con gli occhi qualche costellazione di cui non ricordava realmente il nome.

 

Fu allora che si accorse di un repentino movimento nella distesa oscura, disseminata di puntini luminosi: una di quelle piccole e lontanissime stelle era caduta, sdrucciolata dal suo posto preferito nel cielo.

‘Che fortuna’ sorrise il darkman tra sé e sé, preparandosi ad esprimere il suo desiderio.

 

Si ricordò che qualcuno gli aveva accennato che, la notte del 10 Agosto, a causa di determinate e complicate coincidenze astronomiche, era molto più facile assistere a quel particolare fenomeno.

Voglio incontrare la mia anima gemella, una volta per tutte. Non voglio più soffrire, non voglio più essere preso in giro’

 

Quando era stato lasciato dalla sua ultima ragazza, la donna alla quale aveva concesso il suo cuore, con la quale già progettava la sua vita insieme, per sempre, era entrato in un incubo senza fine, fatto di alcol e giorni privi di senso, dal quale era riuscito a sottrarsi con dolore e fatica.

Da allora guardava ad ogni esponente del gentil sesso con diffidenza, fiutando pericoli e delusioni dietro ad ogni angolo.

Forse, quello di cui aveva bisogno, era solo un piccolo aiuto da parte del destino.

 

Non credeva davvero al miracoloso potere delle stelle cadenti, ma lasciarsi sfuggire un desiderio, senza prezzo, era stupido.

“Ah, e se non ti dispiace” aggiunse ridacchiando di se stesso, mentre si ritrovava a blaterare da solo “Un segno di qualche genere non farebbe male, che so, una foto o un identikit dettagliato…”

 

“Ma con chi diavolo stai parlando?” lo interruppe la testa di Bam, comparendo all’improvviso nel suo campo visivo.

Ville sussultò per lo spavento, rialzandosi di scatto e mancando per un soffio la fronte dell’amico.

Bam lo continuava a scrutare con occhio critico, le braccia appoggiate ai fianchi, gli occhi fin troppo sgranati a causa della quantità di alcol che probabilmente circolava ancora nel suo corpo.

 

“Con nessuno” si affrettò a rispondere il frontman degli HIM, tossicchiando appena.

“Ah no?” borbottò Bam, poco convinto “Eppure io ti ho sentito, ne sono sicuro”

Ville ridacchiò, tirandogli una pacca sulla spalla “Beh, tu sei sempre sicuro di molte cose. Ricordi quando eri convinto di aver visto tua nonna ballare la lapdance nel tuo salotto?”

L’americano si fermò un momento, guardandosi le scarpe e, nel frattempo, spremendosi le meningi.

“Mh, sì! Con un gonnellino hawaiano!” aggiunse, con un sorriso radioso.

“Sì, Bam, appunto” Ville sospirò, guidandolo verso la manor house.

“E non c’era veramente, giusto?” domandò conferma, abbracciando la spalla dell’amico mentre si lasciava trascinare verso casa.

“No”

“Okay”

 

Camminarono in silenzio per forse una dozzina di secondi, poi lo skater ricominciò con le sue elucubrazioni filosofiche: “Quindi, se lei non c’era davvero, allora…” si voltò nella direzione dell’amico, corrugando la fronte “Ma di cosa stavamo parlando?”

Il darkman non riuscì a trattenere una risata: “Non preoccuparti Bam, ora pensa a muovere i piedi in avanti e cerca di non sfondarmi una spalla”

Con un ghigno, Bam tentò a suo modo di seguire la richiesta del suo ospite.

 

Erano giunti sin quasi alla veranda della villa, quando si alzò una folata di vento ben più forte, che sollevò polvere, terra e rametti dal terreno del parco.

Entrambi si bloccarono, proteggendosi istintivamente con le braccia.

“Wooo! E quello cos’era?” gridò lo stuntman, saltellando esaltato, non appena tutto tornò normale.

Ville scrollò le spalle: “Non ne ho idea”

Portò una mano all’orecchio, avvertendo che qualcosa si era incastrato nel suo padiglione.

“Che diavolo hai?” gli chiese l’altro, sbirciandolo con la testa piegata da un lato, strizzando le palpebre.

