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Autore: milly92    05/11/2009    5 recensioni
Si dice sempre che non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina, eppure questo è l’errore che commette Luna giudicando male la sua gemella Stella e il migliore amico di quest’ultima, Marco. Si trasferisce nella città in cui abita suo padre sin da dopo la separazione con sua madre e, inevitabilmente, Stella la segue. Cosa succederà quando, tra uno spagnolo affascinante, una zia quarantenne single, un datore di lavoro bonaccione, dei nonni affettuosi e cugine un po’ pasticcione, Luna sarà costretta a vivere delle situazioni che nel loro essere spiacevoli la porteranno a ricredersi, soprattutto riguardo Marco? Può un “odio secolare” mutare in qualcosa che possa remotamente chiamarsi amore?
Genere: Romantico, Commedia, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Odi, Sed Amo'
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Città Che Cambi, Gemella Che Trovi- Ogni Volta

Desclaimer: Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.

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Capitolo 1

Città Che Cambi, Gemella Che Trovi

[Ogni Volta]

“Per il nati sotto il segno dell’Acquario: la Luna è nel vostro segno e vi aiuterà a realizzare un progetto per cui lavorate da mesi, anche se con qualche minima difficoltà. Ma le stelle irromperanno nella vostra giornata e non vi abbandoneranno fino a…”.

Cambiai stazione radio, cercando di reprimere un istintivo grugnito di rabbia. Proprio in un canale in cui stavano dicendo l’oroscopo dovevo inceppare? Possibile che delle sciocchezze inventate dall’uomo solo per passare il tempo e far guadagnare migliaia di euro a delle persone ignoranti che erano note come “astrologi” dovessero rovinarmi la giornata anche quando qualcosa per una volta mi era andato bene? Quel giorno, e di certo in quelli seguenti, nessuna stella mi avrebbe rotto le scatole, quella era la cosa di cui ero più sicura al mondo, più del fatto che la Terra non fosse piatta e che io mi chiamavo Luna Solari. Inceppai in una canzone di Vasco e iniziai a scacciare la brutta, vivida immagine, anzi il volto, che si era formato nella mia mente udendo la parola “stelle”, un volto purtroppo molto simile al mio, ovvero quello della mia gemella Stella, da cui mi ero separata da ben quattro mesi e senza di cui vivevo molto meglio nella storica casa dei miei nonni, a più di quattrocento chilometri di distanza da lei.

Quella canzone voleva proprio. Ogni volta. Sorrisi, era una delle mie canzoni preferite, in quanto gran fan di Vasco Rossi, eppure decisi di lasciar perdere il mio mp4, ero troppo di buon umore, anche se lo ero molto di più prima della soffiata dell’oroscopo, per potermi fermare a riflettere sui vari spunti che quella canzone mi offriva ogni volta, nonostante la conoscessi a memoria, parola per parola, nota per nota.

“E ogni volta che non sono coerente
e ogni volta che non è importante
ogni volta che qualcuno si preoccupa per me
ogni volta che non c'è
proprio quanto la stavo cercando”

Anzi, no, forse l’avevo tolta solo perché al momento non mi andava di perdermi in quella che era la pura verità. Ogni volta che avevo bisogno di qualcuno, ecco che questa scompariva come se nulla fosse… E in quel momento mi rendevo conto che questo qualcuno non ci teneva sul serio a me, come la mia ex migliore amica, Alessandra. Dalla prima media eravamo sempre state inseparabili, avevamo frequentato insieme il liceo e tutte le sfide che questo aveva comportato, sempre l’una fianco all’altra… Finchè non era giunto quello che lei definiva l’uomo della sua vita, che me l’aveva sottratta brutalmente. E lei? Lei non aveva nemmeno protestato, ovviamente. Cosa se ne faceva di me ora che aveva qualcuno che poteva offrirle molte cose in più rispetto a me, molta più compagnia, affetto e chi più ne ha più ne metta?

Scacciai questi pensieri con difficoltà e ci riuscii dopo vari tentativi.

Nonostante tutto, però, l’oroscopo ci aveva azzeccato, anche se in parte. Avevo realizzato il mio progetto del momento, ottenere un buon risultato dopo mesi di impegno.

