Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Cialy    03/11/2009    8 recensioni
E se fosse stato tutto un errore?
[Ron/Harry, Harry/Ginny, Ron/Hermione; post settimo libro.]
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ginny Weasley, Hannah Abbott, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Beta: Fireflie
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• Questa fanfiction è ambientata nella fine del giugno 2009; dato che non tutte le età dei figli di Harry e Ron sono state specificate dalla Rowling, me ne sono inventate un paio. XD
Le altre informazioni riguardo nomi dei figli, mariti e mogli varie sono state tutte utilizzate, ma essendo la fic ambientata cronologicamente prima dell’epilogo del settimo libro, non tiene completamente conto della situazione lì presentata.
• Detto ciò, passiamo alle cose felici. Cioè che Fireflie è una santa, una lovva, una martire! Quello che ha fatto per questa fic non ve lo sto nemmeno a dire. Gliela dedico con tanto amore, gratitudine e gioia suprema. \o/
• Il titolo viene da English summer rain dei Placebo e, non mi succedeva da tanto, ma esisteva lui prima della fic. *_*
• Le voglio un bene che non vi dico. é_è




Always stays the same (nothing ever changes)


Lunedì.

«Sei sicuro di non voler venire?»
Ginny glielo domanda per l’ennesima volta nel giro di un paio d’ore e, per l’ennesima volta nel giro di un paio d’ore, Harry scuote la testa. «Sai che non posso,» comincia, incassandosi nelle spalle. «Con le reclute da addestrare finirei col passare più tempo fuori casa che con voi alla Tana,» spiega nuovamente, porgendo alla moglie una delle innumerevoli borse che ha preparato.

Ginny sbuffa e gli rivolge un’occhiata truce. «Certo che Kingsley avrebbe potuto scegliere un periodo migliore, invece di darti così da fare a fine giugno,» borbotta, ed Harry ha sentito già troppe volte quelle lamentele che è solo grato quando la voce di Hermione giunge dall’esterno a richiamare l’amica.

«Meglio andare,» taglia allora corto la donna e stampa un bacio frettoloso sulle labbra di Harry, prima di attraversare la porta. Lui la segue, aiutandola a sistemare i bagagli intorno alla Passaporta, saluta Albus, James e Rose, accarezza la guancia paffuta di Lily e, infine, abbraccia Hermione.

«Fammi un favore,» inizia lei, in un tono che riconosce come tutt’altro che contento. «Dai una controllata a Ron, evitagli di mettersi nei casini.»
«Ci penso io,» replica Harry, accarezzandole brevemente il pancione.

Poi si allontana, prendendo le distanze proprio nel momento in cui la Passaporta si illumina e saluta, agitando una mano, «Ci vediamo nel week-end.»

Sua moglie, Hermione e i bambini scompaiono l’attimo dopo. Harry vorrebbe sentire un briciolo di mancanza o malinconia nel vederli partire, ma invece tutto ciò che riesce a provare è solo sollievo.



Martedì.

Addestrare i nuovi Auror non è un’attività che lo mette generalmente di buon umore; gli riporta in mente quando era lui poco più di una recluta e il periodo in cui questo accadeva – gli ricorda i morti che stava piangendo, le ferite da cui stava cercando di guarire, gli orrori che sperava di dimenticare al più presto.

I ragazzi che adesso frequentano il suo corso sembrano così giovani e ottimisti che gli causano una fitta di nostalgia e insieme di invidia, come se, tutto sommato, gli piacerebbe essere al loro posto – gli piacerebbe essere giovane e ottimista.

È con pensieri del genere in testa che, nel pomeriggio, quando stacca dal Ministero, non è in direzione di casa propria che si Smaterializza, ma verso i Tiri Vispi Weasley.

*

La voce amplificata di George («Benvenuto ai Tiri Vispi Weasley, o simpatico visitatore!») lo accoglie appena entra nel negozio e già basta da sola a ridargli un pizzico di buon umore.

Il locale è, come sempre, strapieno di gente e a Harry richiede un grosso sforzo individuare Ron e poi raggiungerlo; lo trova impegnato a discutere con un’anziana strega che, porgendogli un prodotto dalla confezione giallo canarino, sembra aver trovato qualcosa da reclamare.

Harry riconosce facilmente l’irritazione di Ron sul suo volto e decide di tenersi ben alla larga, finché il diverbio con la donna non è concluso; solo allora – quando quella si allontana impettita, mollando sgraziatamente la confezione sul ripiano – si avvicina sorridendo.

«Ehi, Harry!» lo saluta l’amico appena si accorge di lui, la sorpresa che scaccia l’espressione corrucciata all’istante.

«Ehi,» ricambia Harry, facendo il giro del bancone per portarsi più vicino a lui e farsi sentire in mezzo al frastuono provocato dai clienti. «Hermione si è raccomandata di tenerti d’occhio,» inizia. «Così ho pensato bene di passare a salutarti.»

Al solo nominare la moglie, vede il malumore tornare sul volto di Ron, ma se ne rende conto troppo tardi perché possa mordersi la lingua e frenarsi. «Ah, certo, sei venuto per questo. Per tenermi d’occhio per conto di Hermione,» sbotta l’amico. Scuote la testa in un gesto esasperato e, prima di concedere all’altro di replicare, «Beh, dille che sto bene,» riprende, «benissimo.» Gli dà le spalle, poi, e si dirige a passo svelto verso un gruppo di scaffali assaltati da alcuni bambini.

Harry lo segue a fatica, con l’intento di scusarsi. «Dai, scherzavo,» si giustifica, scartando un uomo con un lungo cappello a punta. «Sono qui per invitarti a bere una Burrobirra, o non so, qualcosa.» Alza la voce, con la paura che l’amico non lo senta, ma Ron continua ad ignorarlo, intento a rassettare la merce.

Sta per parlare di nuovo, quando lui finalmente si volta e sembra vagamente più calmo. «Guarda, non prendertela, però non sono proprio dell’umore. E poi non posso lasciare George alle prese con questo casino, facciamo un’altra volta,» taglia corto.

Harry vorrebbe dire che è disposto ad aspettare fino alla chiusura e che ci sono una decina di motivi per cui si trova lì che non hanno niente a che vedere con Hermione; Ron, tuttavia, torna a prestare attenzione ai clienti e non dà cenno di volerlo ascoltare oltre, così gira sui tacchi e si avvia verso l’uscita del negozio.



Mercoledì.

È abbastanza furbo, oggi, da recarsi direttamente a casa Weasley-Granger dopo l’orario di chiusura dei Tiri Vispi. Litigare con il suo migliore amico è capace, ancora adesso, di rovinargli l’intera giornata, così è semplicemente necessario andare da lui per tentare di chiarire le cose.

Questa volta, quando vede il viso di Ron comparire nello spiraglio della porta, gli sembra decisamente più rilassato. Accenna un sorriso, quindi, ed esordisce, le mani levate in segno di resa, «Giuro che non sono qui per tenerti d’occhio.»

