The stranger
Guardò
l’orologio, ancora una volta; e ancora una volta ricominciò a battere
convulsamente un piede per terra. Si mordicchiò un labbro, nervosa, e alzò gli
occhi al cielo; sebbene non fossero neanche le otto di mattina, il cielo era
plumbeo e il freddo alquanto intenso; tirava un forte vento e l’aria era greve.
Temari schioccò la lingua, si guardò ancora un po’ intorno, e-
Il
cellulare vibrò due volte; lei, ancor
prima di prenderlo in mano, sapeva ciò che questo voleva dire.
E
infatti.
Ehi, sorellina! Cause
di forza maggiore –capiscimi- mi impediscono di venire oggi. Goditi lo
spettacolo, e non morire di paura, eh?
Una
furia omicida s’impossessò della ragazza; era esattamente ciò che si aspettava.
Sebbene il caro Kankuro le avesse parlato di
quell’occasione da tantissimo tempo, e sebbene lui non vedesse l’ora di
guardarsi una carrellata di film horror, l’aveva mollata da sola come un’idiota
davanti al cinema. E per cosa …? Cause di
forza maggiore…
Ovvero, una qualche ragazza dalla scollatura prominente o dalla gonna fin
troppo corta. Be’, chissà, magari questa
stavolta un cervello ce l’aveva…
Temari
imprecò –sì, ci voleva proprio, insomma- e contemplò per l’ennesima volta il
programma della giornata; il cinema del loro quartiere aveva avuto la geniale
quanto bizzarra idea di organizzare una maratona di film horror nel giorno più
tenebroso dell’anno –Halloween, appunto. La proiezione dei film sarebbe durata
ininterrottamente dalle otto fino alle sedici; vi sarebbe stato un climax
ascendente di paura, di modo da impressionare sempre più il pubblico.
Kankuro, quando ne aveva parlato alla sorella
maggiore, ne era rimasto entusiasta; e lei, che d’altra parte era un’amante del
genere come lui, si era fatta assai volentieri influenzare. Ma adesso quell’idiota
del fratello era sparito, e lei stava morendo di freddo; cosa avrebbe fatto…? Moriva dalla voglia di vedere tanti film in una
sola volta, ma d’altra parte era da sola… e stare
soli al cinema era sempre stato secondo lei qualcosa di intrinsecamente deprimente… forse avrebbe potuto avvertire Gaara? Ma no, Gaara non era un
invasato come loro due… stupido Kankuro…
Il
rombo possente di una moto la fece rinsavire; si voltò, aggrottò le
sopracciglia ed entrò nella sala. Giovani, bambini e adulti erano vestiti nei
modi più strambi; avrebbero potuto, infatti, assistere alla proiezione solo
coloro che sarebbero stati mascherati a dovere –un piccolo particolare che era quasi riuscito a farla desistere dall’intento.
Temari sbuffò, dunque, prese coraggio e indossò il cappello a punta che aveva
comprato poco prima; si legò un mantello al collo e mise in bella vista le
unghie nere. Aveva sempre considerato le feste in maschera alla stregua di una
pagliacciata per bambini; e Halloween, appunto, era proprio una festa in maschera.
In
effetti, non aveva mai amato quel
giorno; anzi, le era sempre stato particolarmente odioso. Odiava travestirsi,
odiava quell’americanata importata in
Giappone solo per squallidi fini commerciali, odiava le maschere da strega o da
vampiro che iniziavano a spuntare nei negozi già dalla fine di settembre; e,
per di più, odiava dover ricordare ogni sacrosanto trentun ottobre quanti anni
fossero passati da quel trentuno
ottobre. Perciò, per lei non c’era mai stato nessun motivo per festeggiare; ed
era per questo che aveva sempre declinato con garbo qualsiasi festa in maschera
e aveva passato quel giorno in famiglia. Tuttavia, quest’anno sarebbe andata
diversamente; sarebbe andata a seicento chilometri più a nord per fare proprio
ciò che in quel giorno si era sempre rifiutata di fare: avrebbe festeggiato con
i suoi amici. L’idea era partita agli inizi di ottobre da una delle sue
compagne di corso all’università –TenTen- e aveva
coinvolto tutto il gruppo; lei, sebbene dapprima fosse del tutto riluttante,
aveva poi accettato con un malcelato sorriso di partecipare, e di non pensare
per una volta ciò che quel giorno aveva sempre significato per lei.
Ma
adesso la situazione era totalmente diversa; non aveva la benché minima voglia
di dover partire, quella sera, e sorbirsi sei ore di treno solo per travestirsi
come un’idiota… e poi, insomma, il motivo –l’unico
motivo, a dirla tutta- che l’aveva spinta a compiere quell’avventato gesto
adesso era venuto completamente a mancare, quindi…
Però, si sarebbe sempre potuta inventare una balla…
ma sì, insomma, il treno si era rotto, o anzi non era proprio partito, e lei
era dovuta rimanere lì… anche perché, dopo sei
purissime ore di totale immersione nell’horror non aveva proprio voglia di
cambiarsi, prendere il treno ed andare a Tokyo… già
doveva farlo una settimana al mese, dovendo andare proprio lì all’università… ma sì, avrebbe risolto ben presto. E poi, chi
ne avrebbe sentito la mancanza? Proprio lui,
d’altra parte, adesso non esisteva più nella sua mente; e gli altri erano sì
simpatici, cordiali e divertenti, ma alla fin fine avevano quasi tutti tre anni
meno di lei e… festeggiare Halloween era una cosa
così infant-
«Ragazzina,
non è che ci starai ripensando, eh?»