Presi il cellulare e composi quel numero che ormai conoscevo a memoria, mentre uscivo dalla facoltà di Lingue di Napoli, sentendo di poter volare per la leggerezza che sentivo dentro, e aspettai pazientemente che qualcuno rispondesse. Le pareti bianche come il pavimento, la porta della segreteria, i vari annunci affissi sulla bacheca non mi erano mai sembrati così allegri in due mesi che frequentavo le lezioni.

“Luna! Tesoro, dimmi” mi invitò la voce solare di zia Kitty, quella che potevo definire la mia zia preferita e che sentivo più vicina di mia madre al momento.

“Indovina?” le domandai, sorridendo come un’ebete mentre raggiungevo la stazione per tornare a casa della nonna, dove vivevo al momento insieme a mio padre.

“Hai già fatto l’esame?” chiese sorpresa. “Non sono nemmeno le undici!”.

“Sono stata la seconda…” spiegai. “Su, indovina quanto mi ha messo il prof?” chiesi di nuovo, insistentemente.

Esitò per vari secondi, poi alla fine disse: “Mi arrendo, dai, dimmelo!”.

“Ventotto!” esultai, a voce così alta che due donne si voltarono verso di me, avvolte in lugubri cappotti neri e sciarpe abbinate. In effetti faceva molto freddo, ma dopotutto era il ventuno novembre e la città sembrava avvolta in una cupola grigia, cosa che non c’entrava con lo smog. Invece io mi sentivo così accaldata che probabilmente a breve mi sarei tolta anche il sottile giubbino di pelle che indossavo insieme alla sciarpa multicolore che mi aveva fatto nonna Luciana con le sue stesse mani. L’avevo messa come portafortuna, ed aveva funzionato.

“Ventotto? Ma sei la mia genietta, tesoro!” esclamò, gioiosa.

“Non ci posso credere, se vedevi com’era il professore, un tipo tutto tirato e altezzoso con la puzza sotto al naso! E parlava in un modo assurdo, ci volevano i sottotitoli per comprenderlo, infatti mi ha guardato male quando gli ho chiesto di ripetere la seconda domanda” spiegai, controllando l’orologio e constatando che il treno sarebbe arrivato da lì a tre minuti. Quella mattina mi ero svegliata con l’intento di strappare almeno un venticinque al mio primo esame all’Università, quindi potevo ritenermi soddisfatta.

“Intanto hai saputo tenergli testa” mi ricordò la zia. “Dobbiamo assolutamente festeggiare! Vieni a pranzo da me, ok?” mi invitò. “E porta anche papà, mi raccomando, gli farà piacere mangiare qualcosa diverso dalla pasta asciutta di nostra madre”.

Sorrisi spontaneamente ripensando alla nonna e alla sua cucina: era bravissima nel cucinare le polpette con le melanzane e la frittata di patate, ma la pasta non era proprio il suo piatto forte, però  nonostante tutto noi nipoti l’adoravamo, era molto schietta e solare, anche se a volte un po’ impicciona. “Va bene allora, grazie!  Ma non dire nulla  a nessuno del voto, ok? Voglio farlo io” le ricordai. Tutta la mia famiglia mi era stata vicina durante il periodo di studio, chi più, chi meno. Qualche cugino di buona volontà mi aveva aiutato con qualche traduzione, qualcun altro aveva ascoltato la mia esposizione di qualche argomento o mi aveva semplicemente fatto compagnia mentre vedevo le puntate di Gossip Girl in madrelingua, cosa che facevo dal liceo per fare sia il dovere che il piacere. 

“Come vuoi, cercherò di tenere la bocca chiusa”.

Devi tenerla chiusa” precisai, e scoppiammo a  ridere prima che di salutarci e staccare la telefonata. Riposi il cellulare nella tasca dei miei jeans preferiti, stretti al punto giusto e con delle decorazioni argentate nei presi delle tasche, e aspettai un altro minuto prima di vedere il treno arrivare e salirci su. Presi posto sul primo sedile vuoto che trovai e mi rilassai, nell’attesa di arrivare nella cittadina in cui avevo deciso di trasferirmi quattro mesi prima, dopo essermi diplomata.

