Ciao a tutti amici, fedeli lettori e curiosi che avete appena
cliccato su questa storia.
Innanzitutto grazie per essere qui!
Come alcuni di voi sanno, questa fan fic
è stata già da me postata e conclusa tempo fa, quando ancora non avevo scoperto
il magico mondo del codice html. Terminato il tomo, con mia notevole fatica e
altrettanta pazienza da parte dei lettori (ancora grazie!), ho pensato di
effettuare una revisione globale del testo e ripostarlo
con il codice html.
Pertanto vi preannuncio che i capitoli verranno postati a ritmo
abbastanza sostenuto, ma entro i limiti delle mie possibilità (la revisione non
è ancora ultimata).
Per tutti coloro che si affacciano alla storia per la prima
volta, devo dire che:
-
l’intera trama è frutto della mia fantasia
-
ho voluto mantenere i personaggi quanto più fedeli alla versione
rowlinghiana, ma certe sfumature e particolari sono
una mia licenza poetica
-
i personaggi sono di proprietà di J.K.
Rowling e questa storia non ha nessuno scopo di lucro.
Detto ciò non vi trattengo oltre, buona lettura e, se sentite l’irrefrenabile
desiderio di lasciare un commento, sarò ben lieta di leggerlo e tenerne conto!
Sklupin
UNA LETTERA
TANTO ATTESA
L'alba
si era appena affacciata sui rossi tetti di Slavingate, una brezza pungente
sospirava alle finestre degli abitanti ancora addormentati e la nebbia faticava
a diradarsi dalle stradine sterrate del paesello. Poco sopra le altre case, su
una collina solitaria, c'era una fattoria non molto grande, parzialmente
nascosta da una fitta vegetazione. Per quanto la famiglia Lupin fosse solita
alzarsi di buon mattino, era ancora troppo presto e fatta eccezione per il
pigolare di qualche pulcino, regnava un perfetto silenzio.
Solamente
una fioca luce tremolante tradiva la presenza di qualcuno che evidentemente non
dormiva affatto.
Nella
sua stanza al secondo piano, seduto sul letto c'era un ragazzino magro, dal viso
un po' sciupato e sporco di terra, i capelli castani incolti gli arrivavano
fino alle spalle e il pigiama che indossava sembrava, o meglio, era un insieme
di vecchi stracci. Stava borbottando sottovoce e nel contempo evidenziava il
testo con una matita spuntata, quando il richiamo della madre lo fece
sobbalzare e sbattere la testa contro il basso soffitto di legno.
-Remuuuus! Vieni giù in
cucina, la colazione è pronta-
-Sì...
arrivo!- urlò di rimando Remus mentre si massaggiava il nuovo bernoccolo.
"Non
è un po’ presto per la colazione?" si chiese.
Chiuse
il libro e si affrettò a cambiarsi, prendendo dalla sedia la tuta che aveva
usato il giorno prima per falciare il prato. Oggi gli sarebbe toccata la
disinfestazione del giardino dagli gnomi.
Sulla
tavola della cucina lo aspettavano un tozzo di pane raffermo e un bicchiere di
latte della loro capra Tes.
-Cavolo,
c'è pure il latte? Fantastico!- esclamò tracannando in un sol sorso il
contenuto del bicchiere.
-Sì,
oggi Tes ha dato il meglio di sè- disse la signora Emma in risposta al figlio,
asciugando il lavabo.
Era
ancora in vestaglia, i capelli raccolti in una crocchia e sul viso c'erano i
segni del cuscino. Contrariamente al suo aspetto, l'espressione era vispa e
perfettamente sveglia, come se fosse in piedi da ore, il che insospettì Remus.
Stava
per chiedergli cos'era successo per farla alzare all'alba a mungere la capra,
ma la madre lo precedette.
-Poco
fa è arrivato un gufo e ha portato questa per te!- proferì lei porgendogli una
busta giallo ocra, chiusa da un sigillo rosso.