Ron in risposta ridacchia e si sposta per farlo entrare. Gli richiude la porta alle spalle e poi inizia, esitando, «Mi dispiace per… sai.»
«Lascia stare,» si affretta ad interromperlo Harry, agitando una mano.

Un silenzio vagamente imbarazzato ristagna per alcuni istanti – c’è qualcosa che uno dei due dovrebbe aggiungere, ma nessuno osa farlo – finché Ron non gli accenna di seguirlo in cucina e gli chiede se vuole qualcosa da bere. Pochi minuti dopo sono seduti al tavolo sorseggiando una Burrobirra e Harry non può più trattenere il bisogno di porgli qualche domanda.

«Non fraintendermi,» comincia, prendendo un sorso della bibita e occhieggiando verso Ron, «ma tra te e Hermione va tutto bene?»

Succede esattamente come il giorno precedente: l’espressione sul volto dell’altro muta di colpo, oscurandosi. «Come sempre,» borbotta visibilmente seccato. «Faccio qualcosa che la infastidisce, ci urliamo contro per un po’ e alla fine decide che starmi lontana per un paio di giorni l’aiuterà a calmarsi.»

«Oh,» commenta Harry, abbassando gli occhi sulla bottiglia che tiene tra le mani. La questione non gli giunge nuova – è sempre dei suoi migliori amici che si tratta –, eppure non aveva davvero idea che le cose fossero tanto precipitate da richiedere una separazione, benché di poco tempo. «Sono certo che si sistemerà tutto appena metterai piede alla Tana e lei si sarà resa conto quanto le sei mancato,» si sente in dovere di dire, il tono speranzoso.

Non c’è però traccia di speranza o, meglio ancora, di contentezza quando Ron annuisce, «Già, sempre così.»
Vi sente anzi dell’amarezza e vorrebbe ricordargli che può parlare con lui, può sfogarsi e raccontargli tutto come ai vecchi tempi – perché nulla è cambiato, anche se i vari impegni, ultimamente, possono averli allontanati. La voce però non esce e il silenzio cala sulla stanza; Harry avverte l’acuta paura – mai avvertita prima d’ora – di doversi ricredere: forse qualcosa è cambiato davvero, forse il passato è solo questo, passato.

Finisce la Burrobirra in un sorso e subito dopo si mette in piedi. «È meglio che vada, si è fatto tardi.» Si aspetta che l’amico neghi e gli chieda di rimanere, o di uscire, o almeno di rivedersi il giorno successivo, ma invece tutto ciò che lo sente replicare è: «Sì, hai ragione.»

Lotta perché la delusione non si mostri sul proprio volto e lotta anche con l’insistente pensiero che, magari, Ron non lo vuole fra i piedi, che deve effettivamente ricredersi.

Lo saluta sulla soglia reprimendo le vere parole che vorrebbe pronunciare – urlare – e si Smaterializza alla volta di casa con un peso sullo stomaco.



Giovedì.

Aveva detto a Ginny che oggi – il giorno in cui l’addestramento è sospeso e gli resta da sbrigare solo qualche lavoretto d’ufficio che potrebbe tranquillamente rimandare al pomeriggio – sarebbe andato a trovarli alla Tana, ma sfogliando il giornale del mattino con un’abbondante tazza di caffè accanto si rende conto di non averne la minima voglia.

Nonostante senta la mancanza di sua moglie e dei suoi figli, trascorrere qualche ora in pace non gli dispiace affatto; recarsi dai Weasley significherebbe entrare in contatto con troppa gente, con troppe domande e troppo chiasso e, in questo momento, Harry preferisce rimanere solo con i propri pensieri.

Così gli viene semplice infilare la testa nel camino e spiegare a Ginny che il lavoro da svolgere è troppo e che gli porterà via anche la mattinata; lei accetta la cosa con un’altra serie di lamentele rivolte a Kingsley e lui, a conversazione conclusa, torna al proprio giornale e al proprio caffè.

Solo che non riesce davvero a trovare quella tranquillità che sperava di essersi conquistato.

*

Il suo umore peggiora mano in mano che le ore avanzano; chiuso in ufficio, tra noiose scartoffie che mai gli sono andate a genio, non può fare altro che pensare all’amico e a come la situazione tra loro stia mutando nell’ultimo periodo. Da quando Ron ha lasciato la posizione di Auror per affiancare George al negozio, nulla è più stato lo stesso: il tempo a disposizione per stare insieme si è ridotto drasticamente e, con la crescita della famiglia e la nascita dei figli, è diminuito persino ulteriormente.

Nei mesi appena passati non hanno avuto modo di vedersi se non in compagnia dell’intero clan Weasley e la realizzazione di quanto Ron gli manchi e di come sia facile perdersi lo colpisce quasi all’improvviso, in quell’ufficio anonimo che qualche anno prima avevano condiviso.

Quell’insieme di malinconia e nostalgia dura fino a quando, salito nell’atrio del Ministero a turno concluso, vede proprio Ron appoggiato alla fontana nel centro, chiaramente in attesa, e si ritrova a sorridere come un bambino. Gli va incontro a passo svelto – il pensiero che possa non essere lì per lui non lo sfiora nemmeno – e, man mano che si avvicina, la sua espressione felice trova uno specchio perfetto sul viso dell’amico.

«Ti hanno allungato l’orario o cosa?» lo saluta, in un tono che riesce a suonare infastidito solo a stento.
Harry scrolla le spalle, «Non mi aspetta nessuno, così mi sono portato un po’ avanti,» e sente subito il bisogno di correggersi: Pensavo non mi aspettasse nessuno. «Da quant’è che sei qui?» domanda poi, indeciso se scusarsi o meno del ritardo.

«Un’oretta. Ancora qualche minuto e sarei sceso a controllare se quelle dannate carte non ti avessero per caso affogato, amico.»

Harry ride e per alcuni attimi ristagna il silenzio tra loro, nonostante la solita folla che anima il Ministero rumoreggi lì intorno. Poi Ron si schiarisce la voce e chiede, staccandosi dall’appoggio della fontana, «È ancora valida l’offerta per quella Burrobirra?»

«Sempre,» replica Harry, e si avviano fianco a fianco verso i camini della Metropolvere.

*

Il Paiolo Magico riesce a rimanere lo stesso identico posto accogliente e chiassoso anche a dispetto degli anni trascorsi e della differente gestione. Hannah Abbott va loro incontro appena varcano la soglia, le trecce bionde che ondeggiano e una scia di vassoi galleggianti alle sue spalle che segue i movimenti rapidi della sua bacchetta.

«Harry! Ron!» li saluta sorridente. «È da un po’ che non ci si vede, eh? Solito tavolo?»
Harry annuisce ricambiando il saluto e, senza perdere tempo, la donna li guida verso la parte della sala che occupavano sempre durante la pause dal lavoro di Auror.

