1.
Gustav & Giulia
Entrammo nella saletta e ci misimo seduti sul divanetto messo lì in mezzo alla stanza: molto insolito, ma non ci fecimo troppe domande e semplicemente ci sedemmo, guardandoci. Sentivamo di essere completamente impreparati per quello che stava per avvenire.
Davanti a noi c’era un grande telo bianco da dietro il quale proveniva una luce, come se ci fosse un programmazione una gara di ombre cinesi e non un’intervista.
«Benvenuti», disse una voce femminile da dietro il tendone, della quale vedevamo solo la figura.
«Ciao», salutai incerta, e così fecero anche tutti i miei compagni di ventura/sventura.
«Chi sei?», chiese Tom, era il più scettico fra tutti.
«Sono colei che vi aiuterà a fare questo vostro percorso interiore.»
«Oddio, una psicologa?», mi sussurrò Anto spaventata.
«E non ce l’hai un nome? E perché non ti fai vedere?», chiese Bill.
«Ha qualche importanza chi sono io? Tutti vogliono sapere chi siete voi, non chi sono io.»
«Beh, noi vorremmo saperlo», tentò Gustav. «Visto che dobbiamo rilasciare un’intervista, da quello che ci hanno detto.»
«Oh, questa non è una semplice intervista, ragazzi.»
«E cos’è?»
«Un momento in cui ognuno di voi ricorderà, rivivrà dei momenti passati, facendone patrimonio comune con tutti quelli che vi stanno seguendo in questo momento.»
«Io non ci sto capendo niente», disse Georg.
«Non c’è nulla da capire. Chiamatemi Voce. Ora tutto quello che dovete fare è rilassarvi, non preoccupatevi di niente, vedrete, andrà tutto a meraviglia e verrà fuori tutto da sé, io farò solo da controfigura, ve ne accorgerete.»
«Se lo dici tu, Voce», borbottò Tom, scettico ancora più di prima.
«Allora, da chi incominciamo?», iniziò a canticchiare a bassa voce, in sottofondo si sentivano dei click, come se stesse usando il mouse o comunque i tasti di una tastiera.
Quella Voce mi incuriosiva parecchio, avrei tanto voluto sapere di più su di lei, vederla in faccia, capire chi era e che cosa c’entrasse con noi, ma non sembrava volerci dire qualcosa di più. Era stata misteriosa pure su quello che dovevamo fare, quindi non potevo pretendere molto.
«Partiamo da, da, da…? Gustav. Sì, Gustav.»
«Da me?», chiese lui indicandosi.
«Sì, certo, conosci altri Gustav in questa stanza?»
«No, ehm… Che cosa devo fare?»
«Assolutamente niente, esci dalla stanza e vatti a fare un giro. Quando abbiamo finito qualcuno verrà a chiamarti, ok? Rilassati, andrà tutto bene.»
«Ok», disse, anche se confuso. Prese la porta e uscì, chiudendosela alle spalle.
«Ci vuoi dire cosa cavolo hai in mente?», chiese Giulia, stava iniziando a scaldarsi e questo non era un bene.
«Un attimo di pazienza, Giulia, tocca proprio a te adesso.»
«A me?»
«Soprattutto a te. Forza, parlaci di Gustav. Ovviamente tutti possono intervenire per dire la propria, ok?»
«Non ho capito bene, devo parlare di Gustav?»
«Sì. Ragazzi, non mi sembra una cosa un po’ difficile!»
«Ma è come… come parlargli alle spalle!», disse Nicole.
«Tranquilli, tutto quello che direte resterà fra noi. E ora forza, chi vuole iniziare a parlare di lui? Io avevo pensato a Giulia perché è la sua ragazza, ma se non se la sente non importa.»
«Sì che me la sento!», si difese.
Voce ridacchiò: che sapesse delle sue reazioni? Che sapesse tutto di noi? Quella tipa era veramente misteriosa, non riuscivo a capire che cosa volesse sul serio.
