Wildcat:
Bè
cara,vedrai subito dove lo porterà Ada.. spero ti
piacerà la sorpresa..
Lorena:
Grazie
mille x i complimenti! Ecco a te il nuovo capitolo,spero ti
piacerà e ti
coinvolgerà di più..cercherò di
postare più spesso,i capitoli sono già pronti!
Saretta:
Bè
grazie mille per seguire la mia ff e mi fa piacere che ti piaccia,spero
che
apprezzerai anche questo nuovo capitolo!
Un grazie
immenso anche per coloro che hanno inserito la ff tra le preferite e le
seguite. Un bacione e al prossimo capitolo!
Capitolo 5
“Paolo,tesoro,ciao”
“Ciao
piccola,dimmi tutto. Successo qualcosa?”
“Oh
no
no,assolutamente. Però ho bisogno del tuo aiuto. Devo
entrare nel Roseto e nel
Giardino degli aranci” gli dissi tutto d’un
fiato,sicura che capisse. Ma mi
sbagliavo.
“Piccola,è
sempre aperto,lo sai..” come volevasi dimostrare,non aveva
capito nulla
“No,non hai capito. Devo entrarci di sera,quando è
chiuso” gli dissi convinta.
“Che
cosa? Ma
sei impazzita?! Sei maggiorenne,puoi rischiare l’arresto! Non
hai mai fatto
bravate e ora che sei maggiorenne vuoi essere arrestata?”
Ecco. Quando non
doveva era il solito “io sono una persona per bene”
ma oggi doveva aiutarmi,che
volesse o no.
“Paolo,ascoltami.
Tua mamma ha una copia di quelle chiavi,ti prego! Solo per una sera.
Sarò tua
schiava a vita,ma devi aiutarmi. Devo entrare in quei due giardini. Ti
prego,ti
scongiuro,aiutami..” iniziai a piagnucolare. Mi serviva il
suo aiuto e
scongiurarlo e dichiararmi schiava a vita poteva essere molto utile.
“Quando?”
Evviva!
“Stasera”
“Stasera,stasera,stasera..
tu sei pazza.. ma ti aiuterò! Non farmene
pentire!” Ok,ora avevo perso quei
pochi neuroni che avevo.
“Grazie,grazie
grazie”
Erano le 7e30
e
stavamo tornando tutte insieme all’albergo. Le ragazze non
sapevano nulla della
colazione e tanto meno di Robert,Francesca aveva trovato una scusa per
giustificare la mia essenza quella mattina.
“Stasera
non
starai con Paolo,vero?” Francesca mi pose questa domanda
appena entrate in
camera.
“A dire il vero no. ho deciso di portare Rob in un posto qui
a Roma. Paolo mi
aiuta.” Mi sorrise e si incamminò verso il bagno.
“Ti
raccomando,protezione” la guardai e abbassai subito lo
sguardo arrossendo.
“Non
ho
intenzione neanche di baciarlo se è quello che
pensi” le dissi convinta.
“Si
si certo. E
io dovrei crederti. Ieri hai respinto Paolo per lui e dovrei crederti..
certo!”
disse con faccia maliziosa.
“Si,è
vero.
Però non voglio ricordarlo come colui che mi ha portato a
letto. Stamattina
quando l’ho conosciuto,quando ho capito un po’ di
lui,mi sono resa conto che è
speciale. Unico. Che vorrei veramente farmi conoscere,come mi conosci
tu.
Vorrei che lui solo guadandomi capisca cosa c’è
che non va.”
“Ma
sai che non
può succedere..” disse triste.
“Si,ma
voglio
sperare.. almeno per stasera.”
“Ada,ti
ho
visto soffrire tante volte e tante volte ti sono stata accanto. Ma
ora,con
lui,è diverso. Non farti del male da sola. Ti voglio bene e
non voglio vederti
soffrire. Fatti conoscere,apriti con lui,se vuoi essere conosciuta.
Sappi che
non lo vedrai ancora per molto. E questa è la
verità” mi abbracciò. Mi voleva
bene,veramente
come se fossi una sorella. E forse aveva ragione. Non c’era
tempo per farmi
conoscere da lui,dovevo aprirmi e fargli scoprire ciò che
sono.
