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Autore: _zukky    08/11/2009    6 recensioni
Sognava Daisy. Sognava di volare sulle nuvole, sprofondandovi. Di sfiorare il sole fino a sentirne il calore bruciante sulle mani. Sognava di saltellare da una stella a un’altra e riuscire a catturare quella polvere che avverava i desideri. Sognava.
- Potter, dove diavolo siamo e come diavolo di permetti? -
Sentì, nel buio, una risatina che le fece saltare i nervi.
- Lumos - Una pendolante lampadina, sopra di loro, oscillò, accendendosi.
- Il ripostiglio delle scope?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sturdust








Alla mia Lu,

perché ci siamo conosciute grazie a loro
e tra poco sarà giusto un anno.
E, adesso, davvero non so come farei senza di lei.
Ti voglio bene, davvero tanto, lo sai.



E a tutti i fan
di James e Lily.




∫ Stardust






Denise Hayes detestava il suo nome.
Ogni fibra del suo essere si contraeva spasmodicamente, come stretta da corde invisibili, a quel suono così conosciuto e così odiato.
Non c’era un motivo particolare, semplicemente non lo sopportava.
Da quando aveva memoria non l’aveva mai tollerato, e urla e pianti, che mettevano in allerta i suoi vicini, ne erano la chiara dimostrazione.

- Non ha senso avere un nome. È.. limitante - Affermava con i suoi occhi scuri e decisi, quell’aria saccente che assumeva sempre, dopo ore passate con il naso incollato ad un libro – Non posso chiamarmi come il cielo, il mare, le montagne? –

Sognava Daisy. Sognava di volare sulle nuvole, sprofondandovi. Di sfiorare il sole fino a sentirne il calore bruciante sulle mani. Sognava di saltellare da una stella a un’altra e riuscire a catturare quella polvere che avverava i desideri. Sognava.
Ma i piedi rimanevano sempre strettamente ancorati a quel pavimento bianco, non ne volevano sapere di spiccare il volo. Perché?

*



Quella giornata era iniziata con il piede sbagliato. Letteralmente.
La sveglia non era suonata.
Era sabato, perché mai quel suono fastidioso si sarebbe dovuto insinuare nei suoi sogni riportandola alla realtà?

Bhè, il Preside aveva avuto la brillante idea di organizzare una “gita” per l’ultimo anno, con destinazione sconosciuta, e lei se ne era completamente dimenticata.
Un’allarmata, quanto isterica, Alice Rubin aveva fatto irruzione nella sua camera da Caposcuola e l’aveva tirata giù dal letto.
No, non era un modo di dire.

Ancora per metà con la mente imbrigliata nelle fitte ragnatele del sonno, si era ritrovata con il sedere per terra a imprecare a bassa voce contro la sua migliore amica, la sveglia, se stessa e sì, anche quel santo di Merlino che non si decideva mai a darle una mano.
Come poteva andare peggio di così? Pensò, mentre attraversava di corsa il grande portone d’ingresso, cercando di non arrivare troppo in ritardo al raduno prima della partenza.
Ma quella fredda mattina di metà febbraio qualche forza superiore era avversa alla povera Lily Evans, per chissà quale motivo, e nella fretta di raggiungere il resto dei Grifoni si arrestò appena in tempo da non finire dritta dritta su alcuni di loro.
Naturalmente non poteva aver fatto bene i suoi calcoli, e la brusca frenata la sbilanciò in avanti, non facendola crollare a terra, no.
- Ehi, Evans, vedo che sei felice di vedermi stamattina –
Ma tra le braccia dell’essere che più detestava in quel miserabile mondo.
Con la guancia premuta contro il suo petto, si accorse di riuscire ad udire i battiti del suo cuore, anche attraverso il mantello e gli strati di vestiti. E mentre incespicava nei suoi stessi piedi James la trattenne per le braccia per non far cadere entrambi e lei sussultò.
Da qualche tempo la sua vicinanza le faceva uno strano effetto e la semplice percezione che qualcosa stesse cambiando metteva in allarme le sue terminazioni nervose facendola scattare il più possibile lontano da quel pericolo.
- Non dire idiozie, Potter - Fece pressione con le mani per scostarsi da lui - Preferirei mangiare vermicoli per cena che abbracciare te -
Parole sputate come veleno, che bruciavano sulla pelle peggio di acido corrosivo.
- È inutile che ti agiti tanto, Evans. E, attenta alle guancie, potresti andare a fuoco -
Attaccare per non essere attaccati. Per attutire l’arrivo di un colpo scagliato con troppa forza.
Lily non si era neanche accorta di essere arrossita e distolse lo sguardo indignata e più che infuriata con se stessa per quelle reazioni che riusciva sempre meno a gestire.
La voce della McGranitt la strappò ai suoi pensieri e la tolse dall’imbarazzante compito di dovergli rispondere, per avere sempre l’ultima parola, come le suggeriva il suo orgoglio.



