Serie TV > E.R.
Segui la storia  |       
Autore: perry    03/11/2009    1 recensioni
Il ritorno a Chicago di John Carter per curarsi non si limita alla dialisi, ma diventa un complicato tentativo di risolvere una questione che aveva lasciato in sospeso per troppi anni e che ancora, anche se lui la respinge, lo tormenta...
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Abby Lockhart, John Carter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Per LubyLover: grazie mille per la tua mail e anche per la tua recensione. Ti ringrazio per avere colto l'uso dei titoli delle puntate come titoli dei capitoli e la continuità che ho cercato di mantenere tra le vecchie e le nuove stagioni... Spesso le vecchie cadono un po' nel dimenticatoio, e non è giusto. Cerco di lasciare sempre vivo un riferimento a Mark Greene, che dopo l'ottava stagione viene totalmente rimosso, ma che per Carter è stato una guida non meno di Benton o di altri personaggi. Ecco il nuovo capitolo, siamo nella parte più "importante" ormai... Buona lettura.



“How I wish, how I wish you were here.

We're just two lost souls swimming in a fish bowl, year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears…
wish you were here.”
Pink Floyd

John Carter POV
John rimase immobile e la guardò, con gli occhi ancora lucidi, quasi imploranti. Lei aveva quell’espressione beffarda che le si leggeva in faccia ogni volta che stava dicendo o facendo qualcosa in cui non credeva veramente, ma che era costretta a dire o fare solo per convincere se stessa e gli altri di essere normale. Agitò una mano come per cacciare una mosca, lo faceva sempre quando si preparava  a sforzarsi di parlare. John conosceva bene tutti quei suoi movimenti, le sue espressioni, tutto.
“Carter… John. Ascolta. Mi dispiace davvero per quello che ho detto prima. Mi sono ritrovata spiazzata vedendoti davanti a me, e molte cose che pensavo fossero finite e chiuse sono riaffiorate. Sentirti parlare ancora mi ha fatto rivivere quello che ci dicevamo, quello che abbiamo passato insieme, tutte le parole che ci siamo detti e che non abbiamo mai capito. Tu sei stato per me importantissimo, sei stato un amico, un fratello, un amante, una presenza che ha colmato i vuoti ogni volta che credevo sarebbero rimasti un nulla. Quando io credevo di scivolare definitivamente tu eri lì, a prendermi la mano, anche quando eri distrutto più di me. Ma non sono mai riuscita ad afferrarti fino in fondo… Tu per me eri mistero, eri una specie di divinità della perfezione che viveva in qualche universo per me inesplorato e inesplorabile. Non ho mai capito se ti vedevo così perché eri ricco, aristocratico e quindi automaticamente lontano anni luce da me. E quando ti sento parlare così dei problemi, come se fossero banconote da un dollaro, io esplodo: esplodo perché mi sembra di non rendere giustizia a tutto quello che passiamo, sì, neanche a tutto quello che passi tu. Non voglio negare il tuo dolore o la tua sofferenza, voglio solo capire se tu davvero la senti o se la usi come uno schermo per non farti avvicinare dal resto del mondo”.
Carter tacque per un momento. Un tornado – così l’aveva definita una volta – un devastante tornado. Era un fiume in piena e lui non aveva gli argini per contenerla adesso. La guardò e per un istante gli venne da sorridere, ma quando vide l’espressione di lei il movimento gli si paralizzò: lo sguardo di Abby lo fissava duro, ma un po’ implorante, gli occhi erano immobili su di lui come se si aspettassero una reazione rabbiosa ma cercassero di scongiurarla.
