Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: ballerinaclassica    03/11/2009    5 recensioni
Il cuore di Arthur, dunque, aveva deciso di prendere una strada diversa e di lasciargli solo un gran male nel petto. Tagliando ogni filo, ogni collegamento sottile. Lasciando tutto dietro di sé e non portandosi niente, abbandonando le cose alle spalle senza pensarci due volte.
Il cuore di Arthur si era dichiarato indipendente ed era fuggito oltre l'oceano.
[ Alla mia Little Bro ]
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
UsUkOceano
"There is an ocean between us, but is not very far."
Blurry, Puddle of Mudd



Overseas.



Faceva male, dannatamente male. Bruciava e a volte pungeva. Oppure lo stritolava, lo soffocava e provava ad ucciderlo lentamente, quel fottuto dolore.
Se ne stava annidato, all'altezza del petto. Si muoveva a sinistra e a volte faceva un paio di balzi e capriole, fino ad arrivargli in gola.
Spesso, invece, lo sentiva così forte da voler urlare, piangere e ribellarsi. E, se solo lui non fosse stato un gentleman britannico, avrebbe ceduto volentieri a quelle insopportabili tentazioni.
Arthur aveva da sempre avuto l'impressione che quel dolore fosse dovuto ad una mancanza. Come se avere un cuore ne potesse essere la medicina. E come se quel cuore gli fosse stato strappato via. Anzi, come se avesse scelto di andarsene, di non avere più bisogno di lui.
Arthur lo conosceva bene l'Atlantico. Lo aveva attraversato tante di quelle volte che avrebbe benissimo potuto perdersi nel bel mezzo dell'infinito blu e ritrovare al più presto la via di casa. Aveva imparato a memoria tutto di quel viaggio, perché ogni volta che lo aveva compiuto, aveva voluto ardentemente arrivare al capolinea.
Quando era desiderato, ovviamente.
Perché Arthur era felice di poterlo educare, quello che un tempo era un cuore. Di aiutarlo a crescere e di dargli in premio un bell'esercito, nuovo di zecca e dalle uniformi tirate a lucido. Lui non voleva vedere quei moschetti puntati sull'Inghilterra, assolutamente. Lui li voleva vedere impegnati per l'Inghilterra.
A lui piaceva comandarli da lontano, tutti quei soldatini. Piegarli al suo volere, così come aveva fatto con tante altre Nazioni.
Però l'America non era come le altre, si diceva. L'America era una sorta di baluardo che Arthur aveva raggiunto. Come se si fosse in tanti anni esercitato, per arrivare infine a creare qualcosa di perfetto. Per avere un po' di sé anche dall'altra parte di quel dannatissimo oceano e andarne fiero in qualunque momento.
L'Inghilterra poteva anche essere quanto di più ordinato, saldo e forte potesse esistere, ma sapeva bene che col Nuovo Mondo poteva aspirare anche più in alto.
Arthur se ne stava spesso rivolto verso ovest, immaginando che ognuna delle onde che si infrangeva sulle sue coste, non era che un regalo che direttamente proveniva da quelle terre sconfinate e libere. Ma non era così.
L'Inghilterra non poteva sentirsi gratificata da un mucchio d'acqua che cozzava contro le sue spiagge. Né sapeva essere soddisfatta dell'importanza che aveva in Europa.
L'Inghilterra desiderava ardentemente che il suo nome riecheggiasse oltre il mare. Forse anche più lontano.
Voleva che volasse e si soffermasse particolarmente sopra gli Stati Uniti. Voleva poi che la sua eco si mutasse in un "big bro" detto con voce acuta e forse un poco stridula.
Alfred era, per Arthur, ancora quel bambino. Enorme e piccolo al tempo stesso; un po' contraddittorio, ma era così.
America era ancora quel moccioso semi-nascosto dagli arbusti. Ora gli arbusti erano diventati grattacieli, ma ancora potevano cadere da un momento all'altro.
Alfred era tutto per Arthur. Era la cosa che più gli piaceva, era la cosa migliore che fosse riuscito a creare. Era una parte di Arthur, quella che amava di più, e lo sarebbe rimasto per molto tempo ancora. Almeno finché quel cuore non avesse smesso di battere.