Erano dinanzi a un edificio apparentemente abbandonato, in un vicolo scuro e stretto di Londra.
- Per due mesi a partire da oggi, tutti i sabati o venerdì pomeriggio, a seconda delle indicazioni del Preside, verrete qui, a dare una mano - Si diffuse un basso mormorio di dissenso - So che vi sembra strano e non sarà semplice lo ammetto, ma sono d’accordo con il professor Silente quando afferma che sarà educativo e vi darà un’idea di cosa vi aspetta fuori dalle mura di Hogwarst - La McGranitt fece una pausa significativa, scrutandoli in viso ad  uno ad uno - Alla Casa di Grifondoro è stato assegnato il sesto piano del San Mungo: Problemi Psichici e Malattie Mentali. È un reparto molto delicato e mi aspetto il meglio da ognuno di voi -
Nessuno osò fiatare, troppo sorpresi o spaventati per dire qualsiasi cosa.
Seguirono la professoressa in religioso silenzio, fino ad arrivare al piano stabilito.
Non si sentivano affatto pronti: un senso d’inquietudine si era impossessato di loro, non sapevano nemmeno che aspetto avesse un paziente con problemi psichici, per non dire “pazzo”, la parola che era balzata alla loro mente immediatamente, figurarsi come trattare con loro.
- Sarete divisi in coppie e ad ogni coppia sarà assegnata una stanza. Le infermiere saranno a vostra disposizione per qualsiasi cosa. Buon lavoro -
La videro parlare con quella che probabilmente era la caporeparto. Armeggiarono con le bacchette su uno spesso foglio di carta azzurrino e poi lo affissero alla bacheca lì vicino.

- Tesoro , vedo che è il tuo giorno fortunato - Quella voce fastidiosa le arrivò all’orecchio, come un fruscio di vento che la fece tremare, mentre guardava con orrore il foglio con la disposizione delle coppie e delle stanze.
Non ce la poteva fare, non con James Potter a così poca distanza per chissà quanto tempo. I suoi nervi non avrebbero retto e nemmeno lei.
- Voi siete Lily e James? -
La Evans sussultò nell’udire i loro nomi accostati in quel modo e si rese conto che erano rimasti i soli ancora di fronte la bacheca. Stava impazzendo, ne era certa, ed era nel posto giusto, pensò con sarcasmo.
- Sì, ci dica - James si rivolse con un rispetto che la lasciò sorpresa all’infermiera di fronte a loro.
- Venite, aiutatemi a cercare la ragazza affidatavi, è scappata, come al solito -
Iniziavano bene. Benissimo.

*



- Daniel, corri! Sei sempre così lento -
- Ma Daisy - Il ragazzo barcollò un po’ sulle gambe, cercando di starle dietro.
- No, guarda c’è il sole oggi - Intorno e sopra di loro solo le luci accecanti dei neon - Chiamami Summer -
L’altro la guardò con occhi vacui e annuì.
- Ora, Daniel, conta. Io mi nascondo, ok? -
- Le pecore? -
- Dany, conta le pecorelle, su -
- 1, ti chiamerò Dolly. 2, te Isabel, come la mia mamma. 3, Lolly.. -
Denise iniziò a correre lungo il corridoio, cercando un nascondiglio sicuro. Svoltò l’angolo a tutta velocità, ma si ritrovò di fronte ad Annette. Sbarrò gli occhi e cercò di fare immediatamente retro front.
- Frena, Daisy - ordinò imperiosa l’infermiera - C’è qualcuno che vuole conoscerti -
Lei si bloccò improvvisamente, i capelli biondi che oscillavano sulle spalle minute.
Annette si rivolse ai due ragazzi appena dietro di lei - Lei è Denise, chiamatela Daisy, odia il suo nome. Ha sedici anni, è irrequieta e ha tanta fantasia. Daisy saluta da brava -
La ragazza si voltò con calma, lo sguardo sostenuto.
- Ciao, io sono James - Le si avvicinò, rivolgendole un sorriso sincero e porgendole la mano.
Daisy sembrò per un momento quasi terrorizzata, poi la sua espressione si distese e gli strinse la mano con la sua.
- Chiamami Summer, oggi splende il sole - disse allegra.
- Bel nome Summer, originale - James non sembrava per nulla sorpreso dalla sua stravaganza, mentre Lily non sapeva come comportarsi.
- Io sono Lily, piacere - mormorò, avvicinandosi cauta.
L’altra spostò lo sguardo su di lei e piegò leggermente la testa di lato, come incuriosita - Dove hai comprato i capelli? Sono.. belli - esclamò, incantata.
- Ehm.. - Non sapeva davvero cosa inventarsi.
- Vedi, c’è un negozio che ha tutti i capelli che vuoi - le venne in soccorso James - Andiamo nella tua stanza, ti racconto tutto, vuoi? - Lanciò un’occhiata incerta all’infermiera che annuì con un sorriso e gli fece cenno con la testa, indicandogli la camera.
Lily Evans li guardò allontanarsi, fin quando scomparvero alla sua vista, e qualcosa di indistinto le si agitò nello stomaco fino a stringerle la gola. Perché era così gentile con quella ragazza? Cosa ci guadagnava?
- Ci sa fare, eh - La voce di Annette, ancora al suo fianco, la riportò alla realtà.
- Già - mormorò, e si chiese se non c’era un motivo da non ignorare a dettare le reazioni che tanto odiava.