«Gustav è il mio tenero batterista dal cuore d’oro», incominciò, arrossendo leggermente sulle guance. «Insieme ne abbiamo passate tante anche se il nostro rapporto, beh, ha voluto una bella spinta prima di prendere il volo. Diciamo che siamo andati molto lentamente, ecco.»
«Lentamente. Ci avete messo tre anni prima di mettervi assieme! Siete andati così lenti che pure due lumache vi avrebbero superato», Tom rise.
«Sì, beh, e allora? Noi non volevamo correre.»
«Certo, certo.»
«Beh, ma lo sappiamo com’è Gustav, no? È sensibile, introverso… forse è questo che l’ha bloccato», disse Anto.
«Giulia ti sento perplessa: a te non faceva particolarmente piacere che Gustav ci impiegasse così tanto a relazionarsi a te, vero? Insomma volevi stare con lui, ma lui continuava ad esitare…»
«Ehi Voce, com’è che sai tutte queste cose?», chiese lei irritata.
«Fa qualche differenza che io le sappia o no? Sinceramente ce n’è, però non è importante come io sappia queste cose; come ho già detto siamo qui per voi, è vostro questo momento, non mio.»
«Ok», Giulia sospirò arresa. «È vero, io e Gustav ci abbiamo messo tanto a legarci l’uno all’altra, io sicuramente mostravo più apertamente i miei sentimenti, quando lui… sì, lui esitava…»
Era una bella giornata e Giulia era riuscita
pure a vincere quella
partita, una delle più difficili del campionato. Era
soddisfatta di sé stessa,
era felice, e lo era ancora di più sapendo che tra pochi
minuti avrebbe rivisto
Gustav.
«Giulia, muoviti!»,
gridai da fuori gli spogliatoi con Anto.
«Non posso nemmeno farmi la doccia
in pace?!»
«Ma è un’ora
che sei lì dentro!»
«Gustav che direbbe se mi vedesse
così, eh? Lasciatemi in pace, devo
prepararmi con calma!»
Giulia uscì dal box doccia, si
vestì e si truccò leggermente gli occhi
stando di fronte allo specchio, poi si pettinò i capelli
castani, fino a quando
non furono perfettamente lisci sulle spalle. Li legò in una
coda di cavallo e
sorrise allo specchio prima di uscire con la borsa da calcio sulla
spalla.
Ci vide sedute sul muretto, io con la testa
sulla gambe di Anto, che
sonnecchiavo, e lei che prendeva il sole ad occhi chiusi.
«Bene, possiamo
andare!», gridò facendomi sobbalzare.
«Alleluia», borbottai
alzandomi e stiracchiandomi, mi sentivo ancora
tutta intorpidita.
Raggiungemmo l’hotel nel quale
c’erano i Tokio Hotel e sorrisi quando
vidi Georg che si sporgeva lievemente dalla finestra, giusto per non
farsi
notare, e mi salutava con la mano.
«Che scemo Georg»,
ridacchiai.
Salimmo al decimo piano, quello riservato ai
nostri ragazzi, e Giulia
si scontrò con Gustav, all’angolo delle scale.
«Scusa, fatta male?», le
chiese prendendole il braccio.
«No, non mi sono fatta
niente», gli sorrise.
Lui arrossì e si
scostò un po’ da lei, io e Anto ci guardammo e con
un
sorriso ci allontanammo fischiettando: quei due avevano bisogno di un
po’ di
privacy, o non avrebbero combinato proprio niente.
«Allora, tutto bene?»,
chiese lui, anche se incerto.
«Sì, molto bene! La mia
squadra ha vinto!»
«Oh, mi fa piacere! A parte che
con te in squadra pure Bill e Tom
vincerebbero.»
«Grazie», si
sistemò la frangia sulla fronte e gli sorrise raggiante.
Erano lì impalati in mezzo al
corridoio, non c’era un’anima in giro e
quella magari poteva essere una buona occasione per…
«Ehi Giulia, ciao!»,
gridò Bill correndo verso di loro, mentre io e
Anto ci mettevamo le mani nei capelli pestando i piedi.