«Come se la passa Neville, Hannah?» domanda Ron, una volta preso posto.
«Oh, lo sai. Quest’anno è andata meglio del precedente, i ragazzi hanno finalmente iniziato a trattarlo come un vero insegnante. Tra qualche giorno sarà a casa, gli dirò che siete venuti.»
Si scambiano qualche ulteriore informazione e poi, «Vi porterò il solito, allora,» conclude Hannah, girando su se stessa e sparendo alla volta del bancone.

Il resto della serata scivola via con una facilità incredibile. Prima di rendersene conto stanno richiamando i vecchi tempi di Hogwarts e ridendo di scherzi ormai passati, ed è un po’ come ritornare indietro ad un periodo che Harry non è in grado di precisare, ma che sa essere stato felice.

È sempre così con Ron, riflette: per quanto possano allontanarsi e perdersi, ci sarà sempre un momento in cui lui tornerà indietro e si ritroveranno; è già successo in passato e, per quanto sembrino cambiare crescendo, tanto da farlo dubitare, quel particolare resta invece immutato.

Al termine della cena, escono nel cortile del locale e, da lì, si aprono il passaggio su Diagon Alley. Percorrono la via ormai quasi deserta continuando a chiacchierare, benché Harry non riesca ad essere completamente presente; nella sua mente si susseguono in fila serrata una serie di pensieri tra cui gli appare impossibile poter scegliere, come se avesse milioni di cose da dire e non fosse capace di metterle in ordine di priorità.

Le parole di Hannah occupano un posto preponderante e, periodicamente, si ripetono insistenti: «Com’è che non vi siete fatti vedere insieme per così tanto?» aveva chiesto, servendo le ordinazioni. «Neville ha anche temuto che aveste litigato o chissà cosa. Impossibile, gli ho detto io, figurati se quei due saranno mai in grado di fare l’uno a meno dell’altro. E, infatti, eccovi qui.»

Gli avevano riportato alla mente le paure del pomeriggio, quelle parole; si erano ancorate al suo petto e, nonostante le risate e la leggerezza della serata, ancora non lo avevano lasciato.

Quando parla, riemergendo dal silenzio in cui è precipitato all’improvviso, si ritrova a farlo in contemporanea con Ron.
«Mi dispiace per essere stato così assente,» si scusa, mentre l’amico sta dicendo: «Mi dispiace per essere stato uno stronzo, in questi giorni.»

Si fissano per un secondo e scoppiano a ridere; Harry indica all’altro di parlare per primo, così Ron riprende. «Davvero, scusami. È che con Hermione a volte è un po’ un disastro, saranno gli ormoni o sarà che sono un idiota.»

«Lo sei sempre stato e ti ha sposato comunque,» si affretta a replicare, facendolo nuovamente ridere e scongiurando un repentino cambio d’umore.
Camminano per altro pezzo in silenzio, arrivando davanti alla vetrina spenta di Accessori per il Quidditch di Prima Qualità; si fermano a guardarla entrambi, in un tacito accordo dettato dall’abitudine.

«Scusa se non ci sono stato quando avevi dei problemi,» dice Harry, gli occhi fissi sul nuovo modello di Nimbus che troneggia su un piedistallo. Lo sta ripetendo e non è nemmeno certo di avere davvero il bisogno di farsi perdonare, ma non può evitare di dirlo, l’idea di aver perso del tempo importante e la sensazione di essere stato sbalzato via da Ron radicate addosso.

L’altro si stringe nelle spalle e replica, «Figurati. Sei il Salvatore del Mondo Magico e tre volte padre, capisco benissimo che tu abbia qualche impegno.»
Il tono suona scherzoso, eppure Harry vi sente una vaga vena di malinconia che non allevia affatto il suo senso di colpa. Continua a pensare di dovervi porre rimedio, che ci sia dell’altro da dire, però non riesce a capire di cosa si tratti al momento; persistono quelle fila di pensieri che non riesce a districare, a concludere, a vedere chiaramente.

Così, quando annuncia che per lui è ora di tornare a casa e saluta Ron davanti a quella stessa vetrina che tante volte hanno guardato, in realtà sta solo scappando.



Venerdì.

«Dov’eri ieri sera?»
La voce di Ginny che arriva all’improvviso dal camino rischia di fargli rovesciare il caffè per lo spavento. Si volta a guardarla con un sorriso tirato e risponde, «Sono andato a cena con Ron al Paiolo Magico.» Ripulisce con un colpo di bacchetta il contenuto della tazza che ormai non ha più voglia di bere e scherza, «Vuoi chiamare Hannah per controllare?»

Lo sguardo di sua moglie si indurisce all’istante. Ignora l’insinuazione, però replica, «Quindi hai tutto il tempo di uscire con mio fratello, ma sei troppo occupato per raggiungerci alla Tana.»

«Oh, avanti, Ginny,» si difende lui, «sai che non se la sta passando bene ultimamente, ha bisogno di distrarsi.»

«Lo so perfettamente,» sibila la donna e Harry è certo che voglia aggiungere altre lamentele, anche se non capisce il motivo esatto per cui dovrebbe meritarsele. Tuttavia, quando parla di nuovo, Ginny si limita a commentare, «Io e quello zuccone dovremmo farci una chiacchierata, in proposito.»

«Lascialo in pace, la vita privata di Ron e Hermione non è affar tuo.»

«Ed eccoti a prendere le sue difese,» mormora la donna, levando gli occhi al cielo; poi, appena prima che Harry possa replicare, agita una mano e cambia argomento. «Verrete domani, comunque? O Kingsley ha deciso di tenerti confinato in quell’ufficio striminzito anche per il week-end?»

«Verremo,» replica lui, l’esasperazione facilmente intuibile nel tono.

Ginny pare percepire subito il mutamento d’umore, così sposta nuovamente l’argomento. «I bambini non vedono l’ora di vederti e ieri sono anche arrivati Bill e Fleur. Ti aspettiamo tutti.»

Il suo tono di voce resta ugualmente freddo e Harry ha la sensazione che siano solo consuetudini, quelle che si stanno dicendo, visto che la conversazione è ormai irrimediabilmente rovinata. Così tiene fede al proprio ruolo: «Non vedo l’ora di rivedervi tutti nemmeno io,» dice, sperando di suonare sincero.

Ginny non aggiunge nulla e si limita a salutarlo, dandogli appuntamento per la mattina successiva. Il finto sorriso di Harry sparisce appena si spengono le fiamme verdi del camino e il senso di incompletezza della sera precedente dimostra di essere persino peggiorato; ancora Harry non riesce – o non vuole – spiegarselo.

*

La giornata scorre come tante altre e la mente di Harry si incaglia nelle solite questioni quotidiane, come il programma d’addestramento, o come evitare le languide occhiate da cotta adolescenziale che Susan Wright gli lancia per l’intera durata delle lezioni, o dove rimediare un pranzo decente, o come sopravvivere alla compilazione delle scartoffie che chiudono la settimana di attività.