*



- E alla fine, quando poggi i piedi a terra, quella sensazione di soprannaturale libertà permane, insieme alla leggerezza, che ti solleva quasi fossi una piuma -
La voce di James Potter, morbida e assorta, era come una calamita che attirava l’attenzione di chiunque si fermasse ad ascoltarlo.
Denise, seduta a gambe incrociate sul suo letto accanto a lui, pendeva letteralmente dalle sue labbra. Puntò lo sguardo alla finestra, attraverso cui si poteva osservare un cielo grigio e nuvole gonfie di pioggia. Solo la mera illusione di quello che poteva esserci oltre il perimetro in oltrepassabile di quelle mura. Stava ore ad ascoltarlo. Ore in cui guidata dal variare della sua voce e da quegli occhi che sembravano cambiare colore a seconda di quello che raccontava, veniva trasportata in avventure e imprese di cui non sarebbe mai potuta essere la protagonista.
Lily Evans, dalla sedia dall’altro lato del letto, si sentiva completamente fuori luogo. Come un oggetto dell’arredamento che stonava con il resto della stanza.
Era il quarto sabato che passavano lì e, ogni singolo istante passato in quella stanza, era come un minuto in più di un claustrofobico in una camera chiusa.
Odiava ammettere che Potter fosse più bravo di lei in qualcosa, ma sapeva sul serio come incantare quella ragazza.
Lo adorava, glielo si leggeva negli occhi. Come tutte.
Una leggera nausea le fece girare la testa e prese un sorso d’acqua dal comodino.
Anche lei andava d’accordo con Daisy, ma non c’era confronto, si limitavano allo scambio di qualche battuta.
Così si limitava a stare seduta lì, e non poteva fare a meno che perdersi con Denise in quelle storie straordinarie. Senza accorgersi che quelle parole erano James Potter, e che lentamente, una per una, le stavano entrando dentro, come un prezioso tesoro da custodire.



Fuori da quella porta ritornavano ad essere la Lily Evans e il James Potter di sempre. Non che dentro cambiasse qualcosa, ma tra quelle pareti bianche e asettiche avevano stipulato il tacito accordo di una tregua, solo per poche ore.
Fuori di lì tutto tornava come prima, con la sola, semplice e fondamentale differenza che James avesse smesso di tormentarla. Non la ignorava, no, un cenno di saluto a colazione, uno sguardo in sala comune come a darle la buona notte. Si riduceva a quello. Tutto.
La sua presenza sempre costante e fastidiosa si era dileguata come una nuvoletta di fumo nel vento. Non ne sentiva più l’odore, né ne percepiva la consistenza appiccicaticcia sulla pelle. E si sentiva disorientata, come se avesse perso la scia da seguire.
Anelava quei sabati, quei momenti di claustrofobia, per cibarsi della sua voce e bere della sua espressione.
E si odiava. Si odiava profondamente. Perché non poteva accettarlo. Si sarebbe fatta male. Sarebbe caduta da quell’illusione e si sarebbe schiantata al suolo, fracassandosi le ossa, una ad una.
Stava diventando pazza, ed era sempre più sicura di essere nel posto giusto.