Un paesaggio pieno di prati e alberi scorreva davanti ai miei occhi, mentre io cercavo di non sentire il russare insistente dell’uomo di mezz’età che si era seduto al mio fianco, addormentatosi dopo i primi tre secondi di viaggio e ancora in un coma apparente. Avevo cercato di evitare di provare fastidio rimettendomi le cuffie dell’mp4 nell’orecchio ma senza successo, visto che quel sottofondo odioso si sentiva ancora nonostante tutto, così me l’ero tolte e avevo deciso di sopportare in silenzio, cerando di consolarmi visto ciò che mi aspettava una volta arrivata a destinazione, una destinazione di certo non ambita da fresche diplomate piene di vita e voglia di fare nuove esperienze, ma si sapeva che io ero strana e a volte un po’ pazza, quindi passare dal vivere con mia madre e mia sorella a Firenze all’andare nell’ignota cittadina campana di Maddaloni da mio padre e la sua famiglia per me era una cosa normale e agognata dall’età di sedici anni.

Era stato un passo che mi aveva portato a molti cambiamenti, ma avrei fatto di tutto pur di non dover più sopportare il continuo confronto con la mia gemella e la vita passata alla sua ombra che ne conseguiva.

La convinzione nel volermi trasferire era giunta  quando avevo detto a mamma di aver preso ottantasette su cento all’esame di Stato al Liceo Linguistico che avevo frequentato e lei non si era scomposta più di tanto, anzi, aveva anche avuto il barbaro coraggio di dire: “Però, se ce l’avessi messa un po’ di più saresti arrivata a novanta. Fa niente!” quando aveva sorriso davanti al settantadue di Stella, diplomatasi nel Liceo Artistico della città. Già in precedenza c’erano stati altri episodi che mi avevano infastidita, quindi quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

Per cui era ovvio che al momento il mio umore fosse alle stelle: per i prossimi mesi niente gemella rompiscatole e niente madre ingiusta alle calcagna. Dopotutto, io e Stella avevamo abitato in quella città fino all’età di sei anni, poi però avevamo dovuto trasferirci a Firenze per il lavoro di mamma, prima che lei e papà si separassero, circa quattro anni dopo.

Così papà era tornato nella sua città natale, ma mamma aveva insistito nel tenerci con lei a Firenze nonostante l’affidamento congiunto.

Alle undici e venti il treno si fermò nell’affollata stazione di Maddaloni, e fu con grande gioia che dissi addio all’interno squallido del mio scompartimento, e soprattutto al mio vicino che avevo dovuto svegliare con insistenza, anche se il primo istinto era stato quello di lasciarlo lì per ripagarlo delle pene che mi aveva fatto passare.

Con un’immensa spensieratezza respirai a pieni polmoni l’aria che si respirava nella stazione.

Stranamente, Maddaloni mi piaceva sempre di più, nonostante per certi versi potesse risultare molto squallida in confronto a Firenze. Era semplice, con un elevato numero di negozi forniti di tutto, e la vita si concentrava soprattutto attorno alla piazza principale, luogo di incontro della maggior parte della gioventù,  nonostante qualche busta di immondizia di troppo sparsa per le varie strade di tanto in tanto.

Una volta uscita dal territorio della stazione, così, iniziai  a camminare a passi svelti verso Via Roma, dove si trovava il locale in cui lavoravo da due mesi. Si chiamava “Speed dating”, ed era una sorta di bar in cui ogni mercoledì e venerdì decine di single si incontravano in una sorta di incontro al buio con altre persone per tre minuti alla volta, cercando di incontrare la propria anima gemella. Era un qualcosa di molto alternativo, un locale unico in tutta la città, dove si poteva mangiare qualche specialità orientale come il sushi o qualcosa di estremamente casareccio come la pastasciutta, e nonostante lo scetticismo  che provavo nei confronti di quel sistema per cercare di conoscere qualcuno molto interessante, avevo deciso di provare a fare domanda per essere assunta perché non volevo dipendere completamente da papà e volevo avere una mia piccola entrata ogni mese. E, per fortuna, ero stata presa.

“Buongiorno!” esclamai, entrando nel locale e sorridendo a due camerieri che pulivano i tavolini.

“Ciao, Luna!” dissero loro, Gianluca e Antonio.

“Ragazzi, c’è il Mister?” chiesi ironica. Tutti chiamavamo così Michele, il proprietario del locale, un uomo sulla quarantina un po’ bassino con una calvizie incipiente e una simpatia smisurata.

“Nel retro, sta facendo qualcuna delle sue solite birichinate” rispose Antonio, un ventenne con lunghi capelli scuri e un sorriso rassicurante. Era grazie a lui se il locale era ancora aperto, dato che spesso aveva fermato Michele nel fare qualche mossa azzardata come spendere tutti i suoi risparmi per qualche infruttuoso investimento.

