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Autore: Sam221b    02/11/2009    1 recensioni
È la notte del 31 Ottobre, e come ogni notte in questa data, il dio dei Morti Samhain, si appresta a compiere il rituale con il quale assottiglierà Skathach, il portale che divide la dimensione dei Vivi da quella degli Spiriti, per far sì che, per una sola notte all'anno, questi ultimi possano passeggiare tra i primi, e ricongiungersi ai proprio cari. Ma qualcosa, questa volta, non va come dovrebbe.
Genere: Dark, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Prefazione:
Vorrei specificare alcune cose prima di iniziare. Anzitutto vorrei dire che in questa fan fiction sono mischiate diverse leggende popolari e diversi personaggi bizzarri, e per questo motivo ho voluto segnalarla anche come Cross-over. Ho messo rating arancione perchè credo che nei prossimi capitoli si inizieranno a vedere scene abbastanza violente, non tanto da meritare rosso, ma non sufficientemente poco da definire gialle. Se poi dovessi aver ecceduto di prudenza, ovviamente potrete rimproverarmi! Inoltre preciso sin da subito che i capitoli saranno cinque. Nè uno di meno, nè un di più, perchè la vedo come una "dark favola" di Halloween, e le favole non sono mai particolarmente lunghe.
Inoltre vorrei ringraziare le mie tre muse ispiratrici. La cara   Alexis, con la quale ho scambiato le discussioni che mi hanno poi ispirato a scrivere questa bizzarra favola di Halloween, e che ritroverete nel racconto; Giò, la mia dea, come la chiamo, che, poveretta, mi ha ispirato il personaggio del'oculato ma spigliato Ravenmaster (spero non se la prenda!); ed infine Daniel, il mio fratellone, che, mi ha fatto compagnia mentre scrivevo.
Prima di aggiungere delle brevi nozioni per evitare che vi troviate a non sapere chi siano i personaggi e da dove saltino fuori, vorrei aggiungere un' ultima cosa. Il personaggio principale è Samhain, che per il celti era il dio dei Morti, suppongo lo conosciate. Ora, ci tengo a sottolineare che gli ho dato la "forma" del famoso cantante dei Bullet For My Valentine, Matthew Tuck. Un po' perchè al momento sono loro che vanno più spesso sul mio i-pod, un po' perchè (andatevi a cercare le immagini se non lo avete presente) con il suo fisico muscoloso ma magro, il suo metro e ottanta erotto, la sua pelle cadaverica, quegli occhi glaciali e la faccia scavata, mi sembrava azzeccato come dio dei Morti. Però questo non significa per nulla che la fan fiction sia sui BFMV, per niente! L'ho solo usato come "corpo" per il personaggio, e lo si potrà capire anche dal fatto che è molto più spesso chiamato con il nome Samhain.

Premesso questo, alcune nozioni sui tre personaggi principali:

Samhain (e lo Skathach): come già detto è il dio celtico dei Morti, il quale, secondo la leggenda, nella notte del 31 ottobre assottiglia lo Skathach, cioè il muro che divide regno dei morti da quello dei vivi, e fa passare i morti dalla nostra parte.
Jack o' Lantern: secondo la leggenda è l'uomo che, dopo aver fatto un patto col diavolo che gli si è ritorto contro, si ritrova a vagare con una lanterna tra i vivi, nonostante lui sia morto, per guidarli e indicar loro la strada quando sono smarriti.
Ravenmaster (e gli Yeomen): il Ravemaster è il capo degli Yeomen, ovvero coloro che sono addetti alla guardia e alla cura dei Corvi della Torre di Londra, per evitare che essi fuggano (secondo la profezia che avverte della fine della monarchia e del caos nell'Inghilterra in caso i Corvi lascino la Torre di Londra).

Ed infine, buona lettura!
