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Autore: Black_Eyeliner    04/11/2009    3 recensioni
"Per quanto astrusi, anch’egli, da diabolica creatura qual era, possedeva i propri principi; nondimeno avrebbe trascurato di onorare il contratto che lo legava al suo signore, né avrebbe osato trasgredirne i vincoli: uno spiccato senso del dovere, voto al sacrificio estremo, un inaspettato quanto effimero, quasi erotico desiderio reciproco e una sottile vena d’ humor, prettamente inglese che, a giudicare dalle tre ore e sette minuti ormai trascorsi, il suo adorabile e testardo padroncino aveva ampiamente dimostrato di non possedere."
Lime
SebastianxCiel
UndertakerxCiel
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis, Undertaker
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Lievemente OOC; Only Implied Shota.

SebastianxCiel

UndertakerxCiel

 

 

Utopia

 

 

Un paio d’iridi inquiete, rifulgenti di un insolito color amaranto nelle tenebre di quel sudicio vicolo di periferia, scrutarono minuziosamente il quadrante del raffinato orologio da taschino patinato in argento.

 

Difatti se la lancetta più corta avesse compiuto un altro mezzo giro, sarebbero trascorsi esattamente due ore e trenta minuti da quando il baldanzoso conte di Phantomhive si era richiuso alle spalle quello sgangherato battente di legno; peraltro il solo continuare a fissarne le crepe e le intarsiature lentamente stavano conducendo la sua proverbiale compostezza, tipica del ruolo di maggiordomo che gli era stato attribuito, al limite di quanto umanamente sopportabile.

 

Sebastian esalò un lungo sospiro alquanto seccato, richiudendo con un breve scatto metallico l’orologio e riponendoselo con eleganza in tasca.

Con un pugno sotto il mento e con fare meditabondo, sollevò il suo sguardo vigile; in alto i cornicioni degli edifici che si ergevano ai margini della strada parevano ritagliare un angusto corridoio di cielo nero ossidiana e, nel mezzo, la luna piena sembrava una torta di panna montata in procinto di sciogliersi e gocciare stille di candida luce sui tetti e sui nasi all’insù dei passanti.

Un sorriso salace gli increspò lievemente le labbra piene: si sarebbe ricordato di aggiungere quel tocco di prelibatezza in più, infarcendo il dessert preparato quello stesso pomeriggio con della panna accarezzata con la frusta e sbattuta a dovere.

Assecondare il palato raffinato del suo prezioso signorino e accondiscendere a ogni suo capriccio si era rivelato, infatti, un gioco immensamente appagante, tanto più per il ruolo di semplice pedina che Sebastian si era ritrovato a interpretare, seppur con singolare e malizioso fair play; delle mani dispotiche e deliziosamente infantili di quel dispettoso fanciullo aveva  imparato ad apprezzare sia i ceffoni che le carezze inconsciamente elargite qualche sera prima alla sua schiena nuda.

Senz’altro l’eventualità di sedurne ancora la tracotanza era per il demone una prospettiva assolutamente allettante; talmente tanto da portarlo a tralasciare per un istante lo scopo ultimo per il quale aveva vestito gli abiti di un perfetto maggiordomo.

Se l’anima di quel ragazzino era una leccornia ben più squisita per il suo palato di quanto potesse esserlo una semplice torta per quello di un viziato signorino londinese, sicuramente il ghiribizzo di ammirare ancora una volta le labbra di Ciel ricoperte di panna montata fu abbastanza stuzzicante da fargli deprecare quell’estenuante attesa.

Sebastian sbuffò, costernato; dopotutto saper aspettare, anche se in piedi e a notte fonda, davanti alla soglia di un’impresa di pompe funebri, e per di più senza poter sbirciare, faceva anch’esso parte del suo impeccabile savoir faire.

