Titolo: Need
a Hug?
Autrice: Egle
Beta: Oryenh
Fandom: Merlin
Personaggi/Coppia: Arthur/Merlin
Rating: PG13
Disclaimer: Merlin e Arthur non sono
miei.. purtroppo.
Note autrice: la storia è Spoiler!
per
la puntata 2x06
The Beauty and the beast II,
Need
a Hug?
Merlin chiuse gli occhi, ascoltando il sonno profondo in cui era immerso il castello. Probabilmente era l’unica anima in pena ad essere ancora sveglia a quell’ora della notte, eccezion fatta per le guardie che stazionavano sulle mura. Si passò una mano sul viso, prima di rigirarsi nella coperta logora. Si era aspettato di prendere sonno in fretta, il suo corpo era stanco e aveva un assoluto bisogno di riposo, ma non appena si era disteso sul materasso frusto aveva capito che il sonno, quella notte, non intendeva fargli visita.
Troppa agitazione, accumulata negli ultimi giorni. Certo, per lui ormai doveva essere diventata normale amministrazione: salva il regno da una psicopatica oggi, uccidi un grifone domani.
Guardo il
mio principe
morire di fronte ai miei occhi.
Da dove proveniva quel pensiero?
Perché non era tanto la parte del morire, o quella del principe ad impensierirlo.
Era quello stupido mio, che era scivolato fuori dai meandri della sua mente con l’abilità di un gatto, che si infila in mezzo a una porta che sta per chiudersi per intrufolarsi in una stanza proibita.
Quel mio era sbucato fuori dal nulla.
E non c’era davvero niente di strano in quel mio, se fosse stato preso con le dovute precauzioni e avvertimenti. Arthur era il principe di Camelot, quindi tecnicamente era anche il suo principe.
Ma quel mio non doveva avere quella dannata aria di..familiarità e intimità che il cervello di Merlin gli aveva subdolamente attribuito.
Si mise a sedere, sentendo l’aria fredda della stanza condensarsi sulla sua pelle come un lenzuolo gelido.
Stupido Arthur borbottò, decidendo che era, come sempre, colpa sua.
Sua e di quello stupido sguardo che
gli rivolgeva. Quello
carico di cose e..sentimenti.
Merlin fece una smorfia immergendo la faccia nelle mani, mortificato
per quello
che stava pensando. Arthur non poteva davvero avere sentimenti
per lui.
Poteva provare fastidio, rancore e tutta una varietà di emozioni che andavano dal ribrezzo, all’irritazione fino alla compassione quando lo sorprendeva in uno stato particolarmente pietoso dopo essere stati a caccia tutto il giorno nei boschi. Ma sentimenti no.
Quelli erano da escludere.
Merlin ne era certo.
Si alzò, decidendo improvvisamente che una passeggiata gli avrebbe conciliato quel bastardo di sonno, che continuava a tardare.
Indossò la sua casacca e le scarpe, annodandosi il fazzoletto attorno alla gola. Dalla camera di Gaius proveniva il suono profondamente romantico e cavalleresco del suo russare. Merlin stette in ascolto per qualche istante per capire se l’avesse sentito aprire la porta e scendere i gradini, prima di avventurarsi per i corridoi silenziosi del castello.
Altre volte si era addentrato nel dedalo freddo di corridoi, trovando stranamente rincuoranti le conversazioni senza parole che lui e le antiche mura si erano scambiati.
Quella era casa sua. Camelot era casa sua, ora.
E quell’asino reale era…
Chiuse gli occhi, imprecando contro sé stesso.
Quell’asino reale non era niente. Niente. A parte il futuro Re di Camelot e l’essere umano che gli aveva causato più mal di testa e altre ingiurie a carattere fisico e psicologico durante la sua esistenza. Di sicuro non era il suo principe.
Merlin si fermò al centro del salone, notando una lama di luce provenire da sotto la porta dell’armeria. Una voce nel suo cervello cercò di convincerlo a tornare a letto o a cambiare per lo meno direzione; non era necessario che lui controllasse. Quello era compito delle guardie, non suo. Lui era un servo. Anzi per meglio dire uno sguattero e aveva già adempiuto più che a sufficienza ai suoi doveri per quel giorno. Ciononostante avanzò di qualche passo portandosi dietro alla porta. La spinse con le dita, rivelando la figura di Arthur. Era in piedi al centro dell’armeria, le sue dita erano chiuse attorno all’elsa della spada e un rivolo di sudore gli colava deliziosamente dall’attaccatura dei capelli.
Vedi? E’ per questo che dovevi tornare a letto. Era esattamente per questo motivo. Mai a darti retta una volta, si rimproverò aspramente, rimanendo immobile sulla soglia. Fece per darsi alla fuga quando Arthur registrò la presenza di qualcuno e si voltò.
Stupido
addestramento
da stupidissimo cavaliere, borbottò Merlin nel suo
cervello.
“Stavo solo..” disse, indicando qualcosa di
indefinito alle sue spalle “Torno a
dormire” si affrettò ad aggiungere, facendo per
chiudere la porta.