                                                                                                                                                      Sam
Fleadh Nan Mairbh

Fleadh nan Mairbh: "Festa dei Morti"

1-Fleadh nan mairbH

Oidhche Shamhna  (Oidhche Shamhna), ovvero la notte prima di Samhain, in gaelico indica la data del 31 ottobre, vale a dire la vigilia di Ognissanti. Si tratta di una data molto importante per il calendario celtico, perché sancisce l’inizio del nuovo anno (è all’esatto opposto di Beltane, l’inizio della stagione della luce, la primavera) e coincide con il giorno della “Fleadh nan Mairbh”, ovvero “la festa dei morti”. In essa, secondo la tradizione celtica, lo scudo di Skathach, cioè il velo tra questo mondo e quello ultraterreno, si assottiglia e gli spiriti dei defunti possono camminare liberamente tra i vivi e riunirsi ai loro clan. Per questa ragione è considerato un giorno sacro ai confini della realtà, o meglio, un giorno che non esiste. Questa festa è un modo per stabilire una continuità tra passato, presente e futuro.
                                                                                                                                                                            (da Belfast ›› travel blog)

C’era un giovane uomo in quel cimitero sperduto sulla collinetta verde di Belmullet (Béal an Mhuirthead), un paesino dell’Irlanda più selvaggia, dove i mille abitanti ancora sembravano usciti dalle vecchie leggende del loro fitto folklore popolare, le donne agghindate nelle loro lunghe sottane, le bionde fanciulle con i capelli raccolti in trecce, e gli uomini barbuti con le loro camice a quadri rossi. Ma quel giovane uomo dell’irlandese non aveva nulla. Quel ragazzo era alto, sin troppo alto per quella zona, dove tutti erano più o meno nella norma, e lui superava di sicuro il metro ottanta, con quel suo fisico asciutto ma ben muscolato, quei lunghi capelli di un nero che persino l’oblio più oscuro avrebbe invidiato, lucidi e lisci come filigrana di seta. Un viso spigoloso, affilato. Una pelle diafana, tanto da rilucere sotto ai bianchi fasci lunari come la candida spuma di quel mare che gorgogliava sotto a quella collinetta, scura ed invisibile presenza in quella notte più nera delle altre.
Ma la cosa che più colpiva in quell’alta e cupa figura erano gli occhi. Due puri zaffiri talmente belli che la loro presenza in quelle orbite così poco degne potesse essere ritenuta un vero e proprio crimine ed una privazione per la comunità. Di un turchese così celestiale da abbagliare con il magnetismo che il suo fascino trasmetteva. Così splendenti che nemmeno la notte riusciva a spegnere ed offuscare con il suo buio.
Indossava una giacca di pelle nera, dei pantaloni del medesimo colori, adorni di una lunga catena argentata,alla quale era assicurato un ciondolo a forma di falce, e le mani portavano guanti tagliati alla falange, di lana, dello stesso colore del resto del vestiario. Le braccia erano lasciate morbide lungo i fianchi, mentre lui restava immobile, sulla punta della collina, che si gettava a strapiombo nelle fauci del mare con una parete rocciosa frastagliata sulla quale nemmeno il può agile degli scalatori sarebbe riuscito ad arrampicarsi. Perché così doveva essere, per riuscire a nascondere quello che le aguzze punte della costa nascondevano tra di loro ai deboli umani.
Il ragazzo guardava il mare invisibile sotto di sé, avvertendolo più con l’udito che con la vista, cogliendo però le onde spumose che, brillanti sotto la luce lunare, andavano ad infrangersi contro la parete sotto di lui, per poi rimbalzare indietro e perdersi nella distesa di acqua.  A poca distanza dietro di lui file di lapidi marmoree rimanevano immobili, segni dei corpi che sotto di loro, a decine di metri sotto la terra, giacevano, senza vita, una volta portatori di persone che erano in quel momento vive solo nei ricordi dei loro cari, o forse nemmeno in quelli.
Di fianco a lui un improbabile salice piangente gettava i suoi rami cadenti al mare, quasi rappresentasse tutte quelle persone che su quello stesso colle, in quella stessa posizione, si erano gettate tra le braccia gelide dell’oceano Atlantico.