Temari
si riscosse un attimo; la coppietta in fila davanti a lei se n’era andata da un
po’ e lei stava fissando il vuoto da qualche minuto, oramai. Il cassiere
ghignava, pensando che ella non avesse abbastanza fegato; ma era così evidente
che non conoscesse Temari Sabaku No...
«Dormirò
tutto il tempo dalla noia, invece, carino…» replicò
lei, sistemandosi meglio lo stupido cappello a punta e rispondendo al riso
sarcastico.
«Oh,
come ti pare. Ma non vorrei essere in te quando proietteranno l’ultimo film,
eh. Non hai nessuno a cui abbracciarti?» chiosò l’altro, mentre stampava un
singolo biglietto e le dava il resto, guardandola di sottecchi di tanto in
tanto.
«Non
ne avrò il bisogno.» concluse lei, a denti stretti, cercando di evitare proprio
quell’argomento e andandosene con
passo pesante.
*
Il
cinema era, al contrario delle sue aspettative, semivuoto. Una grande
concentrazione di bambini, genitori, giovani e coppiette sedeva nel gruppo
centrale di poltrone della sala; ma Temari, che non voleva assolutamente avere
disturbi o noie durante quelle che sarebbero state sei meravigliose ore, scelse il primo del gruppo più a sinistra di
posti, in cui non c’era nessuno e in cui si sarebbe goduta in tutta
tranquillità la giornata. Si accomodò, si tolse il cappotto –quello stupido
mese aveva portato il freddo, e in quello stupido giorno neanche a farlo a
posta il termometro era sceso ancora più del solito- e sprofondò nella sedia.
La sala era calda e spaziosa, la poltrona comoda e i film sarebbero stati
meravigliosi; cosa poteva volere di più…?
Alcuni
bambini corsero ancora per qualche minuto fra le diverse file delle poltrone,
vestiti da fantasmi o da mostri, finché una voce non annunciò l’inizio del
primo film, avvertì che non vi sarebbero state interruzioni fra una pellicola e
l’altra e che, qualora gli spettatori fossero rimasti troppo impressionati da
qualche scena, avrebbero potuto tranquillamente uscire –messaggio che la Sabaku prese con un gran ghigno e un sopracciglio alzato.
Le
luci si abbassarono; i rumori si acquietarono; lo schermo divenne bianco, poi
grigio e alla fine nero; la ragazza esalò un respiro alla vista del suo colore
preferito. Iniziò poi una colonna sonora cupa e opprimente; dapprima bassa, poi
via via sempre più alta in un crescendo quasi
rossiniano, avvolse gli spettatori e cercò di impressionarli, sebbene su una
persona in particolare non vi riuscisse appieno; apparve dunque il titolo del
film –“Mostri”, che titolo banale- e
una voce narrante principiò a parlare, tentando di far colpo.
Temari
fu subito presa; sebbene avesse già capito che quel film sarebbe stato una
schifezza, iniziò a rilassarsi e a godersi lo spettacolo. Ma aveva
evidentemente parlato troppo presto, perché un quarto d’ora dopo l’inizio del
film una porta della sala s’aprì, inondando di luce al neon lo schermo e disturbando
la platea, per poi richiudersi dopo qualche secondo; e, in seguito ad un
incerto quanto strascicato rumore di passi, la sua vista fu occultata da quello
che lei era solita definire “il solito cretino che arriva in ritardo al
cinema”; ma questo cretino, chiunque egli fosse, non solo le passò davanti,
costringendola a non vedere per diversi secondi lo schermo, ma si sedette
proprio accanto a lei e si stravaccò pesantemente sulla sedia.
«Oh,
che palle, ma in questo cinema non fanno pubblicità?» commentò lo sconosciuto,
tossendo poi forte. Lei schioccò la lingua e replicò, piccata:
«Evidentemente.»
«Be’,
dovrebbero. Mi sono perso il quarto d’ora iniziale.»
Lei
sbuffò e prese a dondolare una gamba.
«Ti
perderai anche la mezz’ora iniziale,
se non stai zitto –e la farai perdere anche a me, il che mi seccherebbe
alquanto.»
Lui
mandò un fischio, basso e sardonico.
«Nervosetta,
eh?» commentò, per poi starnutire.
Lei
si girò, adirata, e cercò di guardarlo in faccia, ma lo schermo divenne
improvvisamente nero e le impedì la vista; quello sconosciuto…
aveva qualcosa di… familiare… forse, forse…? Ma no, che diavolo andava pensando…
quello là non avrebbe mai mosso il
fondoschiena per-
«Mmmh, ma come si chiama ‘sto film?»
Lei
prese un grande respiro; come al solito, si era immaginata tutto.
E
la cosa, inspiegabilmente, le diede un grande senso di sconforto.