“Ok, vado a salutarlo” .

“Ma hai fatto l’esame?” domandò Gianluca, fratello di Antonio, più grande di circa tre anni. Si somigliavano molto anche  se era molto più possente del fratello minore.

“Si” risposi.

“E quanto…?”.

“Ventotto!” rispose un vocione allegro alle mie spalle, e mi voltai stupita verso Michele che mi correva incontro a braccia aperte, avvolto nel suo grembiule preferito, giallo e verde.

“Chi te l’ha detto?” domandai, mentre mi abbracciava calorosamente.

“Un uccellino impiccione” rispose quando ci separammo, ed io sospirai.

“Zia Kitty non cambierà mai...” dedussi, immaginandola mentre entrava e annunciava la notizia facendo girare tutte le persone presenti nel locale a causa del suo tono enfatico.

Michele sorrise, scrollando le spalle. “E’ una brava donna, non riesco a capacitarmi come possa essere ancora single alla sua età una come lei” disse.

“Intanto non ti dispiace che non abbia un marito che le gironzola intorno, così sei libero di offrirle tutti i cappuccini che vuoi” lo punzecchiò Antonio, facendo l’occhiolino. 

Guardai sbieca verso l’uomo e lui arrossì, fingendo di arrabbiarsi. “Antonio, quando la smetterai?! Lo sai che dopo Lucilla non amerò mai nessun’altra donna” gli ricordò, accennando alla sua povera moglie defunta circa otto anni prima a causa di un tumore al seno. Indicò con lo sguardo la foto onnipresente della donna di fronte a noi, sorridente e bellissima il giorno del loro matrimonio, ed annuii seria.

“Lo sappiamo, Mister, non lo pensare. E poi mia zia deve restare single per farmi compagnia, lo sai” cercai di metterla sullo scherzo, dato che Michele diventava molto sensibile quando si toccava questo tasto, e per fortuna funzionò perché mi sorrise. 

Stava per dire qualcosa quando si sentì uno scampanellio, simbolo del fatto che qualcuno era entrato nel locale e  aveva causato quel rumore grazie al campanellino che si trovava sopra la porta, e quando vidi chi era entrato sbuffai, ricordandomi che forse l’oroscopo poteva avere ragione a modo suo, circa le stelle. Se Stella non poteva rompermi le scatole, ecco che il fato ci pensava a far si che ciò accadesse indirettamente, mediante qualcuno che stava dalla sua parte.

Michele mi fece segno di occuparmi del cliente con lo sguardo, tornando nel retro bottega, ed io ubbidii di malavoglia.

“Vedo che sei entusiasta di vedermi. Mi fa piacere”.

Avete mai conosciuto qualcuno che ritenete ridicolo per il suo costantemente essere contro di voi per il semplice scopo di dar ragione a chi vi sta contro? Io si, e questo qualcuno si chiamava Marco Valenti, un ventunenne cocciuto, convinto, occhialuto e, dulcis in fundo, storico migliore amico di mia sorella e suo primo ragazzo. La loro tempestosa storia era nata nel 2002 , quando entrambe eravamo venute per le vacanze estive a Maddaloni da nostro padre, e dal momento in cui lui e Stella si conobbero ad un corso estivo di piscina diventarono inseparabili. Io e la mia gemella avevamo undici anni, e lei non fece altro che vantarsi con me del primo fatidico bacio che aveva dato a quell’essere. Poi, a settembre, tornammo a Firenze e lei si innamorò di Giacomo Mirante,  un bullo che stava in terza media, così si inventò la solita scusa del “geograficamente incompatibili” e piantò Marco. Avrei aggiunto un povero prima del suo nome se nei mesi successivi lui non avesse continuato a farsi sentire, fino ad arrivare ad un livello di amicizia maturo e consapevole verso i tredici anni. Lui e mia sorella così si vedevano in estate e durante le vacanze natalizie, e cosa c’era di meglio per quell’idiota che torturarmi ora che ero lontana dalle grinfie di Stella? Doveva certamente continuare l’opera iniziata dalla sua migliore amica in diciotto anni.