Nonostante ciò, non riesce completamente a lasciare andare la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato, che abbia qualcosa da portare a compimento; resta nel fondo della sua mente, riaffiorando ad intervalli regolari.

Quando infine il suo turno termina e risale nell’atrio principale, trovare Ron nuovamente ad attenderlo davanti alla fontana, quasi nella stessa identica posizione del giorno precedente, non lo sorprende come dovrebbe. In un certo modo, se lo aspettava – e lo desiderava.

«Ultimo giorno prima del ricongiungimento con la famiglia,» lo accoglie l’amico. «Cosa vuoi fare?»
Harry riesce a stare allo scherzo senza troppi problemi; un ghigno compare sul suo volto, ma non risponde, limitandosi invece ad afferrare il polso di Ron e a Smaterializzarsi portandolo con sé.

«Non farlo mai più!» riceve in risposta dall’altro appena ricompaiono, mentre traballa un po’ su se stesso. «Detesto la Smaterializzazione congiunta.» Si stabilizza e finalmente si guarda in giro per vedere dove sono arrivati; nel riconoscere il locale un ghigno gemello a quello che aleggia ancora sul volto di Harry fa capolino sulle sue labbra.

«Harry Potter!» strepita allora, in una chiara imitazione di Hermione. «Avrai mica intenzione di ubriacarti?»

Il suo tono fintamente scandalizzato diverte Harry ancora di più. «Cammina,» lo sprona, spintonandolo in direzione dell’ingresso della Testa di Porco.

*

Riescono a rientrare a casa di Harry solo grazie all’aiuto di Aberforth1 e, trascinandosi a stento, cadono seduti sul divano del salotto. Una scena simile lo riporta indietro di qualche anno, al periodo precedente ai rispettivi matrimoni, quando Ginny era in trasferta con le Holyhead Harpies e Hermione era impegnata a combattere le proprie crociate al Ministero; era un periodo in cui sembravano esistere loro due soli, niente intromissioni dall’esterno, niente famiglie a cui badare e con la possibilità di crollare sulla superficie morbida disponibile più vicina ubriachi di Firewhiskey.

«Forse abbiamo fatto tutto troppo in fretta,» sussurra Harry prima ancora di rendersene conto, rompendo il silenzio. Vorrebbe ritrattare la frase subito dopo averla conclusa – gli pare di essersi esposto troppo e troppo all’improvviso –, ma l’alcool rende le sue reazioni lente. Si morde la lingua in ritardo e occhieggia rapidamente verso Ron che, seduto di fianco a lui, solleva la testa dalla spalliera e riapre gli occhi, non voltandosi però ad incrociare il suo sguardo.

«Uh,» è il suo unico mormorio, e Harry torna a fissare un punto dritto davanti a sé.
«È solo che…» Si rende conto di colpo di quanto vicini siano lui e Ron – vicini in un modo esagerato, senza rispetto per lo spazio personale, vicini come sono sempre stati –, nota le ginocchia che si toccano e le mani appoggiante l’una accanto all’altra sul cuscino morbido del divano.

«È solo che.» Lo ripete senza sapere dove andare a parare, mentre la sua mano si muove autonomamente: scivola sulla stoffa fino a che anche le braccia non si sfiorano e le sue dita non si ritrovano a contatto con il dorso della mano di Ron; la accarezza piano e quel tocco leggero gli provoca un brivido lungo la schiena.

Ron si gela sul posto, non accennando il minimo movimento, ma nemmeno sottraendosi. «Harry,» soffia fuori, il tono a metà tra l’avvertimento e la preghiera. Il tempo sembra prendere a scorrere al rallentatore, ogni secondo dura un’eternità e compiere un qualsiasi movimento costa troppa energia.

Harry sta per rinunciare e abbandonare il contatto, lasciare quel labile appiglio a cui si sta aggrappando; non osa voltarsi verso l’altro per paura di ciò che potrebbe scoprire guardandolo – potrebbe essere sia di star comportandosi in modo assurdo, che di star facendo l’unica cosa giusta dal momento in cui ha preso il controllo della propria vita.

Ron ripete: «Harry», nel medesimo tono di prima, solo più morbido, più vicino al cedimento.
«E se fosse stato tutto un errore?» domanda lui allora, la voce che gli trema, completamente priva di sicurezza.

Trascorre un infinito attimo di totale silenzio, poi Ron si alza dal divano di colpo, dirigendosi rapidamente verso il camino e dicendo, «È meglio che vada.»
Harry si alza a sua volta e, con una preoccupazione assolutamente fuori luogo, replica, «Sicuro di riuscire ad usare la Metropolvere da solo?»

«Sì sì,» sbotta l’altro; afferra il barattolo di polvere dalla mensola con un gesto troppo rapido, rischiando di farlo cadere, e ne trae una manciata che lancia nel camino quasi rabbiosamente. Quando le fiamme verdi appaiono, si gira infine verso Harry.

Si guardano in viso per la prima volta da quando sono tornati e Harry vorrebbe davvero trovare qualcosa da dire, qualcosa di significativo e importante, che renda la confusione e l’imbarazzo del momento, ma anche la sua intensità; tutto ciò che occupa la sua mente è però solo quell’unica domanda che ha già posto: e se fosse stato tutto un errore?

Le fiamme verdi nel camino ondeggiano per un altro attimo e infine si spengono, senza che uno dei due abbia emesso un singolo suono o mosso un muscolo.
«Io… Davvero, vado. Vado,» balbetta Ron e, di nuovo, si volta per prendere il barattolo; ma i suoi gesti sono persino più impacciati e il coperchio risulta difficile da aprire, il barattolo rischia di sfuggirgli, e Harry trova la scena così tipica delle loro vite – così loro e basta – che si ritrova a ridacchiare, la tensione provata fino all’istante precedente ora dissolta.

«Lascia, faccio io,» dice ancora col sorriso sulle labbra, avvicinandosi al caminetto e togliendogli il contenitore dalle mani. Lo apre senza difficoltà, ma prima che possa lanciare la polvere Ron lo bacia.

Le sue mani lo afferrano per le spalle e quelle di Harry lasciano andare il barattolo – che si infrange rumorosamente sul pavimento – e gli si artigliano ai vestiti, attirandoselo contro. La sua mente si svuota e, per quei pochi istanti in cui restano incollati, il resto del mondo smette di esistere – non pensa a Ginny, non pensa ad Hermione, non pensa ai suoi figli; si stringe a Ron e si concentra solo sulle nuove sensazioni che baciare il suo migliore amico gli fa scoprire.

Quando si staccano, il viso dell’altro pare andare a fuoco per quanto è rosso. Si schiarisce la voce e ripete, per l’ennesima volta, «Vado,» concretizzando finalmente il proposito: si china a raccogliere un pugno di Polvere Volante dal mucchio che si è formato ai loro piedi e la getta nel camino, lanciandosi nelle fiamme immediatamente dopo, senza guardarsi indietro.