«“Mille Modi Per Uccidere Nel modo Più Doloroso Possibile L’idiota Che Al
Cinema Non Sta Zitto”. Il film per te, eh?»
Lui
sembrò ponderare un po’, per poi dare un altro colpo di tosse e replicare:
«Non
mi piace come titolo… troppo lungo.»
Lo
sconosciuto rise; era una risata bassa, tranquilla e –in qualche modo-
confortante. Temari prese un gran respiro, si spostò sul gomito sinistro, per
avvicinarsi a lui, e tentò di distinguere al buio i lineamenti di quel ragazzo,
ma la sola cosa che riuscì a vedere furono capelli tagliati corti, a spazzola,
e un paio di occhiali; si trovò perciò a ridere stupidamente di sé. Quanto era sciocca… per un secondo, per un solo secondo aveva
intensamente sperato –no, peggio, ci aveva proprio creduto- che Shikamaru fosse lì accanto a lei; ma in effetti, a ben
pensarci, lui non era un amante dell’horror, lui non portava gli occhiali, lui
non aveva capelli a spazzola, non aveva quella voce così profonda e ombrosa, e… be’, semplicemente, Shikamaru
viveva a seicento chilometri da lei, e non avrebbe mai percorso tanto spazio
per una sciocchezza… per lei, insomma. E… ma perché ci stava ancora pensando? Con lui era finita,
era sinceramente finita. E lei ancora e ancora ritornava e ritornava a pensare
a lui, anche in un momento così stupido come quello, e-
«Ehi,
ehi, mi stai osservando, biondina?»
Lei
digrignò i denti; non voleva essere scoperta, il suo orgoglio non gliel’avrebbe
mai concesso.
«Volevo
vedere chi era l’idiota che mi stesse accanto.» osò, stravaccandosi nuovamente
sul gomito destro, così da allontanarsi da lui; l’altro fece per replicare, ma
lei, stanca e infastidita dalla presenza oltremodo seccante di quello
straniero, e nervosa per altro, sentenziò:
«Senti,
basta— lasciami vedere questo stupido film in santa pace, ok?»
Lui
sospirò.
*
«Mah,
che schifezza» commentò il ragazzo un’ora dopo. «Se tutti gli altri sono così…»
Temari
digrignò i denti, affondando le dita nei capelli; quello là stava iniziando a
diventare pedante. Involontariamente, tuttavia, girò di un poco la testa verso
sinistra e tentò di nuovo di scorgere il suo viso; ma nella sala c’era il buio
–era iniziato il secondo film, “Maschere”,
ed era ambientato in un fitto bosco- che ancora una volta le impedì di vedere.
Eppure, che diamine, i suoi modi-
«Ancora?»
Lei
si morse un labbro.
«Ancora
che?!»
«Ancora
tenti di osservarmi?»
Ella
sbuffò; la innervosiva terribilmente la sua stessa reazione e il suo ancora
sperare in qualcosa che era palesemente
impossibile, ma ancor di più la irritava che lui la canzonasse e si prendesse
tanta confidenza. La ragazza mostrò il suo lato più freddo e scostante, che
spesso riservava a chi non conosceva.
«Non
sto proprio osservando niente. E se tu
mi dici così, vuol dire che evidentemente mi stavi osservando.»
Mentre
la ragazza dello schermo urlava e quasi si strappava i capelli, lui parve
ponderare un po’.
«Mmmh, logica ferrea, ragazza. Però, ciò non toglie che tu mi stavi osservando.»
E
di nuovo, e più forte, lei si morse un labbro; ma che diavolo…?
Non era da lei essere così debole e nervosa, non davanti ad uno sconosciuto;
tentò di calmarsi, di non pensare alle possibili somiglianze ad altre persone
nel modo di parlare o di rispondere, e sentenziò:
«Ok,
allora ci stavamo osservando a vicenda. Facciamo un bel gioco, eh? Ognuno si fa
i fattacci suoi, non guarda l’altro e –soprattutto- sta zitto. Chi guarda l’altro,
be’, è un idiota. Ok?»
Lui
ghignò, beffardo, e reiterò:
«Perfetto.
Anche perché, non sembri un granché.»
Lei
arrotò i denti e, per la prima e probabilmente unica volta nella sua vita, non
ebbe l’ultima parola.
*
Tentò
di analizzare la questione in modo razionale –razionale, razionale, come a lei piaceva essere.
Non
era possibile che quello fosse Shikamaru. Be’, parlava come lui, ok, si atteggiava,
ghignava, sbadigliava e le rispondeva come lui… ma
no, non era lui. Shikamaru non era così chiacchierone, e d’altra parte
quell’altro non s’era mai lamentato di niente e non aveva mai pronunciato la
magica parola “seccante” —no, no, non era affatto lui.