Ville tirò estrasse l’elemento misterioso e, tenendolo tra le dita, lo avvicinò al naso per osservarlo. Bam fece altrettanto, facendosi anche troppo vicino.

Poi scoppiò a ridere come un idiota ubriaco: “Avevi un fiore dentro l’orecchio! Ahahhaah!”

Il finnico storse il naso, sbuffando e lasciando cadere parte di un giglio rosso al suolo.

 

“Ah-ah si, molto divertente. Ora muoviti Bam”

“Un fiore---nell’orecchio!” continuava a ripetere l’amico, ridendo senza trovare requie.

Ma facevo anch’io così? Si domandò Ville, facendo roteare gli occhi, mentre ricordava al padrone di casa come entrare dalla sua porta.

 

**

 

 

Philadelphia Airport, 17 Agosto, 10.47 a.m.

 

Katja lasciò che uno steward educato e sorridente strappasse il suo biglietto, prima di avviarsi a passo spedito attraverso il ponte sospeso che l’avrebbe condotta al suo aereo.

 

Quando ormai, grande e grossa e laureanda, era andata a vivere in un appartamento tutto suo, vicino al college, i suoi genitori avevano considerato che tra qualche miglio di distanza ed un oceano intero a dividerli, non c’era poi tutta questa differenza, almeno a loro parere. La loro non più piccola bambina se la sarebbe cavata benissimo e, in qualunque caso, c’era sempre il suo fratellone pronto a darle una mano fisica e immediata.

Così, senza farsi troppi scrupoli, i signori Harroiken avevano lasciato la caotica Philadelphia, dove si erano trasferiti una trentina di anni prima per motivi di lavoro, ed erano tornati nella loro piccola, amata e freddissima Helsinki.

 

E prima che il tempo tornasse ad essere troppo impervio nella capitale finlandese, Katja aveva deciso di prendersi due settimane di ferie dal suo impiego di novella editrice, per far visita ai genitori lontani.

Furono questa volta due hostess bionde e minute ad accoglierla sull’aereo, salutandola in americano. Lei tuttavia rispose nella sua lingua madre, guadagnandosi un sorriso ancora più ampio da parte delle assistenti di volo.

Una le porse anche un quotidiano finnico, che lei accettò volentieri: il suomi era la sua vera lingua, la lingua dei suoi avi, ma questo non significava che non avesse bisogno di una spolveratina.

 

Tenendo d’occhio il numero segnato sul suo biglietto, seguì lo stretto corridoio contornato da luci di segnalazione spente. L’aereo era di piccole dimensioni, raggiunse il suo posto molto rapidamente, per scoprire che qualcuno lo aveva già occupato.

Perfetto.

 

Quella mattina non era molto di buon umore: naturalmente la sveglia non aveva suonato all’ora giusta, era stata costretta a prepararsi in un tempo improbabile e, contemporaneamente, terminare gli ultimi preparativi: così era sicura di aver dimenticato di mettere qualcosa nella sua valigia, o, peggio, di essersi dimenticata di fare qualcosa di estremamente importante a casa, come spegnere il gas o chiudere la porta a chiave. Ma soprattutto, andando così di fretta, non era riuscita ad immettere nel suo organismo nemmeno una goccia di caffè. E questo era male, molto male.

 

“Mi scusi” cercò di attirare l’attenzione dello sconosciuto, voltato verso il finestrino, tossendo rumorosamente “Quello sarebbe il mio posto”

Il ragazzo in questione si girò lentamente, squadrandola da capo a piedi con i suoi occhi verdi e penetranti.

 

Dopo una lunghissima ed irritante pausa, Ville rispose svogliatamente, masticando una gomma “Davvero?”

Katja fece roteare gli occhi, sospirando: “No, per finta. Se vuole le posso mostrare il mio biglietto”

“Beh” mormorò candidamente lui, dando una scrollatina di spalle “Non puoi semplicemente sedersi qui?” e così dicendo indicò il posto accanto a sé.

“Veramente” ribattè la ragazza, incrociando le braccia al petto “Io preferisco stare accanto al finestrino, per questo ho fatto la prenotazione un sacco di tempo fa, chiedendo espressamente di avere un posto interno”

 

Mentre si alzava di malavoglia dal sedile, rischiando tra l’altro di battere la testa contro il portabagagli, Ville si maledisse per aver lasciato il compito di fare la prenotazione a quello stordito di Bam, che si era dimenticato di fargli riservare un posto in prima classe.