“Cosa
fate
invece voi stasera?” dissi per cambiare argomento. Volevo
godermi la serata e
non mi andava di rattristarmi ancora prima che iniziasse.
“Non
so,credo
che andremo a ballare.”
“Di
nuovo?”
dissi sorpresa.
“Certo,noi
non
ci fermiamo mai..” e risi di gusto. “Ora mi faccio
una doccia io,dopo vai te.
Le ragazze e io usciamo alle 8e30,non vi vedremo,tranquilla.”
“Grazie
Fra”
“Di
niente,puffa palindroma.” E ridendo si chiuse in bagno
lasciandomi davanti la
porta con una smorfia di disapprovazione.
Erano le
8e56.
avevo appena finito di allacciare le converse. Ero pronta. Jeans
stretti scuri
e top viola,con una magliettina corta da sotto il seno nera e converse
ugualmente viola abbinati alla borsa. Ero pronta. Carina ma semplice e
rigorosamente senza tacchi. Non si può mai sapere,avrei
potuto avere la
necessità di correre e poi volevo essere me stessa e
l’abbigliamento semplice
ma carino in quel momento mi rappresentava meglio.
Mi avvia
verso
la camera 215 con il cuore a mille e le gambe molli,ma dovevo farmi
coraggio.
Avrei cercato di rendere quella serata perfetta. L’aiuto di
Paolo era stato
indispensabile. Bussai con due colpi alla porta e immediatamente mi
ritrovai
davanti quel magnifico ragazzo,che semplicemente sorrideva con gli
occhi.
“Ciao” disse semplicemente.
“Ciao,sei
pronto?”
“Si
certo.” Lo
vidi soffermarsi sul mio abbigliamento e sorridere.
“Che
c’è?”
dissi curiosa. Quel sorriso mi preoccupava un po’.
“A
dire il
vero,pensavo a quanto fossi magnifica e bassa.” E sorrise.
“Oh..
questa è
la mia altezza,se non va bene,non so che dirti,altrimenti fattene una
ragione”
dissi stizzita. Ma vedi un po’ questo qua. Nonostante lo
porto in giro e
rischio con lui l’arresto,dopo aver dovuto pregare in mille
lingue Paolo per
più di un favore lui mi diceva “..pensavo a quanto
sei bassa”! nessuno doveva
permettersi di parlare male della mia altezza. Per me erano tutti
troppo
alti,io ero quella normale. Ad un certo punto fece un gesto
inaspettato. Sarà
stato il mo sguardo triste,il mio muso che mi dava un non so che di
tenero,ma
mi abbracciò e mi sussurrò “Scusa,non
volevo offenderti.”
“Non
importa..”
sussurrai e mi avviai verso le scale di emergenza.
“L’ascensore
è
lì” mi prese per un braccio cercando di portarmi
lì vicino,ma la mia
occhiataccia lo fermò.
“Qui
porto io
te e non tu me,primo. Secondo se usciamo dalla porta principale ci
vedranno,così no.”
“Così
come?” mi
chiese sorpreso.
“Dalle
scale di
emergenza. Andiamo. Il ragazzo della hall mi ha fatto un favore e ha
lasciato
la porta d’emergenza aperta. Quando usciremo dovremmo
chiuderla noi.” gli dissi
convinta.
“Sei
diabolica!”
“No
semplicemente intelligente..” e sorrisi
“Bè,non
avevo
dubbi” e ricambiò il sorriso
“unico
a
pensarlo..” dissi a me stessa,ma lui mi sentì.
“Perché?”
“Cosa?”
cercai
di fare finta di niente. “Perché sono
l’unico a pensarlo” disse cercando di
capire. Ma non volevo rispondere.
“Ma
no,niente,parlavo
tra me” per fortuna dopo questo lui fece cadere lì
il discorso.
Come avevo
detto a Rob la porta la trovammo aperta e usciti la chiudemmo come mi
era stato
chiesto. Lo sentì però sussurrare
“diabolica” e scoppiai a ridere coinvolgendo
anche lui. Trovai per fortuna la macchina di Paolo davanti
l’ingresso.
Perfetto. Mancava solo un particolare.
“Rob,te
guidi,vero??”