- US, idiot. -
- UK... -
Arthur alzò il capo. Il meeting era iniziato da un paio d'ore circa; e lui era già fuori, con le mani spasmodicamente strette su una tazza di tea ancora troppo piena, per i suoi gusti.
Dentro, poteva benissimo sentire le altre Nazioni blaterare riguardo il surriscaldamento globale. Strano che Alfred fosse là fuori, mettendo da parte per un po' la sua massiccia dose di egocentrismo. Però poteva chiaramente distinguere la voce di Francis, là in mezzo. Ed era sicuro che avesse detto qualcosa riguardo ad un sedere.
Cosa c'entrasse poi in un incontro tra Stati, era tutt'ora un mistero.
Lui era uscito, invece. Un po' per avere tregua dalle richieste insostenibili di quel moccioso di Peter, un po' per prendere una boccata d'aria e pensare.
Arthur pensava sempre. Addirittura troppo.
Ogni volta che accadeva qualcosa, lui se ne stava in disparte a cercare la soluzione migliore. Ed adorava vedere le altre potenze affannarsi e fallire, quando lui invece poteva benissimo surclassarli grazie alle sue spropositate doti di self-control.
Portò nuovamente la tazzina alle labbra, scacciando con una mano le fatine che avevano preso a girare attorno alla sua testa.
Le fatine c'erano sempre, da quel che ricordava. Ronzavano attorno a lui, lo ammonivano quando lo dovevano ammonire e lo consolavano quando era triste. Forse lui non ricambiava i loro sforzi, né sapeva essere riconoscente. Ma almeno, da bravo gentleman britannico, accennava loro un educato sorriso una volta tanto.
Non che le fate pretendessero altro, sia chiaro.
- Che vuoi? -
Arthur aveva impresso particolare freddezza in quella domanda, forse caricandola troppo.
Alfred se ne accorse e s'irrigidì.
Alfred non capiva mai molto di quel che riguardava gli altri. Lui si concentrava solo su se stesso e poco gli importava di ciò che non riguardava in prima persona la sua Federazione.
Non conosceva minimamente la geografia, tanto per fare un esempio, ma poteva perfettamente dare istruzioni su tutti i sassi che si trovavano nel suo continente. Anche quelli più nascosti, anche i granellini di polvere.
- Mi hai chiamato idiota. -
Arthur roteò gli occhi, si stava stancando. E gli riusciva molto bene farlo. Non roteare gli occhi, ma stancarsi.
Lui dava dell'idiota a tutti. Specialmente ad Alfred; era diventata un po' un'abitudine e un passatempo.
Ma non era questo il punto. America sapeva bene quanto Inghilterra fosse propenso a distribuire critiche e a spartirle bene tra tutte le Nazioni.
Alfred voleva solo fargli capire che lui non era un ragazzino, tantomeno un idiota.
Alfred amava puntualizzare. Alfred puntualizzava sempre.
Era puntiglioso, specie se si trattava di Inghilterra. Non che desiderasse davvero vederlo umiliato, ma uno schiaffo morale gliel'avrebbe dato eccome. Solo per dimostrargli che quel mucchietto di colonie era perfettamente all'altezza del Regno Unito, se non addirittura superiore.
- E allora? E' quello che sei, idiot. -
Da quel che ricordava, Arthur non aveva mai avuto un dialogo vero e proprio con Alfred, non da quando quest'ultimo aveva preteso la propria indipendenza. Non aveva avuto una conversazione che non comprendesse susseguirsi di insulti reciproci ed una manciata di invettiva, almeno.
Non era particolarmente fiero di ciò, ma non poteva nemmeno dire di non sentirsi in un certo senso soddisfatto. Addirittura protetto.
Se c'era qualcosa che Arthur temeva, era far capire ad Alfred quanto potesse essere fiero di lui. In un certo senso se ne sentiva orgoglioso: Alfred era qualcosa di meraviglioso. Ed il merito era solo suo, di lui che l'aveva forgiato con tanto impegno e devozione.
Alfed si accigliò. Guardò Arthur e provò seriamente il forte bisogno di urlargli contro qualcosa. Che non era così, che si sbagliava. Ma avrebbe inevitabilmente reso vera l'affermazione dell'inglese.
- Quand'è che la smetti? -
Arthur alzò la testa. Lui non capiva mai niente di quello che Alfred gli diceva.
Non che Alfred fosse da meno.
- Smettere di fare cosa, esattamente? -
America sospirò. Lui di solito non sospirava.
Quante volte l'Inghilterra gli era stata così addosso da farlo soffocare? Quante volte l'America avrebbe voluto sbandierarle in faccia l'indipendenza concessa più di un paio di secoli prima?
Altrettante volte, da quel che ricordava Alfred, Arthur aveva accompagnato la sua presenza fissa con una serie di rimproveri, di insulti. Voleva sempre ricordargli quali fossero le sue origini, Arthur, e fargli capire che rinnegandole aveva solo tirato fuori il peggio della sua Nazione.
Alfred non doveva dimenticare cos'era prima.
Alfred non doveva dimenticare chi l'aveva raccolto, cresciuto e nutrito.
Alfred non doveva dimenticare grazie a chi era diventato una delle più potenti Nazioni.
Alfred non doveva dimenticare Arthur, in parole povere. Arthur non gliel'avrebbe permesso.
- Smetterla di volere troppo da me. Sono stanco. -
Inghilterra sussultò. Se solo avesse avuto la tazzina ancora in mano, avrebbe indubbiamente versato la metà del tea sul pavimento o sui suoi stessi pantaloni.