Perché mai avrebbe dovuto esserlo, poi? Fra
loro c’era stata solo un’amicizia… forse profonda… ma un’amicizia, insomma. E lei si era montata la
testa, basta. Era una cosa strana, d’accordo, perché era sempre stata una
ragazza con i piedi per terra, mai romantica o sciocca come tante sue coetanee,
però… però un po’, insomma, ci aveva sperato. Perché
quando litigavano, quando battibeccavano, quando lui acconsentiva di malavoglia
a fare qualcosa che lei gli chiedeva, quando le mostrava il suo affetto in modo
assolutamente inusuale e bizzarro, o quando la bollava come “seccatura”… lei
era felice. Ma adesso era tutto diverso; avevano litigato, giusto qualche
settimana prima, e non s’erano più visti, né lui s’era più fatto vivo; e
quindi, be’…
«Ma
come mai al cinema sola soletta?»
L’omicidio, alle
volte, andrebbe legalizzato…
«Quali
erano le regole, scusa?»
«Oh,
andiamo… questo film fa schifo. E tu ti stai
annoiando, ora che non puoi più osservarmi, e io sto semplicemente cercando di
non farti addormentare.»
La
ragazza si sistemò meglio sulla sedia; era estremamente curiosa di guardare
alla sua sinistra, ora che lo schermo era bianco e la sala era invasa dalla luce… ma no, no, avrebbe desistito, non si sarebbe mai
piegata. Mai.
«Tutta
questa confidenza non mi piace. Non so nemmeno chi sei. E io non do confidenza
agli sconosciuti, mi spiace.»
Forse
avrebbe dovuto cambiare posto…? La sala era
semivuota. Ma no! Così si sarebbe dimostrata debole, e lei, orgogliosa com’era,
non se lo sarebbe mai perdonato…
«Ti
agiti un po’ troppo. Ti ho solo porto qualche innocua domanda, mentre vediamo
questo schifo di film, tutto qui.»
Ok,
anche il ragazzo aveva ragione. Perché lei se l’era presa tanto a cuore…? Maledetto pesaculo di un Nara…
Passò
qualche minuto in silenzio, mentre il demone sullo schermo –palesemente di cartapesta-
faceva emettere alla solita ragazzina urla agonizzanti e tremebonde.
«E
allora, perché sei da sola?» insistette, testardo, l’anonimo.
«Mio
fratello mi ha mollato come una stronza davanti al cinema.»
«Ma
non è un po’ triste venire al cinema da soli?» si lasciò scappare l’altro, per
poi pentirsene.
«Ehi,
tu hai fatto la stessa cosa…» gli fece notare lei,
adesso ridacchiando un po’.
«Mmmh, giusto. Ma non avevi un ragazzo con cui venire?»
Dove
voleva arrivare…? Eppure, la cosa si stava facendo interessante… Era un gioco strano, quello che si era venuto
a creare; stavano entrambi fissando lo schermo, mentre mostri e zombie
spaventavano e facevano urlare i bambini presenti in sala, ma nessuno dei due
stava minimamente seguendo la trama; e, quantunque adesso ci fosse una luce
accecante, i due sconosciuti né distoglievano lo sguardo né provavano
minimamente a guardarsi l’un l’altra, sebbene –era ovvio- provassero un’immensa
curiosità.
«No.
E tu, invece? Tutte troppo impaurite?» provocò lei, ghignando e provandoci
quasi gusto.
«Oh,
sì. Figurati, quella che volevo rimorchiare si vede solo film adolescenziali
–hai capito, insomma. Non era proprio da film horror. E così, eccomi qui.»
«Che
bella storia…» commentò l’altra, sarcastica.
«E
tu non avevi nessuno? Proprio nessuno?
Avrai vent’anni, figliola…»
«Ventiquattro,
per la precisione. E allora? E comunque il nessuno
l’ho lasciato perdere.»
Passò
qualche secondo in silenzio; lei si pentì velocemente di ciò che aveva detto.
Non aveva mai provato piacere a parlare di sé, né a lasciarsi andare a
confessioni sui suoi svariati problemi; eppure, l’aveva appena fatto.
«Ohi
ohi. Toccato tasto dolente?»
Lei
capì che era ora di smetterla.
«Sì.
E… basta, insomma, voglio seguire il film.»
Lui,
ancora una volta, annuì lentamente.
*
Era
tutta colpa di quello stupido Kankuro, sì. Oh, ma
gliel’avrebbe fatta pagare, oh se-
«E
stasera andrai mascherata, presuppongo.»
Infastidita,
lei prese un grande respiro. Forza.
Mancavano solo due ore e mezza alla fine; era appena iniziato il terzo film –“Presenze”- e molte persone, impaurite,
se n’erano già andate dalla sala.
«Prego?»
domandò lei, formale.
Lui
sembrò spazientirsi e riformulò frettolosamente:
«Alla
festa… oh, sarai invitata a qualche festa, no? Non so
se te ne sei accorta, ma oggi è Halloween.»
«Non
mi piacciono queste idiozie… e poi, festeggiare che cosa? Odio questa festa e odio
questo giorno.»
Lui
sbuffò, tossì forte e s’accomodò meglio sullo schienale.
«Allegria,
ragazza! E’ un modo come un altro per stare insieme e per vestirsi in maniera
diversa, una volta tanto.»
«In
ogni caso, non mi piace.»
«Non
farai nessun “dolcetto o scherzetto?”,
stasera? Starai da sola a casa?»
Lei
fece un gesto scostante con la mano.
