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Autore: Clahp    01/11/2009    10 recensioni
«E non avevi un ragazzo con cui venire?»
Era un gioco strano, quello che si era venuto a creare; stavano entrambi fissando lo schermo, mentre mostri e zombie spaventavano e facevano urlare i bambini presenti in sala, ma nessuno dei due stava minimamente seguendo la trama; e, quantunque adesso ci fosse una luce accecante, i due sconosciuti né distoglievano lo sguardo né provavano minimamente a guardarsi l’un l’altra, sebbene –era ovvio- provassero un’immensa curiosità.
«No. E tu, invece? Tutte troppo impaurite?» provocò lei, ghignando e provandoci quasi gusto.

[ShikaTema - Speciale Halloween]
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The stranger

 

 

Guardò l’orologio, ancora una volta; e ancora una volta ricominciò a battere convulsamente un piede per terra. Si mordicchiò un labbro, nervosa, e alzò gli occhi al cielo; sebbene non fossero neanche le otto di mattina, il cielo era plumbeo e il freddo alquanto intenso; tirava un forte vento e l’aria era greve. Temari schioccò la lingua, si guardò ancora un po’ intorno, e-

Il cellulare vibrò due volte; lei, ancor prima di prenderlo in mano, sapeva ciò che questo voleva dire.

E infatti.

 

Ehi, sorellina! Cause di forza maggiore –capiscimi- mi impediscono di venire oggi. Goditi lo spettacolo, e non morire di paura, eh?

 

Una furia omicida s’impossessò della ragazza; era esattamente ciò che si aspettava. Sebbene il caro Kankuro le avesse parlato di quell’occasione da tantissimo tempo, e sebbene lui non vedesse l’ora di guardarsi una carrellata di film horror, l’aveva mollata da sola come un’idiota davanti al cinema. E per cosa …? Cause di forza maggiore Ovvero, una qualche ragazza dalla scollatura prominente o dalla gonna fin troppo corta. Be’, chissà, magari questa stavolta un cervello ce l’aveva…

Temari imprecò –sì, ci voleva proprio, insomma- e contemplò per l’ennesima volta il programma della giornata; il cinema del loro quartiere aveva avuto la geniale quanto bizzarra idea di organizzare una maratona di film horror nel giorno più tenebroso dell’anno –Halloween, appunto. La proiezione dei film sarebbe durata ininterrottamente dalle otto fino alle sedici; vi sarebbe stato un climax ascendente di paura, di modo da impressionare sempre più il pubblico.

Kankuro, quando ne aveva parlato alla sorella maggiore, ne era rimasto entusiasta; e lei, che d’altra parte era un’amante del genere come lui, si era fatta assai volentieri influenzare. Ma adesso quell’idiota del fratello era sparito, e lei stava morendo di freddo; cosa avrebbe fatto…? Moriva dalla voglia di vedere tanti film in una sola volta, ma d’altra parte era da sola… e stare soli al cinema era sempre stato secondo lei qualcosa di intrinsecamente deprimente… forse avrebbe potuto avvertire Gaara? Ma no, Gaara non era un invasato come loro due… stupido Kankuro…

Il rombo possente di una moto la fece rinsavire; si voltò, aggrottò le sopracciglia ed entrò nella sala. Giovani, bambini e adulti erano vestiti nei modi più strambi; avrebbero potuto, infatti, assistere alla proiezione solo coloro che sarebbero stati mascherati a dovere –un piccolo particolare che era quasi riuscito a farla desistere dall’intento. Temari sbuffò, dunque, prese coraggio e indossò il cappello a punta che aveva comprato poco prima; si legò un mantello al collo e mise in bella vista le unghie nere. Aveva sempre considerato le feste in maschera alla stregua di una pagliacciata per bambini; e Halloween, appunto, era proprio una festa in maschera.

 

In effetti, non aveva mai amato quel giorno; anzi, le era sempre stato particolarmente odioso. Odiava travestirsi, odiava quell’americanata importata in Giappone solo per squallidi fini commerciali, odiava le maschere da strega o da vampiro che iniziavano a spuntare nei negozi già dalla fine di settembre; e, per di più, odiava dover ricordare ogni sacrosanto trentun ottobre quanti anni fossero passati da quel trentuno ottobre. Perciò, per lei non c’era mai stato nessun motivo per festeggiare; ed era per questo che aveva sempre declinato con garbo qualsiasi festa in maschera e aveva passato quel giorno in famiglia. Tuttavia, quest’anno sarebbe andata diversamente; sarebbe andata a seicento chilometri più a nord per fare proprio ciò che in quel giorno si era sempre rifiutata di fare: avrebbe festeggiato con i suoi amici. L’idea era partita agli inizi di ottobre da una delle sue compagne di corso all’università –TenTen- e aveva coinvolto tutto il gruppo; lei, sebbene dapprima fosse del tutto riluttante, aveva poi accettato con un malcelato sorriso di partecipare, e di non pensare per una volta ciò che quel giorno aveva sempre significato per lei.