Il cuore di Arthur non voleva nemmeno ritornarci nel suo petto. Non ne voleva proprio sapere.
Non si era voltato indietro prima, non l'avrebbe fatto neanche adesso.

- Non voglio proprio niente da te, se ci tieni a saperlo. -
- Non dire stronzate. -
Alfed gli aveva risposto senza concedergli nemmeno il tempo di finire la frase.
In fondo, era stato Arthur a mettergli un moschetto in mano e ad insegnargli a sparare senza indugi.
Lo vide chinare la testa, concentrarsi sulla tazzina poco distante e pensare ancora un po'. Quanto pensava, dannato teaman. Poteva starsene zitto a riflettere all'infinito, giusto per farlo arrabbiare ancora di più. Tanto per affondare la sua pazienza già abbastanza segnata.
Alfred restava immobile, stringeva i pugni e lo guardava dall'alto. Ma chi diamine gliel'aveva fatta fare a seguirlo? Già era nervoso per la situazione economica del Wyoming e dei ranch vari, ci mancava solo quell'esaurito di Kirkland che pensava. Damn.
- Prego? -
Arthur alzò un sopracciglio, fissandolo con aria da superiore. God, se odiava quel suo modo di fare.
- Non dire stronzate, Arthur. Non te lo negare. -
Se c'era una cosa che Inghilterra detestava era dover soprassedere ai capricci di Alfred.
Sapeva bene che infastidirlo era diventato un passatempo per tutti - per Francis in particolar modo - ma capiva altrettanto chiaramente che non poteva tollerare che a farlo fosse il suo Alfred. Dannazione, quel ragazzino stava dimenticando tutto il passato, le sue origini. Non c'era altra spiegazione.
Alfred era stato un po' un parassita: aveva succhiato via tutto quello che poteva avere, approfittato laddove poteva pretendere e rubato qualora avesse potuto rubare. Aveva portato con sé, dall'altra parte dell'oceano, tutto quello che gli sarebbe tornato utile, aveva tenuto accanto a sé la Madrepatria più a lungo possibile e poi, una volta in grado di tirare avanti col solo sostegno delle sue gambe, l'aveva abbandonata senza farsi nemmeno uno scrupolo.
Alfred le aveva dimenticate da un bel po' le sue origini, ora che ci pensava.
- Non nego niente, perché è vero che da te non voglio niente. -
Arthur sapeva bene a cosa Alfred si riferisse. Diamine, se lo sapeva.
Ma in fondo, cosa c'era di male a sperare di riportarlo sulla retta via? Non che l'avesse mai persa, semplicemente Arthur credeva indispensabile la sua guida.
Se ogni tanto gli rivolgeva una critica, era solo perché non sopportava l'idea che Alfred fosse cresciuto così bene senza di lui. Era innegabile: Arthur non aveva più nessuna importanza. Era stato lasciato alle spalle, proprio come se il parassita non avesse avuto più di che nutrirsi.
- Allora smetti di riprendermi ogni volta che ne hai l'occasione. E smettila anche di insultarmi e di ripetermi che sono un buono a nulla. E non guardarmi così. -
- Così come? -
- Come se non te ne importasse. -
- Ma non me ne importa. -
- Perfetto. Allora smettila di fare tutte quelle cose. -
- Non hai il diritto di parlarmi così, Alfred. -
- Non sono più il tuo fratellino. -
Arthur abbassò lo sguardo.
Chissà in che modo, ma loro due finivano sempre per litigare.