Per quanto astrusi, anch’egli, da diabolica creatura qual era, possedeva i propri principi; nondimeno avrebbe trascurato di onorare il contratto che lo legava al suo signore, né avrebbe osato trasgredirne i vincoli: uno spiccato senso del dovere, voto al sacrificio estremo, un inaspettato quanto effimero, quasi erotico desiderio reciproco e una sottile vena d’ humor, prettamente inglese che, a giudicare dalle tre ore e sette minuti ormai trascorsi, il suo adorabile e testardo padroncino aveva ampiamente dimostrato di non possedere.

 

Sebastian si ripose nuovamente l’orologio d’argento in tasca; fece per muovere un passo in avanti, sistemandosi amabilmente la cravatta nera: svolazzando quasi a un metro dal suolo, si appropinquò importuno al battente serrato, il sorriso sardonico svanito dal suo volto elegante nel momento in cui tossì ripetutamente per schiarirsi la voce.

-Perdonate l’eccessiva disinvoltura, ma mi chiedevo se…

La mano inguantata vibrò, rimanendo sospesa a mezz’aria prima che le nocche potessero battere sulla superficie lignea dell’uscio; nonostante avesse parlato con tono riguardoso, ma convenientemente alto da poter essere udito oltre la porta, la risata fragorosa che proruppe dall’interno bastò a far ritornare Sebastian sui propri passi, incredulo.

Quasi gli parve che la terra tremasse sotto l’impeto di una scossa tellurica; e dovette appellarsi alla scaltrezza inumana delle proprie movenze pur di sottrarsi all’insegna che, scardinatasi per lo strepito di quel grottesco ululato, incombeva minacciosamente sul suo capo.

Trattenne il fiato, ponderando argutamente la prossima mossa; lo esalò esasperato l’istante successivo in cui tutto finalmente tacque.

Con noncuranza scosse via dal soprabito i granelli d’intonaco che si erano annidati tra le morbide pieghe della stoffa scura; era, purtroppo, risaputo che malgrado i suoi sforzi encomiabili di avere un aspetto inappuntabile, quando si trattava di girovagare per i bassifondi insieme all’impettito Conte di Phantomhive, i suoi vestiti sortissero sempre le sorti peggiori.

-S-Sebastian!

Completamente assorto in quella riflessione del tutto superflua, il maggiordomo neppure si era accorto del flebile scatto della toppa arrugginita con cui il cigolante battente si era finalmente dischiuso; meno che mai aveva prestato attenzione alla foga inusitata con cui il suo signorino si era precipitato in strada, inveendogli contro.

-Mi pare di costatare che infine è riuscito nel suo intento, boc-

Sebastian strabuzzò gli occhi; ogni parola gli rimase attorcigliata intorno alla lingua e le labbra, di colpo aride, restarono schiuse, incapaci di articolare altro verbo; la sentenza, pronunziata col consueto tono ossequioso, fu stemprata sul finale da un uggiolio stupito, prima che la bocca tornasse a incurvarsi nella solita piega, immancabilmente licenziosa.

Le dita di Ciel ondeggiarono nevrotiche; brevi fremiti convulsi gli impedivano di riallacciare il cravattino di seta turchese che portava al collo e il soprabito di taffetà marrone che reggeva sul braccio sinistro ruzzolò malamente a terra, imbrattandosi del sudiciume della strada: dal canto suo, il maggiordomo non poté fare a meno di gradire, con malcelato diletto, la vista di quel ragazzino teneramente sconvolto.

Piccole gocce di sudore brillavano lungo la tempia di Ciel, laddove alcune ciocche dei suoi sottili capelli cerulei si erano incollate al viso infantile: ma il particolare senza dubbio più interessante per il demone era il lieve rossore a imporporare le gote lattee del giovane e il dorso del piccolo e signorile naso all’insù.

-Si può sapere cosa diavolo hai da guardare? Non startene lì impalato, Sebastian!

Se non avesse avuto le mani in altre faccende affaccendate, Ciel non avrebbe esitato a schiaffeggiarlo, pur di cancellare quel ghigno d’inconfutabile e divertito scherno dal volto del suo servitore; optò invece per accorciare inutili distanze e fissare Sebastian di sbieco.