Ma adesso la situazione era totalmente diversa; non aveva la benché minima voglia di dover partire, quella sera, e sorbirsi sei ore di treno solo per travestirsi come un’idiota… e poi, insomma, il motivo –l’unico motivo, a dirla tutta- che l’aveva spinta a compiere quell’avventato gesto adesso era venuto completamente a mancare, quindi… Però, si sarebbe sempre potuta inventare una balla… ma sì, insomma, il treno si era rotto, o anzi non era proprio partito, e lei era dovuta rimanere lì… anche perché, dopo sei purissime ore di totale immersione nell’horror non aveva proprio voglia di cambiarsi, prendere il treno ed andare a Tokyo… già doveva farlo una settimana al mese, dovendo andare proprio lì all’università… ma sì, avrebbe risolto ben presto. E poi, chi ne avrebbe sentito la mancanza? Proprio lui, d’altra parte, adesso non esisteva più nella sua mente; e gli altri erano sì simpatici, cordiali e divertenti, ma alla fin fine avevano quasi tutti tre anni meno di lei e… festeggiare Halloween era una cosa così infant-

«Ragazzina, non è che ci starai ripensando, eh?»

Temari si riscosse un attimo; la coppietta in fila davanti a lei se n’era andata da un po’ e lei stava fissando il vuoto da qualche minuto, oramai. Il cassiere ghignava, pensando che ella non avesse abbastanza fegato; ma era così evidente che non conoscesse Temari Sabaku No...

«Dormirò tutto il tempo dalla noia, invece, carino…» replicò lei, sistemandosi meglio lo stupido cappello a punta e rispondendo al riso sarcastico.

«Oh, come ti pare. Ma non vorrei essere in te quando proietteranno l’ultimo film, eh. Non hai nessuno a cui abbracciarti?» chiosò l’altro, mentre stampava un singolo biglietto e le dava il resto, guardandola di sottecchi di tanto in tanto.

«Non ne avrò il bisogno.» concluse lei, a denti stretti, cercando di evitare proprio quell’argomento e andandosene con passo pesante.

 

*

 

 

Il cinema era, al contrario delle sue aspettative, semivuoto. Una grande concentrazione di bambini, genitori, giovani e coppiette sedeva nel gruppo centrale di poltrone della sala; ma Temari, che non voleva assolutamente avere disturbi o noie durante quelle che sarebbero state sei meravigliose ore, scelse il primo del gruppo più a sinistra di posti, in cui non c’era nessuno e in cui si sarebbe goduta in tutta tranquillità la giornata. Si accomodò, si tolse il cappotto –quello stupido mese aveva portato il freddo, e in quello stupido giorno neanche a farlo a posta il termometro era sceso ancora più del solito- e sprofondò nella sedia. La sala era calda e spaziosa, la poltrona comoda e i film sarebbero stati meravigliosi; cosa poteva volere di più…?

Alcuni bambini corsero ancora per qualche minuto fra le diverse file delle poltrone, vestiti da fantasmi o da mostri, finché una voce non annunciò l’inizio del primo film, avvertì che non vi sarebbero state interruzioni fra una pellicola e l’altra e che, qualora gli spettatori fossero rimasti troppo impressionati da qualche scena, avrebbero potuto tranquillamente uscire –messaggio che la Sabaku prese con un gran ghigno e un sopracciglio alzato.

Le luci si abbassarono; i rumori si acquietarono; lo schermo divenne bianco, poi grigio e alla fine nero; la ragazza esalò un respiro alla vista del suo colore preferito. Iniziò poi una colonna sonora cupa e opprimente; dapprima bassa, poi via via sempre più alta in un crescendo quasi rossiniano, avvolse gli spettatori e cercò di impressionarli, sebbene su una persona in particolare non vi riuscisse appieno; apparve dunque il titolo del film –“Mostri”, che titolo banale- e una voce narrante principiò a parlare, tentando di far colpo.

Temari fu subito presa; sebbene avesse già capito che quel film sarebbe stato una schifezza, iniziò a rilassarsi e a godersi lo spettacolo. Ma aveva evidentemente parlato troppo presto, perché un quarto d’ora dopo l’inizio del film una porta della sala s’aprì, inondando di luce al neon lo schermo e disturbando la platea, per poi richiudersi dopo qualche secondo; e, in seguito ad un incerto quanto strascicato rumore di passi, la sua vista fu occultata da quello che lei era solita definire “il solito cretino che arriva in ritardo al cinema”; ma questo cretino, chiunque egli fosse, non solo le passò davanti, costringendola a non vedere per diversi secondi lo schermo, ma si sedette proprio accanto a lei e si stravaccò pesantemente sulla sedia.

«Oh, che palle, ma in questo cinema non fanno pubblicità?» commentò lo sconosciuto, tossendo poi forte. Lei schioccò la lingua e replicò, piccata:

«Evidentemente.»

«Be’, dovrebbero. Mi sono perso il quarto d’ora iniziale.»

Lei sbuffò e prese a dondolare una gamba.

«Ti perderai anche la mezz’ora iniziale, se non stai zitto –e la farai perdere anche a me, il che mi seccherebbe alquanto.»

Lui mandò un fischio, basso e sardonico.