“Certo”
“Allora
tieni,devi guidare.” Mi guardò stranito. Mi chiese
dove avessi preso la
macchina e dopo
essersi tranquillizzato
sapendo che l’auto era di un mio amico salimmo e accese il
motore. Lo feci
guidare,cercando di ricordare bene le strade che Paolo mi aveva
mostrato quel
giorno circa cinque o sei volte,ogni volta mi confondevo o
semplicemente
dimenticavo la via giusta. Il viaggio fu pieno di chiacchiere che si
accavallavano. Passavamo da Rob che mi chiedeva dove stessimo andando a
me che
lo supplicavo di non confondermi per evitare di sbagliare via. Sarebbe
stato
impossibile ritornare al punto di partenza. Arrivati davanti al
Giardino degli
Aranci ci guardammo intorno,e per mia immensa gioia non trovammo
nessuno. Le
strade erano deserte. Perfetto.
“Scendiamo?!”
mi chiese Rob titubante.
“Si!”
dissi
sicura di me.
Presi le
chiavi
dalla borsa,e sotto lo sguardo sconvolto di Rob aprì le
porte del giardino. Era
bellissimo. Gli alberi di arancio erano fantastici,profumati,davano
calore alla
serata fresca di fine estate. Camminavamo fianco a fianco. In religioso
silenzio. Rob ammirava quel paradiso,io lo immaginavo perdersi nel
Roseto. Senza
nulla togliere al Giardino degli Aranci,ma il Roseto era divino. Una
semplice
opera d’arte disegnata dalla natura.
Rob mi
guardò e
sorridendomi mi fece perdere il quel meraviglioso mondo tutto suo. Lo
portai
vicino ad un albero immenso,al centro del parco e ci sedemmo ai suoi
piedi.
“Sai,mi
sembra
di essere in un sogno..” dissi ad ogni chiusi per paura di
svegliarmi.
“E’
tutta opera
tua,io dovrei avere paura di svegliarmi. E non voglio” disse
triste. Non volevo
si intristisse,volevo fosse felice,almeno quella sera con me.
“Non
ti
sveglierai,non questa sera. Sei con me,facciamo si che il nostro sogno
continui,almeno per stasera..”
Distesa sul
prato umido mi persi nei miei pensieri. Ero lì,con lui,Rob,e
mi sentivo
bene,felice,completa. Lo guardai di sottecchi e lo vidi sereno,ad occhi
chiusi,con un piccolo sorriso pieno di parole. Lo sentivo respirare a
pieni
polmoni e deliziarsi di quell’odore di aranci che profumava
l’aria. In una
città come Roma era impossibile respirare aria profumata di
natura. Perciò,per
me, quei luoghi erano magici. Ti sentivi fuori dal mondo,dalla
città,dal caos.
Ti sentivi libero,leggero. Sentivi la natura che ti accarezzava la
pelle,le
guancie. Sentivi il sapore sulla lingua e ti sentivi felice. Ecco
perché lo
avevo portato lì,volevo aiutarlo,aiutarlo a respirare,a
sentirsi libero,a
vivere. E sorrisi anch’io,felice di aver fatto qualcosa per
lui,felice di
averlo reso tale. Voltai il mio sguardo verso di lui e lo vidi
osservarmi,ancora sorridente,e mi sentì in paradiso. Cosa
avrei dato per vedere
quel sorriso ogni giorno,per l’intera vita. Ma quella sera
doveva bastarmi,sarebbe
bastata a me e sarebbe bastata anche al mio cuore.
“E’
bellissimo
qui.. grazie”
“Adoro
questo
posto. Mi sento libera,fuori dal mondo,senza pensieri. Ogni volta che
sono a
Roma vengo qui,da sola,per respirare questa aria. Questa settimana
però non ne
ho avuto la possibilità. Le ragazze non mi lasciavano mai
libera. Quella
mattina,per andare in libreria,sono dovuta scappare..” dissi
imbarazzata. Al
ricordo di quella figuraccia mi sentì le guancie infuocate.
“Per
fortuna
sei scappata..” disse sussurrando. Lo sentì,ma
volli far finta di niente. Era
meglio per me,per lui,per tutti. Se avessi fatto finta di niente,non
avrei
sofferto più di tanto. Almeno così pensavo.