“Ma piantala.  Sai che ci sono altri cinque locali nel raggio di trenta metri?” sbottai, decidendo di non guardarlo in faccia e iniziando ad asciugare alcuni bicchieri dietro al bancone.

Marco fece un verso che poteva assomigliare molto ad un “Si, ma preferirei restare a corto di acqua per le prossime due settimane piuttosto che non avere la soddisfazione di infastidirti”. Negli anni avevo imparato le varie sfumature che un minuscolo suono vocalico poteva avere.

“E allora perché….?” chiesi, esasperata e scocciata.

“Se mi guardi in faccia parlo altrimenti…”.

“Altrimenti?”.

“Altrimenti ti dico una cosa molto spiacevole che voglio farti scoprire da sola”.

Alzai automaticamente lo sguardo- smettendo di osservare il bicchiere che stavo asciugando come se sul fondo ci fosse incollata la foto di un modello particolarmente attraente- e vidi un velo di pura soddisfazione dipingersi sui suoi lineamenti marcati. La mascella un po’ quadrata, le labbra sottili incurvate in un sorriso di sfida, gli occhi di un azzurro intenso celati da occhiali dalla montatura nera, i capelli neri avvolti in ricci abbastanza fitti, la statura alta e a volte un po’ dinoccolata, facevano di lui la persona che meno sopportavo al mondo dopo la mia ex professoressa di latino e Lucia Matri, colei che al corso di letteratura spagnola si credeva miss-madrelingua-spagnola venuta in Italia. Non cito mia sorella perché, in quanto tale, dire di odiarla sarebbe crudele, ma spesso purtroppo ero arrivata a pensarlo, anche se alla fine ero giunta alla conclusione che tendevo a reagire male nei suoi confronti perché le volevo bene e ci restavo male quando una persona a me cara mi deludeva.

“Che paura, brrr” lo schernii con aria di sfida. “Ti sto guardando, quindi spara”.

“Oh, niente, oggi mi va di rischiare così sono venuto a prendere il caffè qui quando ti ho visto entrare dal fondo della strada” minimizzò, sedendosi su uno degli sgabelli che circondavano il bancone e poggiando la sua faccia da schiaffi sui suoi gomiti.

“Rischiare?” chiesi, socchiudendo gli occhi in due fessure.

Rise divertito e scosse il capo. “Ti hanno mai detto che sei molto lenta di comprendonio?” mi prese in giro, e non so quale forza divina mi aiutò a non scagliargli uno dei bicchieri addosso.

Respirai con rabbia e lui parve godersela un mondo. “Mi riferivo al fatto che avresti potuto avvelenarmi, mettendo chissà che nel caffè” spiegò.

“Devo ridere? Applaudire? Non è colpa mia se non capisco le tue battute deficienti” sbraitai.

Vidi Antonio affacciarsi da una delle colonne che adornavano il locale, conferendogli uno stile romano, probabilmente attratto dai toni che la conversazione stava acquisendo.

Inutile dire che Marco non si levò la sua maschera da ragazzo da faccia di schiaffi strafottente, così scrollò le spalle, alzandosi. “Ho capito, mi sa che farò a meno del caffè per il momento. Ma ti suggerisco di farne a meno a tua volta, oggi, perché troppa caffeina potrebbe farti stare ancora peggio quando verrai a sapere quella cosa” disse con aria saccente, aggiungendo anche una sorta di occhiolino ironico.

Incrociai le braccia. “Sei patetico. Non sai più cosa inventarti per darmi fastidio. Non mi provochi, Marco, mi sei totalmente indifferente” dichiarai, il che non era vero dato che aveva una stranissima capacità di farmi arrabbiare anche con mezzo sguardo.

“Se fossi in te non ne sarei sicuro. Ma per fortuna non lo sono, ah ah!” esclamò, per poi darmi le spalle e fare per uscire. “E mi raccomando, sii meno antipatica con me in futuro” aggiunse.

“Sarebbe come chiederti di far funzionare l’unico neurone che hai in quel cervello bacato che ti ritrovi per mezza volta!” risposi a voce alta, ma ormai la campanella mi aveva già annunciato la sua uscita.

“Rompe ancora quell’idiota?” chiese Antonio con aria protettiva, emergendo dal fondo del locale.

Scossi il capo, cercando di non sentirmi arrabbiata e stizzita a causa sua.

“Non badarci, proprio come faccio io, prima o poi si scoccerà di fare lo scagnozzo di Stella” borbottai, ritornando ad occuparmi dei bicchieri.