*



- Evans, hai sentito il professor Silente, chi vuole può anche smettere di andare al San Mungo, non siamo più obbligati -
Lily continuò a camminare al suo fianco, come se non avesse parlato.
Era venerdì pomeriggio e si stavano dirigendo fuori dalle mura di Hogwarst per smaterializzarsi all’ospedale.
- Non ho ancora problemi d’udito, Potter, grazie -
- Non sei obbligata - ribadì lui.
- Nessuno mi sta puntando una bacchetta, mi pare - Usare il solito atteggiamento per fingere che nulla fosse cambiato - Ti do forse fastidio? - Celare quel dubbio, che le si era insinuato nel cuore pungendo come un ago sottile, dietro sagace sarcasmo.
- Ma io lo dicevo per te, non vorrei ti annoiassi - Eluse la domanda. Non poteva certo dirle la verità.
- Non sono problemi tuoi, Potter, quindi andiamo - E lei se ne era accorta, ma non lo diede a vedere. Affrettò il passo facendo in modo che non potesse cogliere la sua espressione.


- Inizia ad andare da Daisy, devo parlare un attimo con la caporeparto - James fece un sorrisetto furbo, guardando di fronte a sé, mentre lei annuiva e si allontanava verso la camera della ragazza.
Era caduta in un rigoroso mutismo dopo quelle poche parole che si erano scambiati nel parco di Hogwarst, ed era di un umore tetro.
- Ehi Daisy, tutto bene? - esordì senza entusiasmo, attraversando l’uscio.
La biondina la raggiunse velocemente, battendo le palpebre un po’ perplessa - Oggi sono Pioggia e tu sei scura come un temporale - osservò con la sua solita aria candida.
Lily si limitò a scrollare le spalle.
- Dov’è James? - domandò subito dopo la ragazza, facendola irritare di più.
- Arriva subito - sbuffò e notò appena che Daisy aveva aggrottato le sopracciglia.
- Ma io lo voglio adesso - Batté i piedi come una bambina capricciosa e fece per oltrepassarla.
Ma Lily l’afferrò per un braccio trattenendola - Daisy non puoi uscire, aspetta qui - ordinò in tono autoritario.
Non seppe dire con precisione cosa accadde nei momenti successivi. Un “vai via” le rimbombò nelle orecchie, mentre Daisy sfuggiva alla sua presa e crollava sul pavimento in preda agli spasmi.
Il panico le attanagliò le viscere impedendole di fare anche un solo misero passo o dire qualsiasi cosa. Lo sentiva scorrerle nelle vene come veleno e immobilizzarla lì dov’era.
Una spinta brusca la fece balzare di lato. - Cosa succede? - La voce allarmata di James le arrivò alle orecchie distorta, ed ebbe appena la percezione che prendesse Daisy tra le braccia per adagiarla sul letto.
Annette accorse poco dopo, con l’aria di chi è abituato a tutto quello - Ci penso io, state tranquilli -
La sua voce professionale e rassicurante sembrò risvegliare Lily dallo stato di trance in cui era caduta.
“Vai via”  “Non sei obbligata a venire”
Sobbalzò come se fosse stata colpita da uno schiaffo in pieno viso, che le avesse lasciato i segni rossastri sulla pelle delicata della guancia. Quando fu sicura che le gambe fossero in grado di reggerla, voltò le spalle a tutto – Denise ora era tranquilla sul suo letto – e cercò di mettere più spazio possibili tra sé e quella stanza.
Corse, ignorando le infermiere che la guardavano con una strana espressione. Corse, ignorando quel dolore sordo al petto che le mozzava il respiro. Corse cercando di ricacciare indietro quel groppo che le si era formato in gola.
Con mani frenetiche premette il pulsante dell’ascensore, pregando che arrivasse il prima possibile.
- Evans! - Si affrettò a raggiungerla. Il suo primo istinto, assicuratosi che Daisy stesse bene, era stato quello di abbracciarla, doveva essere terrorizzata.
Il richiamo di James la attraversò come una lama malamente lavorata, che lascia ferite slabbrate sulle braccia.
- Dove stai andando? - La afferrò per un braccio, macchiandosi le mani di quel sangue che colava lentamente sul pavimento, costringendola a voltarsi.
- Me ne vado. A quanto pare qui non sono ben accetta - La voce tagliente, non rispecchiava lo sguardo tremante che puntò nel suo - Da nessuno -
La sola idea che lei potesse pensare una cosa del genere e lo scintillio che notò nei suoi occhi, gli provocarono un dolore sordo al petto.
- Non dire idiozie Lily.. -
- Non osare - Gli puntò un dito contro, gli occhi che mandavano lampi - Non osare dire qualcosa di carino solo per farmi restare, potrei non rispondere delle mie azioni - E ignorò il dolore alle braccia e allo stomaco per gettare quella lama insanguinata ai loro piedi, come un cadavere di guerra.
Gli intimò con gli occhi che pizzicavano di non seguirla e fuggì via. Lontano.
- Lily.. - ebbe appena la forza di mormorare, che una vocina allegra alle sue spalle lo costrinse a mascherare dietro un sorriso i profondi tagli che quella lama gli aveva lasciato sui palmi delle mani quando aveva tentato di afferrarla.