«Ciao Bill, tutto bene?»
«Sì!»,
l’abbracciò e la baciò sulle guance,
facendo innervosire il batterista,
che strinse i denti.
«Cos’hai detto
scusa?», chiese Bill, l’aureola dipinta sopra la
testa.
«Niente»,
grugnì, prima di girarsi e di andare verso i ragazzi che li
aspettavano fuori da una delle loro innumerevoli camere.
«Allora Giulia, che ci racconti di
bello?!», chiese Tom.
«Ma… niente di
ché…»
Guardò Gustav di sottecchi e lui
ricambiò lo sguardo sorridendo appena,
troppo timido per manifestare a tutti quel bellissimo sorriso che
riservava
solo ed esclusivamente per lei.
«Accidenti, mi sono appena
ricordata che devo andare a casa! Mamma sarà
furiosa!», disse Giulia portando teatralmente una mano alla
fronte.
«Davvero?», chiese Bill
dispiaciuto.
«Sì! Mi dispiace tanto!
Davvero! Gustav, non è che mi potresti
accompagnare a casa? Per favore è urgente!»
Io e Anto ci guardammo e trattenemmo un
gridolino emozionato: Giulia
sapeva sempre tirare fuori idee, anche se strampalate e assurde,
riusciva
sempre ad ottenere quello che voleva, come per esempio la compagnia di
Gustav.
Solo sua e di nessun altro, magari di nome Bill.
«Ahm, sì»,
disse lui alzandosi e acchiappando la giacca.
«Bene!», Giulia raccolse
la borsa da terra e se la mise sulla spalla. «Bene
nel senso che è un bene che lui possa
accompagnarmi!», aggiunse, sorridendo ai
tre ragazzi, tra cui a Bill che non aveva ancora capito che quella era
stata
solo una scusa per allontanarsi dal gruppo.
«Ciao Giulia, ci vediamo
presto!»
«Molto presto!», mi
corresse Anto, ridacchiando.
Giulia ci fece un occhiolino e uscirono
insieme dalla porta, diretti
verso casa di lei.
In macchina Gustav era silenzioso e Giulia
non sapeva di che parlare,
gli argomenti che le venivano in mente le sembravano tutti banali e
ogni
ipotesi la scartava a tempo di record: doveva rassegnarsi, non
avrebbero
parlato di niente come al solito!
«Allora… Come mai tua
madre dovrebbe essere furiosa?», chiese lui
sorprendendola.
«Mia madre?»
«Sì, l’hai
detto tu che…»
«Ah, sì!», se
n’era quasi dimenticata! «È che dovevo
fare qualche
commissione per lei…»
«Sicura?»
«No.»
«Perché allora
–?»
«Ma sei stupido o cosa? Volevo
passare un po’ di tempo sola con te!»
«Ah…», disse
imbarazzato.
Giulia sorrise intenerita, con lui ci si
trovava a suo agio, anche se
erano caratterialmente diversi e per questo potevano sembrare
incompatibili.
Forse era proprio la loro diversità ad unirli in quel modo,
perché si
completavano a vicenda.
«Quindi…»,
disse Gustav.
«Sì?»
«Volevi passare del tempo da sola
con me. Bill ci ha interrotti, è
vero.»
«Esatto. Francamente, per quanto
bene io gli voglia, non lo volevo fra
i piedi oggi.»
«E che è successo
oggi?»
«Non lo so, sono felice. E voglio
stare con te.»
Gustav la guardò fugacemente e le
sorrise, un sorriso brillante e
affascinante che fece scoppiare il cuore alla povera Giulia inerme a
quella
bellezza.
«Ecco, siamo arrivati»,
disse Gustav parcheggiando l’auto sul ciglio
della strada, di fronte alla villetta della famiglia di Giulia.
«Sì,
purtroppo.»
Si guardarono negli occhi e lei sorrise
portandogli una mano sulla
guancia e avvicinandosi alle sue labbra.
«Giulia?», Gustav si
allontanò e la guardò frastornato.