Al Signor Remus Lupin
N° 16 Tempington Street
Slavingate - Yorkshire
Remus
prese la busta osservandola come fosse un cane a tre teste. Non riusciva a
capacitarsi di ciò che aveva tra le mani, aveva immaginato questa scena tante
volte nei suoi sogni ed ora faticava a credere che fosse reale. Dopo qualche istante
in cui la madre lo guardò con aria interrogativa, il ragazzino si scosse e
cominciò a balbettare in preda all'emozione.
-è.. è... è la le-lettera per Hogwarts!-
riuscì ad esclamare infine.
E
prese a saltellare per la cucina strepitando -Evviva!-, incurante del tavolo e
delle sedie che andava urtando al suo passaggio.
-Sì
Remus.. è proprio la tua lettera di ammissione. Perché non la apri?- gli
propose la madre ridendo alla vista di tutta quella contentezza.
Remus
obbedì, aprì la busta e iniziò a leggere avidamente la pergamena al suo
interno. Dopo poche righe si fermò e sul suo viso apparve un'espressione
scoraggiata.
-Tutti
questi libri, per non parlare dell'equipaggiamento... costeranno un occhio
mamma- disse sedendosi e guardando la madre preoccupato.
La
signora Emma gli si avvicinò con un sorriso e lo abbracciò forte rincuorandolo.
-Sempre
a preoccuparti dei tuoi vecchi, eh? Cosa credi? Abbiamo risparmiato abbastanza
per permetterci di mandare nostro figlio alla migliore scuola di magia e
stregoneria dell'intera Inghilterra, e tu dovrai ripagarci diventando un mago
con i fiocchi!!-.
Remus
s'illuminò e ricambiò l'abbraccio con entusiasmo.
-Adesso
vado, mamma, devo fare un sacco di cose!- affermò divincolandosi dalla madre
che ancora lo serrava stretto.
Colto
da un'ondata di sorprendente energia si mise il cappotto e uscì di casa,
diretto al capanno degli attrezzi per iniziare i lavori della giornata. Prese
il berretto, una tozza mazza di legno scuro e un buffo fischietto a forma di
pera. Era la terza volta che degnomizzava il giardino quell'anno, la prima era stata in
primavera con il padre, il signor Gerard Lupin. Lui faceva uscire gli gnomi allo scoperto con un
incantesimo, Remus li tramortiva con la mazza e li lanciava fuori dal recinto,
dalla parte di collina che dava verso il bosco. Tuttavia il signor Lupin era
spesso via alle varie fiere di paese, per vendere i prodotti che coltivavano
alla fattoria, e Remus, non possedendo ancora una bacchetta sua, doveva
arrangiarsi con mezzi più... babbani.
Per
prima cosa collocò il buffo fischietto al centro dell'appezzamento di terra
dinanzi alla fattoria, lo schiacciò forte con il piede e quello rimase
spiaccicato al suolo. Corse velocemente verso il cancelletto con la mazza ben
salda nella mano destra e i muscoli del corpo pronti a scattare. Dopo un paio
di secondi partì un fischio assordante dal
giardino e piccole figure presero a correre in tutte le direzioni.
Remus
si lanciò rapido verso quella più vicina allo steccato, e con un colpo ben
assestato della mazza tramortì lo gnomo, lasciandolo steso. Fu il turno degli
altri, che uno dopo l'altro vennero presi e dovutamente sistemati in una pila
sotto il prugnolo. Fece più fatica del solito, qualcuno era riuscito a
sfuggirgli e dovette usare più volte il Trombofischietto,
prima di acchiapparli tutti. Inoltre, diciamocelo, il nostro Remus aveva ben
altro per la testa quella mattina.