Mi stesi di
nuovo con gli occhi rivolti al cielo. Mai avevo visto un cielo
così
stellato,mai avevo sentito la brezza leggera sulla pelle
così dolce,leggera,mai
ero stata così bene. Anche sapendo che dopo sarei stata
male,male per quel
piccolo attimo di felicità. Sentì il suo sguardo
su di me,ma feci finta di
niente. Chiusi gli occhi,respirai e mi alzai. Presi la sua mano e
silenziosamente lo condussi fuori da quel paradiso.
Lo avrei
portato al Roseto. L’incantevole contrasto tra quel forte
profumo di aranci e
quella dolce fragranza di rose era ciò che preferivo di quei
luoghi. Perciò
ogni volta visitavo entrambi. Appena ci soffermammo davanti il cancello
per
prendere le chiavi notai la faccia sorpresa di Rob.
“Altro
giardino,diverso dal precedente. Senti il profumo,senti la sua
dolcezza,la sua
freschezza?”
Lo vidi
chiudere gli occhi,inspirare e parlare con ancora gli occhi socchiusi.
“Rose,tante
rose. Giusto?” e alzò un sopracciglio.
“Si”
risposi
solamente. “Per favore tieni gli occhi chiusi”
Aprì
il
cancello,lo presi per mano e lo condussi al centro di un arco. Era un
arco di
rose,tutte colorate,perfette,fresche,dolci. Lo vidi sorridere e
sentì
stringermi la mano. Mi sentì in paradiso,ma pronta
all’inferno. Perché il
paradiso non era per me,non era per noi comuni mortali esiliati sulla
terra.
“Apri
gli
occhi,Rob.”
Lo vidi
aprire
gli occhi,lo vidi sgranarli,lo vidi soffermarsi su ogni piccola parte
di quel
luogo,lo vidi sorridere,poi ridere,vidi i suoi occhi pieni di
emozioni,nuove,mai
provate o forse semplicemente emozioni dimenticate o ancora
accantonate. Lo
vidi sorridermi,dirmi grazie e poi avvicinarsi a me. Lasciare un
piccolo,tenero
bacio vicino la bocca. Restai impietrita,sommersa dalla paura.
Controllai
quell’emozioni e gli sorrisi.
“Vedi,questo
è
un giardino particolare. Per me ovviamente. Da piccola mi
portò qui mio nonno.
Lo adorava. Ricordo che per motivi di lavoro era sempre qui e ogni
volta
portava una rosa diversa a mia nonna. Un fine settimana partimmo con
lui per
una conferenza. Mi portò con lui,voleva condividere il suo
segreto con me.
Raccogliemmo una rosa e la portammo alla nonna,come sempre. Mentre
sceglievamo
quale raccogliere mi raccontò una storia. La storia di una
farfalla e del
principe delle fate. Lui vive qui,il suo regno è questo. Un
giorno incontrò un
bruco,questo era triste,piangeva e il principe vedendolo
così gli si avvicinò e
gli chiese cosa avesse.
“Non
so
trasformarmi in farfalla.. voglio avere le ali,volare come gli altri
bruchi,ma
non so farlo..” e continuò a piangere. Si
disperava. Il principe non sapeva
cosa fare. Non poteva usare la sua magia per aiutarlo,avrebbe fatto
arrabbiare
il re,e non voleva disubbidire. Triste si allontanò e
lasciò il bruco nella più
completa disperazione. Quella notte non dormì. Il bruco era
nei suoi pensieri.
La sua disperazione,la sua paura di non poter volare, lo aveva toccato
nell’animo. Voleva aiutarlo,ma non sapeva come. La notte
trascorse e il mattino
successivo svolse il suo lavoro. Controllò che tutte le rose
fossero
sbocciate,fossero perfette,profumate. Però,senza
accorgersene,oppure perché il
suo istinto lo portò lì,sentì di nuovo
il bruco piangere,ancora disperato. Si
avvicinò a lui e lì capì come aiutarlo.
“Bruco,amico
mio. ascoltami. Tu volerai,ma solo se lo vorrai. Dovrai
impegnarti,crescere,affrontare le difficoltà,combattere e
non piangere mai,ma
sorridere sempre. Perché sorridere aiuta a non essere tristi
e ad affrontare la
vita come viene. Tu volerai,sarai una farfalla bella,splendente e tutti
ti
ammireranno. Non perché sai volare,ma perché
sorridi,perché voli sorridendo.