«Mmmh, in verità avrei una festa. Ma non mi va molto di
andarci. E’ a sei ore da qui, sai.»
«Esiste
il treno.» notò l’altro.
«Grazie
dell’informazione, me la scriverò.» chiosò l’altra, a denti stretti. Quanto era
fastidioso… «Ma non sento motivo di festeggiare,
oggi.»
«E
perché?»
No,
no, su questo era intransigente. Era uno sconosciuto, diamine, e lei gli aveva
detto fin troppo…
«Fatti
miei. Te l’ho detto: odio Halloween. Probabilmente, resterò a casa e mi
inventerò qualche balla, insomma.»
«Il
nessuno di cui hai parlato non può
venirti a fare compagnia, scusa?» domandò poi; sembrava curioso, in qualche
modo.
Temari
rise amaramente.
«Figuriamoci.
E’ pigro… in maniera maniacale, oserei dire; è quasi
una patologia. Non si smuoverebbe mai, e in ogni caso non per me.»
Calò
il silenzio per qualche secondo, mentre un ragazzo veniva squarciato pezzo pezzo.
«Come
mai così pessimista?»
Ella
schioccò la lingua e si issò meglio a sedere.
«Oh,
non vedo un futuro. Non so… alle volte mi capita di
vedere tutto nero… non so perché.» sospirò un po’ e
si grattò il capo. Eppure, si sentiva meglio; in effetti, aveva letto da
qualche parte –in qualche suo libro di medicina, sicuramente- che parlare dei
propri problemi a persone del tutto sconosciute era maieutico e catartico, poiché
ciò comportava un consiglio parziale e del tutto oggettivo, non influenzato
dalla conoscenza della stessa persona o del diretto interesatto, e non
condizionato da pregiudizi —d’altra parte, era proprio ciò che avveniva con gli
psicologi, no?
Temari
si morse un labbro… sì, forse, entro un certo limite,
ovviamente…
era la cosa giusta… forse. E poi, quello strano
ragazzo le ispirava simpatia.
«Non
lo senti più?» domandò ancora l’ignoto.
«No,
da un po’, in effetti. Né lui fa avere sue notizie, figuriamoci.»
«Ma
si può sapere che ti ha fatto?»
Un
enorme afflusso di sangue fuoriuscì dal petto della protagonista; altre persone
se ne andarono, disgustate o nauseanti. In sala rimasero davvero in pochi.
«Storia
lunga. Lunghissima.»
«Che
non ti va di raccontare, ho capito.» sentenziò l’altro, quasi sorridendo,
tornando a vedere seriamente il film.
*
«Eppure… qualcosa deve averti pur fatto, insomma.»
«Ti
diverte così tanto farti gli affari miei?»
L’altro
evidentemente fece spallucce.
«Mmmh, fino a un certo punto. Non so chi sei, né conosco la
tua faccia; usciti di qua, fra due ore, non ci vedremo mai più.» asserì,
sincero. «E poi… non so, mi sembri affranta, per
qualche motivo.»
Lei
sospirò.
«Lo
sono. E’ colpa di Halloween, te l’ho detto.»
«Sì,
ma ancora non mi hai detto perché.», insistette egli. A quanto pareva, lui e
Shikamaru condividevano la cocciutaggine…
«Perché,
eh? Be’, venti anni fa… moriva mio padre. Io e i miei
fratelli ci trovammo completamente orfani, dal momento che pure nostra madre
era morta, sei mesi prima. Semplice.»
Temari
non si sarebbe mai aspettata una reazione così sentita da parte dell’altro;
questi s’ammutolì per diversi secondi, respirò più gravemente e balbettò, quasi
fosse intimamente colpito:
«Oddio… mi dispiace… Io… non avrei mai pensato che…
che, insomma… potesse essere per qualcosa di così
serio e…» Sospirò ancora, per poi completare: «Ok,
figura di merda. Mi spiace, insomma. Per quanto vale.»
La
ragazza, suo malgrado, si ritrovò a sorridere fra sé.
«Oh,
fa niente. E’ successo tanti anni fa, ma –insomma- in questo giorno sono un po’
scazzata. Più del solito, insomma.» ironizzò.
«E… quel tipo… non ha capito che tu
hai bisogno di conforto, in questo giorno?»
Lei
deglutì, mentre sul video una sequela di cadaveri resuscitava.
«Evidentemente
no… ma io non gliel’ho mai detto. E poi, lui ci
teneva così tanto ad andare con me a quella festa di Halloween, stasera, che
non volevo rovinargli la serata.» si mordicchiò un labbro, leggermente insicura
e titubante; che cosa strana, lei era sempre stata molto diretta e decisa. «Non
sono una che si lascia coinvolgere molto, né che parla di sé, sai.»
«Con
me, però, l’hai fatto.» fece notare la voce, quasi con una punta d’orgoglio.
«E’
vero. Ma, come hai detto tu… “non so chi sei, né
conosco la tua faccia; usciti di qua, fra due ore, non ci vedremo mai più”.» E
a lei dispiacque che lui non potesse –o non dovesse- vedere la sua faccia
sardonicamente ghignante. «E’ così facile lasciarsi andare con uno sconosciuto… non hai colpe, né rimorsi, perché non sai chi
è e non lo vedrai mai più, no?»