«Nervosetta, eh?» commentò, per poi starnutire.

Lei si girò, adirata, e cercò di guardarlo in faccia, ma lo schermo divenne improvvisamente nero e le impedì la vista; quello sconosciuto… aveva qualcosa di… familiare forse, forse…? Ma no, che diavolo andava pensando… quello là non avrebbe mai mosso il fondoschiena per-

«Mmmh, ma come si chiama ‘sto film?»

Lei prese un grande respiro; come al solito, si era immaginata tutto.

E la cosa, inspiegabilmente, le diede un grande senso di sconforto.

«“Mille Modi Per Uccidere Nel modo Più Doloroso Possibile L’idiota Che Al Cinema Non Sta Zitto”. Il film per te, eh?»

Lui sembrò ponderare un po’, per poi dare un altro colpo di tosse e replicare:

«Non mi piace come titolo… troppo lungo.»

Lo sconosciuto rise; era una risata bassa, tranquilla e –in qualche modo- confortante. Temari prese un gran respiro, si spostò sul gomito sinistro, per avvicinarsi a lui, e tentò di distinguere al buio i lineamenti di quel ragazzo, ma la sola cosa che riuscì a vedere furono capelli tagliati corti, a spazzola, e un paio di occhiali; si trovò perciò a ridere stupidamente di sé. Quanto era sciocca… per un secondo, per un solo secondo aveva intensamente sperato –no, peggio, ci aveva proprio creduto- che Shikamaru fosse lì accanto a lei; ma in effetti, a ben pensarci, lui non era un amante dell’horror, lui non portava gli occhiali, lui non aveva capelli a spazzola, non aveva quella voce così profonda e ombrosa, e… be’, semplicemente, Shikamaru viveva a seicento chilometri da lei, e non avrebbe mai percorso tanto spazio per una sciocchezza… per lei, insomma. E… ma perché ci stava ancora pensando? Con lui era finita, era sinceramente finita. E lei ancora e ancora ritornava e ritornava a pensare a lui, anche in un momento così stupido come quello, e-

«Ehi, ehi, mi stai osservando, biondina?»

Lei digrignò i denti; non voleva essere scoperta, il suo orgoglio non gliel’avrebbe mai concesso.

«Volevo vedere chi era l’idiota che mi stesse accanto.» osò, stravaccandosi nuovamente sul gomito destro, così da allontanarsi da lui; l’altro fece per replicare, ma lei, stanca e infastidita dalla presenza oltremodo seccante di quello straniero, e nervosa per altro, sentenziò:

«Senti, basta— lasciami vedere questo stupido film in santa pace, ok?»

Lui sospirò.

 

*

 

 

«Mah, che schifezza» commentò il ragazzo un’ora dopo. «Se tutti gli altri sono così…»

Temari digrignò i denti, affondando le dita nei capelli; quello là stava iniziando a diventare pedante. Involontariamente, tuttavia, girò di un poco la testa verso sinistra e tentò di nuovo di scorgere il suo viso; ma nella sala c’era il buio –era iniziato il secondo film, “Maschere”, ed era ambientato in un fitto bosco- che ancora una volta le impedì di vedere. Eppure, che diamine, i suoi modi-

«Ancora

Lei si morse un labbro.

«Ancora che?!»

«Ancora tenti di osservarmi?»

Ella sbuffò; la innervosiva terribilmente la sua stessa reazione e il suo ancora sperare in qualcosa che era palesemente impossibile, ma ancor di più la irritava che lui la canzonasse e si prendesse tanta confidenza. La ragazza mostrò il suo lato più freddo e scostante, che spesso riservava a chi non conosceva.

«Non sto proprio osservando niente. E se tu mi dici così, vuol dire che evidentemente mi stavi osservando.»

Mentre la ragazza dello schermo urlava e quasi si strappava i capelli, lui parve ponderare un po’.

«Mmmh, logica ferrea, ragazza. Però, ciò non toglie che tu mi stavi osservando.»

E di nuovo, e più forte, lei si morse un labbro; ma che diavolo…? Non era da lei essere così debole e nervosa, non davanti ad uno sconosciuto; tentò di calmarsi, di non pensare alle possibili somiglianze ad altre persone nel modo di parlare o di rispondere, e sentenziò:

«Ok, allora ci stavamo osservando a vicenda. Facciamo un bel gioco, eh? Ognuno si fa i fattacci suoi, non guarda l’altro e –soprattutto- sta zitto. Chi guarda l’altro, be’, è un idiota. Ok?»

Lui ghignò, beffardo, e reiterò:

«Perfetto. Anche perché, non sembri un granché.»

Lei arrotò i denti e, per la prima e probabilmente unica volta nella sua vita, non ebbe l’ultima parola.

 

 

*

 

 

Tentò di analizzare la questione in modo razionale –razionale, razionale, come a lei piaceva essere.

Non era possibile che quello fosse Shikamaru. Be’, parlava come lui, ok, si atteggiava, ghignava, sbadigliava e le rispondeva come lui… ma no, non era lui. Shikamaru non era così chiacchierone, e d’altra parte quell’altro non s’era mai lamentato di niente e non aveva mai pronunciato la magica parola “seccante” —no, no, non era affatto lui.