*



Lily Evans camminava con la sua solita andatura sicura per i corridoi di Hogwarst, un libro stretto al petto come a proteggersi da qualunque cosa potesse ferirla.
Ricacciò un urlo dalla gola, quando si sentì afferrare per un braccio. Una mano si posò sulla sua bocca per zittirla.
- Non urlare, così -
Sentì una porta chiudersi dietro di loro e fu avvolta dall’oscurità.
- Potter, dove diavolo siamo e come diavolo ti permetti? -
Sentì, nel buio, una risatina che le fece saltare i nervi.
- Lumos - Una pendolante lampadina, sopra di loro, oscillò accendendosi.
- Il ripostiglio delle scope? - Inarcò un sopracciglio guardandolo male.
- Il primo posto che ho trovato - Si portò una mano alla nuca, rivolgendole un’occhiata di scuse.
- Puoi portarci le tue ochette in un posto del genere, non me, quindi se permetti - Fece per voltarsi e aprire la porta, ma lui fu più veloce e la inchiodò al muro, le mani ai lati della sua testa, a impedirle ogni via di fuga.
- Uno: sei la prima che porto in un ripostiglio delle scope, preferisco posti più comodi , dovresti sentirti onorata, e due: non uscirai da qui prima di avermi ascoltato - ghignò alla sua espressione contrariata.
Cercò di divincolarsi e James la lasciò andare, con un’espressione seria in viso. Era finito il tempo dei giochetti.
- Ha chiesto di te ieri, e anche l’altro sabato -
Lily sottrasse lo sguardo al suo per impedirgli di vedere il lampo di sofferenza che lo attraversava.
- Se non sa nemmeno il mio nome -
- Lily - La sua voce era talmente dolce da farle male - Tu sottovaluti le persone. Impara ad osservarle, capirai tante cose -
Lo guardò, mentre un groppo in gola le impediva di parlare. Era un nodo troppo stretto e doloroso per permetterle di udire il suo timbro inalterato.
James si accorse del suo cambiamento: le spalle si erano rilassare e i suoi meravigliosi occhi verdi gli sembravano due viandanti persi nel deserto. Le si avvicinò e con cautela, quasi avesse paura che potesse scappare da un momento all’altro, le poggiò le mani sulle spalle.
- Se non vuoi farlo per me, fallo per lei - parlò con calma, gli occhi fissi nei suoi - Non ricorda nemmeno cosa è successo in quei cinque minuti. Annette ci aveva detto che ogni tanto aveva delle crisi -
E Lily sentì il senso di colpa ritornare a gravarle sul petto. Abbassò lo sguardo. - È stata colpa mia, le ho risposto male -
Fu poco più di un sussurro, ma una mano sulla guancia la costrinse la rialzare il viso verso di lui.
- No, accade all’improvviso, non c’è un motivo particolare -
E non poté fare a meno che crogiolarsi nel tepore di quella mano che le ricopriva la guancia. Affondò gli occhi nei suoi e le sembrò di sprofondare.
James.
Aveva creduto davvero di averlo perso per sempre.
E nel momento esatto in cui una lacrima le rigò il viso, scavandole un solco invisibile nell’anima, avvertì le sue braccia intorno a lei, stringerla tanto forte da farle quasi male, a tenere insieme i pezzi di quel dolore e di quella cieca paura che aveva sentito anche lui sulla sua pelle.
Le accarezzava ritmicamente i capelli, mentre stretta a lui, poteva liberarsi di quel groviglio di sensazione che l’avevano avvolta in spire, e stretto a volte tanto da farle mancare il respiro.
- Non ti eri concessa di piangere fin ad ora, vero? -
Avvertì le sue labbra su una tempia e le sfuggì un singhiozzo più forte, mentre pregava perché non la lasciasse andare.
- Come hai potuto pensare, dopo sette anni che non ti ripeto altro, che io non ti volessi - parlò piano al suo orecchio, mentre lei, cercando di riprendersi, sentiva il cuore accelerare per qualcosa che non aveva niente a che fare con le lacrime.
- È vero - James continuò, mentre una mano imperterrita le accarezzava i capelli - avevo smesso di tormentarti - La sua voce aveva una nota strana che le fece incrinare qualcosa dentro - Ma solo perché mi ero convinto davvero di non avere possibilità -
Lily si scostò quel tanto che le permettesse di guardarlo in viso, con gli occhi colmi di lacrime che sapevano di commozione. Una mano, piccola, scattò verso il suo viso a cancellare quella smorfia di disperazione che lo deformava. Gli concesse pieno accesso ai suoi occhi lucidi, sperando dal profondo del cuore che capisse.
- E ora sei qui - Quelle parole si infransero contro la pelle del suo viso, facendola sorridere. Indugiò con la mano sulla sua guancia, mentre vedeva i suoi occhi nocciola accendersi di una luce che non vi aveva mai visto.
E quando James, affondandole una mano tra i capelli, posò le labbra sulle sue, le trovò già schiuse. Un fiume di lava bollente ruppe le dighe nel suo petto, raggiungendo ogni più piccola fibra del suo essere, costringendolo a stringerla più forte, per non tremare.
Le sue labbra erano morbide sulle sue, tanto da farle perdere ogni contatto con la realtà. Non esisteva nient’altro che non fosse lui. Si abbandonò tra le sue braccia, mentre le sorreggeva la nuca con una mano, per avere maggiore accesso alla sua bocca, e si accorse appena si percepire a stento il battito del suo cuore, tanto era frenetico contro le ossa dello sterno.
Quando si separarono, Lily non osò allontanarsi da lui e passandogli le braccia intorno alla vita, poggiò il viso sul suo petto, cullata dal battito aritmico del suo cuore.
Avvertì una mano calda coprirle una guancia, come a tenerla stretta a sé, e voltò appena il viso per posarvi le labbra.
- Lily - La sua voce, come un nastro di seta, le sfiorò la pelle facendola rabbrividire.
Si rese conto in quel momento di non aver proferito parola fino ad allora e cercò i suoi occhi, non potendo fare a meno di annegarvi ancora una volta. Sospirò contro di lui e senza interrompere il contatto visivo, risalì con una mano lungo il suo braccio. Avvertì sotto la morbida lana del maglione il calore della sua pelle e indugiò a lungo in una lenta carezza.
- Sono qui - mormorò appena, la voce ricolma di emozione.
E sentì le sue braccia serrarsi intorno alle proprie spalle, in una morsa dolcemente dolorosa, che avrebbe potuto indolenzirle le ossa, ma a cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo.