«Giusto»
convenne l’altro. «Ma, uhm, perché non gliene hai mai parlato, dunque?»
Temari
rifletté. Già, perché non ne aveva mai fatto a parola a Shikamaru…?
«Perché… be’, farlo avrebbe voluto
dire che lui significava qualcosa.
Che era una persona importante. Io… sai, sono
piuttosto orgogliosa e cocciuta; e, sì, sono anche molto indipendente. E
confessargli questo, e dirgli ciò che non mi andava di lui…
insomma, non avevo pretese di farlo.»
«Avresti
dovuto ammettere a te stessa che lui importava, e non ne avevi il coraggio.»
finì lui, saggio e provocatorio, annuendo fra sé.
«Ehi,
sei uno psicologo? No, non è per quello… io… no! Non
volevo far sapere i fatti miei in giro.» si difese, quasi ciò che lui aveva
proferito fosse un’accusa. «E poi… non ne avevo
motivo, ti ripeto. Eravamo solo amici.»
Altre
persone se ne andarono da quella sala; in effetti, il film stava iniziando a
diventare molto pesante. Si era trasformato da horror a splatter; mucchi di
ossa, sangue, arti, occhi volavano da tutte le parti dello schermo; gli attori
urlavano, i cattivi ridevano, e la colonna sonora era più cupa che mai. Oramai,
in quella sala erano rimasti in una decina, loro due compresi.
«E
allora, perché mai ti sei offesa per come ti ha trattato? E perché hai preso in
considerazione il proposito di riferirgli di quanto odi questa giornata?»
Lei
si ritrovò zitta; non sapeva che dire. Ma avrebbe avuto l’ultima parola, oh sì,
fosse cascato il mondo…
«Era
un amico, per l’appunto. Tu non ci rimarresti male se un’amica ti trattasse sdegnosamente?» replicò.
«Mmmh, sì, in effetti.»
Passarono
diversi secondi di silenzio, coperto tuttavia dalle urla laceranti dell’eroina
del film; sebbene il film stesse iniziando a diventare interessante, Temari non
vi badò troppo: si sentiva leggermente presa in giro.
«Ma
parliamo di te, ora. Com’è questa
ragazza che vorresti rimorchiare, eh?»
Lui,
ancora una volta, sorrise lentamente; e quella risata, diamine, era proprio
quella tipica di –
«Un
po’… viziata. Egocentrica. Urla spesso. Sa tutto di moda. Ma è bella, oh, se lo
è; è bionda, ha gli occhi azzurri, è alta, è magra…»
L’altra
sbuffò, quasi fosse delusa.
«Oh,
che stereotipo banalissimo. E tu stai appresso ad una così?»
L’altro
ponderò un po’.
«Eh,
sì. Però… lei non è che mi consideri molto.»
«Forse,
non è il tipo che fa per te?» suggerì lei, leggermente interessata e curiosa
come suo solito.
«Forse.
Chissà… però, sai… mi ci
vorrebbe una con il carattere, per farmi smuovere un po’. Cocciuta, testarda,
ma decisa. Una brava ragazza, con i piedi per terra, che mi rimbecchi quando
c’è bisogno, sì. E che mi accompagni al cinema a vedere gli horror.»
Qualcosa
nell’aria mutò; Temari trattenne il respiro, mentre i suoi nervi le
solleticavano i sensi. Quel ragazzo… quello sconosciuto, che tuttavia ora non era
più tale… in qualche modo, la affascinava. E poi, era
il sosia di Shikamaru…
Fu
tentata. La scena del film era all’aperto; la luce inondò la sala e la sua unica
coppia di occupanti rimasta. Se avesse leggermente girato la testa, se avesse aguzzato
un po’ lo sguardo… lo avrebbe visto…
perché non provare, insomma…? Ok, aveva stabilito lei
stessa le regole di quel gioco idiota, e il suo orgoglio gliele aveva fatte
perseguire tenacemente; tuttavia, adesso la curiosità ebbe la meglio. Ma sì,
che male c’era…? Giusto per fugare i dubbi, una volta
per tutte… e poi, il ragazzo era fortemente
raffreddato; tossiva e starnutiva in continuazione…
quindi, la sua voce poteva forse pure essere…
Girò
la testa, piano piano, per non farsi notare; intorno
a sé era tutto luminoso; sì, vedeva le mani, la felpa, gli occhiali, e…
E
fu tutto buio. La sala era adesso totalmente immersa nell’oscurità; e lei,
dannazione, non era riuscita a vedere la sua faccia.
«Cortocircuito,
porca miseria» commentò l’altro, sbuffando.
Calò
il silenzio.
«Siamo
rimasti solo noi due.» continuò la voce.
«E’
una provocazione, carino?» interpretò lei, ghignando.
«Mmmh, è una costatazione.» egli precisò.
«Be’,
allora credo che uno dei due debba andare alla cassa» disse lei. «Ho pagato un
biglietto per quattro film, non per tre e mezzo, e…»
«Ah,
io non mi alzo. Sto tanto bene qui, e il film faceva schifo.» sentenziò lui,
stravaccandosi e sbadigliando.