Perché mai avrebbe dovuto esserlo, poi? Fra loro c’era stata solo un’amicizia… forse profonda… ma un’amicizia, insomma. E lei si era montata la testa, basta. Era una cosa strana, d’accordo, perché era sempre stata una ragazza con i piedi per terra, mai romantica o sciocca come tante sue coetanee, però… però un po’, insomma, ci aveva sperato. Perché quando litigavano, quando battibeccavano, quando lui acconsentiva di malavoglia a fare qualcosa che lei gli chiedeva, quando le mostrava il suo affetto in modo assolutamente inusuale e bizzarro, o quando la bollava come “seccatura”… lei era felice. Ma adesso era tutto diverso; avevano litigato, giusto qualche settimana prima, e non s’erano più visti, né lui s’era più fatto vivo; e quindi, be’…

«Ma come mai al cinema sola soletta?»

L’omicidio, alle volte, andrebbe legalizzato…

«Quali erano le regole, scusa?»

«Oh, andiamo… questo film fa schifo. E tu ti stai annoiando, ora che non puoi più osservarmi, e io sto semplicemente cercando di non farti addormentare.»

La ragazza si sistemò meglio sulla sedia; era estremamente curiosa di guardare alla sua sinistra, ora che lo schermo era bianco e la sala era invasa dalla luce… ma no, no, avrebbe desistito, non si sarebbe mai piegata. Mai.

«Tutta questa confidenza non mi piace. Non so nemmeno chi sei. E io non do confidenza agli sconosciuti, mi spiace.»

Forse avrebbe dovuto cambiare posto…? La sala era semivuota. Ma no! Così si sarebbe dimostrata debole, e lei, orgogliosa com’era, non se lo sarebbe mai perdonato…

«Ti agiti un po’ troppo. Ti ho solo porto qualche innocua domanda, mentre vediamo questo schifo di film, tutto qui.»

Ok, anche il ragazzo aveva ragione. Perché lei se l’era presa tanto a cuore…? Maledetto pesaculo di un Nara…

Passò qualche minuto in silenzio, mentre il demone sullo schermo –palesemente di cartapesta- faceva emettere alla solita ragazzina urla agonizzanti e tremebonde.

«E allora, perché sei da sola?» insistette, testardo, l’anonimo.

«Mio fratello mi ha mollato come una stronza davanti al cinema.»

«Ma non è un po’ triste venire al cinema da soli?» si lasciò scappare l’altro, per poi pentirsene.

«Ehi, tu hai fatto la stessa cosa…» gli fece notare lei, adesso ridacchiando un po’.

«Mmmh, giusto. Ma non avevi un ragazzo con cui venire?»

Dove voleva arrivare…? Eppure, la cosa si stava facendo interessante… Era un gioco strano, quello che si era venuto a creare; stavano entrambi fissando lo schermo, mentre mostri e zombie spaventavano e facevano urlare i bambini presenti in sala, ma nessuno dei due stava minimamente seguendo la trama; e, quantunque adesso ci fosse una luce accecante, i due sconosciuti né distoglievano lo sguardo né provavano minimamente a guardarsi l’un l’altra, sebbene –era ovvio- provassero un’immensa curiosità.

«No. E tu, invece? Tutte troppo impaurite?» provocò lei, ghignando e provandoci quasi gusto.

«Oh, sì. Figurati, quella che volevo rimorchiare si vede solo film adolescenziali –hai capito, insomma. Non era proprio da film horror. E così, eccomi qui.»

«Che bella storia…» commentò l’altra, sarcastica.

«E tu non avevi nessuno? Proprio nessuno? Avrai vent’anni, figliola…»

«Ventiquattro, per la precisione. E allora? E comunque il nessuno l’ho lasciato perdere.»

Passò qualche secondo in silenzio; lei si pentì velocemente di ciò che aveva detto. Non aveva mai provato piacere a parlare di sé, né a lasciarsi andare a confessioni sui suoi svariati problemi; eppure, l’aveva appena fatto.

«Ohi ohi. Toccato tasto dolente?»

Lei capì che era ora di smetterla.

«Sì. E… basta, insomma, voglio seguire il film.»

Lui, ancora una volta, annuì lentamente.

 

*

 

 

 

Era tutta colpa di quello stupido Kankuro, sì. Oh, ma gliel’avrebbe fatta pagare, oh se-

«E stasera andrai mascherata, presuppongo.»

Infastidita, lei prese un grande respiro. Forza. Mancavano solo due ore e mezza alla fine; era appena iniziato il terzo film –“Presenze”- e molte persone, impaurite, se n’erano già andate dalla sala.

«Prego?» domandò lei, formale.

Lui sembrò spazientirsi e riformulò frettolosamente:

«Alla festa… oh, sarai invitata a qualche festa, no? Non so se te ne sei accorta, ma oggi è Halloween.»

«Non mi piacciono queste idiozie… e poi, festeggiare che cosa? Odio questa festa e odio questo giorno.»

Lui sbuffò, tossì forte e s’accomodò meglio sullo schienale.