-Cielo, cielo. Potrei sapere cosa ha fatto stavolta di tanto eclatante per ridursi così?

Il maggiordomo schioccò la lingua al palato, poi si chinò per recuperare il cappotto, sbatacchiandolo un paio di volte; se Ciel non avesse conosciuto la reale essenza dell’essere che gli stava ora irto davanti, probabilmente avrebbe interpretato quel gesto come un comportamento di sincero e puro sbigottimento.

-Non ti riguarda! Piuttosto dammi una mano a infilarmi la giacca.

Rimbrottò sprezzante; si girò e rigirò su se stesso, riuscendo solo a infilare le braccia nelle maniche invertite del cappotto che Sebastian reggeva tra le mani.

-Deduco da questo suo atteggiamento che qualunque cosa il signorino abbia fatto o detto debba essere stato qualcosa di estremamente…

-Di estremamente… ?!

Lo interruppe brusco il giovane conte, digrignando i denti e serrando i pugni in una morsa quasi dolorosa.

-Oserei dire… Imbarazzante, forse?

Un sorriso mellifluo non mancò di arricciare le labbra di Sebastian; la consapevolezza di sapersi destreggiare magnificamente in una lusinghiera quanto ambigua ars oratoria fu rinforzata dal tono deliziosamente minatorio e così innocentemente traditore con cui Ciel replicò, inviperito.

-Tu! Taci una buona volta, razza di… !

Evidentemente doveva essere stato qualcosa di molto imbarazzante; e, di sicuro, se la sagacia del demone ne aveva compreso appieno i dettagli, l’immaginarsi la confessione  del loro piccolo rendez vous strappata dolcemente alle labbra coralline di Ciel, in un impeto di giovanile e inesperto fervore, fu uno spasimo di piacere lungo la spina dorsale: così stravagantemente umano.

 

Senza alcun dubbio un’ottima, oltremodo interessante argomentazione.

 

 

 

 

*   *   *

 

 

 

-Ho atteso a lungo questo momento.

Un breve risolino, tagliente ed aspro, sferzò il silenzio asfissiante del ristretto e tetro ambiente, profumato di incenso al sandalo.

Il legno di frassino scricchiolò sommessamente quando l’uomo dai lunghi capelli del colore dell’argento imbrunito si issò in piedi, avvicinandosi al ragazzino seduto non molto distante da lui.

-Non ditemi che stavolta siete giunto a farmi visita perché avete deciso di prendere finalmente posto in una di queste raffinatissime bare di frassino… Mi sbaglio, forse, conte?

-Come se fosse poi una mia decisione...

Ciel lo rimbeccò acido; eppure il giovane nobile, sebbene avesse tentato di preservare la propria arrogante parvenza, non riuscì a fare a meno d’osservare, con singolare trasporto, l’ovale perfettamente simmetrico del becchino: il largo copricapo nero creava un netto e delizioso contrasto con l’incarnato d’avorio dell’uomo e, ai lati delle labbra polpose e increspate da un mezzo sorriso mordace, si erano depositate alcune briciole dei biscotti che continuava imperterrito a sgranocchiare.

-Non perdiamo altro tempo in chiacchiere. Sono venuto per…

-Non c’è bisogno che lo diciate.

Lo interruppe, bisbigliando cauto; un’espressione astutamente consapevole si dipinse sul volto di Undertaker nell’istante in cui ripose il barattolo di ceramica su uno dei coperchi delle bare disposte in fila ordinata: si sfregò le lunghe dita diafane, aggiungendo indiscreto.

-Oramai conosco i vostri intenti, conte.

Le dita protese si mossero; una lunga unghia laccata di nero ridisegnò più volte i contorni delle labbra armoniosamente cesellate del ragazzino, indugiando sui piccoli taglietti scarlatti dovuti al freddo di stagione.

-Bene, allora veniamo subito al dunque, Undertaker.

Ciel voltò la testa di lato con fare spassionato; un lungo brivido serpeggiò sotto la sua pelle intirizzita quando si sfilò lentamente il soprabito, riponendolo accanto a sé su quella eccentrica cassapanca.