Così, oltre a doversi sorbire un viaggio di 10 ore su poltrone decisamente più scomodo, avrebbe dovuto sopportare anche quella noiosa sconosciuta.

“Prego” le fece un cenno con la mano, abbozzando una specie di sorriso privo di cordialità, al quale Katja rispose con una smorfia altrettanto antipatica.

 

Quando lo scambio di posti fu terminato, entrambi si chiusero in un religioso silenzio, immergendosi ciascuno nei propri pensieri. Godendo di quella quiete insperata, si ritrovarono a considerare che forse quel viaggio non sarebbe stato poi così terribile.

Ville si rese conto che avrebbe potuto trovarsi tra capo e collo una fan piovra e zucchina e che quindi, nonostante il burrascoso inizio, poteva ritenersi fortunato; mentre per Kat il tenebroso sconosciuto si rivelò più tranquillo di quello che aveva immaginato, essendo, in più, anche piuttosto interessante da osservare di tanto in tanto. Naturalmente non vista.

 

Ma quella pace era destinata a terminare, ancor prima che l’aereo decollasse.

O meglio, che non decollasse. I passeggeri del volo 508 diretto a Helsinki, Finlandia, furono infatti informati che, a causa di alcuni problemi tecnici, l’aereo sarebbe partito con qualche minuto di ritardo.

 

I due compagni di viaggio imprecarono silenziosamente, mantenendo comunque un atteggiamento dignitosamente composto, riuscendo anche ad impostare un amabile sorriso di fronte alla hostess che, scusandosi ripetutamente per il contrattempo, offriva ai passeggeri qualcosa da bere.

Ville domandò una coca-cola. Katja notò gli occhi languidi della giovane assistente di volo, mentre versava in un bicchiere il contenuto di una piccola lattina, e sorrise tra sé e sé di quel comportamento. Sbirciò ancora il ragazzo, concordando sul fatto che effettivamente avesse il suo perchè. E quando era gentile, la sua voce profonda e suadente era piacevole da ascoltare. Okay, più che piacevole.

 

Quando fu il suo turno di decidere, la donna richiese una spremuta d’arancia. Proprio mentre si sporgeva per afferrare il bicchiere, Ville urtò senza volerlo il suo braccio, facendola sussultare, mentre gran parte del contenuto della coppetta di plastica finiva, inevitabilmente, sui pantaloni dei darkman.

“Merda!” sbottò questi, quando i suoi occhi scivolarono con orrore a contemplare il disastro.

“Mi dispiace” sussurrò Katja, portando una mano alla bocca.

“Ti dispiace?” la assalì lui in un sibilo “Guarda che casino!”

 

Se per un momento la donna si era sentita realmente dispiaciuta, davanti ad un tale comportamento tutti i suoi buoni propositi si eclissarono in un colpo.

“Guarda che sei stato tu ad urtarmi!” gli fece notare, mentre una ruga di irritazione solcava la sua fronte.

Ville inarcò un sopracciglio, per poi voltarsi con una smorfia spazientita verso la hostess che gli tendeva premurosa un fazzoletto per pulirsi. Lo prese senza tante cerimonie e tentò, invano, di rimediare almeno in parte al danno.

L’assistente di volo lanciò alla ragazza un’occhiata piena d’odio, visibilmente turbata dal fatto che il suo cliente preferito avesse subito un simile trattamento. Cercò in tutti modi di compiacerlo, ma il cantante la liquidò rapidamente.

 

Bevve lentamente il suo bicchiere di coca-cola, mentre Katja restava, letteralmente, a bocca asciutta.

 

Entrambi presero in mano il quotidiano, immergendosi nella lettura, o meglio sfogliando rapidamente le pagine e adocchiando distrattamente i titoli, mentre la mente, ancora risentita per l’incidente, lanciava al vicino coloriti improperi.

Accorgendosi che nessuna delle notizie riportate attirava veramente la sua attenzione, Katja tirò fuori dalla sua borsa sformata il libro che aveva cominciato quella settimana e che aveva quasi terminato, sperando che la lettura di un thriller l’avrebbe distratta con più successo.