“Abby…” – la voce di Carter tremò mentre lui soppesava le parole – “io mi sono arrabbiato così prima perché non sentivo il tuo rispetto per quello che provo. Non perché non rispetti te, o quello che tu sei. So che sono passati anni da quando Joshua è morto, e sono passati anni da quando tra me e te c’era ancora qualcosa di più di un freddo rapporto tra colleghi. Credimi, vorrei liberarmi di tutto quello che provo, ma non ci riesco. Non riesco ad andare oltre tutto questo, non riesco ad andare avanti ma neanche a tornare indietro. Sono tornato a Chicago per un trapianto, perché la mia vita possa continuare, ma in certi momenti penso che vorrei fare come Mark… Andare alle Hawaii e lasciarmi morire, perché il male che mi divora dall’interno non può essere guarito. E per questo mi manchi Abby, mi manchi da morire. Perché la tua presenza per me non era positiva, ma era reale, invadente, fisica. Non era una cosa astratta, su cui potevo ragionare, era passione, e vita. Non parlo di quando eravamo insieme, o almeno non solo, parlo della nostra amicizia, del nostro essere qualcuno. Non sai quanto mi sono sforzato di capire perché la nostra storia non abbia funzionato, perché siamo sempre stati capaci di guardarci negli occhi e capirci fino a quando non ci siamo messi insieme. Avevo giurato che non sarei più scappato da me stesso, dalle responsabilità, e tu hai fatto lo stesso; eppure abbiamo iniziato a nasconderci, a sparire…”
“No John” – lo interruppe Abby, alzando il tono di voce – “tu sei sparito. Tu hai preso e te ne sei andato in Africa, e ci saresti andato senza neanche salutarmi se non ti avessi incontrato per caso nel parcheggio delle ambulanze. Tu profumavi di speranze, di felicità, di matrimonio, di perfezione ma poi sei fuggito. Perché dopo quello che è successo con Eric al funerale di tua nonna ti ha fatto capire che io restavo sempre uguale, e non ero solo la Abby che tu speravi di plasmare, ma ero la solita Abby incasinata fino al collo che riusciva a rendere infelici non solo i giorni più felici, ma anche quelli già spaventosi per i fatti loro. E lì ti sei terrorizzato, terrorizzato di dover farmi da cane da guardia per tutta la vita per evitare che affogassi nel mio mare personale e trascinassi a fondo anche te. Tu sei una persona fantastica e le donne ti adorano perché cerchi di dare sicurezza… Ma a me non serviva sicurezza, a me serviva un compagno con cui viaggiare in mare aperto e affrontare ogni onda e il vento. Tu invece volevi essere la sabbia, essere solido sotto di me, proteggermi, curarmi. Tu volevi aggiustare la Abby a cui volevi bene per come era, sperando di ottenere una nuova Abby da amare, ma non ci sei riuscito. Speravi di farlo dandomi protezione, standomi vicino, ma la realtà, John, è che la protezione non sempre è l’aiuto che serve… Dove c’è la protezione ci sono come delle mura solide, ci sono dei confini, ed è in quei confini che diventa reale il giudizio dell’altro, il tuo giudizio. Mettere delle mura intorno a me, John, non mi proteggeva, mi appendeva solo al collo un cartello con una diagnosi e un programma di trattamento. Avrei dovuto essere io quella che scappava, quella che cercava di evadere dalla fortezza che tu costruivi intorno a noi per tenerci in salvo… Invece sei fuggito tu, perché tu eri la sabbia ed io il mare, e le mie onde ti facevano paura perché nessun tuo mattone di pietra poteva tenerle. Mentre io potevo lambirti, accarezzarti, ma non potevo essere totalmente tua e non potevo essere trattenuta del tutto dalla tua forza. Ma non avrei mai smesso di lambirti, Carter. Avrei voluto continuare a essere l’onda che si frangeva contro di te ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Ma a te questo non andava bene. Tu volevi la certezza, tu volevi rendermi qualcosa che non ero. E hai capito che io potevo essere quello che cercavi in un’amica con cui stare quando volevi trasgredire dal tuo mondo freddo e aristocratico, ma non la tua donna. Io, come il mare, sono sempre rimasta lì. Ma sono stata abbandonata, come ogni volta, e non sono più riuscita a trovare nessuno da lambire come facevo con te, non ho più trovato nessuno con cui mettersi a nudo fosse così facile. Chi non è come noi non capisce, Carter, chi non è precipitato nel tunnel della dipendenza non sa cosa significa sentirsi davvero vulnerabili, davvero fragili, davvero bisognosi di qualcuno che sappia navigare accanto a noi e se necessario affondare. Perché a volte si affonda, e io credo che tu adesso lo stia capendo molto bene, ed è per questo che sei ancora qua, davanti a me. Sei qua perché vedere me ti fa rendere conto di quanto stai affondando, e forse speri di trovare in me qualcosa che ti dica che ti salverai, speri che io per la seconda volta ti lanci il salvagente, ma questa volta io non so se sono capace…”
Abby si interruppe. Due grosse lacrime le scorrevano lungo il viso e anche Carter aveva il volto segnato dal pianto, gli occhi lucidi. Si guardarono, ma nessuno dei due ebbe il coraggio di muoversi, né di dire un’altra parola. Il peso di tutti quegli anni e del dolore crollò addosso a entrambi, e Carter provò un immenso moto di gratitudine verso di lei, verso il coraggio con cui cercava di dirgli che non poteva salvarlo, ma che per lei c’era ancora un significato in loro due.