«Allegria, ragazza! E’ un modo come un altro per stare insieme e per vestirsi in maniera diversa, una volta tanto.»

«In ogni caso, non mi piace.»

«Non farai nessun “dolcetto o scherzetto?”, stasera? Starai da sola a casa?»

Lei fece un gesto scostante con la mano.

«Mmmh, in verità avrei una festa. Ma non mi va molto di andarci. E’ a sei ore da qui, sai.»

«Esiste il treno.» notò l’altro.

«Grazie dell’informazione, me la scriverò.» chiosò l’altra, a denti stretti. Quanto era fastidioso… «Ma non sento motivo di festeggiare, oggi.»

«E perché?»

No, no, su questo era intransigente. Era uno sconosciuto, diamine, e lei gli aveva detto fin troppo…

«Fatti miei. Te l’ho detto: odio Halloween. Probabilmente, resterò a casa e mi inventerò qualche balla, insomma.»

«Il nessuno di cui hai parlato non può venirti a fare compagnia, scusa?» domandò poi; sembrava curioso, in qualche modo.

Temari rise amaramente.

«Figuriamoci. E’ pigro… in maniera maniacale, oserei dire; è quasi una patologia. Non si smuoverebbe mai, e in ogni caso non per me.»

Calò il silenzio per qualche secondo, mentre un ragazzo veniva squarciato pezzo pezzo.

«Come mai così pessimista?»

Ella schioccò la lingua e si issò meglio a sedere.

«Oh, non vedo un futuro. Non so… alle volte mi capita di vedere tutto nero… non so perché.» sospirò un po’ e si grattò il capo. Eppure, si sentiva meglio; in effetti, aveva letto da qualche parte –in qualche suo libro di medicina, sicuramente- che parlare dei propri problemi a persone del tutto sconosciute era maieutico e catartico, poiché ciò comportava un consiglio parziale e del tutto oggettivo, non influenzato dalla conoscenza della stessa persona o del diretto interesatto, e non condizionato da pregiudizi —d’altra parte, era proprio ciò che avveniva con gli psicologi, no?

Temari si morse un labbro… sì, forse, entro un certo limite, ovviamente era la cosa giusta… forse. E poi, quello strano ragazzo le ispirava simpatia.

«Non lo senti più?» domandò ancora l’ignoto.

«No, da un po’, in effetti. Né lui fa avere sue notizie, figuriamoci.»

«Ma si può sapere che ti ha fatto?»

Un enorme afflusso di sangue fuoriuscì dal petto della protagonista; altre persone se ne andarono, disgustate o nauseanti. In sala rimasero davvero in pochi.

«Storia lunga. Lunghissima.»

«Che non ti va di raccontare, ho capito.» sentenziò l’altro, quasi sorridendo, tornando a vedere seriamente il film.

 

*

 

 

«Eppure… qualcosa deve averti pur fatto, insomma.»

«Ti diverte così tanto farti gli affari miei?»

L’altro evidentemente fece spallucce.

«Mmmh, fino a un certo punto. Non so chi sei, né conosco la tua faccia; usciti di qua, fra due ore, non ci vedremo mai più.» asserì, sincero. «E poi… non so, mi sembri affranta, per qualche motivo.»

Lei sospirò.

«Lo sono. E’ colpa di Halloween, te l’ho detto.»

«Sì, ma ancora non mi hai detto perché.», insistette egli. A quanto pareva, lui e Shikamaru condividevano la cocciutaggine…

«Perché, eh? Be’, venti anni fa… moriva mio padre. Io e i miei fratelli ci trovammo completamente orfani, dal momento che pure nostra madre era morta, sei mesi prima. Semplice.»

Temari non si sarebbe mai aspettata una reazione così sentita da parte dell’altro; questi s’ammutolì per diversi secondi, respirò più gravemente e balbettò, quasi fosse intimamente colpito:

«Oddio… mi dispiace… Io… non avrei mai pensato che… che, insomma… potesse essere per qualcosa di così serio e…» Sospirò ancora, per poi completare: «Ok, figura di merda. Mi spiace, insomma. Per quanto vale.»

La ragazza, suo malgrado, si ritrovò a sorridere fra sé.

«Oh, fa niente. E’ successo tanti anni fa, ma –insomma- in questo giorno sono un po’ scazzata. Più del solito, insomma.» ironizzò.

«E… quel tipo non ha capito che tu hai bisogno di conforto, in questo giorno

Lei deglutì, mentre sul video una sequela di cadaveri resuscitava.

«Evidentemente no… ma io non gliel’ho mai detto. E poi, lui ci teneva così tanto ad andare con me a quella festa di Halloween, stasera, che non volevo rovinargli la serata.» si mordicchiò un labbro, leggermente insicura e titubante; che cosa strana, lei era sempre stata molto diretta e decisa. «Non sono una che si lascia coinvolgere molto, né che parla di sé, sai.»

«Con me, però, l’hai fatto.» fece notare la voce, quasi con una punta d’orgoglio.