 

Per i primi cinque minuti, le sembrò di aver avuto l’idea migliore del mondo, e, presa dall’avvincente romanzo riuscì perfino a rilassarsi sul sedile, nonostante il darkman continuasse ad agitarsi di fianco a lei, piegando e ripiegando il suo giornale e cercando nella tasca della giacca il pacchetto di gomme.

 

Nei cinque minuti successivi, tuttavia, la donna cominciò a sentirsi sempre meno a suo agio, quasi oppressa da un qualche inquisitrice forza esterna. Ci misi poco a comprendere di essere osservata.

Si voltò di scatto, sorprendendo Ville mentre allungava il collo per sbirciare le lettere nere d’inchiostro stampate sulle pagine del suo libro, uno strano sorrisetto a piegargli quasi impercettibilmente le labbra.

 

“Vuoi qualcosa?” gli domandò direttamente, senza tanti giri di parole.

Lui alzò le spalle, perdendo in un secondo il sorriso “No”

“Allora potresti piantarla di fissarmi?” lo pregò, con voce assolutamente atona.

“Non ti sto fissando” le fece il verso Ville, facendo roteare gli occhi davanti al suo egocentrismo “Sbirciavo soltanto il tuo libro. Si tratta di Heartsick, non è vero?”

Kat annuì, colta di sorpresa.

“Mi è piaciuto molto. Soprattutto la parte che stai leggendo adesso” continuò il darkman, con  una strana espressione assorta, che scatenò la curiosità della bionda “E’ un romanzo davvero conturbante, era da tempo che non leggevo qualcosa che mi prendesse tanto”

 

Il fuoco letterario che bruciava vivo in lei, quella stessa fiamma che l’aveva spinta a seguire un determinato percorso di studi, fino al suo odierno lavoro di editrice, fu sul punto di prendere il sopravvento: quell’uomo la ispirava molto, dal punto di vista culturale s’intende, e avrebbe desiderato intavolare una sana discussione, ma poi si ricordò di essere mortalmente offesa e replicò secca.

“Se non ti dispiace, mi piacerebbe terminare il mio libro in pace”

L’espressione di Ville tornò di conseguenza dura, mentre tamburellando con le dita sul tavolino pieghevole, tornava a pensare agli affari propri, considerando quanto potesse essere maleducata la gente.

 

Di lì a pochi minuti, il pilota annunciò finalmente che l’aereo era pronto alla partenza. Katja, pur fingendo di essere completamente assorbita dalla sua occupazione, non poté fare a meno di notare quanto l’agitazione del suo compagno di viaggio fosse aumentata: mentre il mezzo di trasporto si alzava in volo, piegandosi in diagonale, le dita dell’uomo si strinsero più forti intorno ai braccioli del sedile e i muscoli del viso si contrassero per la tensione.

 

Non riuscì a trattenersi dal ridacchiare: “Cos’è, non hai mai preso un aereo?”

Il darkman si girò, rosso in viso per l’imbarazzo e digrignando un po’ i denti: “No, sono quasi certo di averne presi più di te, dolcezza”

Katja arricciò le labbra, davanti all’ennesima espressione di presunzione, anche in un momento del genere “E allora come mai tutto questo terrore?”

“Non ho paura” ribatté l’uomo, punto sul vivo. Si raddrizzò sul sedile, ma fu costretto a farsi di nuovo piccolo e rattrappito, quando l’aereo traballò più del normale a causa di qualche turbolenza.

“No?” lo incalzò lei, con un altro risolino.

“No!” negò Ville spudoratamente “Solo, avrei bisogno di una sigaretta”

“Ahh, ora è tutto più chiaro”

 

Le parole piene di ironia della donna lo irritarono solo di più e, non appena i segnali intermittenti che invitavano i passeggeri ad allacciare le cinture, e al contempo di mantenere gli apparecchi elettronici spenti, furono disattivati, trasse fuori dalla tasca il suo lettore mp3.

Senza degnare di una risposta la sconosciuta, si infilò le cuffie nelle orecchie, e con un sospiro iniziò a cercare una canzone che potesse tranquillizzarlo almeno un poco.

 

Con un altro sorriso di soddisfazione per essere stata la vincitrice di quell’ultimo battibecco, Katja riprese in mano il suo romanzo, con tutta l’intenzione di terminarlo una volta per tutte.