Un corvo si posò tra le fronde dell’’albero, con il becco scuro rivolto al ragazzo, che non sembrò aver notato la sua presenza, ma in compenso perseverò nella sua contemplazione dell’oscuro ignoto innanzi a lui.
Il volatile gracchiò il suo orribile verso, come col desiderio di richiamare l’attenzione del giovane, che questa volta girò leggermente il capo per guardarlo. Alle orecchie portava dei piercing d’acciaio e sul mento c’era l’accenno di una barba.
Quando parlò la sua voce era piuttosto acuta, tagliente come la lama di un coltello -Non c’è bisogno di tante cerimonie- rimproverò con una punta di stizza.
L’animale di nuovo gracchiò ma in seguito, inusualmente, fece schioccare il becco e parlò -I Morti iniziano ad essere impazienti, signore, scalpitano e ricalcitrano, pretendendo di uscire come è loro diritto ad ogni notte del trentuno ottobre- annunciò sbattendo le ali con agitazione.
Samhain si voltò verso il corvo -perché il giovane uomo altri non era che il potente dio dei morti che ogni notte al trentuno ottobre apriva le porte di Skathach e faceva sì che gli spiriti dei morti tornassero solo per quelle poche ore a passeggiare tra le vie del mondo dei vivi, nonostante il suo volto avesse fama in quel mondo con ben altro nome, conosciuto per totalmente differenti motivi.
La sua voce affilata aveva ora un tono controllato, quasi indifferente, come se quel problema non lo toccasse davvero -Io non posso lasciare che gli spiriti escano prima che il viaggiatore non si presenti a me con la luce che guiderà i morti al ritorno e i vivi su questo mondo, per evitare che si perdano nel regno dei morti- poi cambiò argomento, come reputando questo ormai chiarito ed archiviato -Piuttosto, Ravenmaster, non capisco per quale motivo tu abbia lasciato gli Yeomen soli con i corvi alla Torre di Londra. Non è normale che sia il capo in persona dei Custodi dei Corvi della Corona ad accompagnarmi nel rituale di questa notte-
Il volatile gracchiò di nuovo, come lusingato dal velato complimento di importanza che gli era stato rivolto con quelle parole, arruffando le penne soddisfatto -Mio signore Samhain, reputo i miei Yeomen più che capaci di badare ai Corvi in questa notte- si giustificò.
-Strano, pensavo fosse proprio questa la notte più delicata del vostro lavoro. I Corvi avvertono molto più di qualsiasi altro essere della sfera animale la presenza degli Spiriti sul suolo dei Vivi-
Il Ravenmaster comprese in quell’istante che con i suoi occhi scrutatori Samhain aveva già afferrato la verità nella sua mente, e che l’inutilità dei suoi tentativi di celare la verità era ormai quasi scandalosa. Sospirò -per quanto un corvo possa sospirare.
-Mio signore, la verità è che la mia età avanza, e credo che non mi resta molto da vivere, e che il prossimo anno, in questa notte, mi vedrete uscire dalle porte proprio come oggi vedrete il resto delle anime, e non volevo perdere l’ultima mia occasione di assistere a questo prodigio dal lato vivente- ammise infine, omettendo, speranzoso, un’ultima parte di verità. Ma non poté portare avanti la fandonia ancora a lungo, lo sguardo del dio dei Morti lo esortava a proseguire e concludere le sue motivazioni senza omettere altro.
Dopo qualche istante di coraggiosa resistenza si sentì in obbligo a continuare -E, noi Yeomen abbiamo avvertito qualche oscuro presagio riguardante questo rituale provenire dai Corvi- concluse con amarezza nella voce roca e raspante.
Samhain non diede segno di preoccupazione, se ne provò, ma posò lo sguardo di nuovo sull’ invisibile massa d’acqua sotto al colle, osservando ciò che nessun altro riusciva a scrutare, vedendo e sentendo ciò che solo lui poteva vedere ed ascoltare, partecipe di ogni singola fibra di vita nell’intero mondo, e di ogni singola fibra di morte nel rovescio. Chiuse gli occhi qualche istante, inspirando profondamente, li riaprì di scatto quando avvertì ciò che da troppo voleva udire.