La
conversazione morì lì; erano entrambi spalmati sulle poltrone, al buio, e in
silenzio.
«Ma
si può sapere cosa ti ha fatto, quello lì?»
Lei
sospirò.
«Be’…
ultimamente, non gliene andava bene una, sai. Lui è un tipo che si lamenta, e
tanto, però alla fine fa sempre quello che dico io, ovviamente…
Ma in queste due settimane –non ci sentiamo da tanto, sì- era diventato
scontroso, accidioso pure più di prima e sempre scazzato. Io gliel’ho fatto
notare, e abbiamo litigato, e poi abbiamo fatto pace; ma quando gli ho
gentilmente chiesto di venire da me –lui abita a Tokyo, io qui a Osaka, ma vado
all’università lì una volta al mese, per il resto studio da sola qui- ha
rifiutato. E non era la prima volta… io capisco che
una relazione a distanza sia difficile, lo so… però… lui non vuole nemmeno provarci.» Sospirò. «Lo so che
è pesante, però… se è l’unico modo, insomma…»
«Mmh, magari era girato per qualche motivo. Ma in effetti,
se non voleva venire per molte volte, e se si lamentava continuazione, un po’
di colpa ce l’ha.» valutò lui. «E poi, come vi siete mollati?»
Lei
si grattò brevemente la fronte. «Urlando… con qualche
parolaccia, insomma… come al solito. Oh, ma noi
litighiamo spesso, non c’è problema… però, ecco… questa volta era diverso. Lui non s’è più fatto vivo.
E io stasera non lo voglio vedere –nono, me ne rimango qui, io odio Halloween, e…»
«Se
però» la interruppe lui «come dici tu, questo qua fa quello che vuoi, essendo
tuttavia pigro e svogliato, ed essendo tu stessa tenace e di polso, non pensi
che tenga a te?»
Lei
rimase in silenzio. Era vero, era vero, però… lei
aveva paura, sì. Loro due non erano mai stati propriamente insieme; c’era stato
un bacio, d’accordo, ma dopo c’erano state svariate litigate e imprecazioni. E quindi…
«Insomma,
giornataccia, oggi. Mio fratello mi ha mollato, mi sono travestita come un’idiota,
mi sono vista una sfilza di film di qualità orripilante, ho conosciuto uno
sconosciuto, e… ed è il 31 ottobre.»
«Uno
sconosciuto?» chiese l’altro, quasi fosse sorpreso. «Io sarei uno sconosciuto?»
Temari
s’avvicinò alla fonte di rumore; be’, certo che lo era…
«Mi
pare ovvio. Io… insomma, ci siamo conosciuti in una
maniera del tutto assurda, abbiamo rivangato storie stupide e infantili, ci
siamo pure mandati a quel paese l’un l’altra, non abbiamo idea dell’altrui
faccia o nome… quindi sì, mio caro, sei uno sconosc -»
Ma
non finì di parlare, perché si ritrovò le labbra sigillate da quelle che erano
altre labbra; lo sconosciuto –che non era più una semplice voce né una semplice
presenza, oramai- si era quasi buttato su di lei, e adesso la stava baciando
piano, lentamente, in modo quasi sciatto e abulico, tuttavia con una passione e
un ardore che la avvolsero e la presero totalmente. Sebbene dapprima
riluttante, adesso Temari si lasciò decisamente andare; diamine, era una
situazione pazzesca, ai limiti del credibile, eppure…
eppure, lei era felice.
S’avvinghiarono
ancora di più, e ancora di più durò il bacio; tuttavia, dopo un po’ –dopo molto
tempo- lui si staccò, sorrise, le tolse una ciocca di capelli che sapeva che
era davanti al viso di lei, e bisbigliò:
«Allora,
ci vieni stasera a ‘sta festa, seccatura?»
Lei
si issò in piedi, fece per rispondere… ma le luci si
riaccesero; lui se n'era andato, e lei era sola, adesso, veramente sola… ma
aveva in bocca un dolce quanto odioso sapore di nicotina.
*
Percorreva
velocemente il lungo viale; faceva ancor più freddo della mattina e –ovviamente-
il tempo era ancora peggiore.
Lo
trovò rozzamente appoggiato ad una colonna davanti al treno che sarebbe partito
da lì a poco: con una gamba si reggeva pigramente alla muratura, con l’altra sosteneva
tutto il corpo; vestiva una spessa sciarpa intorno alla gola, le mani erano
piantate nelle tasche dei jeans larghi e una spalla sosteneva uno zainetto.
Stava, come al solito, fumando. Lei, che aveva già capito tutto, gli si
avvicinò.
«Ti
devi sempre distinguere, eh, genio? Mi chiedo dove tu metta tutto quel QI, alle
volte.»
Lui
per tutta risposta starnutì, tossì e si soffiò il naso.
«Non
voglio saperlo, grazie.» replicò, sorridendo.
«Mi
spieghi il motivo di quella pagliacciata, Nara?»
domandò poi la Sabaku.
Lui
fece spallucce, si grattò la base del collo e guardò da un’altra parte.
«Be’…
avevo qualcosa da farmi perdonare.»
Lei
ghignò.