Ma non si poteva certo dire che il giovane finlandese dai capelli scuri tenesse la sua musica ad un livello minimo. Anzi.

Per quanto cercasse di mantenere la concentrazione, la donna non riusciva a eliminare dalle sue orecchie quel fastidiosissimo ronzio. Il suono di una batteria martellava troppo rapido e vicino al suo orecchio sinistro, tanto che iniziò a mordersi con furia il labbro inferiore, per evitare di compiere qualche gesto illegale del quale poi si sarebbe pentita.

 

Quando i suoi nervi stavano per saltare definitivamente, la musica cambiò improvvisamente, diventando più lenta e dolce. E in qualche modo familiare.

Ora che bassi e batteria erano quasi inesistenti, la melodia era anche molto meno forte.

Incuriosita da quella strana sensazione di famigliarità, abbandonato ancora una volta il povero libro sulle ginocchia, Katja non si rese conto di essersi spostata di qualche centimetro sulla poltrona, per accostare un poco il capo allo sconosciuto.

Ville, d’altro canto, se ne accorse eccome.

 

“Cosa stai facendo, scusa?” chiese di punto in bianco, interrompendo bruscamente la canzone.

Katja sussultò, spalancando le palpebre.

“Io? Ehm..cioè, nulla” cominciò a balbettare, rendendo geloso, con il suo nuovo colorito, un pomodoro maturo.

Fu il turno di Ville di ridacchiare senza ritegno: “Ah no? Sembrava fossi sul punto di annusarmi” dichiarò maliziosamente.

“Che cosa?” esplose Katja, sentendo il viso in fiamme “Ma cosa diavolo vai a pensare? Stavo soltanto cercando ci capire che canzone stavi ascoltando” spiegò, abbassando lo sguardo.

“Credevo fossi la paladina della privacy” le fece notare il darkman con ironia, mettendola ancora più in difficoltà.

“Scusa” borbottò lei in un soffio, non sapendo in che altro modo riparare.

 

Pur avendo capito benissimo, Ville continuò ad approfittarsi della situazione. Vederla così in imbarazzo lo divertiva troppo e non voleva sprecare nemmeno un’occasione per provocarla.

“Puoi ripetere per favore, non ho sentito molto bene” le domandò con la sua migliore faccia da schiaffi.

Con un sorriso angelico, Kat gli strappò senza delicatezza una cuffia da un orecchio, benché si rendesse conto che la musica, spenta, non era di certo un impedimento alla comprensione.

 

“Scusa!” ripeté, questa volta urlandogli direttamente nel canale uditivo.

Ville si ritrasse con una smorfia, portandosi una mano all’orecchio: “Wow. Hai dei bei polmoni”

“Grazie” le sue labbra si piegarono nuovamente agli angoli, ma mosse dal divertimento.

“Shhhhh” soffiò una vecchietta seduta nei posti accanto a loro, al di là del corridoio, lanciando loro uno sguardo pieno di disapprovazione che li fece ridere ancora più forte.

“Cosa stavi ascoltando comunque?” domandò Katja curiosa, non appena si fu ripresa.

Ville scrutò attentamente il suo viso ora meno teso, tenendo saldo il contatto con i suoi occhi celesti, mentre rifletteva se fosse il caso di mantenersi arrabbiato, o cercare di intavolare una conversazione civile con quella ragazza, dato che non sembrava proprio possibile fingere che non ci fosse. Ad ogni tentativo, il destino li spingeva ancora sullo stesso sentiero fin troppo angusto.

 

La seconda opzione sembrò, alla fine, più ragionevole.

“Live to tell”

La fronte di lei si corrugò in un’espressione concentrata, mentre cercava di ricordare “Credo di averlo già sentito, ma…”

“E’ una canzone di Madonna, ha qualche annetto ormai” aggiunse lui, sistemandosi più comodo sul sedile.

“Madonna?” domandò lei sorpresa: non avrebbe mai indovinato che a quel ragazzo così strano, con un braccio completamente ricoperto da tatuaggi tribali, di cui in realtà non conosceva nemmeno il nome, piacesse la regina del pop “Ascolti Madonna?”

“Qualche canzone” rispose Ville con un ghigno “Questa la conosci allora?”