“Merlin”. Chiuse gli occhi, con già la
mano sulla maniglia.
Ti prego, no, rivolse una supplica molto sentita a una meglio non specificata entità.
“Vieni dentro.”
Era esattamente per quello che era meglio non controllare la stanza.
Ora Arthur avrebbe trovato il modo per fargli rimpiangere di aver abbandonato il calore del suo letto e come se non bastasse il giorno dopo sarebbe stato stanco e insonnolito e avrebbe combinato più casini del solito e Arthur l’avrebbe punito, lui si sarebbe arrabbiato e sarebbero successe un sacco di altre cose brutte, una specie di catena infinita di disgrazie.
Con un profondo sospiro, fece come gli era stato ordinato. Serrò le labbra, guardando il fuoco che ardeva nel caminetto. Si chiese se Arthur l’avesse acceso da solo o se avesse svegliato uno dei ragazzi delle cucine per farselo accendere. No, probabilmente l’aveva trovato la brace e si era adoperato da solo per attizzare il fuoco, altrimenti sarebbe andato a chiamare lui.
Spostò nervosamente lo sguardo sulla spada abbandonata sul tavolo.
Arthur si stava esercitando da solo
nell’armeria in piena
notte. Merlin sapeva che ogni tanto ricorreva a quel metodo per sfogare
il
nervosismo o per distrarsi dalle preoccupazioni. Occhieggiò
un’altra spada che
era stata estratta dal fodero e che era appoggiata in un angolo. Non
voleva che
si allenasse con lui, vero?
Non gli aveva chiesto di restare perché voleva massacrarlo
con uno dei dolci
allenamenti che ogni tanto Arthur lo obbligava a sopportare, vero? Vero? strillò istericamente
nel suo
cervello.
Merlin rimase in attesa, le braccia allacciate dietro alla schiena, le labbra strette in una linea sottile. Lo seguì con lo sguardo, mentre sfiorava la lama della spada che aveva deposto sul tavolo e poi si dirigeva verso il camino. La stoffa sottile della casacca faceva risaltare il modo in cui i muscoli della sua schiena si tendevano e contraevano seguendo i suoi movimenti. Arthur aveva una schiena ampia, forte e Merlin sapeva con precisione quanto fossero solidi quei muscoli e quanto fosse calda la sua pelle. Fin troppe volte aveva passato le sue mani sulla sua schiena, massaggiandola con oli e pomate dopo qualche torneo o qualche battuta di caccia particolarmente impegnativa. Fin troppe volte aveva fatto scivolare le sue dita seguendo il disegno delle ossa e della muscolatura, soffermandosi sui punti in cui era più teso o sui lividi dovuti alla lotta. Era una specie di tortura a cui saltuariamente era costretto a sottoporsi.
Chiuse gli occhi, spostando nervosamente il peso del corpo da un piede all’altro. Non voleva guardare la sua schiena. Non voleva guardare il modo in cui la luce del fuoco faceva risaltare il suo collo umido e forte.
Stupido Arthur, pensò con lo stesso tono in cui avrebbe pregato il boia di non tagliargli la testa.
“Stavo pensando..” disse il principe, incuneando la voce nel silenzio in cui era immersa la sala.
Merlin si costrinse a risollevare le palpebre. Quando Arthur pensava non era mai una buona cosa. Anzi…
Si umettò le labbra, aspettando che l’altro proseguisse. Voleva solo tornarsene a letto. Era sicuro che sarebbe riuscito ad addormentarsi. Se Arthur avesse evitato di condividere quello che stava pensando e l’avesse miracolosamente congedato, lui se ne sarebbe tornato a letto e avrebbe dormito come un morto. Parola di mago.
“Sì?” disse, non riuscendo più a sopportare il silenzio interrotto solo dal crepitio del fuoco. Merlin colse un leggero guizzo nei muscoli delle spalle. Arthur era teso. Lo capiva dal mondo in cui contraeva la mandibola e teneva il collo leggermente incassato tra le spalle. Beh era stata una giornata pesante anche per lui. La notte prima era morto, aveva ucciso un troll che si era sposato suo padre e il giorno seguente aveva passato tutto il suo tempo a rimettere a posto ciò che di sbagliato la soave consorte di Uther aveva provocato durante la sua spiacevole permanenza.
“Sai quell’abbraccio di cui parlavi oggi..”
Merlin si ghiacciò all’istante. Sì, si ricordava di quell’abbraccio. Quel disgraziato abbraccio che per un secondo aveva pensato che Arthur volesse. Non sapeva come era potuto accadere. Aveva visto Arthur sporgersi verso di lui e mettergli come sempre una mano sulla spalla e il suo cervello era semplicemente andato in blackout per una manciata di secondi.
Era stato un errore. Un semplice
errore. Tutti commettono
degli errori. Tutti, ma proprio tutti. Gaius, sua madre, Arthur
– Arthur faceva
errori madornali ogni santo giorno della sua nociva esistenza
– Uther… Uther si
era sposato un troll, per la miseria! Lui aveva semplicemente commesso
un
piccolo, insignificante errore di valutazione.