Malgrado
cercasse di concentrarsi nei suoi compiti quotidiani, era continuamente
distratto dal pensiero della lettera e di ciò che rappresentava per lui. Da quando era in grado di ricordare, aveva
sempre sentito parlare di Hogwarts dai suoi genitori. Gli avevano raccontato
della maestosità del castello, della ricca biblioteca e soprattutto
dell'eccellenza dei suoi insegnanti. Loro purtroppo non avevano potuto
terminare gli studi: sulla causa erano stati piuttosto vaghi con lui, però avevano
conservato diversi testi scolastici e Remus talvolta passava il tempo leggendo
formule e incantesimi, sognando il giorno in cui li avrebbe eseguiti con la sua
bacchetta. La madre gli aveva detto che nel pomeriggio il padre sarebbe
tornato, così gli avrebbero comunicato la bella notizia e l'indomani magari
sarebbero andati a Londra, ad acquistare tutto l'occorrente per il suo primo
anno scolastico. In questo momento Remus desiderava tanto avere un amico con
cui condividere il tumulto di emozioni che provava, qualcuno della sua età con
cui scambiare impressioni e sensazioni; ma a Slavingate c'erano pochi bambini,
perlopiù piccoli, e inoltre nessuno di loro era un mago o una strega, il che
complicava un tantino le cose.
"Chissà
se mi farò degli amici a scuola?" pensò fra il preoccupato e lo
speranzoso.
Rimise
gli attrezzi nel capanno e tornò a casa per il pranzo, pensando a cosa avrebbe
potuto fare per occuparsi il pomeriggio e smettere di rimuginare.
Gli
venne in mente che quel giorno sarebbe uscita la Gazzetta del Profeta, e
siccome per acquistarla sarebbe dovuto andare sino al villaggio di Miltonship,
l'unico nel raggio di cinque miglia che avesse dei negozi magici, si disse che
era un ottimo diversivo per trascorrere la giornata. Remus non usciva spesso
dalla fattoria; la gente del paese era
già abbastanza sospettosa nei loro confronti per via degli strani rumori che
sentivano, fra i quali proprio quelli provocati dalla degnomizzazione,
ma in alcune occasioni aveva accompagnato il padre per delle commissioni fino a
Miltonship, e conosceva perfettamente il tragitto e l'autobus da prendere.
Avrebbe chiesto il permesso alla madre subito dopo pranzo, certe richieste era
meglio farle a pancia piena.
La
signora Emma aveva preparato i suoi piatti forti: zuppa di patate dolci, gratin
di carote e fettine di pollo in agrodolce, probabilmente per festeggiare l'ammissione
del figlio a scuola. Remus mangiò di gusto tutte le porzioni, anche il gratin
di carote di cui non andava matto; voleva ripagare la madre per i suoi sforzi e
soprattutto era indispensabile mantenerla di buon umore in vista della
richiesta che le avrebbe fatto.
-Hai
proprio fame, eh Remus? Di solito il gratin non lo finisci mai... - proferì la
madre in tono interrogativo. -E' stata così dura mandare via quegli gnomi
distruttori stamattina?-
-Già...
è stato più difficile del solito...- rispose vago Remus. Era il momento di
chiederglielo, e raccogliendo tutta l'innocenza a sua disposizione cominciò:
-Sai, mamma, mi sono ricordato che oggi esce la Gazzetta del Profeta...-.
La
signora Emma annuì distrattamente inforcando un pezzo di pollo.
Il
ragazzino proseguì: -Stavo pensando che a papà farebbe piacere leggerla
stasera...- e si bloccò notando lo sguardo sospettoso della madre.
-Già,
gli farebbe piacere. Peccato che non possiamo permetterci l'abbonamento, ci
arriverebbe puntualmente via gufo- concluse lei allusiva.
Remus
capì che era inutile continuare a tergiversare e decise di buttare le carte in
tavola.
-Potrei
andare a comprarlo io il giornale a Miltonship, ho da parte i soldi per il
biglietto dell'autobus e tu devi darmi solo quelli per la Gazzetta- disse rapidamente.
La
signora Emma aggrottò la fronte ed esclamò: -Toglitelo dalla testa!- Ogni
residuo di buon umore era svanito nel suo tono.
-Ti
ho detto mille volte che non devi andare in giro da solo, sei ancora troppo piccolo-
affermò lei perentoria.