“Io…” borbottò, spremendosi le meningi “Non riesco proprio a capire. Mi dice qualcosa, ma non so esattamente cosa” terminò grattandosi la punta del naso “La mia memoria è pessima”

 

“Vuoi ascoltarla?” le parole scivolarono dalle sue labbra prima ancora che il darkman potesse davvero pensarle. Fu solo dopo averle pronunciate che si meravigliò di se stesso, considerando che forse stava passando da un eccesso all’altro.

Ma Katja era fin troppo desiderosa di risolvere quel mistero per poter trovare la richiesta insensata. Accettò volentieri, prendendo la cuffia che il ragazzo le stava porgendo.

 

Per poterla infilare con più facilità nell’orecchio ed evitare che si impigliasse nei capelli, scostò la lunga chioma al di là della spalla sinistra, scoprendo così una buona porzione del suo collo, fino a quel momento rimasta nascosta alla vista.

Fu allora che Ville si accorse del tatuaggio sulle tonalità del rosso che spiccava sulla pelle chiara: sbattè una volta le palpebre, come sopraffatto da una bizzarra sensazione a cui non riusciva a dare un nome.

 

“Cosa?” chiese lei, preoccupata, davanti alla sua espressione quasi sconvolta, pensando  forse di avere le orecchie o il collo sporchi.

Lui scosse la testa, riprendendosi e regalandole un mezzo sorriso: “Nulla, stavo solo guardando il tuo tatuaggio”

“Ah” sospirò lei, sollevata “A volte non mi ricordo neanche di averlo” confessò, ed in effetti era la verità: aveva tatuato quel giglio quasi tre mesi prima, ma non si era ancora abituata. Forse perché per la maggior parte del tempo restava coperto dai capelli.

 

Aveva deciso di incidere quel fiore sulla sua pelle in un atto di ribellione e di pazzia, come lo amavano definire le sue amiche. E forse non avevano tutti i torti: una mattina, dopo aver litigato con la lavatrice, il postino e infine con il suo datore di lavoro, era scappata dall’ufficio e aveva realizzato uno dei sogni di quando era ragazzina, rimasto chiuso in un cassetto per più di dieci anni. Il giglio, come ispirazione di cambiamento, come bisogno di novità.

Non passava occasione in effetti che non se ne pentisse, almeno un poco. Ma ormai era fatta. Per una volta non era stata la persona precisa e perfetta che tutti conoscevano. E forse non era poi un male.

 

“E’ davvero così brutto?” domandò ridendo, notando che il darkman sembrava ancora un po’ confuso.

“No” rispose lui distrattamente, mentre riavviava il brano dall’inizio.

Mentre dunque Katja ascoltava attentamente il testo e la melodia, cercando un appiglio nella sua memoria, anche Ville interrogava i suoi neuroni, sfogliando le immagini nella sua testa, quasi fossero state le pagine di un libro.

 

All’improvviso, la potenza del ricordo li travolse in una sola ondata.

“Il mio segno. La mia stella” pensarono insieme, con una sola voce silenziosa. Per un attimo, l’idea che quelli che apparentemente erano stati due casuali avvenimenti, l’ascolto di una canzone ad una festa, il volo di un fiore sospinto dal vento, fossero stati invece due segni mandati dal destino per indicare ad essi la via da seguire, per la realizzazione del loro desiderio più recondito, li fece rabbrividire sino alla punta delle ossa.

 

E poi entrambi si beffarono di se stessi e della propria ingenuità.

Di certo doveva trattarsi di una semplice coincidenza, e la loro immaginazione era fin troppo fervida.

 

“Allora, ti sei ricordata?” chiese Ville alla ragazza, non appena la canzone si concluse.

“No” mentì lei, con un sorriso dolcissimo “Ma è una bella canzone”

Ville si ritrovò a sorridere di rimando, senza un motivo preciso, come sotto l’influsso di quel caldo sguardo.

 

Forse era tutto un caso e forse le stelle non centravano proprio nulla.

Eppure…

 

 

The end

 

“Questa storia è totalmente frutto della mia fantasia, non è stata scritta a scopo di lucro e non ha nessuna attinenza con la realtà. Inoltre , non ha intenzione di offendere i personaggi citati in alcun modo”

  
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