Harry prende un respiro profondo e poi, recuperata la propria bacchetta, ripara il contenitore della polvere e lo risistema al suo posto. Nemmeno adesso che è solo l’idea di aver appena tradito Ginny gli si presenta alla mente, impegnato com’è a sentirsi ancora l’odore di Ron addosso.



Sabato.

La realtà gli crolla addosso appena apre gli occhi. Il sonno si dissipa in un attimo e nella sua mente compaiono in fila i doveri della giornata: andare alla Tana, rivedere sua moglie e i bambini, affrontare quello che è accaduto negli ultimi giorni.

Si alza dal letto come un automa e si prepara altrettanto meccanicamente. I pensieri si susseguono confusi e quasi deliranti; arriva persino ad ingegnarsi nel trovare una scusa per rimandare l’appuntamento, per saltare del tutto la riunione di famiglia, ma alla fine si rende conto della ridicolezza del proposito e va avanti.

Giunge alla Tana alle dieci spaccate, emergendo nel camino della cucina il più silenziosamente possibile, quasi sperando di non essere notato. Ovviamente, ciò non succede.

«Papino!» strilla Albus, nello stesso istante in cui appoggia il piede sul pavimento. Gli corre incontro seguito da James e Harry è sinceramente felice di vederli, nonostante tutto. Si carica il più piccolo in spalla e, con il maggiore che gli cammina a fianco, va a salutare il resto dei parenti.

Molly lo cinge in una delle sue calorose strette e Arthur gli batte affettuosamente una pacca sulla spalla, mentre Fleur e Hermione lo baciano sulle guance e Ginny, improvvisamente radiosa, gli si aggrappa al braccio come se avesse paura di vederlo sparire da un momento all’altro. Harry si muove rimbalzando tra i parenti presenti all’interno della casa, con una sensazione di calore, di nostalgia e di sollievo insieme nello stomaco, fino a che Albus e James non lo obbligano a sedersi nel salotto e gli raccontano ciò che è accaduto durante la sua assenza – ogni cosa: della mossa sulla scopa insegnata da zio Charlie, all’antipatia di Louis che, in cinque giorni, non ha mai voluto giocare.

Harry rimane volentieri con loro, ridendo e ascoltandoli, tenendo tra le braccia Lily che, a dispetto dei fratelli tanto attivi, si limita a stringere il proprio drago di peluche e a sonnecchiare. È quando poi i suoi figli lo trascinano in cortile, dove buona parte della famiglia sta apparecchiando per il pranzo, che il momento che aveva tanto temuto accade: il suo sguardo incrocia quello di Ron, appena Materializzatosi lì, e l’imbarazzo, la confusione e il senso di colpa prendono il sopravvento.

Dura tutto un solo attimo, tuttavia; saluta l’amico con un «Ehi» – a cui fa eco un altro «Ehi» più timido in risposta – e poi sposta lo sguardo, dirigendosi verso Angelina per domandarle notizie della neonata Roxanne. Nessuno nota nulla e l’atmosfera festosa e allegra non muta.

Mezzora dopo, l’immensa tavolata è pronta e tutti iniziano a prendere posto; Harry deve impegnarsi un po’ per non capitare accanto a Ron e posizionare, invece, Hermione e Albus Severus tra loro. La donna è l’unica ad accorgersi della sua manovra e, infatti, nello spazio di attesa tra il primo secondo piatto e il secondo secondo piatto, si china verso di lui sorpassando il nipote e chiede, in un sussurro: «Tu e Ron avrete mica litigato?»

Harry approfitta del chiasso e della domanda quasi contemporanea del Signor Weasley sulle nuove disposizioni al Dipartimento Auror per fingere di non averla nemmeno sentita.

*

Dopo cena, Harry lascia la Tana per una passeggiata con George nei dintorni. Si sente più calmo e tranquillo, ora che ha messo da parte i numerosi pensieri della giornata per una quieta conversazione sui più svariati argomenti.

Rientrano nel cortile dell’abitazione che il sole è già calato e l’aria estiva di giugno si è rinfrescata.
«Guarda,» gli dice George ad un tratto, facendogli un cenno del capo in direzione di una delle panchine, «pare che stiano finalmente facendo pace.»

Lo sguardo di Harry scivola sul punto indicato e vi trova Ron e Hermione, seduti l’uno accanto all’altra, le mani intrecciate e i visi vicini. Un’antica gioia nel vedere i suoi amici risolvere i loro problemi entra in contrasto con un’altra emozione più indistinta, che assomiglia vagamente alla delusione e sembra avvolta nel senso di colpa.

Distoglie rapidamente lo sguardo, commentando con un semplice e neutrale, «Già.» Poi aggiunge, «Vado a controllare se Ginny ha bisogno di me,» e affretta il passo per rientrare in casa.

*

Ginny non ha bisogno di lui.

La trova nella camera che condividono – la stessa che lei occupava da bambina, la stessa dove si erano baciati il giorno del suo diciassettesimo compleanno, in un tempo in cui la guerra non era ancora esplosa e lui non l’aveva lasciata indietro, la stessa dove, sdraiato nel suo letto, aveva deciso che l’avrebbe sposata –, intenta a cullare Lily, già mezza addormentata, sulla poltrona sotto la finestra. La luce bassa del lume si riflette sui suoi capelli, facendoli sembrare ancora più rossi, e lei appare completamente rilassata, gli occhi fissi sulla bambina e la bocca dischiusa nel mormorare una dolce ninnananna.

Per la prima volta da tanto, ormai, a Harry dà un’idea di sicurezza e normalità, di casa e di famiglia, che gli riporta in mente la serie di motivi per cui l’ha voluta accanto per il resto della propria vita. Si chiede come abbia potuto pensare di ferirla e, contemporaneamente, come abbia potuto essere così cieco ed egoista.

«Ginny,» la chiama in un sussurro, avanzando nella camera. Lei solleva il capo di scatto, notandolo solo allora; gli sorride e si posa un dito sulle labbra, per invitarlo a fare silenzio. Lui avanza fino al fianco della poltrona, per poi abbassarsi e baciarle la guancia.

«Mi dispiace,» gli sfugge, senza che possa fermarsi. Ginny aggrotta le sopracciglia e domanda, lanciandogli un’occhiata di traverso, «Per cosa?»
«Per essere stato poco presente nell’ultimo periodo,» si affretta a rispondere, ed è una verità – quella più facile da pronunciare –, anche se non esattamente la verità a cui stava pensando.

Lei agita una mano per dire lascia stare e si alza dalla poltrona, trasportando Lily fino alla culla e adagiandola dentro. Le rimbocca le coperte e la accarezza, tornando poi a fronteggiare Harry; incrocia le braccia al petto e, tenendo bassa la voce, chiede ancora, «È successo qualcosa con Ron?»