-Non
sono più troppo piccolo, ho undici anni e fra poco inizierò la scuola- rispose
Remus lievemente alterato. -Sono sempre dentro la fattoria, aiuto nei lavori in
casa e non mi sembra di essere un bambino capriccioso. Credo di meritarmi un
po' di fiducia!-
Lei
distolse lo sguardo ed andò alla finestra sospirando. Sembrava molto
combattuta, in preda a pensieri lontani. A Remus parve di sentirla parlottare
fra sé, e la cosa gli fece una strana impressione. Attese qualche minuto, poi
la madre si voltò abbozzando un sorriso forzato.
-E'
giusto, sei cresciuto e ormai devi saper affrontare quello che c'è fuori da
queste quattro mura- disse tormentandosi le mani. -Vado a prendere il borsello,
aspettami qui- e salì lungo la scala traballante verso il piano superiore.
Remus
era perplesso. Perché sua madre era così preoccupata? In fondo andare a
comprare il giornale non gli sembrava un'impresa tanto ardua! Forse si era
troppo abituata ad averlo costantemente sott'occhio, che la prospettiva di
lasciarlo andare un pomeriggio per conto suo la spaventava. Tuttavia avvertiva
che la questione era più seria di quanto lei non volesse dare a vedere.
La
signora Emma tornò poco dopo con il borsello in mano, lo aprì e diede al figlio
cinque falci e dodici zellini. Lui li prese e se li ficcò in tasca.
-Mi
raccomando Remus, non farti notare e stai ben attento a non dare confidenza a
nessuno. Chiaro?- scandì lei prendendolo per le spalle e guardandolo dritto
negli occhi verde scuro.
-Stai
tranquilla mamma, vado e torno- annuì il ragazzino sorridendo, e le diede un
bacio sulla guancia.
Preso
il suo portafoglio e imbacuccatosi ben bene, come ordinatogli dalla madre, che
evidentemente credeva fosse diretto al polo, Remus si diresse verso la fermata
dell'autobus lungo la via principale di Slavingate.
Dalla
collina della fattoria si vedeva tutto il paese, per lo più composto da casette
di sasso coperte da tetti di tegole rossastre e circondato da un fitto bosco di
faggi. L'aria era piacevolmente fresca e il sole spandeva i suoi raggi tiepidi
su prati e orti pieni di ortaggi d'ogni genere. Slavingate era il luogo
tranquillo per antonomasia e i suoi abitanti erano molto fieri di questa
"tranquillità", semplici contadini, fabbri e falegnami, estimatori della
terra e delle cose semplici. Il genere di persone insomma, a cui non andavano a
genio le stranezze e i tipi strani, com'erano appunto Remus e i suoi genitori.
L'abbigliamento di Remus, per quanto sciatto e secondo sua madre "poco
appariscente", aveva un che di anomalo agli occhi dei babbani e attirava
più attenzione che se fosse andato in giro su una scopa volante. Il berretto
era viola a strisce gialle con un buffo pon pon in fondo, il cappotto verde smeraldo lungo fino ai
piedi era chiazzato qua e là da macchie marroni che lasciavano intravedere
vagamente delle stelle dorate, e per finire le scarpe nere laccate erano
evidentemente di almeno due numeri più grandi. In verità Remus da tempo si era
reso conto che i goffi tentativi della signora Emma di renderlo più anonimo
possibile non sortivano l'effetto desiderato. Comunque non gliene importava
granché, anzi, si chiedeva come mai la sua famiglia non avesse scelto un villaggio
magico dove mettere radici; di sicuro sarebbe stato più comodo.
Alla
fermata c'erano una donna con due bambini di circa cinque anni, un contadino
sporco di terra e una vecchia signora con fazzoletto in testa e bastone alla
mano, che incarnava la perfetta immagine della strega delle fiabe babbane.
All'arrivo di Remus tutti si discostarono da lui di qualche passo, ad eccezione
dei bambini che lo guardavano con divertita curiosità. Remus se ne stette in
disparte, il capo chino a guardarsi le scarpe. Era abituato alla freddezza e
alle occhiatacce della gente, ma per un ragazzino di appena undici anni era una
realtà dura da accettare. Fortunatamente il bus arrivò nel giro di pochi minuti,
e una volta salito tirò un sospiro di sollievo.