- Il ripostiglio delle scope -
La sentì tremare tra le sue braccia, scossa dal riso.
- Io e te, nel ripostiglio delle scope - E le sembrava la cosa più normale del mondo stare stretta a lui a ridere così.
- Chi l’avrebbe mai detto - Si unì alla sua risata, mentre con due dita sotto il mento le sollevava il viso verso il suo.
- Già, chi l’avrebbe mai detto che sarei caduta così in basso - Quella dolce stretta al petto che si scioglieva in ilarità.
Vide un lampo divertito attraversare i suoi occhi ed ebbe appena la percezione delle sue mani che si spostavano sui suoi fianchi, che si ritrovò con la schiena premuta alla parete.
- Attenta, Evans, la prossima volta potrei trascinarti nel ripostiglio delle scope con intenzioni molto meno nobili. -
Il suo fiato sul viso le dava alla testa, ma fece di tutto per non darlo a vedere - Ma come, Potter, pensavo preferissi posti più comodi - sottolineò l’ultima parola, lanciandogli un’occhiataccia.
- Ah ma non sono io quello che preferisce il ripostiglio delle scope - Le rivolse uno sguardo eloquente e gli arrivò un pugno sul braccio, che lo fece ridere. - Ammettilo, era un tuo sogno proibito - continuò tra le risate, mentre sollevava le mani a catturarle il viso, con uno sguardo che non aveva niente di ilare.
Il respiro le si bloccò in gola, ma si costrinse ad ignorarlo - Potter, adesso te lo scordi - Sfuggì alla sua presa, recuperando il libro che le era caduto quando aveva messo piede lì dentro.
- Ma Lily - cercò di protestare, debolmente.
- Niente da fare, la prossima volta fai meno lo scemo. E, ora, andiamo -
Lui scosse la testa divertito - Anche in capo al mondo, con te - esclamò in tono solenne.
- Potter, smettila -
- Certo che no, mon amour -
Lei lo fulminò con lo sguardo - C’è un modo per farti stare zitto? -
- Uno in realtà ci sarebbe -
- Scordatelo, Potter -
E chi li incrociava per i corridoi, non vedeva che uno scorcio di vita quotidiana. Non riusciva a cogliere la luce che illuminava i loro occhi o il sangue che scorreva veloce e caldo nelle vene, cicatrizzando vecchie ferite ormai dimenticate.