Si voltò verso le fila di lapidi, imitato immediatamente dal corvo.
Una luce ondeggiava tra le tombe, muovendosi come sospesa in aria da una mano bianca apparentemente senza corpo. La luce pallida si avvicinò, illuminando flebilmente ciò che intorno gli stava, ma al contempo rendendo visibile, in modo inspiegabile, le vie tra le lapidi, dando forma ad ogni oggetto per parecchie miglia intorno. Ma solo quando fu vicina i due riuscirono a distinguere la sagoma che trasportava quella che si rivelò una lanterna con le fattezze di un abominevole viso ricordante una zucca, forgiata in un particolare cristallo nero. La sagoma era avvolta in un manto oscuro che si fondeva con la notte, nascondendo le forme del corpo che sotto c’era.
Quando fu a qualche passo di distanza dalla vetta del colle, si bloccò, alzando lievemente il capo in su. Non si poteva dire con certezza se stesse guardando il dio o semplicemente il firmamento, ma Samhain suppose che l’oggetto dei suoi occhi era lui, poiché un brivido lo percorse accompagnato da una sgradevole sensazione paragonabile a una punta di trapano che perforasse il suo viso, trapassandolo e perdendosi nel cielo dietro a lui.
Samhain fece cenno all’oscuro figuro di avvicinarsi, e dopo un istante di apparente perplessità, questi si avvicinò, facendo oscillare la lanterna da una parte all’altra come il pendolo di un orologio antico.
-Da quando lo spudorato Jack o Lantern si copre il volto?- domandò il dio.
Jack afferrò dunque con la mano libera, prima nascosta anch’essa dalla stoffa, il cappuccio che celava il volto, e lo slacciò, facendo cadere a terra l’intero mantello. Ne uscirono una lunga massa di ricci di un intenso coloro cioccolato fondente, un corpo pallido più simile a quello dei cadaveri che sotto a loro giacevano. Due labbra tinte di rosso e sue scuri occhi cerchiati di nero, colore presente nell’intero vestiario della ragazza. Stivali neri, calze semitrasparenti, vestito con bustino lungo sino alle ginocchia, con gonna in pizzo e sangallo, ed una mantellina con cappuccio ricamata nelle diverse scale di grigio. I capelli erano fermati con due mollette poco sopra alle orecchie, quasi invisibili nella massa intricata, sufficienti però a far sì che i ricci non coprissero il viso.
Lei alzò la lanterna ad altezza volto, rendendosi ancora più inquietante con le ombre che la luce generava.
-Era per evitare le vostre espressioni che mi coprivo il viso, non certo per paura- ribatté gelidamente.
Samhain sbatté le palpebre sorpreso. Si ricordava un vecchio con una barba grigia e un ventre che pareva una botte di birra, ed ora gli si presentava l’esile figura di una ragazza che sembrava più appartenente all’altro regno.
-Non è esattamente… l’aspetto che mi aspettavo-
La ragazza alzò le sopracciglia, perplessa dalla frase -Me lo immaginavo- disse infine, spostando poi lo sguardo sul pennuto -Ma tu sei il Ravenmaster?- domandò stringendo gli occhi come non ci vedesse bene.
Il corvo parve in disappunto -Ho un cartello appeso al collo?- domandò piccato, mentre Samhain si apriva in un mezzo ghigno divertito.
-No, è che si capisce quando una persona… o animale è potente- giustificò la ragazza avvicinandosi al limite dello strapiombo, e scrutando in basso, verso l’oceano gorgogliante. Poi si voltò verso i due, e fece un piccolo cenno con la mano -Da parte mia sono conosciuta tra i mortali e ai miei cari come Alexis, mentre ovviamente quando in questa notte mi tramuto in spirito, sono Jack o Lantern, al femminile, s‘intende-
Samhain annuì, senza aggiungere altro, guardandola come in attesa che lei dicesse qualcos’altro.
Alexis passò lo sguardo prima a lui, poi al corvo, in attesa, alla fine sbuffò -Non ditemi che tra i mortali vi chiamate Samhain e Ravenmaster- sbottò puntando contro di loro il fascio della lanterna.