«E
sei venuto in un cinema. Come hai fatto a trovarmi?»
«Stamattina,
sono passato in moto lì davanti e ti ho visto. Poi, ho scorto che entravi sola
e così… ho preso la palla al balzo, eh.»
Lei
lo guardò, ancora e ancora, quando un particolare la colpì.
«In
moto? Ma… perché in moto? Non sei venuto in treno?»
Lui
alzò gli occhi al cielo; non aveva la benché minima voglia di far sfoggio di
ciò che aveva –stupidamente, sì- fatto, quindi si attinse strettamente alla
realtà.
«Be’,
diciamo che ieri notte mi è venuto un qualche rimorso…
e sono venuto qui in moto.»
Era
così tipico di Shikamaru fare ciò che aveva fatto –ovvero, minimizzare gli
enormi sacrifici e sforzi che gli era costata quella folle idea- che lei non se
ne stupì; tuttavia, come al solito, ne rimase impressionata. Lui aveva percorso
qualcosa come seicento chilometri in moto di notte; ora si spiegava quel
tremendo raffreddore. Aveva dato un calcio alla sua patologica pigrizia, aveva
cercato Temari, si era sorbito otto ore di film dell’horror –genere che lui
odiava cordialmente-, aveva fatto quella bizzarra messinscena…
e tutto questo, solo per lei. E ancora sminuiva
tutto, parlandone come se fosse una cosa normale.
«Tu
sei pazzo. Tu sei veramente pezzo. Altro che “genio informatico di Tokyo”, eh.»
Lui
sorrise, per poi starnutire ancora e ripararsi meglio con la sciarpa.
«Più
che altro, è stata una rottura dover parlare a macchinetta per tirarti fuori le
cose. Ho recitato alla grande, modestamente» asserì, superiore, per poi
aggiungere: «Ah, prima che tu me lo chieda: mi sono tenuto una maschera davanti
tutto il tempo, e quella maschera era munita di occhiali e mi abbassava il
codino. E tu ci sei cascata.»
Lei
fece per replicare, quando un particolare le balzò alla mente.
«E
la moto, scusa?»
«Oh,
l’ho lasciata davanti al cinema.» replicò l’altro. Alzò gli occhi, fissò
blandamente il cielo e aggiunse: «Il che vuol dire, sai com’è, che dovrò venire
a riprenderla, prima o poi.»
E
lei… sorrise, sorrise di cuore. Prese lo zaino, lo
aprì, tiro fuori un mantello e si avvicinò a lui; glielo legò al collo, indossò
il suo capello da strega e lo guardò negli occhi.
«Grazie,
pesaculo. E’ stato… fenomenale. Grazie.»
Lui
le scompigliò i capelli, sbadigliò sonoramente e disse:
«Dovere,
seccatura.» Aprì la bocca, si fece alquanto rosso, la richiuse, prese aria, riaprì
la bocca, per poi abbozzare: « E tu… scusami,
insomma.»
Lei
ghignò, malefica, e gli si avvicinò ancora di più.
«Chissà.
Prima dovrai farmi piacere questa festa. Vogliamo andare, eh?»
Alla
fin fine, Temari da quel giorno in poi non riuscì più ad odiare il trentun
ottobre; scoprì che la malinconia che sopraggiungeva la sera ben contrastava al
suo carattere autoritario e dispotico, portandola alla riflessione mentre le
foglie cadute dagli alberi danzavano; capì che quel freddo pungente che le
colorava le guancie, altrimenti pallide e sbiadite, le rendeva –a detta di un
certo pigrone- più vivide e belle; e, soprattutto, imparò che Halloween non era
così male come aveva sempre reputato, specie dopo quella sensazionale quanto
bizzarra festa, quella sera.
Fine
Ok,
non è sinceramente niente di che; trama banalotta e
un po’ assurda, leggermente malinconica, fin troppo romantica. Eppure, a me
piace^^ è la solita commediola stupida, insomma, senza troppe pretese =).
La
fanfic è stata scritta per un’occasione speciale *_*
Ovvero Halloween! Che, essendo una festa nera,
diventa la festa nera! (battuta pessima, ok, lasciate
perdere). Da un’idea della mente geniale di Shatzy, ecco Halloween marchiato
ShikaTema *_* yeah! Ah ehm,
so ovviamente che Halloween era ieri, ma l’idea per la fanfic
mi è venuta solo ieri pomeriggio (sebbene Shatzy mi
avesse suggerito l’idea il 29 per msn) alle 6 proprio
mentre ero al cinema (ero arrivata in ritardo, non trovavo i miei amici e così
mi sono messa in un angolo della sala da sola XD e da lì è partita tutta l’idea
della fanfic), sono arrivata a casa e ho scritto
qualche riga, perché poi dovevo andare a festeggiare u__u E così eccola qui,
con un giorno di ritardo…
Dedicata
a Flà (alias Shatzy), alle
fan della coppia e a tutte coloro che hanno scritto su questi due testoni in
questa nera giornata =D Perché ricordatevi che
Shikamaru nelle scans deve andare in un certo luogo dove c’è una certa persona…
<3
Commentino, gente? Giusto per
sapere cosa ne pensate… *_*
Clahp