«Che cosa
c’è?!», gridò.
«Non è un po’
troppo presto? Insomma, è poco che ci
frequentiamo!»
«Ma perché devi dire
così?! Non sei capace di goderti un momento e
basta?! Perché sei così prevenuto?!»
«Non voglio che finisca male,
tutto qui!»
«Ma non è nemmeno
iniziata!»
«Appunto per questo dovremmo
andarci piano!»
«Ma se… se nemmeno
iniziamo, più piano di così!»
«Giulia, dai!»
«No, tu Gustav!»
Gli prese il viso fra le mani e lo
baciò sulle labbra sporgendosi su di
lui, quasi in ginocchio sul sedile di pelle nera, con una tale passione
che
all’inizio lui non riuscì a seguirla, ma poi tutto
divenne naturale e vissuto,
non volevano più staccarsi l’uno
dall’altra.
«Ok, ora sono
soddisfatta», disse Giulia con un sorriso, scostandosi un
poco, le mani ancora intrecciate fra i suoi capelli neri sulla nuca.
«Ma io no.»
Gustav sorrise e la baciò ancora,
attirandola a sé.
«Il nostro primo bacio, me lo ricordo bene», Giulia sorrise.
«Grazie Giulia, ora puoi pure raggiungere il tuo Gustav», disse Voce.
«Ok.»
Giulia si alzò con le lacrime agli occhi e uscì dalla stanza, incrociando Gustav per il corridoio. Gli corse incontro e gli gettò le braccia al collo baciandolo sulle labbra sorridente.
Nella stanza noi intanto guardavamo la figura di Voce, girata di spalle rispetto a noi, aspettando qualche altra istruzione.
«Ora potete parlare di Giulia, ragazze», disse.
«Di Giulia?», chiese Anto.
«Oh, Giulia è… è schizzata forte», dissi ridacchiando. «Somiglia tanto a Georg, perché è sempre disordinata, sempre in ritardo e con lei puoi fare tutte le cazzate del mondo.»
«Tipo?», chiese Bill incuriosito.
«Una volta mi ricordo che è venuta a casa mia dopo una partita che aveva perso, con un pacco di piatti e bicchieri di un servizio che sua madre non usava più ed aveva lasciato in cantina.»
«Sì! Poi siamo andate in una casa disabitata, che conosceva lei, e dentro ci siamo messe a scagliare le cose sul muro, per sfogare la rabbia. Ti ricordi Anto? Quante risate.»
«Sì, sul serio. Oppure quando siamo andate a quella festa che lei si è messa a ballare sul tavolo ubriaca.»
«Era fuori di zucca! Davvero lei è una pazza, ma con Gustav sta bene perché si completano e perché lui le abbassa un po’ le ali.»
«Però… lei è stata provvidenziale nella tua vita, vero Ary?», intervenì Voce.
«Beh…», mi portai una gamba al petto e guardai Tom che mi stava fissando a fronte corrugata, io gli sorrisi appoggiandomi al suo braccio con la testa. «Lei è stata molto d’aiuto quando non ce la facevo più a sopportare mia madre, è vero. Quando a dodici anni sono scappata di casa per la seconda volta sono andata da lei, l’unica cosa giusta che ho fatto in quel periodo. Se non ci fosse stata lei non lo so… forse avrei preso il primo pullman e sarei andata in Svizzera, boh non lo so.»
«Sei stata una stupida quella volta, mi hai fatto così preoccupare…», disse Anto.
«Lo so, ma non potevo fare altrimenti. Poi beh, con Giulia ormai ci conosciamo da tanto! È sempre stata una buon’amica, mi è stata vicina in altri momenti difficili e la devo ringraziare.»
«Giulia è un tornado», disse Nicole, sorridendo. «Anche se la conosco meno rispetto ad Ary e ad Anto mi sono subito affezionata a lei…»
«Ary?
Anto? Sicure di non voler venire?»