«E’ vero. Ma, come hai detto tu… “non so chi sei, né conosco la tua faccia; usciti di qua, fra due ore, non ci vedremo mai più”.» E a lei dispiacque che lui non potesse –o non dovesse- vedere la sua faccia sardonicamente ghignante. «E’ così facile lasciarsi andare con uno sconosciuto… non hai colpe, né rimorsi, perché non sai chi è e non lo vedrai mai più, no?»

«Giusto» convenne l’altro. «Ma, uhm, perché non gliene hai mai parlato, dunque?»

Temari rifletté. Già, perché non ne aveva mai fatto a parola a Shikamaru…?

«Perché… be’, farlo avrebbe voluto dire che lui significava qualcosa. Che era una persona importante. Io… sai, sono piuttosto orgogliosa e cocciuta; e, sì, sono anche molto indipendente. E confessargli questo, e dirgli ciò che non mi andava di lui… insomma, non avevo pretese di farlo.»

«Avresti dovuto ammettere a te stessa che lui importava, e non ne avevi il coraggio.» finì lui, saggio e provocatorio, annuendo fra sé.

«Ehi, sei uno psicologo? No, non è per quello… io… no! Non volevo far sapere i fatti miei in giro.» si difese, quasi ciò che lui aveva proferito fosse un’accusa. «E poi… non ne avevo motivo, ti ripeto. Eravamo solo amici.»

Altre persone se ne andarono da quella sala; in effetti, il film stava iniziando a diventare molto pesante. Si era trasformato da horror a splatter; mucchi di ossa, sangue, arti, occhi volavano da tutte le parti dello schermo; gli attori urlavano, i cattivi ridevano, e la colonna sonora era più cupa che mai. Oramai, in quella sala erano rimasti in una decina, loro due compresi.

«E allora, perché mai ti sei offesa per come ti ha trattato? E perché hai preso in considerazione il proposito di riferirgli di quanto odi questa giornata?»

Lei si ritrovò zitta; non sapeva che dire. Ma avrebbe avuto l’ultima parola, oh sì, fosse cascato il mondo…

«Era un amico, per l’appunto. Tu non ci rimarresti male se un’amica ti trattasse sdegnosamente?» replicò.

«Mmmh, sì, in effetti.»

Passarono diversi secondi di silenzio, coperto tuttavia dalle urla laceranti dell’eroina del film; sebbene il film stesse iniziando a diventare interessante, Temari non vi badò troppo: si sentiva leggermente presa in giro.

«Ma parliamo di te, ora. Com’è questa ragazza che vorresti rimorchiare, eh?»

Lui, ancora una volta, sorrise lentamente; e quella risata, diamine, era proprio quella tipica di –

«Un po’… viziata. Egocentrica. Urla spesso. Sa tutto di moda. Ma è bella, oh, se lo è; è bionda, ha gli occhi azzurri, è alta, è magra…»

L’altra sbuffò, quasi fosse delusa.

«Oh, che stereotipo banalissimo. E tu stai appresso ad una così?»

L’altro ponderò un po’.

«Eh, sì. Però… lei non è che mi consideri molto.»

«Forse, non è il tipo che fa per te?» suggerì lei, leggermente interessata e curiosa come suo solito.

«Forse. Chissà… però, sai… mi ci vorrebbe una con il carattere, per farmi smuovere un po’. Cocciuta, testarda, ma decisa. Una brava ragazza, con i piedi per terra, che mi rimbecchi quando c’è bisogno, sì. E che mi accompagni al cinema a vedere gli horror.»

Qualcosa nell’aria mutò; Temari trattenne il respiro, mentre i suoi nervi le solleticavano i sensi. Quel ragazzo… quello sconosciuto, che tuttavia ora non era più tale… in qualche modo, la affascinava. E poi, era il sosia di Shikamaru…

Fu tentata. La scena del film era all’aperto; la luce inondò la sala e la sua unica coppia di occupanti rimasta. Se avesse leggermente girato la testa, se avesse aguzzato un po’ lo sguardo… lo avrebbe visto… perché non provare, insomma…? Ok, aveva stabilito lei stessa le regole di quel gioco idiota, e il suo orgoglio gliele aveva fatte perseguire tenacemente; tuttavia, adesso la curiosità ebbe la meglio. Ma sì, che male c’era…? Giusto per fugare i dubbi, una volta per tutte… e poi, il ragazzo era fortemente raffreddato; tossiva e starnutiva in continuazione… quindi, la sua voce poteva forse pure essere…

Girò la testa, piano piano, per non farsi notare; intorno a sé era tutto luminoso; sì, vedeva le mani, la felpa, gli occhiali, e…

E fu tutto buio. La sala era adesso totalmente immersa nell’oscurità; e lei, dannazione, non era riuscita a vedere la sua faccia.

«Cortocircuito, porca miseria» commentò l’altro, sbuffando.

Calò il silenzio.

«Siamo rimasti solo noi due.» continuò la voce.

«E’ una provocazione, carino?» interpretò lei, ghignando.

«Mmmh, è una costatazione.» egli precisò.