Harry si gela sul posto, incerto dell’intento e del significato di quella domanda. Scrolla le spalle dopo quello che sembra un momento interminabile e risponde, «No, perché?»

«Perché ti comporti in modo strano, e quando ti comporti in modo strano dipende o dai i tuoi incubi o da mio fratello. In più Hermione mi ha detto che non hai voluto sederti accanto a lui a pranzo, così…» spiega lei, gesticolando per sottolineare l’ovvietà del ragionamento.

«Tu e Hermione pensate troppo,» replica Harry, forzando una risatina. «Abbiamo solo passato del tempo insieme, questa settimana, e non è stato male. Non è che dobbiamo necessariamente litigare o chissà che ogni volta che ci vediamo.» C’è una nota di fastidio nella sua spiegazione e lei sembra coglierla. Non ricambia il suo sorriso, ma anzi continua a fissarlo come se lo stesse sondando; lui resta immobile, il battito che leggermente accelera per la paura di averle dato dei sospetti su ciò che gli affolla la mente, di averle rivelato più del necessario.

Infine, l’esame di Ginny termina. «Già,» si limita a commentare, in tono secco; sfila un mondo di parole non dette tra loro, ma Harry decide di non coglierne nemmeno una, di far finta di nulla.
«Torno di sotto,» continua poi sua moglie. «Bada che Lily dorma, ok?»

Harry riesce appena ad annuire, prima che lei attraversi la stanza ed esca fuori dalla porta, richiudendosela poi alle spalle.



Domenica.

Quando apre gli occhi, si ritrova a fissare la schiena di Ginny e i suoi capelli rossi che cadono scomposti sul cuscino. La notte precedente ha finito con l’addormentarsi prima che lei risalisse in camera e l’ha sentita muoversi solo a notte inoltrata, quando Lily ha iniziato a piangere per la fame. Ha tentato di alzarsi, ma lei lo ha liquidato con un «Ci penso io», che lo ha fatto tornare dritto tra le lenzuola.

Passandosi una mano sul volto, si mette a sedere sul bordo del materasso e si allunga per recuperare i propri occhiali; lancia uno sguardo all’orologio, poi, e, nonostante siano ancora le nove di mattina, si alza.

La Tana appare inaspettatamente deserta e tranquilla; quando giunge in cucina, la trova occupata solo dalla Signora Weasley, impegnata a lavare i piatti, e da Percy, che, seduto alla punta del tavolo, sfoglia il Profeta. Entrambi lo salutano calorosamente e la donna si prodiga immediatamente per mettergli davanti un’abbondante colazione, rimpinzandolo in un modo che lo fa sentire di nuovo un ragazzino.

«Bill e Charlie hanno portato i bambini a nuotare al lago,» gli spiega, piazzando un piatto di salsicce sotto il suo naso. «Albus e James sono con loro, ovviamente. E il resto degli adulti… Ah, chissà, c’è chi dorme ancora e c’è chi è fuori, questa casa a volte sembra una locanda!»

Harry ride del tono momentaneamente irritato della donna e, com’è da anni abituato, approfitta delle sue attenzioni materne. Si ritrova a vuotare un intero piatto di cibo chiacchierando tranquillamente con Percy e, infine, quando ingurgitare un altro solo boccone significherebbe esplodere, si alza ed esce in cortile.

Anche questo risulta deserto al pari del resto della casa, eccetto per Hermione, seduta sulla stessa panchina su cui Harry l’aveva vista la sera precedente. Si muove in automatico verso di lei, senza pensarci troppo, più per abitudine che per reale voglia di parlarle.

«Buongiorno,» la saluta e lei ricambia sollevando una mano e sorridendo. Le si siede accanto e la guarda per un momento, notando le occhiaie pronunciate e la stanchezza evidente sul suo volto; tutto ciò indica che non se la sta passando nel migliore dei modi e la mano di Harry si muove istintivamente sulla sua pancia, appoggiandosi su di essa con cautela. Il piccolo Hugo sembra avvertire il suo gesto e scalciare in segno di saluto. «Come stai?» domanda, dopo qualche attimo di silenzio.

«Con una decina di chili in più e con una decina di ore di sonno in meno,» replica lei, una ruga a solcarle la fronte. Il senso di colpa nel suo petto non tarda a mostrarsi e Harry si china in avanti, posandole un bacio sui capelli con delle scuse che non osa pronunciare bloccate in gola.

«Allora,» riprende, trascorso qualche attimo. «Dimmi la verità. Va tutto bene tra te e Ron?»
Non è certo di voler conoscere la risposta già subito dopo aver terminato di parlare. Da un lato pensa non sia giusto impicciarsi ulteriormente delle loro vite, che tutto sommato non siano affari suoi e avrebbe già troppi problemi a cui pensare – la scontentezza della propria moglie, ad esempio –, ma dall’altro il bisogno di sapere è grande, tanto grande che il cuore gli batte forte mentre attende che lei parli.

La donna sbuffa e il suo volto si fa serio. «Sai come sono le cose tra noi. Alti, bassi, poi di nuovo alti e poi ancora molti bassi…»
La voce le si spezza e Harry trattiene il fiato. C’è una rapida esplosione di panico, nella sua testa, quando si rende conto che sente premere nel petto la speranza che Hermione gli dia la risposta che tanto sta cercando da giorni – come un tempo era solita, citando i suoi libri o dopo un’accurata ricerca in biblioteca –, gli dica se è vero ciò che teme, se è vero che è stato tutto un gigantesco errore.

«In un modo o nell’altro finora ce la siamo cavata,» continua l’amica amaramente, abbassando la voce. «Ma in questo periodo sembra più difficile del solito. Sarà colpa del mio nervosismo, Hugo non è affatto tranquillo come sua sorella,» stempera la tristezza tentando lo scherzo e tornando a sorridere, ma Harry non riesce a lasciarsi ingannare. Infatti, quell’espressione dura poco più di una manciata di secondi per poi scomparire quando Hermione mormora, «E se avessimo fatto tutto troppo in fretta, Harry?»

Nello stesso istante in cui lei termina la frase la testa prende a girargli, come se una cappa d’aria lo stesse soffocando, e lui avverte forte il bisogno di fuggire, di afferrare la scopa e volare via, scappare da quella vita senza voltarsi.

La replica esatta gli si forma chiara in mente: Sì, Hermione, abbiamo davvero fatto tutto troppo in fretta, ma per qualche motivo non riesce a pronunciarlo a voce alta – non ancora: dirlo significherebbe porre un punto definitivo alla questione e Harry sa benissimo di non essere pronto.

Non replica nulla, allora, reclinando la testa all’indietro e appoggiandola al muro dietro la panca, tentando di recuperare il ritmo regolare del respiro, tentando di capire quale sarà la sua prossima mossa. Hermione probabilmente non si aspettava una vera risposta, perché poco dopo si mette in piedi e, spolverandosi la veste, annuncia, «Andrò a cercare Ginny.»

Harry la guarda rientrare e non aggiunge niente.