Samhain si protesse il viso alzando una mano, deviando la luce, e le fece cenno di abbassarla -Mi stavi per accecare- brontolò.
Il corvo, come di consueto, gracchiò, ma quel verso, quella volta, ricordava vagamente una risata. Quando si fu ricomposto, accennò una impacciata imitazione di inchino, e disse -Tra i vivi, sotto la mia forma umana, sono conosciuto sia come Ravenmaster, dai miei sottoposti Yeomen e dalla Famiglia Reale, mentre le persone a me più prossime mi conoscono come Anthony Shakespeare, o Tony-  
La ragazza parve piacevolmente sorpresa nell’udire il cognome del nuovo conosciuto, tanto che puntò direttamente la lanterna al suo indirizzo, fissandolo più intensamente. Questi si nascose dietro ad una delle ali color pece, arruffando le penne contrariato.
-Nome importante da portare- costatò.
La riccia si voltò lanciando un’occhiata al ragazzo, soffermandosi per qualche istante, ed infine girandosi di nuovo verso l’oceano, e, guardandolo con occhi persi in quell’indistinta oscurità, si rivolse al dio in tono rilassato -Sarebbe ora di procedere, o i morti pretenderanno legittimamente del tempo oltre l’alba, e non possiamo permetterlo-
Samhain annuì, affiancandosi alla ragazza, ma inginocchiandosi a terra, osservando a sua volta il buio sottostante fatto vivere dalle miriadi di riflessi.
Alexis arrossì, scostandosi di qualche passo dall’altro, che alzò gli occhi perplesso, mentre Ravenmaster riprendeva a sghignazzare divertito.
-Che cosa c’è ora?- domandò irritato Samhain.
Lei accennò un vago sorrisetto -Non ti puoi inginocchiare di fianco ad una ragazza con la gonna-
Dopo qualche istante di ammutolita vergogna in cui la guardò senza sapere cosa dire, lui sussurrò una qualche scusa, ricordando più un ragazzino alle prime armi che il dio dei morti, e si rivolse di nuovo alla distesa d’acqua, ora alzandosi in piedi.
Staccò dalla catena che gli adornava il fianco il piccolo ciondolo a forma di falce e, dopo averlo tenuto per qualche istante tra le dita, lo lanciò in aria facendolo roteare. Ad ogni rotazione che esso compiva, le vertebre che formavano il manico si moltiplicavano, ingrandendosi così come faceva la lama d’acciaio e avorio.
Afferrò l’arma al volo, posandosela sulla spalla, sotto lo sguardo stupito ed estasiato della ragazza, che fissava l’oggetto con profonda ammirazione, tanto da farle scintillare gli occhi scuri.
Samhain si avvicinò al ciglio del burrone. L’azzurro dei suoi occhi parve risplendere su tutta la distesa d’acqua in uno sfavillante secondo, ma quando questo passò, le sue orbite erano diventate completamente bianche, iride e pupilla avevano lasciato posto al bianco che richiamava a sé la luce della lanterna di Jack, ed essa, rifrangendosi in quei vuoti occhi, andava ad illuminare il mare sotto a loro, che iniziò ad agitarsi, gorgogliando sempre più furiosamente.
Una scarica elettrica spezzò il silenzio e il buio, sferzando nel cielo ed abbattendosi nel mare con un potente tuono. Venne seguita dopo qualche istante da una seconda, che andò ad infrangersi nello stesso punto dove l’altra era caduta, e continuarono a susseguirsi una dopo l’altra queste scariche, mentre il vento ruggiva, diventando a mano a mano più potente.
In tutto questo Samhain stava sull’estremo bordo del burrone, la falce alzata sopra la testa, una strana energia che si scatenava intorno a lui, fomentata da quella che lui stesso emanava in tutta la sua terribile potenza che in quell’istante era perfettamente espressa in un quadro terrorizzante, che non lasciava più dubbi sulla potenza del dio dei morti.