“Ma mi dà fastidio” precisò, avvicinandosi al bancone e obbligandomi ad alzare lo sguardo verso di lui dopo aver preso il mio mento nella sua mano destra.

“Abituatici come ho fatto io” risposi, cercando di sorridere e scostandomi. “E’ una cosa naturale, ormai, ci siamo sempre odiati e mi va bene così”. Antonio parve optare di convincersi almeno un po’, perché mi invitò a dirglielo nel caso che Marco avesse continuato con la sua solita aria protettiva e tornò alla sua occupazione.

Non capivo a cosa si riferisse Marco riguardo la cosa che stava per succedere, e decisi di non badarci più tanto, specialmente quando Michele e i ragazzi mi raggiunsero con una bottiglia di Baileys per brindare per il voto dell’esame.  

All’una, finito il mio turno, trovai papà fuori al locale ad aspettarmi, appoggiato alla sua Citroen nera,  e corsi verso di lui dopo averli salutati.

“Papà!” esclamai.

“Luna, allora?” chiese, impaziente. I capelli castani un po’ ribelli come sempre gli conferivano un’aria più giovane dei suoi quarantatré anni, del mio stesso colore, proprio come gli occhi. “Sono appena tornato dalla redazione, ho perso tutta la mattinata dietro un articolo sullo sfruttamento minorile in Kazakistan, non ti dico”.

“Questi sono i rischi e pericoli che corre un giornalista” ribattei sarcastica, accennando al suo mestiere che amava con tutto sè stesso. “Comunque, indovina?”.

“Mmm, non voglio esagerare, per cui dico ventisei” azzardò.

Scossi il capo e sorrise. “No? E allora quanto…?”.

“Ventotto!” esultai.

I suoi occhi vispi si allargarono in un’espressione radiosa e mi abbracciò. “No! Non mi dire! Magnifico!”.

Per tutto il tragitto non feci altro che raccontargli dettagliatamente l’esame, a partire dall’orribile cravatta del professore, tanto che mi dimenticai di dirgli che eravamo ospiti di zia Kitty, e me lo ricordai solo quando parcheggiò nel cortile del palazzo in cui abitava la nonna insieme a nonno Gianfranco.

“Vabbè, poso la borsa e andiamo” disse quando lo informai, invitandomi a seguirlo.

Obbedii, e due minuti dopo ci ritrovammo davanti zia Carola che ci aveva aperto la porta d’ingresso. Come tutte le donne di famiglia era bruna, con un’altezza media e una quarta abbondante di reggiseno, ma era raro vederla in giro dato che era una ginecologa e aveva sempre molto da fare. Era la sorella maggiore di papà, a lei si succedevano altre quattro sorelle e, infine, dopo tante preghiere del nonno, era arrivato papà.

“Zia, ciao!” la salutai, sorpresa nel trovarla lì a quell’ora. Non ci vedevamo da un paio di settimane. “Che ci fai qui?” chiesi.

Lei sorrise mentre mi dava un bacio sulla guancia. “E potevo mica mancare ad un simile evento!”.

Feci un respiro di rassegnazione, dato che sentivo mille voci diverse provenire dalla cucina.  “Zia Kitty ha sparso la voce anche qui” mormorai.

“Io non ho sparso un bel niente”.

Restai sorpresa nel trovarmi la mia zia preferita davanti, in contrario al nostro accordo precedente circa il pranzo. Aveva i suoi soliti capelli rosso ramato, ovviamente tinti, raccolti in una mezza coda e mi stava squadrando con i suoi occhi di un azzurro chiaro, che rendevano ancora più dolci i suoi lineamenti.

“E allora cosa…?” chiesi senza capire, cosa che però avvenne quando sentii un acuto: “Luna!” provenire da una voce che conoscevo molto bene.

Feci un passo indietro mentre mi ritrovavo davanti quella che sarebbe dovuta essere la mia copia genetica, più sorridente che mai, avvolta in un vestito di velluto blu elettrico che le metteva in risalto la lunga chioma castana tutta boccoli simile alla mia e il volto truccato perfettamente come se fosse una bambola di porcellana. E, peggio del peggio, alle sue spalle vidi comparire anche Marco.

“Stella” replicai freddamente, incredula. “Che ci fai qui?”.