«Sì, sul serio, io sono
distrutta», dissi gettandomi sul letto e chiudendo
gli occhi. «Anto, Anto, ho un crampo fortissimo!»
Anto corse ai piedi del letto e mi
tirò su la gamba piegandomi il
piede, per far sì che il muscolo si rilassasse: ero
sopravvissuta ad un altro
duro allenamento di nuoto, ma sinceramente non riuscivo più
a tenere il ritmo e
i crampi continuavano ad aumentare.
C’erano alle porte i campionati
regionali e io sapevo di non potercela
fare, un atleta sente queste cose e io sentivo che non avevo alcuna
speranza di
vincere: ero arrivata al limite, quello era il mio punto di non ritorno.
«Ok, allora noi andiamo! Ciao
piccole!»
«Piccole»,
mugugnò Anto, poi le sorrise.
Nicole e Giulia uscirono e si trovarono di
fronte a varie ipotesi: o
andare al cinema, oppure andare al bar a bere qualcosa, oppure vagare
per le
vie di Milano senza una meta.
Nicole era in Italia per alcuni giorni e ci
eravamo subito messe
d’accordo per vederci, peccato che io fossi stanchissima e
Anto aveva voluto
restare al mio fianco.
«Allora, cinema?»,
chiese Giulia.
«Ok, vediamo che film ci
sono.»
Presero la macchina di Giulia, una Smart
grigia regalo dei suoi
genitori per i suoi diciotto anni, e si avviarono verso il cinema.
Dopo una rapida occhiata ai film in
programmazione presero in
considerazione l’ipotesi numero due, perché erano
davvero brutti. Quindi
presero di nuovo la macchina e si fermarono in un pub a bere qualcosa.
Era vero, Nicole conosceva poco Giulia
rispetto a noi, ma ci si era
subito affezionata in modo particolare: forse perché era
più piccola di lei solo
di un anno, o forse perché semplicemente se la sentiva
più vicina come
mentalità.
«Ma tu e Georg allora?»,
le chiese bevendo un po’ di birra direttamente
dalla bottiglia, maliziosamente.
«Che cosa ti devo dire? Tutto
ok», disse rossa sulle guance.
«L’avete già
fatto?», accennò quell’espressione
maliziosa.
«Beh, a dire la verità
sì…»
«Wow, raccontami su! Voglio sapere
tutti i particolari!»
«Tutti i particolari?!
Adesso!»
Si misero a ridere, quasi non volevano
smettere più, ma c’era allegria
nell’aria e non volevano rovinare quella bella atmosfera che
si era creata.
«E tu e Gustav invece,
pervertita?»
«Pervertita? Qui quella sei
tu! Comunque sì, anche noi l’abbiamo
già fatto. Ci siamo presi del tempo, tre
anni accidenti se è tanto, e poi finalmente è
successo! Ed è stato favoloso,
sul serio!»
«Sei entusiasta, Giulia!»
Si misero ancora a ridere e parlarono di
tutto, dalle loro vite alle
cazzate, il tutto con il sorriso sulle labbra.
«Ehi, ma voi siete le fidanzate di
Gustav e Georg?», disse una
ragazzina bionda con il trucco nero pesante; dietro di lei
c’erano altre due
ragazzine, una mora e una rossa, quest’ultima che masticava
una gomma rosa come
un cavallo.
«Sì, e
allora?», chiese Giulia.
«Beh, non va bene.»
«E questo lo dite a che
pro?», era divertita lei, quando Nicole avrebbe
voluto farsi piccola piccola se non invisibile e sparire dalla
circolazione.
Si sentiva come al solito a disagio,
perché lei non aveva fatto nulla
di male e si sentiva come una ladra quando qualcuno la guardava storto,
aveva
sempre avuto quel difetto sin da bambina, quando sua madre, una donna
bellissima con una carriera di modella alle spalle, le diceva sempre di
essere
perfetta perché se no non avrebbe mai concluso niente.
Da grande aveva capito che lei si sbagliava,
che la bellezza e la
perfezione estetica in generale contavano, ma non era
l’essenziale, però aveva
da sempre quel difetto stampato addosso.