*

La Tana torna a riempirsi a poco a poco, in un crescendo di caos e rumore. Harry ha trascorso quelle ore intermedie – e quasi irreali – di silenzio seduto al tavolo della cucina, ascoltando distrattamente Molly, o Percy, o chiunque passasse da lì. Circa un’ora dopo la fine della sua chiacchierata con Hermione, lei e Ginny, con Lily al seguito, erano comparse in cucina per annunciare che sarebbero uscite; Harry non ha domandato dove andassero né loro lo hanno spiegato, e quando sua moglie l’ha baciato sulla guancia in segno di saluto, quel bacio gli è sembrato freddo al pari del ghiaccio.

Le chiacchiere degli altri, nel frattempo, non lo hanno mai raggiunto davvero; la sua mente è rimasta incagliata tutto il tempo sulla domanda di Hermione – la sua stessa domanda –, sulle possibili soluzioni, sui suoi possibili desideri. Sono solo le voci concitate dei Weasley che rincasano dal lago a dargli un definitivo scossone e a permettergli di prestare di nuovo attenzione alla realtà.

Harry vede entrare dalla porta della cucina James, Fred e Louis, i nasi arrossati e i sorrisi sui volti, e poi Bill e Audrey, seguiti da Angelina. Fuori, sente le voci di Charlie, di George e, soprattutto, di Ron. È quest’ultima che lo spinge a tornare completamente al presente; scatta in piedi ed esce in cortile, dove il sole lo acceca e l’aria calda lo investe.

Ron è a qualche metro di distanza e tende una mano verso Rose, il divertimento e l’affetto evidenti nella sua espressione. La bambina è la riproduzione di Hermione, ma in lei c’è qualcosa di così precisamente Weasley che non intuire la sua famiglia di appartenenza sarebbe impossibile; Harry guarda suo padre aiutarla a montare su un manico di scopa e poi dirle, piano, con premura, «Bravissima, la posizione è giusta. Allenta solo la presa.»

Il senso di colpa torna rapido, tanto prepotente da riportargli alle labbra un insieme di scuse che non sa a chi esattamente rivolgere – scuse per Rose, scuse per Hermione, scuse per Ginny, scuse per i suoi suoceri che, in cucina in quel momento, sono ancora convinti che lui sia il marito perfetto per la loro unica bambina, scuse per se stesso.

Poi Ron solleva di colpo la testa e i loro sguardi si incastrano: quei pensieri spariscono subito, mentre, per la prima volta da quando hanno messo entrambi piede alla Tana, si sorridono quasi timidamente. Harry capisce nel medesimo istante che c’è solo una cosa da fare e adesso sa finalmente di cosa si tratta.

*

È tardo pomeriggio quando riescono infine a rimanere soli.

Ron intercetta Harry sulle scale che portano al primo piano, mentre scende dopo essere andato a preparare le borse, e, muovendo solo le labbra, gli sillaba di raggiungerlo nella sua stanza. Harry si Smaterializza non appena lo vede sparire sul pianerottolo, tanto in fretta che, una volta arrivato nella camera, si ritrova ad aspettare l’amico per un paio di secondi.

«Dobbiamo parlare,» esordisce Ron, entrando, certo di trovarlo già lì.
«Dobbiamo,» conferma Harry, andandogli incontro. Leva una mano per fargli cenno di aspettare, poi, ed estratta la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni mormora, «Muffliato,» in direzione della porta.

«Ogni tanto ci viene ancora utile, eh?» commenta l’altro, senza riuscire a trattenere un sorriso complice.
«Già,» replica in un sussurro, e poi cala il silenzio. Continuano a fissarsi per quella che sembra un’eternità, fino a che non è Ron a spostare lo sguardo, arrossendo.

«Abbiamo commesso un errore,» dice, e Harry concorda: «Ne abbiamo commessi molti.»
Lo vede sollevare la testa su di lui di colpo, stupito da quelle parole, così gli si avvicina ulteriormente, ancora non osando toccarlo. «Però non sono sicuro che questo lo sia,» continua.

«Siamo sposati. Sei il marito di mia sorella, Harry, e abbiamo entrambi dei figli. Possiamo fare questo a tutti loro?»
Non possiamo, replica la voce nella testa di Harry, ma nello stesso momento in cui termina di pensarlo già si rende conto che non è quello che importa davvero ora. Scruta l’altro con attenzione, alla ricerca di un segno che gli dica che anche Ron, almeno in parte, si sente come lui; lo trova – nel suo sguardo sfuggente, che non osa incrociare quello di Harry per più di una breve manciata di secondi, nelle sue mani strette a pugno lungo i fianchi, come a cercare di trattenersi, nel suo viso in fiamme, non per l’imbarazzo ma per altro. L’aria tra loro sembra bruciare, tanto Harry desidera annullare quella distanza, eppure non ha il coraggio di muoversi, non prima che sia Ron a compiere il passo iniziale.

«Eravamo giovani, ma non ci siamo mai concessi di esserlo davvero,» dice tutto d’un fiato, come riprendendo le fila di un discorso già cominciato. Non sa in che modo continuare, si ritrova ad incagliarsi sulle sue stesse parole, quando aggiunge, «Se magari avessimo aspettato… se fossimo stati…»

Coraggiosi, completa nella sua testa, e poi ancora: sciocchi, avventati, incuranti del resto del mondo. Ron sembra comprendere ciò che intende, perché esplode in un istintivo moto di difesa: «Io amo Hermione,» sbotta, ma la sua voce si affievolisce subito in un sussurro appena udibile. «È solo che…»

Harry non gli permette di continuare. In un unico passo, finalmente, quasi traendo un sospiro di sollievo, copre quell’ultima, breve distanza che li separa e lo bacia. Non ci sono più parole, allora, e nemmeno incertezze; incespicano l’uno nell’altro, mentre finiscono addossati alla parete accanto alla porta, dimentichi di ogni precauzione, del pericolo che stanno correndo, persino di essere alla Tana circondati da parenti. Harry si aggrappa alle spalle magre di Ron, stringendoselo addosso e cercando di imprimere ogni dettaglio a fuoco nella mente – il modo in cui si muove, possessivo e timido insieme, il suo profumo, la consistenza solida del suo corpo. Non ci riesce: le sensazioni sono troppe e troppo nuove, lo invadono e poi defluiscono come l’acqua della marea, lasciandosi dietro un calore pulsante nel suo petto che Harry è certo essere, in qualche modo, lì da sempre.

Quando si staccano e lui riapre gli occhi, la realtà esterna appare diversa, mutata per non tornare mai più la stessa. Non c’è più l’urgenza della fuga che avevano provato due sere prima, il peso dell’errore e la vergogna che quel bacio aveva comportato, ma solo la solidità di una ricerca giunta al termine, di una risposta definitiva finalmente ricevuta.