«Be’, allora credo che uno dei due debba andare alla cassa» disse lei. «Ho pagato un biglietto per quattro film, non per tre e mezzo, e…»

«Ah, io non mi alzo. Sto tanto bene qui, e il film faceva schifo.» sentenziò lui, stravaccandosi e sbadigliando.

La conversazione morì lì; erano entrambi spalmati sulle poltrone, al buio, e in silenzio.

«Ma si può sapere cosa ti ha fatto, quello lì?»

Lei sospirò.

«Be’… ultimamente, non gliene andava bene una, sai. Lui è un tipo che si lamenta, e tanto, però alla fine fa sempre quello che dico io, ovviamente… Ma in queste due settimane –non ci sentiamo da tanto, sì- era diventato scontroso, accidioso pure più di prima e sempre scazzato. Io gliel’ho fatto notare, e abbiamo litigato, e poi abbiamo fatto pace; ma quando gli ho gentilmente chiesto di venire da me –lui abita a Tokyo, io qui a Osaka, ma vado all’università lì una volta al mese, per il resto studio da sola qui- ha rifiutato. E non era la prima volta… io capisco che una relazione a distanza sia difficile, lo so… però… lui non vuole nemmeno provarci.» Sospirò. «Lo so che è pesante, però… se è l’unico modo, insomma…»

«Mmh, magari era girato per qualche motivo. Ma in effetti, se non voleva venire per molte volte, e se si lamentava continuazione, un po’ di colpa ce l’ha.» valutò lui. «E poi, come vi siete mollati?»

Lei si grattò brevemente la fronte. «Urlando… con qualche parolaccia, insomma… come al solito. Oh, ma noi litighiamo spesso, non c’è problema… però, ecco… questa volta era diverso. Lui non s’è più fatto vivo. E io stasera non lo voglio vedere –nono, me ne rimango qui, io odio Halloween, e…»

«Se però» la interruppe lui «come dici tu, questo qua fa quello che vuoi, essendo tuttavia pigro e svogliato, ed essendo tu stessa tenace e di polso, non pensi che tenga a te?»

Lei rimase in silenzio. Era vero, era vero, però… lei aveva paura, sì. Loro due non erano mai stati propriamente insieme; c’era stato un bacio, d’accordo, ma dopo c’erano state svariate litigate e imprecazioni. E quindi…

«Insomma, giornataccia, oggi. Mio fratello mi ha mollato, mi sono travestita come un’idiota, mi sono vista una sfilza di film di qualità orripilante, ho conosciuto uno sconosciuto, e… ed è il 31 ottobre.»

«Uno sconosciuto?» chiese l’altro, quasi fosse sorpreso. «Io sarei uno sconosciuto?»

Temari s’avvicinò alla fonte di rumore; be’, certo che lo era…

«Mi pare ovvio. Io… insomma, ci siamo conosciuti in una maniera del tutto assurda, abbiamo rivangato storie stupide e infantili, ci siamo pure mandati a quel paese l’un l’altra, non abbiamo idea dell’altrui faccia o nome… quindi sì, mio caro, sei uno sconosc

Ma non finì di parlare, perché si ritrovò le labbra sigillate da quelle che erano altre labbra; lo sconosciuto –che non era più una semplice voce né una semplice presenza, oramai- si era quasi buttato su di lei, e adesso la stava baciando piano, lentamente, in modo quasi sciatto e abulico, tuttavia con una passione e un ardore che la avvolsero e la presero totalmente. Sebbene dapprima riluttante, adesso Temari si lasciò decisamente andare; diamine, era una situazione pazzesca, ai limiti del credibile, eppure… eppure, lei era felice.

S’avvinghiarono ancora di più, e ancora di più durò il bacio; tuttavia, dopo un po’ –dopo molto tempo- lui si staccò, sorrise, le tolse una ciocca di capelli che sapeva che era davanti al viso di lei, e bisbigliò:

«Allora, ci vieni stasera a ‘sta festa, seccatura?»

Lei si issò in piedi, fece per rispondere… ma le luci si riaccesero; lui se n'era andato, e lei era sola, adesso, veramente sola… ma aveva in bocca un dolce quanto odioso sapore di nicotina.

 

 

 

*

 

 

Percorreva velocemente il lungo viale; faceva ancor più freddo della mattina e –ovviamente- il tempo era ancora peggiore.

Lo trovò rozzamente appoggiato ad una colonna davanti al treno che sarebbe partito da lì a poco: con una gamba si reggeva pigramente alla muratura, con l’altra sosteneva tutto il corpo; vestiva una spessa sciarpa intorno alla gola, le mani erano piantate nelle tasche dei jeans larghi e una spalla sosteneva uno zainetto. Stava, come al solito, fumando. Lei, che aveva già capito tutto, gli si avvicinò.

«Ti devi sempre distinguere, eh, genio? Mi chiedo dove tu metta tutto quel QI, alle volte.»

Lui per tutta risposta starnutì, tossì e si soffiò il naso.

«Non voglio saperlo, grazie.» replicò, sorridendo.

«Mi spieghi il motivo di quella pagliacciata, Nara?» domandò poi la Sabaku.

Lui fece spallucce, si grattò la base del collo e guardò da un’altra parte.