Il
viaggio durò un'ora buona, fra scossoni e balzelloni; Remus si pentì di non
essere andato a piedi. Scese dal piccolo bus arancione e trovò su di sé un
cielo gonfio di nubi. -Andiamo bene!-
inveì il ragazzino. -Non ho neanche portato un ombrello-
E
procedette con passo rapido in direzione del centro, confidando che il tempo
reggesse abbastanza per andare e tornare. Attraversò la strada e imboccò un
viottolo che ricordava essere una scorciatoia, annuendo man mano che avvistava
un'insegna o un edificio che gli confermava la correttezza della direzione
intrapresa. Svoltò alla prima a sinistra e nella foga andò a sbattere contro
qualcuno, cadendo di sedere sul marciapiede.
-Dannazione!...
Maledetto piccolo mostriciattolo…- imprecò l'uomo
rimettendosi in piedi.
Remus,
ancora col fiato mozzo per la botta, esalò un -Mi scusi- cercando a sua volta
di alzarsi.
Quando
alzò lo sguardo vide un uomo sulla quarantina, alto, vestito interamente di
nero. Il volto era contratto dall'ira e reso ancora più inquietante da una
lunga cicatrice che andava da sopra l’occhio sino alla guancia. Remus rimase
inebetito a guardarlo, incapace di dire altro.
-Beh?
Che hai da guardare moccioso?!- gracchiò. -Non ti piace la mia faccia? Eh?!- e
dicendo ciò lo afferrò per il bavero del cappotto, sollevandolo bruscamente da
terra.
Remus
era atterrito dalla paura, voleva scappare, uscire da quella situazione al più
presto possibile. Pensò intensamente alla prima formula magica che gli venne in
mente: -Stupeficium!-
Ricadde
a terra battendo nuovamente il sedere, e nel contempo udì un'assordante
fragore.
Il
tizio sfregiato era volato contro la vetrata di un negozio, rovinando sui vetri
rotti, e imprecando a gran voce.
Remus
non ebbe tempo di pensare, le gambe decisero al posto suo. Senza rendersene
conto si era lanciato in una folle corsa lungo il vicolo, che fortunatamente
era deserto. Gli parve di vedere un lampo di luce verde passargli accanto, ma
era troppo terrorizzato per voltarsi. Corse a perdifiato per le stradine del
centro, accorgendosi a malapena che aveva iniziato a piovere, fino a quando
giunse in una piazzetta fitta di bancarelle e circondata da portici. Si infilò
sotto il porticato e finalmente si fermò, ansimante e scosso da tremiti. Le ginocchia
gli cedettero e per un po’ stette così, inginocchiato sulla fredda pietra,
pensando a come era fortunato ad essere ancora intero.
"
Già... ancora intero... come diavolo ho fatto? " pensò mentre il suo
respiro si faceva via via più regolare. Ma le sue
riflessioni furono interrotte dalle grida di una donna. Davanti alla bancarella
il tizio vestito di nero aveva spintonato una signora, che ora protestava
animatamente.
-Lei
è un villano, lo sa?! Esigo delle scuse!- trillò la donna inviperita.
-Levati
dai piedi, idiota!- tuonò lui facendosi largo fra la folla di curiosi.
Lo
stava cercando, Remus ne era sicuro. Prese a muoversi dietro le colonne del
porticato, tenendo d'occhio il suo inseguitore e contemporaneamente cercando un
posto dove nascondersi. Qualcuno lo afferrò per una spalla e il ragazzino si
voltò di scatto pronto a sferrare un pugno, che fermò a mezz'aria. Era una
ragazzo, poco più alto di lui e, gli stava intimando silenzio, con un dito
sulle labbra.
-Vieni
con me, sbrigati- sibilò facendogli cenno di seguirlo.