*



- Daisy, guarda chi è venuto a trovarti -
Lily apparve al suo fianco, torcendosi le mani, con un sorriso esitante.
La biondina, non appena li vide, saltò giù dal letto e corse loro incontro, entusiasta.
- Sei tornata, Lily - Le rivolse un sorriso tanto genuino da stringerle il cuore - Mancava il rosso del tramonto in questa stanza. E James è stato cielo plumbeo per tutto il tempo - E l’abbracciò.
Lily era, ormai, abituata alle sue espressioni stravaganti, ricambiò l’abbraccio e mentre la tenerezza le stringeva la gola, cercò alla cieca la mano di James, trovandola al suo fianco.
- Ragazze - I loro occhi si spostarono su di lui, curiosi - Ho una sorpresa per voi -

*



Quella domenica mattina di metà Aprile qualche nuvola bianca, come panna montata, decorava il cielo illuminato dal sole tiepido e splendente.
Lily Evans strizzò gli occhi per guardare meglio nella sua direzione e sorrise quando rientrarono nel suo campo visivo. I capelli lunghi e biondi di Daisy erano scompigliati dal vento, mentre si teneva stretta a James che abilmente guidava la sua scopa nei cieli sopra Hogwarst.
Dopo aver parlato a lungo con infermiere e medimaghi, aver firmato carte su carte, James era riuscito ad ottenere il permesso per portarla fuori da quelle mura che erano per lei una prigione.
E il più grande desiderio di Daisy era quello di volare, di sentirsi libera e leggera.
Li vide atterrare poco lontano da lei e li raggiunse. Daisy dall’entusiasmo poggiò un piede a vuoto e crollò con il sedere a terra. Proruppe in una risata divertita, con il viso rivolto al sole caldo e all’immensità del cielo. Non era mai stata così felice.
- Stai bene? - Lily e James si affrettarono ad aiutarla, ma lo sguardo che rivolse loro era tanto gioioso che si unirono alla sua risata, sedendosi accanto a lei, sull’erba fresca.




- Noi andiamo, Daisy, è tardi -
La biondina, già sotto le coperte, con il sorriso a trentadue denti stampato in viso, annuì.
- La prossima volta, James, voleremo di notte, ok? Devo prendere un po’ di polvere di stelle, avvera i desideri -
Lily si sentì stringere il cuore dalla tristezza, probabilmente non sarebbe più potuta uscire.
- Ma vedi, Daisy - James si avvicinò al letto, con uno sguardo rassicurante - Non ti serve andare su una stella per prenderla. Tu, la polvere di stelle ce l’hai tra i capelli - Le accarezzò la testa, teneramente - Da quando ti conosco si sono avverati tutti i miei desideri -
E alzò lo sguardo per incrociare gli occhi di Lily, traboccanti di un’emozione che gli scaldò il petto.
- Davvero? - Il mormorio di Daisy lo fece sorridere.
- Davvero - le confermò e si avvicinò per posarle un bacio sulla fronte - Ora dormi. Notte. -
- Notte, Daisy - Lily le accarezzò la fronte, seguendo poi James fuori dalla porta.
Camminarono in silenzio lungo i corridoi. Un silenzio pieno di aspettative.
Non appena le porte dell’ascensore si chiusero alle loro spalle, Lily gli gettò le braccia al collo, stringendosi a lui.
Aveva dovuto fare uno sforzo enorme, richiamando tutta la sua forza di volontà, per non saltargli addosso in quella stanza d’ospedale.
Lo sentì sorridere tra i suoi capelli, mentre le sue mani le percorrevano la schiena, facendola rabbrividire.
- James, promettimelo - La sua voce risuonò come un fragile bicchiere di cristallo, mentre lo stringeva più forte per paura che si rompesse.
- Che cosa? - Le sfiorò una tempia con le labbra.
- Promettimi - Si scostò quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi - che la vedremo ancora sorridere così -
- Farò il possibile, te lo prometto - Nei suoi occhi anche la promessa di ciò che non era riuscita a dire a voce.
Lily si perse in quello sguardo e continuò a vederlo dietro le palpebre chiuse, quando avvertì la morbidezza delle sue labbra sulle proprie.
Il suono metallico che annunciava l’apertura dell’ascensore li ridestò da quel dolce torpore.
Un paio di medimaghi lanciarono loro un’occhiata strana, mentre li oltrepassavano per dirigersi al loro piano e Lily non poté far altro che arrossire.
- Evans, così non fai altro che confermare i loro sospetti - James la prese in giro, mentre camminava al suo fianco verso l’uscita.
L’aria fresca della sera si infranse contro le sue guance, dandole sollievo - Potter è tutta colpa tua -
- Oh no - La costrinse a voltarsi verso di lui e inchiodò il suo sguardo - Non è colpa mia se sei attratta dai posti chiusi e angusti - ghignò alla sua occhiata inteneritrice - Forse l’ascensore è un altro tuo sogno proibito. Ma tesoro, me lo devi dire prima, la prossima volta -
Lo scatto della sua mano sotto il mantello fu quasi impercettibile. In meno di due secondi si ritrovò con la bacchetta puntata alla gola.
- Potter - La sua voce ferma tradiva una sfumatura d’ira - potrei farti molto male.. Ringrazia Merlino che ti am-
Uno sguardo di Medusa avrebbe avuto lo stesso identico risultato. Ogni parte del suo corpo si ghiacciò sul posto, come se la temperatura fosse calata tutt’a un tratto.
Sgranò gli occhi, lo sguardo fisso nel vuoto, non avendo il coraggio di fissarlo nel suo, e, come spinta da un istinto primordiale, fuggì. Si smaterializzò lontano da lì.
James Potter, con una strana euforia che gli nasceva dal petto, ebbe la tentazione di mettersi a saltare in quel vicolo buio e stretto.
Ma, avrebbe rimandato, decise, doveva prima trovare la sua orgogliosa testona.
Si smaterializzò fuori dalle mura di Hogwarst e notò i suoi capelli, scintillanti anche al buio, nei pressi del cancello.
Si affrettò a raggiungerla e le girò intorno per guardarla in viso.
I suoi occhi erano ancora sfuggenti, due naufraghi insicuri della loro scialuppa in mezzo alla tempesta.
Le posò una mano sulla guancia, costringendola a guardarlo e le sorrise quando incontrò i suoi occhi. In una lenta carezza la sua mano le circondò la nuca, facendole correre un brivido lungo la colonna vertebrale.
L’attirò a sé e la strinse forte tra le braccia, ad assicurarle che su quella scialuppa di salvataggio c’era anche lui.
- Ti amo anch’io, Lily - E si scostò quel tanto che bastava per guardarla negli occhi e vederla sciogliersi tra le sue braccia.