Ron sussurra, «Harry,» e le sue labbra scorrono sul collo dell’altro, in una carezza lieve. «Come faremo adesso?»
Harry chiude gli occhi, li riapre, fissandoli in quelli blu di fronte a lui, e torna finalmente a respirare. «Un modo lo troveremo,» replica.

*

Ginny gli sembra improvvisamente un’estranea. La guarda, fermo sulla porta della cucina, muoversi e parlare con gli altri presenti, agitare la bacchetta per prendere i piatti, voltarsi ad ammonire James facendo ondeggiare i capelli, esile e piena di vita, e si rende conto che c’è sempre stato qualcosa, tra loro, ad impedire che si capissero completamente.

Harry non si è mai impegnato a conoscerla davvero, in tutti questi anni, mai le ha permesso di penetrargli sotto la pelle, e solo adesso ne comprende il motivo, solo adesso è pronto ad ammettere la verità.

Lei avanza verso di lui appena lo scorge, sfiorandogli una mano e invitandolo ad allontanarsi per parlargli in privato.
«Ci hai messo una vita,» inizia, le braccia incrociate al petto e quello stesso atteggiamento indagatore della sera precedente.

Harry si sente all’istante a disagio e, per questo, mente con facilità. «Avevo bisogno di rilassarmi. Ho preparato le borse alla Babbana.»
Sul volto della donna appare lo spettro di un sorriso, più canzonatorio che altro. «Allora sarai anche felice di disfarle, alla Babbana.»

Il suo cuore salta un battito. «Rimaniamo qui?» si affretta a chiedere.

«Io e i bambini rimaniamo qui.»

Harry esita per un istante, incerto su come intendere quell’affermazione. Poi Ginny riprende, «Te l’avrei anche detto, ma quando sono salita in camera tu non c’eri.»
Il cuore gli si ferma completamente. La voce nella sua testa gli annuncia che il momento che tanto temeva è arrivato, che adesso ha l’obbligo di scoprire le carte. Fa per parlare, però lei solleva una mano e glielo impedisce.

«Non voglio sapere dov’eri, anche se lo immagino benissimo.» Il tono è duro e fermo, non gli dà possibilità di replicare; la voce è solo vagamente incrinata quando ricomincia. «Sono stanca, Harry, e un’altra settimana separati non può farci che bene. Magari ti aiuterà a comprendere meglio le tue priorità.»

La cosa giusta da dire sarebbero delle scuse – per le bugie, per la scarsa attenzione che le ha dimostrato, per tutte le promesse che mai ha mantenuto –, ma persino quelle sarebbero solo parole vuote, che non intende davvero. Resta in silenzio, evitando lo sguardo castano fisso su di lui, e Ginny infine prende quell’atteggiamento come una risposta.

«Bene,» commenta, con una leggera nota acida. Fa per allontanarsi e rientrare in cucina, però si blocca appena dopo un passo e torna a guardare il marito. «Un’altra cosa. Hermione si fermerà qui con me, Merlino solo sa quanto ha bisogno di rilassarsi,» comincia. Poi leva un dito, minacciosa, e Harry ha l’impressione che stia per lanciargli una delle sue famose Fatture Orcovolanti. «Tra lei e Ron le cose vanno da schifo, quindi ti pregherei di non peggiorare la situazione.»

I suoi capelli fiammeggiano, quasi, quando si gira e si allontana. «Mi dispiace,» sussurra Harry nel corridoio vuoto, e adesso lo intende davvero.

*

Emerge dal camino di casa propria a sera tarda, dopo aver salutato i suoi figli, Ginny e il resto dei parenti con la promessa – che, al momento, non sa se manterrà davvero – di tornare il prossimo week-end. Ron ha lasciato la Tana con lui – e con Percy, Audrey e George, ma i loro volti hanno poca importanza nella mente di Harry –, senza che potessero parlarsi ulteriormente o mettersi d’accordo per un eventuale incontro.

Nonostante ciò, quando mezzora più tardi il suo arrivo sente bussare alla porta d’ingresso, sa esattamente chi ci sarà dall’altra parte.

Ron ha un’espressione a metà tra lo sconcertato e l’imbarazzato, quando gli apre, e Harry invece si sente stupidamente felice nel vederlo, come se fossero rimasti distanti per settimane. Si fa da parte e lo invita ad entrare, osservandolo attentamente per cercare di capire cosa gli passa per la testa; teme il peggio, teme che Ron sia venuto per riportarlo alla realtà, per dirgli che non possono andare avanti.

L’impressione, però, dura solo pochi attimi, il tempo necessario a chiudere la porta. Poi Ron avanza verso di lui e le loro bocche si uniscono; non ci sono più dubbi nella sua testa che questo sia ciò che entrambi desiderano.

Si muovono quasi in contemporanea, dirigendosi verso la stanza degli ospiti al piano di sopra, e lì Harry realizza che questo, in un modo o nell’altro, doveva accadere. Il tempo sembra rallentare, mentre si svestono, e i minuti si dilatano all’infinto quando Ron, quasi timidamente, lo tocca. La sua mano scorre sul torace di Harry centimetro dopo centimetro, senza che riesca a staccargli gli occhi di dosso – quasi tema che non sia reale. È tutto nuovo per entrambi, ma non ci sono incertezze o esitazioni, come se accadesse da sempre, e i loro corpi si incastrano con una facilità disarmante.

Dopo, il respiro di Ron al suo fianco è quanto di più rilassante Harry possa immaginare. Chiude gli occhi e pensa che avrebbe dovuto capirlo già da anni, che ciò che prova al momento è, in realtà, lì da molto tempo.

«Ehi,» sussurra l’atro ad un tratto, e Harry riapre gli occhi, incontrando i suoi azzurri. Le guance di Ron sono ancora arrossate e i suoi capelli un ammasso spettinato; sorride, semplicemente perché si sente leggero e felice, e allunga una mano per accarezzargli il volto – gli sembra assurdo, adesso che può, smettere di toccarlo.

«Pensi che le cose diventeranno difficili, ora?» lo sente poi domandare, dopo qualche secondo di silenzio.
Harry annuisce, non gli serve nemmeno rifletterci: «Lo diventeranno.» Poi aggiunge, «Ma abbiamo affrontato di peggio, no?»

Ron ridacchia e scuote la testa. «Peggio dei Weasley infuriati, dici? No, probabilmente anche Voldemort svergognerebbe al confronto.»
Harry si unisce alla sua risata e poi fa scivolare un braccio attorno alla sua vita e gli si stringe contro. «Andrà tutto bene,» dice, perché avere Ron al suo fianco gli ha sempre dato coraggio, gli ha sempre permesso di guardare le cose in un’ottica positiva. «Fidati di me.»

L’altro emette uno sbuffo ironico. «Come se non l’avessi fatto per gran parte della mia vita,» borbotta, per poi posargli un bacio sul collo.
Harry non riesce a trattenere un sorriso, mentre di nuovo pensa: andrà tutto bene. Non ci ha mai creduto come adesso.




  
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Cialy