-Oh, no, non credo. Sapete bene che non ho bisogno dell’oro della vostra tanto amata Regina, così come sapete ancor meglio che non parlerò. Non credo neppure abbiate dimenticato la scommessa della scorsa volta.

Asserì l’uomo, con tono volutamente provocatorio, strofinandosi più volte le labbra tumide contro l’ampia manica della veste scura.

-Suvvia, conte. Datemi quello…

Rimarcò l’ultima parola, gongolando al senso di pudore inoculato nel giovane seduto dinnanzi a sé.

-Lo sai qual è il colmo per un becchino che ghigna? Fare le fosset … Oh, insomma va bene? ! E ora parla!

Aggrottò le sopracciglia, blaterando impacciato; e neanche si rese conto subito della mano che, audace, si era mossa, prendendo a carezzargli teneramente la guancia pallida.

-E pensate davvero basti così poco per regalarmi una risata degna di un funerale di stato?

Sospirò contro le labbra dischiuse di Ciel, l’iride sinistra rifulgente di pena e rabbia infinita; sapeva essere così inconsapevolmente eccitante quel borioso bimbetto che, se Undertaker non avesse ancora ottenuto il proprio compenso, gli avrebbe rapito la piccola bocca mielata in un bacio famelico, efferato: l’avrebbe stuzzicato ancora un po’ prima di indulgere alla sua richiesta, limitandosi a lambirgli quasi impercettibilmente il labbro inferiore con la lingua.

-Andiamo, ora che il vostro maggiordomo ci ha liberati dalla sua petulante presenza, volete davvero negarmi l’ebbrezza di concedermi ciò che più bramo?

-Non parliamo di Sebastian, lui non è che una mia pedina.

Un ghigno venato di malizia distorse i tratti del viso di Undertaker a quelle parole; tacque per un istante, quando Ciel si sottrasse di malgarbo alle sue lusinghe.

-Perché sfuggite? Temete forse potrei corrompervi?

Lo punzecchiò deliberatamente, senza mancare di adularlo con una nuova carezza sotto il mento; si pose alle spalle del giovane, sciogliendogli il nastrino di seta al collo e cingendogli la vita esile con un braccio.

Ciel sussultò, in preda a un impeto di aggressività, a stento repressa; il respiro caldo dell’uomo dietro di sé gli solleticava la pelle gelida come fuoco liquido, lava in colata lungo il collo ed oltre, in basso.

-Corrompermi, dici?

Lo ammonì, parlando a voce bassa, proseguendo accalorato.

-Questo corpo lo è già. Corrotto.

Quasi sorrise, in un misto di sadico cinismo e melanconico cordoglio.

-Undertaker…

Sospirò infine, svuotando i polmoni cianotici di tutta l’aria accumulata, ignorando le carezze incitanti sui suoi fianchi stretti; poi riprese fiato e senza voltarsi, concluse.

-… Io… Non sono più vergine.

Le parole di Ciel furono smorzate dal sorriso che non vide, ma che percepì chiaramente quando le labbra di Undertaker si attillarono alla sua pelle eburnea, suggendola languidamente e arrestandosi di colpo.

-E vossignoria si degnerebbe di rivelarmi chi mi ha sottratto il primato di questo corpo sì corrotto, ma così bello?

Ciel sobbalzò in avanti, maledicendo il rossore che gli infiammò di colpo il viso; voltandosi repentinamente, fissò l’uomo in tralice: e alla fine, strizzando forte le palpebre, sibilò.

-L’altro ieri notte… Ho fatto l’amore con Sebastian.

 

-AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH ! ! ! ! ! 1

 

Ciel deglutì a fatica, la bocca arida e la mascella penzoloni; una minuta stilla di sudore gelido gli imperlò la fronte liscia, gocciolando lungo la tempia accaldata: si ritrovò immobile, incapace anche solo di meditare una replica a quelle risa fragorose che lo avevano travolto come macigni scagliati su un volgare peccatore, esposto al linciaggio sulla pubblica piazza.