Impegnati e vedrai che ce la farai.”
Il bruco lo
guardò,smise di piangere e per la prima volta sorrise.
Da quel
giorno
si impegnò,maturò e sorrise,sorrise tutto il
tempo. Anche quando non riusciva a
volare come le altre farfalle e cadeva,cadeva sui petali di rose.
Imparò a
volare come le altre,ma splendette più di
loro,perché sorrideva.”
Ci eravamo
seduti su una panchina,non mi ero resa conto che come il bruco
piangevo,ma al
contempo sorridevo. Al ricordo del mio adorato nonno,al ricordo di
quella
giornata e delle volte che quel posto mi aveva visto piangere per
lui,per la
sua lontananza. Era andato via,ma mi aveva detto di sorridere,sempre.
Robert mi
guardava,sorpreso,aveva capito.
“Tuo
nonno,è
andato via?”
“Si”
sussurrai.
“Mi
dispiace.
Vorrei dirti che ti capisco,ma mentirei. Non so cosa significa perdere
qualcuno,so solo che sto male se ti vedo piangere,sto bene se ti vedo
sorridere. E stasera con te voglio stare bene,quindi non
piangere,sorridi,fai
come la farfalla. Cresci,matura e sorridi,sempre. Anche quando
soffri,anche
quando il mondo ti prende a calci,anche quando vorresti solo piangere.
Sorridi
Ada,perché se lo fai tu,lo faccio anche io. Anche lontano da
te lo farò. Sarai
sempre colei che mi ha fatto sorridere quando non riuscivo
più a farlo
veramente.” Lo abbracciai teneramente. Volevo stare stretta a
lui,solo per
quella sera.
Parlammo,parlammo
per tanto tempo. Lui mi disse tutto di lui. Raccontò di
sé,di ogni piccolo
dettaglio dimenticato a colazione. Ora conoscevo ogni particolare di
Robert e
della sua vita. Io mi aprì,dissi tutto di me. Gli raccontai
della mia infanzia
difficile,della separazione da mio nonno,di ciò che avevo
vissuto e visto alla
tenera età di 10anni. Come io sapevo tutto di lui,ora lui
sapeva tutto di me.
“Mi
hai
raccontato la tua vita privata in ogni particolare,perché?
Sono un estraneo”
“Non
lo so. Ho
iniziato a parlare e non mi sono più fermata. Non sei un
estraneo Rob,sai tutto
di me,ricordi? Tu mi hai fatto sorridere,mi hai reso felice. Ecco
perché. Io da
tempo non sorridevo veramente.” Dissi piano.
“Come
me..”
sussurrò subito dopo. Appoggiai la testa sulla sua spalla e
mi beai,ad occhi
chiusi, di quel profumo.
Erano le 3e30
quando rientrammo in albergo. Quando mi resi finalmente conto che era
finita,
mi sentì male. Lo stomaco si strinse e il respiro mi si
mozzò in gola. Mi
tremavano le mani e gli occhi mi pizzicavano. Mi feci forza e davanti
la sua
stanza mi preparai al saluto.
“Grazie,veramente”
disse serio.
“Prego,lo
sai,l’ho fatto con immenso piacere” risposi con
voce mal ferma. Lo vidi farsi
pensieroso,poggiarmi il palmo della mano sulla guancia e avvicinarsi
lentamente
a me. Tutto scomparve. C’erano solo lui,i suoi occhi e le sue
labbra. Era una
tentazione. Il mio autocontrollo scomparve,avrei sofferto,non
importava. La
distanza diventava man mano più breve,ancora nulla intorno a
me. Solo lui.
Pochi centimetri e le nostre labbra si sarebbe sfiorate,ancora nulla.
Sempre e
solo lui. Poi quel tocco,leggero,mi fece sussultare. Tutto prese il
proprio
posto. La paura tornò,il dolore ricomparve,i contorni,il
colore delle
pareti,tutto.
“No,Rob..
io..
Notte” e scappai. Scappai piangendo. La stanza sembrava
lontana,ma la
raggiunsi. Non ricordo più nulla,solo il letto e un cuscino
bagnato dalle
lacrime.