Samhain,quando gli eventi atmosferici furono alla massima potenza, e il mare era trasformato da una piatta landa d’acqua in alte montagne che arrivavano a spruzzare persino loro che stavano là sopra a più di dieci metri, e andavano poi ad infrangersi contro la parete, facendo tremare il terreno con la loro potenza, emettendo rombi orribili che con la loro intensità graffiavano le orecchie, mettendo i brividi di paura. Fu allora che il dio afferrò saldamente la falce e, indirizzandola verso il mare, al punto dove tutte le scariche elettriche convergevano, squarciò l’aria con un poderoso fendente che lanciò nello spazio intorno forti onde d’urto che andarono a sbattere anche contro le lapidi dietro, rompendone alcune.
Quando una di queste onde colpì il mare, un’onda composta però d’acqua si alzò al cielo, superando in altezza di  minimo due decine di metri il colle, gettando ombra su i tre spettatori di quella scena. Ma quando ricadde non lanciò altri schizzi, non ricadde sul colle, ma si ritrasse nelle acque, lasciando un enorme buco in esse, un mulinello oscuro, alla cui comparsa il vento s’intensificò, diventando quasi insostenibile e le scariche elettriche si susseguirono più velocemente, diventando sempre più potenti.
Alexis si avvicinò a Samhain, e dimenticandosi di ciò che le succedeva intorno, puntò il fascio di luce direttamente verso il mulinello, che, rifrangendoli, illuminò il cielo e il paesaggio sottostante in una terribilmente magnifico idillio del caos.
Da esso, dopo una manciata di secondi, iniziò ad udirsi un rumore che prima non si era udito, piuttosto confuso, sormontato dal caos degli elementi. A poco a poco emerse. Sembrava il rumore di cavalli in corsa, di chiacchiericcio, urla, pianti, risa, esclamazioni di piacere, esclamazioni di disgusto, una incoerente serie di rumori, voci, che si avvicinavano, come una folla in corsa verso di loro. E così era.
Dalle oscure nebbie recondite del mulinello si sollevò una massa di figure argentate che mano a mano la luce li colpiva prendevano colore ed assumevano un aspetto quasi umano. Esse risalirono l’alta costa rocciosa arrampicandosi come una miriadi di veloci ragni. Arrivarono al bordo al quale, però si fermarono. I visi erano rivolti al dio.
-Ci hai fatto tardare- parlò un uomo armato di tutto punto come lo sarebbe stato un crociato medioevale.
Samhain lo guardò con sguardo vuoto. Parlò con fuoco nella voce e con comando nel tono -Non devo tener conto a nessuno di ciò che io decido. Ci sono stati contrattempi, ma come al solito, la mezzanotte scoccherà tra un minuto, e allora potrete andare e scorrazzare liberamente fino all’alba, come sempre è stato- chiarì sbattendo la punta della falce a terra per enfatizzare il discorso ed incutere timore.
Passarono sessanta secondi di struggente attesa, prima che i morti, con animalesche urla di giubilo, si scagliassero verso le lapidi, verso il paese e più in là, passando oltre i tre spettatori, e scomparendo nelle ombre della notte.
Samhain sospirò chiudendo gli occhi, mentre intorno madre natura si acquietava. Quando sollevò le palpebre i suoi occhi erano tornati del solito zaffiro. Lanciò la falce in aria, e, per mezzo del processo inverso al precedente, la falce ritornò alle sue dimensioni ristrette, e lui la riattaccò alla catena. Un urlo sconvolto lo fece trasalire, e si voltò verso la ragazza, che si stava guardando intorno spaesata.
-Che diav…- si zittì quando notò che non aveva in mano la lanterna.
Infatti quando lei si rivolse verso di lui, il volto tirato dal terrore, disse con voce spezzata -Non ho più la lanterna. L’ho sentita che mi veniva strappata di mano dalla massa di Spiriti, e quando sono scomparsi, non c’era più- si mise le mani nei capelli guardando intorno sul terreno -E adesso cosa faccio?!-
Samhain sgranò gli occhi. L’assenza della lanterna voleva dire caos. Senza il lume di Jack o Lantern a guidare i morti, essi si sarebbero persi nel mondo dei vivi, e i vivi avrebbero potuto finire nel mondo dei morti.