*



- Vieni, Daniel, entra. Oggi ci raccontano una storia diversa - Denise lo trascinò per  un braccio all’interno della stanza.
- Piano - si lamentò lui una smorfia.
- Su, seduti - Lily assunse un cipiglio imperioso e Daisy ridacchiò, sedendosi a gambe incrociate sul letto accanto a Daniel.
Lily Evans li squadrò un attimo in silenzio, poi prese posto sulla sedia accanto a quella di James, tanto vicino da non toccarlo, ma da poter sentire il calore emanato dal suo corpo.
- È una storia lunga, che parla di litigi, di odio e di incomprensioni, ma anche di quanto possa essere grande il potere della polvere di stelle -
Gli occhi di Denise si illuminarono - Lily, racconti tu oggi? - chiese con una nota euforica nella voce.
- Sì - Sentì le dita di James sfiorare, piano, il dorso della sua mano, e fu come se tutte le sue terminazioni nervose si concentrassero in quel punto, mandando brividi al resto del corpo. Istintivamente voltò la mano per intrecciarla alla sua.
- C’era una volta, precisamente sette anni fa, un bambino con i capelli corvini in disordine e gli occhi nocciola, che non faceva altro che combinare guai.. -
- Evans, se devi raccontare, racconta bene. Devi dire che già allora era un gran figo -
Lei lo incenerì con lo sguardo - Potter, non interrompermi -
- Ma è necessario che tu lo sottolinei, è una parte fondamentale della storia -
- Sta zitto o ti schianto, e ora fammi continuare -
- Evans, non sei capace di minacciarmi -
- Ah no? Non mettermi alla prova ti avverto -

Daisy sospirò e poggiò una guancia sulla spalla del suo compagno di giochi.
- Dany, oggi chiamami Love, c’è tanto amore in questa stanza -
La sua voce era tanto seria e profonda che nella stanza scese il silenzio.
Lily si ritrovò a stringergli la mano, mentre James le posava un bacio tra i capelli, i cuori stretti tra corde invisibili.










Spero vi sia piaciuta e vi abbia trasmesso qualcosa =) Non chiedetemi dove mi sia uscita, la mia mente rimane tutt'ora un mistero anche per me xD 
Un bacio, zukky ^-^












   
 
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