Mi voltai verso papà, che sembrava a sua volta sorpreso di vederla. Tuttavia sembrò decidere di mettere da parte le domande e le si avvicinò per abbracciarla. Dal canto suo, Marco mi guardava con aria soddisfatta, con le braccia incrociate e il mento alzato.  

Stella, dopo essersi separata da papà, corse ad abbracciarmi a sua volta, mentre tutto il resto della famiglia ci guardava. “Non ce la facevo più a stare a Firenze, il lavoro con mamma non mi piace, mi sento la ruota di scarto, e così mi sono trasferita anche io qui, volevo farti una sorpresa… Non è magnifico? E poi mi mancavi tanto…”.

Feci una risata priva d’allegria, e mai come in quel momento mi sentii diversa da lei, lontana mille anni luce nonostante fossimo gemelle omozigote. Avrei preferito che quella  festa nonostante tutto sarebbe stata dedicata a me e al mio esame, e invece ecco che in un giorno così felice per me, passava quell’uragano di Stella a rovinarmi la giornata. Maledetto oroscopo. Ci aveva azzeccato. E maledetto quel Marco che non la smetteva di godersela.

“Giusto, ti mancavo” la canzonai.

Lei fece finta di non capire.

“Comunque ho preso ventotto” dissi ad alta voce, in direzione della nonna, una donnetta piccolina con i lunghi capelli bianchi legati in una crocchia.

“Ventotto? E’ buono?” chiese.

Seconda doccia di acqua fredda. Sbuffai, scansandomi dalla mia gemella.

“Ma in realtà stiamo festeggiando un’altra cosa, diciamo che più che altro abbiamo preso due piccioni con una fava…” s’intromise mia cugina Flavia, al fianco del suo fidanzato storico Clemente. Figlia di zia Carla, era sempre stata una sorta di modello della perfezione in famiglia; aveva venticinque anni e si era appena specializzata come architetto con il massimo dei voti.

“Si, infatti” asserì il suo fidanzato, cinque anni più grande di lei.

Non mi presi nemmeno la briga di domandare cosa fosse successo, anche perché subito Flavia disse: “A gennaio ci sposiamo!”, per poi mostrarmi l’anello che portava all’anulare sinistro, simbolo di quella promessa.

“Oh” mormorai. Certo, la sorpresa c’era, ma al momento ero presa dalla notizia della venuta di Stella, cosa che ritenevo impossibile fino a poche ore prima. Mi congratulai, come si era soliti fare.

“E mi hanno chiamato visto che io e la mia band suoneremo durante il ricevimento” aggiunse Marco, mentre Flavia gli sorrideva.

Lo fulminai con lo sguardo e lui imitò una faccia da angioletto.

“Scusate, devo andare in bagno, sono stanca, stamattina ho anche lavorato” ribadii mezzo minuto dopo, non potendone più,  ma quasi nessuno mi sentii, erano tutti presi dal chiedere qualcosa a Stella o ai neo sposini.

I miei momenti di gloria erano durati per quattro brevi lunghi mesi, troppo corti per poter ripagarmi diciott’anni vissuti all’ombra.

Sentii dei passi seguirmi nel corridoio e non mi presi nemmeno la briga di controllare chi fosse.

“So perché ce l’hai con me, ma non è colpa mia se lui ha preferito me a te!” disse la voce di Stella, esasperata. “E poi l’ho lasciato!”.

“Zitta, non hai la facoltà di essere al centro del mondo per quanto possa risultarti difficile, quindi lasciami in pace. Non me ne frega nulla di Chris, e ormai nemmeno di te” ribattei.

“Se così fosse non faresti questa scenata. E poi, di che ti lamenti? Non posso di certo biasimare quel tipo per aver scelto Stella! Sei così odiosa quando ti ci metti che sfido chiunque a sopportare la tua presenza per almeno dieci secondi” s’intromise Marco, che stava venendo verso di noi. Sembrava proprio infuriato, come se la questione riguardasse lui in prima persona.

Mi inalberai per la rabbia. Ci mancava solo il giudice difensore. “E allora perché non te ne vai visto che la mia presenza è così fastidiosa? E poi non mi sembra di aver chiesto il tuo giudizio!” esplosi, sentendo le guance andarmi a fuoco e il cuore battermi a diecimila.

Ecco rovinata la vita che per una volta mi ero scelta e mi piaceva. Li guardai un’ultima volta con risentimento prima di entrare in bagno e sbattergli la porta in faccia.