Il ragazzo afferrò per le spalle la giovane agitata che continuava a rigirarsi disperata -Finiscila! Non l’hai persa- deglutì -Te l’hanno rubata- concluse infine guardandola dritto negli occhi.
Lei lo fissò qualche istante, incerta, poi se lo scrollò di dosso -Vogliono rimanere in questo mondo?- domandò rabbrividendo alla sola idea di morti che passeggiavano tranquilli per le strade di Londra e andavano a fare shopping da Harrods.
-Più precisamente- subentrò Ravenmaster poggiandosi sulla spalla della ragazza -Io credo che vogliano costringere Nostro Signore a chiudere il passaggio mentre loro sono ancora fuori- sentenziò.
Alexis guardò Samhain perplessa -Che intende?- gli chiese sentendo che la risposta già la sapeva.
Il dio riprese la falce, e dopo averla ritrasformata la poggiò sulla spalla a mo di fucile -Intende che il mio dovere principe è proteggere i vivi dai morti- s’interruppe -nel caso non dovessimo trovare entro l’alba la lanterna, sarei costretto a chiudere i portali per evitare che i vivi si perdano nel mondo dei morti, spiriti rinchiusi sì, spiriti rinchiusi no-
La ragazza si sentì raggelare. Deglutì in vano.
-Conviene iniziare a cercare- esortò il dio avviandosi con la falce in spalla verso le lapidi e passandovi in mezzo, dando un tono ancora più macabro a quello che già era il paesaggio circostante.
In seguito a qualche istante di esitazione, gli altri due lo seguirono.
Dopo qualche cupo minuto in cui nulla si udiva se non il lento e perenne respiro della terra che scuoteva le fronde degli oscuri alberi, e il flebile rumore dei loro passi, Ravenmaster, che non riusciva più a sostenere quella pesante atmosfera, gracchiò, spezzando il torbido silenzio che si era imposto tra i tre, mentre si stavano inoltrando nella boscaglia che circondava il cimitero sperduto -Ma per quale motivo al nostro signore non hai chiesto il suo nome tra i vivi?- domandò rivolgendosi alla ragazza, ancora spaventata alla prospettiva che si parava davanti loro se avessero dovuto fallire.
Fece spallucce, come se la risposta fosse ovvia -Ma perché è famoso, tra le persone come me perlomeno- sghignazzò, un po’ per l’ironia della faccenda, un po’ per scaricare la paura che ancora le opprimeva il petto -Fa musica rock il giovanotto, o sbaglio, Matthew?-
-Già, suono e canto, in effetti- confermò il dio, con tono innervosito. Sembrava non gradire quell’argomento.
-Che fossi il dio dei morti però nelle interviste non lo dicevi- fece notare sarcastica lei, felice di aver trovato qualcosa con cui accantonare il pensiero del pericolo incombente.
Lui si voltò incenerendola con un’occhiataccia.
-Mat-the-w?- disse incredulo il corvo, quasi sputando le sillabe.
Alexis fece di sì con la testa -Matthew Tuck, voce e chitarra dei Bullet For my Valentine. Ma lo sai che sono stata ad un vostro concerto? La falce non l’avevo notata però-
Il terreno sotto a lei si aprì in una crepa, facendola sobbalzare spaventata.
-La prossima volta- ringhiò il dio -Ti ci faccio cadere dentro- intimò senza nemmeno voltarsi a guardarla.
La ragazza lo seguì lanciandogli un’occhiata di fuoco verso la testa nera, aprendo la bocca per rispondere a tono, ma rabbrividì al ricordo di quale potenza era riuscito a scatenare durante il rituale. Decise che era meglio per lei non farlo innervosire e riprese a guardarsi intorno, sperando fortemente che da uno di quei cespugli saltasse fuori la lanterna, prima che l’alba li portasse a tenere i morti nel posto dove devono stare i vivi.
  
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