“Non so cosa rispondere…” – le sue parole erano soffocate dal pianto – “io non ho mai dimenticato, Abby. Non avrei mai voluto farti sentire in gabbia. Io ti amavo, non sai quanto, e non riuscivo a vederti sempre così. Sempre infelice. Ogni giorno, anche il più bello, poteva diventare triste, e avevo paura di questo meccanismo perverso che trasformava anche il buono in minaccioso. Io volevo solo vederti felice, e avrei fatto di tutto per te. Ma quel giorno, al funerale di mia nonna, mi sono accorto che tutto quello che facevo forse non era fatto per te, ma per me. Forse è vero, avevo solo bisogno di renderti perfetta, ma in realtà per me lo eri già prima; e io ho sbagliato, ho sbagliato tutto. Pensavo di dover meritare la tua gratitudine, e non tuo fratello in fase depressiva che cadeva come una pera nella fossa di mia nonna. Mi sentivo tradito, e mi sono accorto troppo tardi che quella che mi aveva tradito era la Abby che mi ero costruito io da quando ci eravamo messi insieme, non quella vera. Non quella che dovevo amare, ma quella che cercavo di guarire e rendere adatta a me. Mi dispiace, Abby… So che è l’unica cosa che riesco a dire ed è pure stupida, ma mi dispiace. Spero che tu un giorno mi possa perdonare per il dolore che ti ho causato”.
“Il perdono non cambierà nessuno dei due, Carter, lo sai. Io non sono il motivo per tu sei qua, io sono solo quella che ti speri essere la tua ancora di salvezza. Ti potrò perdonare, forse già ti ho perdonato da secoli, ma questo non cambierà ciò che adesso siamo. Il perdono non ci salverà, magari ci avrebbe salvato quattro o cinque anni fa, ma adesso siamo divisi. Siamo due persone disperse, e il nostro legame ci può servire non per quello che è, ma per quello che è stato. Forse a te serve il perdono di Kem, a me quello di Luka, ma io e te ormai non abbiamo più nulla da perdonare”.
“Però è per questo che sei qua, Abby. Per questo sei tornata. Sei tornata perché con me non avevi finito. O sbaglio?”
 
Abby Lockhart POV
Abby si irrigidì. Da quando avevano discusso davanti al caffè non aveva più pensato al suo presentimento, a quello che l’aveva portata di nuovo a Chicago. Aveva smesso di chiederselo, e di domandò se aveva smesso perché non aveva più avuto spazio in testa per pensarci o perché in fondo era consapevole di avere già davanti la risposta. Guardò Carter, che la fissava con uno sguardo strano, interrogativo, speranzoso – dolce? – e all’improvviso ebbe paura. Pensò a Luka e a tutti gli anni che ci aveva messo ad uscire da tutto ciò che riguardava John: non poteva essere ancora una cosa irrisolta. Non poteva essere quello ad averla portata a Chicago.
“Devo andare adesso”.
“Abby… No, un secondo, Abby!” – Carter l’aveva afferrata per un braccio e l’aveva costretta a voltarsi ancora verso di lui – “aspetta, ti prego. Ho ancora bisogno di fare chiarezza”.
“Devo andare John” – rispose lei dura, e tirò via il braccio dalla presa forte di lui. Prima che Carter avesse avuto il tempo di rispondere e di fermarla, Abby era già sparita dietro l’angolo.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > E.R. / Vai alla pagina dell'autore: perry