 

-Eviterò di chiedervi i dettagli sulla posizione… Ma complimenti, conte! Questa volta non ho solo visto… Ma ho sentito un’utopia!!

 

Un fiotto brillante di saliva brillò nella penombra della stanza, colando sul coperchio della bara sul quale Undertaker, ancora scosso da brevi spasmi, aveva posato la testa; continuò, affannato, mentre il riso andava lentamente scemando.

 

-Parlerò… Dopo questa chicca vi dirò tutto ciò che volete sapere!

 

-Razza d’esaltato…

 

Furono le ultime parole che Ciel riuscì a mugugnare sotto il proprio respiro, corto per l’imbarazzo appena provato; ascoltò il seguito, trincerandosi dietro un silenzio ostinato, ben consapevole del passo falso appena compiuto.

 

Sebbene l’Uomo, pur intuendone la natura, fosse pronto ad aggrapparsi ad una semplice illusione pur di sopravvivere all’oscurità, parimenti chi avesse provato la sofferenza del sacrificio avrebbe dovuto sapere che un’utopia era paragonabile alla linea dell’orizzonte; irraggiungibile, ma pur sempre necessaria a proseguire l’impervio sentiero verso l’ultimo scopo.

E, forse, il becchino aveva ragione.

 

Sebastian…

Null’altro che utopia; tetra, multiforme, dinamica.

 

 Irraggiungibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

*   *   *

 

 

 

 

 

 

Un fuggevole passaggio della lingua umettò le labbra pallide di Sebastian; le iridi cremisi del demone seguirono, adoranti, l’incedere fiero e tronfio del giovane Phantomhive lungo la stradina lastricata del vicolo, inondata dell’argenteo riverbero della luna piena.

-Signorino… Perdoni l’invadenza, ma deduco che quindi ciò che ha offerto poc’anzi al becchino sia valso le sue preziose informazioni?

-Non avrai mica origliato?!

Ciel si fermò all’istante; inquisì impulsivo con un tono che, benché il timbro della sua voce fosse ancora greve e puerile, si abbassò, pericolosamente arrochito.

-Se il signorino mi impartisce un ordine, non vedo perché avrei dovuto disobbedire. Mi sono solo preso la libertà di chiedere…

Se fosse stato il sorriso sempre più pronunciato e suadente di Sebastian, o le sue parole intrise di un ineffabile charme e terribilmente veritiere a farlo annaspare su una risposta impertinente, Ciel non avrebbe saputo dirlo.

Avvampò, indietreggiando indignato.

-Tu…

-Se me lo consente, non mi dirà che ho forse colto nel segno?

Per Sebastian l’indole umana non cessava mai d’essere fonte di un malsano interesse; in fondo necessitava solo di artificiose e vane lusinghe: meglio se sapientemente orchestrate dalla bocca avida di un demone.

Rincarò la dose, corredando le parole accuratamente scelte di un profondo e devoto inchino.

-Riprenditi la tua insolenza, Sebastian! E andiamo via, questo posto mi sta dando ai nervi!

 

Tanto arrogante, eppure oscenamente dolce, in un semplice battibecco così come nel sesso, consumato tra umide lenzuola qualche sera prima, quel ragazzino possedeva quanto di più affascinante una creatura quale Sebastian agognasse.

Il demone sarebbe rimasto volentieri a scrutare ancora un po’ quelle iridi oltremare, mero specchio di un’anima di cui, rimanere tra le gambe imbrattate di sperma di Ciel a vegliare il suo fragile sonno, era stato il preludio più delizioso.

 

Sebastian sorrise ancora, infinitamente compiaciuto; gli occhi tracimanti di voglia d’averlo ancora baluginarono ferini nell’oscurità: se il suo signore avesse voluto, ci sarebbe stato dell’altro materiale di cui offrire i dettagli al becchino, molto, molto più materiale...

 

 

 

 

-Yes, my lord.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota al testo: 1 suono onomatopeico; perché sono un po’ bi bi kei ^^

   
 
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