«Lo sappiamo. Soprattutto Georg,
che prima si divertiva con le groupie
ed ora per colpa tua non può più»,
disse acida la moretta guardando Nicole che
sentì ancora di più la voglia di fuggire via.
«Giulia, andiamo via»,
la supplicò.
«No, ma scherzi?! Non ce ne
dobbiamo andare solo per loro, tre
ragazzine.»
«Senti, carina, noi non siamo
ragazzine. Facciamo solo quello che è
meglio per i ragazzi.»
«Certo certo, autoconvincetevi che
il meglio per loro è questo. Credi
che io l’abbia obbligato Gustav a stare con me? Beh se lo
credi sbagli di
grosso. E ora sparite, forza. Ci state rovinando la serata.»
«Ehi!»,
scattò la rossa.
«Sentite, ci metto mezzo secondo a
buttarvi fuori a calci, se non lo
muovete da sole quei culetti che sventolate ovunque», Giulia
si alzò, Nicole la
guardò e l’ammirò profondamente: lei
non sarebbe mai riuscita a dire o a
mettere in pratica quello che aveva detto.
«Non ti scaldare, ora ce ne
andiamo, non è bello avere a che fare con
voi. Ma sappiate che non è finita qui», disse la
biondina, il capo, che poi
indicò alle altre due di seguirla fuori dal pub.
«Che rompiballe»,
sbuffò Giulia sedendosi al tavolo e ridacchiando di
fronte all’espressione di Nicole. «Che faccia, che
è successo?»
«Ma come hai fatto?»
«A fare cosa?»
«A… a mandarle
via!»
«Le ho detto di andarsene. Non
devi badare a loro, ci saranno sempre da
qualche parte, sono solo delle oche. Ora non pensiamoci
più.»
«Grazie… per avermi
difesa», disse Nicole abbassando lo sguardo. Aveva
un anno in più di lei e non sapeva nemmeno difendersi a
parole.
«Non c’è di
ché, l’ho fatto con piacere Niky! Sai che facciamo
ora? Ce
ne andiamo da qui, non mi diverto più.»
Si alzò sorridendo e prese Nicole
per il braccio, trascinandola dietro
di sé per le vie di Milano: alla fine erano passate alla
terza opzione, dopo
aver fatto le prime due con scarsi successi.
Passarono una bella serata e alle due
tornarono a casa ridendo come due
sceme, e ancora ridendo si addormentarono sul divano a casa di Giulia.
Nicole pensò che erano davvero
sceme insieme, ma nonostante tutto ne
era felice.
«Oh, sì, non mi ricordavo di quella serata! È stato divertentissimo!», si mise a ridere, stringendosi la pancia.
«Beh direi che per ora può bastare, che ne dite di farli rientrare?», propose Voce.
«Ok, vado a chiamarli io!», si propose Anto.
«No, facciamo che va Georg, così gli da direttamente il cambio e resta fuori lui.»
«Va bene. Ragazzi, statemi bene», ridacchiò salutando Nicole con un bacetto sulla testa.
«Ciao Georg», lo salutammo in coro.
Poco dopo entrarono Giulia e Gustav, mano nella mano e sorridenti.
«È il turno di Georg?», chiese lei risedendosi.
«Sì.»
«Che bello. Su di me cos’avete detto?»
«C’è la privacy», intervenne Voce, scatenando in tutti delle risatine.
Mancavano ancora parecchie persone, sarebbe stata una lunga giornata.
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Eccomi qui con questa
nuova ff
che premetto ancora una volta, NON
è il sequel di Un
sogno di un sogno. Spero
comunque che vi piaccia, davvero *___*
Ringrazio Ales per avermi
supportata e spinta a fare questa assurdità XD Spero di non
deluderti u_u
Ovviamente ringrazio anche tutti
quelli che hanno seguito Il sogno *-* Ve ne sono veramente ed
eternamente
grata! GRAZIE!
Un
bacio grandissimo,
vostra
_Pulse_