Ma ci restai male quando sentii i  passi della mia gemella allontanarsi decisi e non urla di protesta.

 

*°*°*°*°

Ciao a tutti! Ed ecco che ho aggiunto il primo capitolo… Cosa ve ne sembra? Al momento vedremo l’attenzione concentrarsi su Luna e Stella e sul loro  rapporto, ma non dimenticate che questa è una storia romantica, e ne vedremo delle belle se vi piacciono i "casini"…

Immagino ci sia stato un po’ di stupore nel vedere che la storia è narrata dal punto di vista di Luna quando nel prologo a parlare era Stella, ma ci tengo a precisare che la protagonista è proprio Luna, quindi non credo che vedremo qualche altra parte narrata dalla sua gemella.

Ribadisco che in ogni cap ci sarà un titolo più un sottotilo alias una canzone di Vasco che meglio rappresenta la situazione, anche perchè il titolo stesso della fic è dovuto ad una sua canzone.

Comunque, grazie mille a coloro che hanno messo la fic tra le storie seguite:

 Blair 95
brennan
chica KM
CriCri88
huli

 coloro che l’hanno messa tra i preferiti:

alina 95
pirilla88
vero15star
__piccola_stella_senza_cielo__

 
e coloro che hanno letto e che hanno recensito:

Blair95: Innanzitutto ti faccio per i complimenti per il nick, credo si riferisca a Blair di Gossip Girl, giusto? Io adoro quel telefilm e soprattutto Blair e Chuck… Infatti credo avrai visto dalla foto che ho messo a inizio cap che per rappresentare Luna ho scelto proprio Leighton Meester ^^ Comunque, spero che anche questo primo cap ti sia piaciuto! Io non ho una sorella, quindi diciamo che ho dovuto inventare come ci si sente ad avere una gemella come Stella xD

CriCri88: Carissima! Lo sai che non mi tormenti mai ^^ Eh si, i problemi ci sono, ma lo sai che non per me non c’è gusto a scrivere se non c’è caos e non si formano trame degne delle Guerre Mondiali xD Spero che anche questo cap ti sia piaciuto, e riguardo al blocco stai tranquilla perché sono in pieno periodo di interrogazioni a scuola, quindi dovendo studiare senza poter scrivere comporta un aumento di idee e voglia di scrivere. Un bacione carissima!

alina 95: Ciao, che bello vederti anche qui ^^ Mi fa piacere che la storia ti piaccia già, e riguardo a chi sarà la tua preferita, beh, hai tanti cap a disposizione per decidere, anche se credo che con il proseguire degli avanti Luna diventerà un po’ la preferita, a causa di alcuni comportamenti di Stella, anche se poi tutto è soggettivo. Per il blocco stai tranquilla, è superato, devo solo avere un po’ di tempo e mi metto a scrivere il 5°  ^^

vero15star: Tesoro, stai tranquilla, tutti siamo impegnati e a volte capita di non avere tempo ^^ Tanto so che posso contare  su di te come tu puoi contare sempre su di me =) E’ bello sapere che anche questa storia ti piaccia, sul serio, e so che sei sincera. Che dici, Marco ce lo dividiamo? xD Ti voglio un mondo di bene piccola!

_piccola_stella_senza_cielo_: Ecco qua il primo capitolo, spero che ti piaccia e che abbia colmato un po’ la tua curiosità ^^ Grazie mille =)

Angel Texas Ranger: Si si, questa volta si parla di due gemelline un po’ particolari… Spero ti sia piaciuto questo cap ^^ Un bacione!

 

Visto che mi sento magnanima xD vi lascio qualche anticipazione….:

 

“Parliamo italiano” disse Feliz, continuando a sorridermi. “Il piacere è tutto mio”.

 

“Piantala, lo sai che io sono dalla tua parte come quel Marco sta dalla parte di tua sorella” annunciò.

 

“Dico che vi auguro di fare più successo di quelli della pubblicità della Tim ora che avete la vostra Fiammetta” dissi sarcastica.

“Che cosa? Vuoi paragonarmi a quella sgallettata?” chiese Stella offesa.

 

… curiosi? Beh, allora non mi resta che dirvi che ne scoprirete molto di più nel prossimo cap! ^^

A presto,

la vostra milly92.

  
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