Da un "idiota" ora ne nasceva una discussione fondamentalmente inutile.
Lui idiota lo diceva sempre a tutti, amava farlo. Lo faceva con Italia e quell'idiota gli sorrideva, lo faceva con Francia e quell'idiota gli palpava il sedere.
Lui amava dare dell'idiota alla gente. Lo aiutava a sentirsi in qualche modo al di sopra degli altri.
Arthur si alzò in piedi, fermandosi davanti ad Alfred e guardandolo.
Avrebbe tanto voluto dargli uno schiaffo. E dovette impegnare una massiccia dose di self-control per non farlo. Alfred sapeva davvero sfiorare l'insostenibilità senza nemmeno alzare un dito.
- Lo so. Non mi sono dimenticato quel giorno. -
Sostenne il suo sguardo a lungo, fino a sentirlo gravare sulle spalle e sul viso.
A lui gli occhi di Alfred piacevano un sacco, li aveva sempre amati. Sentiva che sapevano scrutargli dentro, fino a riuscire a leggergli fin'anche l'anima - e questa non era sempre una cosa granché positiva.
Avevano lo stesso colore del Pacifico, lo stesso di quel blu che li divideva da secoli.
Inghilterra abbassò gli occhi, davanti ad America. Non riusciva proprio a sostenerli.
Erano un po' come tutti quei moschetti che gli aveva puntato addosso il giorno in cui aveva preteso l'indipendenza. Esattamente come quando aveva infranto la promessa di restare insieme per sempre.
- Arthur... -
- Ho proprio ragione quando dico che sei un idiota! -
Arthur non alzava mai la voce con lui. Arthur fingeva sempre di non stare male. Arthur gli rivolgeva tanti di quei sorrisi che talvolta Alfred faticava a contarli.
Se tutto questo era cambiato, Alfred non se n'era mai dato la colpa, chiaramente.
Arthur percepì la sua mano sulla testa. Se era una carezza, lui non se l'aspettava così.
- Lo so. -
Oh. E se c'era un'altra cosa che lui odiava, era sentire Alfred diventare una persona matura da un momento all'altro. Così, giusto per farlo passare dalla parte del torto.
Lo faceva un sacco di volte, nei summit e davanti alle altre Nazioni. E lui ancora non capiva per quale motivo; se volesse prenderlo in giro e farlo cadere nel ridicolo o se facesse sul serio.
- Alfred... -
Idiota. Idiota. Idiota. Se in quella stanza c'era un idiota, era indubbiamente Arthur.
- Non fa niente... -
Era piacevole sentire la mano di Alfred sui suoi capelli - ridicoli, avrebbe aggiunto America. Gli sembrava quasi di tornare indietro di una manciata di secoli. E di trovarsi l'uno di fronte all'altro a ruoli invertiti.
- Ti ho detto che non fa niente. -
Se qualcuno fosse uscito dalla Sala Conferenza in quel momento, Arthur avrebbe ritenuto l'omicidio l'unica soluzione.
Se quel qualcuno fosse stato Francis soprattutto. Se lo sarebbe levato dai piedi una volta per tutte. Dannato vinofilo.
Stava abbracciando Alfred. Lo stava facendo quasi senza ritegno. Era una manifestazione d'affetto in piena regola quella, lui non avrebbe dovuto provarne minimamente. Lui avrebbe dovuto detestarla l'America.
- Sta' zitto, idiota. Non peggiorare la situazione! -
Alfred sorrise. Probabilmente quello era il lato di Arthur che più amava. Probabilmente quello era anche l'unico lato di Arthur.
Ma comunque a lui piaceva lo stesso.
- Come vuoi tu, big bro. -