«Be’… avevo qualcosa da farmi perdonare.»

Lei ghignò.

«E sei venuto in un cinema. Come hai fatto a trovarmi?»

«Stamattina, sono passato in moto lì davanti e ti ho visto. Poi, ho scorto che entravi sola e così… ho preso la palla al balzo, eh.»

Lei lo guardò, ancora e ancora, quando un particolare la colpì.

«In moto? Ma… perché in moto? Non sei venuto in treno?»

Lui alzò gli occhi al cielo; non aveva la benché minima voglia di far sfoggio di ciò che aveva –stupidamente, sì- fatto, quindi si attinse strettamente alla realtà.

«Be’, diciamo che ieri notte mi è venuto un qualche rimorso… e sono venuto qui in moto.»

Era così tipico di Shikamaru fare ciò che aveva fatto –ovvero, minimizzare gli enormi sacrifici e sforzi che gli era costata quella folle idea- che lei non se ne stupì; tuttavia, come al solito, ne rimase impressionata. Lui aveva percorso qualcosa come seicento chilometri in moto di notte; ora si spiegava quel tremendo raffreddore. Aveva dato un calcio alla sua patologica pigrizia, aveva cercato Temari, si era sorbito otto ore di film dell’horror –genere che lui odiava cordialmente-, aveva fatto quella bizzarra messinscena… e tutto questo, solo per lei. E ancora sminuiva tutto, parlandone come se fosse una cosa normale.

«Tu sei pazzo. Tu sei veramente pezzo. Altro che “genio informatico di Tokyo”, eh.»

Lui sorrise, per poi starnutire ancora e ripararsi meglio con la sciarpa.

«Più che altro, è stata una rottura dover parlare a macchinetta per tirarti fuori le cose. Ho recitato alla grande, modestamente» asserì, superiore, per poi aggiungere: «Ah, prima che tu me lo chieda: mi sono tenuto una maschera davanti tutto il tempo, e quella maschera era munita di occhiali e mi abbassava il codino. E tu ci sei cascata.»

Lei fece per replicare, quando un particolare le balzò alla mente.

«E la moto, scusa?»

«Oh, l’ho lasciata davanti al cinema.» replicò l’altro. Alzò gli occhi, fissò blandamente il cielo e aggiunse: «Il che vuol dire, sai com’è, che dovrò venire a riprenderla, prima o poi.»

E lei… sorrise, sorrise di cuore. Prese lo zaino, lo aprì, tiro fuori un mantello e si avvicinò a lui; glielo legò al collo, indossò il suo capello da strega e lo guardò negli occhi.

«Grazie, pesaculo. E’ stato… fenomenale. Grazie.»

Lui le scompigliò i capelli, sbadigliò sonoramente e disse:

«Dovere, seccatura.» Aprì la bocca, si fece alquanto rosso, la richiuse, prese aria, riaprì la bocca, per poi abbozzare: « E tu… scusami, insomma.»

Lei ghignò, malefica, e gli si avvicinò ancora di più.

«Chissà. Prima dovrai farmi piacere questa festa. Vogliamo andare, eh?»

 

Alla fin fine, Temari da quel giorno in poi non riuscì più ad odiare il trentun ottobre; scoprì che la malinconia che sopraggiungeva la sera ben contrastava al suo carattere autoritario e dispotico, portandola alla riflessione mentre le foglie cadute dagli alberi danzavano; capì che quel freddo pungente che le colorava le guancie, altrimenti pallide e sbiadite, le rendeva –a detta di un certo pigrone- più vivide e belle; e, soprattutto, imparò che Halloween non era così male come aveva sempre reputato, specie dopo quella sensazionale quanto bizzarra festa, quella sera.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ok, non è sinceramente niente di che; trama banalotta e un po’ assurda, leggermente malinconica, fin troppo romantica. Eppure, a me piace^^ è la solita commediola stupida, insomma, senza troppe pretese =).

La fanfic è stata scritta per un’occasione speciale *_* Ovvero Halloween! Che, essendo una festa nera, diventa la festa nera! (battuta pessima, ok, lasciate perdere). Da un’idea della mente geniale di Shatzy, ecco Halloween marchiato ShikaTema *_* yeah! Ah ehm, so ovviamente che Halloween era ieri, ma l’idea per la fanfic mi è venuta solo ieri pomeriggio (sebbene Shatzy mi avesse suggerito l’idea il 29 per msn) alle 6 proprio mentre ero al cinema (ero arrivata in ritardo, non trovavo i miei amici e così mi sono messa in un angolo della sala da sola XD e da lì è partita tutta l’idea della fanfic), sono arrivata a casa e ho scritto qualche riga, perché poi dovevo andare a festeggiare u__u E così eccola qui, con un giorno di ritardo…

 

Dedicata a Flà (alias Shatzy), alle fan della coppia e a tutte coloro che hanno scritto su questi due testoni in questa nera giornata =D Perché ricordatevi che Shikamaru nelle scans deve andare in un certo luogo dove c’è una certa persona… <3

 

 

Commentino, gente? Giusto per sapere cosa ne pensate… *_*

 

 

 

Clahp

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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