Deglutì a vuoto, trovando stranamente arida e secca la sua
gola. “Sì?” si
sforzò di dire.
“Posso riceverlo
adesso?” mormorò Arthur tenendo lo sguardo
puntato sul fuoco. Merlin sentì le sue labbra dischiudersi
per la sorpresa.
Rimase perfettamente immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Arthur
voleva che lo abbracciasse. Il suo.. dannazione no! Il principe di
Camelot
aveva bisogno di un abbraccio e voleva riceverlo da lui. Beh..
sì, come si era
già ricordato più e più volte anche
per Arthur erano stati due giorni intensi.
Morire avrebbe spossato chiunque e chiunque avrebbe avuto bisogno di un
abbraccio.
Solo che era Arthur, non era
chiunque.
E Merlin poteva solo vagamente immaginare quanto potesse essergli
costato farsi
uscire quelle poche parole dalla bocca. Probabilmente era stato
più
tremendamente faticoso che fidarsi di lui, affidargli la sua vita e..
beh e
morire.
Solo che Merlin non poteva veramente abbracciare Arthur. Cioè poteva farlo, il suo corpo era in grado di compiere un esercizio motorio così semplice. Era la sua volontà a vacillare. Gli sembrava di avere le piante dei piedi incollate al pavimento per qualche strano incantesimo. Non poteva. semplicemente non poteva avvicinarsi ad Arthur e abbracciarlo.
“Lascia perdere. Era una pessima idea” lo sentì ringhiare. Si era incazzato. Doveva immaginare che sarebbe successo, era il modo naturale in cui Arthur rispondeva a una situazione imbarazzante.
“Scusa, è che mi
hai preso alla sprovvista. Sì., certo che
puoi..” si affrettò a dire, mentre Arthur si
scostatava dal caminetto e si
dirigeva ad ampie falcate verso la porta, senza guardarlo in faccia.
Il giorno dopo sarebbe stato assolutamente insopportabile, dispotico e
dittatoriale. E anche un po’ sadico. E tutto quello solo
perché lui aveva
esitato. Non è che non volesse abbracciarlo.
E’ solo che la sua richiesta l’aveva davvero colto
di sorpresa. Non capita
esattamente tutti i giorni sentirsi chiedere un abbraccio da uno degli
uomini
più letali, meglio addestrati e assurdamente orgogliosi
delle terre conosciute.
“Arthur” lo richiamò, accennò una breve corsa per seguirlo fuori dalla sala. Sbatté un paio di volte le palpebre per abituare nuovamente gli occhi all’oscurità dei corridoi. Si era offeso a morte.
Dannazione a lui. “Arthur” ripeté, osando prenderlo per una manica.
“E’ stata un’idea stupida, va bene?” lo sentì esplodere, prima di guardarsi rapidamente intorno come se temesse che la sua voce avesse svegliato qualcuno. “Lascia..”
Ma Merlin non lo ascoltava. Coprì la breve distanza che li separava e fece scivolare le braccia attorno al suo corpo. Lo sentì irrigidirsi e per un istante giurò che fosse sul punto di schiaffeggiarlo, ma Arthur non lo fece. Poteva avvertire i muscoli della sua schiena contrarsi leggermente sotto le sue mani e il suo respiro uscire rapido dalle labbra leggermente dischiude, andando a infrangersi contro la sua guancia. Merlin voleva dirgli che andava tutto bene, che era in salvo, che era finito tutto e che non c’era niente di male a voler la consolazione di un altro essere umano, ma aveva paura che Arthur lo scansasse malamente.
Si limitò ad ascoltare il rumore del suo respiro, il calore e la solidità del suo corpo stretto al suo, chiedendosi quando fosse diventato il suo Arthur, il suo destino, tutto ciò per cui si alzava al mattino e combatteva con ogni briciolo del suo essere, non perché era giusto farlo, non perché doveva farlo, ma perché era suo. Semplicemente suo.
Non si mosse quando avvertì le braccia di Arthur sollevarsi e avvolgerlo. Chiuse gli occhi, accorgendosi che stava tremando leggermente. Sentiva le parole premere sul retro delle sue labbra, ma rimase ostinatamente zitto per paura che una sola sillaba avrebbe spezzato l’incredibile tregua al malumore del suo principe.
Non si mosse, finché non sentì Arthur scostarsi gentilmente. L’impronta calda del suo corpo era impressa sulla sua pelle, come una marchiatura rovente e Merlin sperò con tutto sé stesso che il suo profumo non gli fosse rimasto addosso. Non poteva.. semplicemente non poteva infliggergli anche quella tortura.
“Sarà meglio che torni a
letto” disse Arthur con la voce
leggermente roca. Si schiarì la gola, indietreggiando di un
paio di passi,
prima di voltarsi e percorrere con passo arrogante il corridoio immerso
nel
buio.
“Ti conviene fare altrettanto. Domani hai le stalle da
pulire” aggiunse senza
voltarsi.
Merlin sorrise, osservando la sua schiena e il suo portamento fiero.
“Sì, sire” mormorò Merlin, scuotendo la testa.