Forse Arthur non ci aveva mai fatto caso. Oppure se n'era accorto, ma aveva preferito ignorarlo.
Quel dolore nel petto gli dava tregua ogni tanto. Veniva solo sostituito da un bruciore più piacevole, lo stesso di quando lo sentiva battere così forte da far male.
Il cuore di Arthur era inesorabilmente fuggito via, lasciandosi alle spalle solo qualche ombra del passato.
Non voleva affatto tornare indietro. Non nel suo petto almeno.
Forse desiderava soltanto riavere un legame, senza sentirsi vincolato però al suo padrone.
Il cuore di Arthur, dunque, nonostante fosse scappato lontano, continuava a scalpitare per il solo gusto di rendere felice il suo possessore. Voleva soltanto fargli vedere come fosse bravo lui che riusciva fin'anche a starsene da solo dall'altra parte del mare.
Arthur andava fiero di questo cuore.
Sebbene gli causasse non poca malinconia, capiva benissimo che rivolgere lo sguardo ad ovest significava preoccuparsi per il suo fratellino.
C'era un oceano in mezzo a loro. Tonnellate e tonnellate di acqua tanto crudeli da tenerli lontani.
Eppure, ad Alfred non erano mai sembrate così tante. A lui bastava avere un punto di riferimento - in che parte del mondo si trovasse poco importava - e dimostrare che il bambino capriccioso era in un certo senso cresciuto. Era diventato un eroe.
E poi si limitava ad aspettarlo. Tanto lo sapeva bene che Arthur non poteva proprio farne a meno di portargli gli scones, nonostante Alfred avesse più volte tentato inutilmente di fargli capire che lui li odiava con tutto se stesso.
Non c'era niente in loro che non andava.
Loro erano l'America e l'Inghilterra. Abbastanza lontani da potersi ogni tanto sentire troppo divisi, ma indissolubilmente legati dal medesimo passato.
Loro erano soltanto Arthur e il cuore di Arthur. La sua parte più bella che era fuggita via senza farsi troppi problemi e che era indubbiamente cresciuta nel migliore dei modi, per quanto lui non sopportasse l'idea.
Arthur amava il suo cuore più di ogni altra cosa. Più del tea, addirittura.
Era qualcosa di indispensabile per lui. E non gli importava che Alfred non la pensasse allo stesso, anche se molto probabilmente era così anche per lui.
Non bastava quell'abisso profondo che era il mare a distruggere un legame.
Alfred era tutto per Arthur. Era la cosa che più gli piaceva, era la cosa migliore che fosse riuscito a creare. Era una parte di Arthur, quella che amava di più, e lo sarebbe rimasto per molto tempo ancora. Almeno finché quel cuore non avesse smesso di battere.











Questa storia partecipa alla Criticombola con il Prompt 25 [ "There is an ocean between us, but is not very far." ]
Per la mia piccola America. *AAA*
Ies, ui chen!


Fanfiction ~ libera la tua immaginazione


   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: ballerinaclassica