Remus
era un po’ diffidente, ma vista la situazione non gli sembrava di avere
alternative migliori. Entrarono nella bottega dietro di loro, dentro era poco
illuminato, e Remus urtò un paio di sedie seguendo l’altro dietro al bancone,
per fermarsi nel retrobottega. Il negozio era vuoto e a giudicare dallo strato
di polvere sui mobili e sul pavimento, lo era da un bel po'. Il ragazzo si
sedette su una poltroncina di stoffa e con noncuranza tirò fuori una mela e la
addentò. I suoi gesti avevano un che di elegante e ora che lo guardava meglio,
Remus notò che anche i suoi abiti dovevano essere piuttosto costosi, tuttavia
non dava l'impressione di tenerci molto: c'erano delle macchie e in alcuni
punti il tessuto era lacerato, come se fosse rimasto impigliato in qualcosa di
appuntito.
-Ehi,
che ne dici di sederti e smetterla di guardarmi come fossi una mandragola
velenosa- esordì.
Remus
si scosse.
-Scusa...
sì grazie- disse sedendosi nella poltrona di fronte.
Il
ragazzo alzò un sopracciglio e abbozzò un sorriso furbetto.
-Dai,
stai tranquillo, non ti mangio mica. Piacere, mi chiamo Sirius- e gli porse la
mano.
Remus
si rilassò e sorrise a sua volta.
-Piacere
mio, io sono Remus, Remus Lupin- rispose stringendogli la mano.
-Complimenti
per il nome, Remus. E ora ti va' di dirmi chi era il losco figuro che ti stava
inseguendo?- gli chiese Sirius lanciandogli una mela che Remus afferrò al volo
e morse con avidità. gran fame.
-Ehm… non lo so... ci
ho sbattuto contro svoltando per un vicolo e lui si è arrabbiato di brutto, poi…- Remus si interruppe e rivide con nitidezza il momento
in cui lo sfregiato lo aveva afferrato e tirato su come un pollo, minacciandolo
con la bacchetta. Aveva notato solo ora un particolare importante, quell'uomo
aveva una bacchetta. Perciò quel lampo verde che gli era sembrato di vedere
alle sue spalle, con tutta probabilità era una fattura lanciata contro di lui
ed era certo che non si trattasse di un incantesimo di levitazione. Aveva corso
un grosso pericolo.
-Prontooo? Remus stavi
parlando di quel tizio... ci sei?- Sirius gli stava passando una mano davanti
agli occhi come per risvegliarlo da un'ipnosi.
-Ah,
sì, cioè… niente, poi sono scappato e sono arrivato
qui. Piuttosto grazie per avermi aiutato!- proferì scuotendosi dai suoi
pensieri.
-Al
suo servizio messere. Piuttosto che ne dici di toglierci da questo posto
deprimente e andare a mangiare un gelato?- propose il ragazzo alzandosi e
stiracchiandosi la schiena.
Remus
la trovò un'ottima proposta, e insieme uscirono dal retrobottega, su un viale
ampio e ricco di persone che camminavano frettolosamente sotto la pioggia
incessante.
Sirius
infilò una mano in tasca e ne trasse un borsellino di pelle dal quale, con
grande sorpresa di Remus, usci un ombrello bordeaux abbastanza grande per
riparare tre persone.
-E'
di mia madre, ci ficca di tutto dentro e viene utile in diverse occasioni-
affermò ammiccando.
-Forte!
Lo avevo visto solo in foto. Bellissimo!- esclamò Remus eccitato.
-In
effetti non lo si trova nei comuni
negozi magici, come del resto gran parte della roba che sta a casa mia- disse
Sirius accigliandosi -Ma lasciamo perdere queste cose... piuttosto tu da dove
vieni? Hai un'aria come dire...forestiera-.
-Vengo
da Slavingate, sono venuto qui in pullman per comprare la Gazzetta del Profeta-
rispose Remus -Ehi, me ne stavo dimenticando! Tu sai dove posso comprarla?
Sapevo la strada prima di darmi alla fuga, ma adesso non so più dove sono-.
-Tranquillo,
la magidicola è proprio dietro l'angolo. Ci andiamo subito-.
Remus
ringraziò la sua buona stella per avergli fatto incontrare Sirius.