Note
dell’Autrice: come
sempre salve a Tutti !!! Eccomi qua con una nuova
idea che mi è praticamente venuta in mente mentre sfogliavo
una rivista ^_^
Insomma un critico d’arte aveva stilato una sua personale
classifica delle
opere più suggestive e mentre guardavo Guernica di Pablo
Picasso mi è venuta in
mente quest’idea. In teoria dovrebbe essere una storia a
capitoli anche questa,
ma per continuare dovrei trovare altre fonti d’ispirazione.
Comunque spero che
vi piaccia e che abbiate la voglia di farmi sapere qualsiasi opinione
in
merito. Grazie e buona lettura.
G u e r n i c a
data: 26
Aprile 1936
obiettivo:
Città di Guernica
località: provincia
di Biscaglia, nord
della Spagna
scopo
della
missione: bombardamento
Quel giorno il
sole brillava alto nel cielo.
Era un
monotono pomeriggio
di fine Aprile, o almeno lo sarebbe stato. Come tutta
l’Europa, anche la Spagna
stava attraversando un momento critico. I continui conflitti per il
potere
avevano diviso la popolazione e ormai, dopo troppe inutili elezioni, la
guerra
civile sembrava inevitabile.
Solo poche persone,
per lo più giovani ragazzi, speravano ancora che il loro
amato paese riuscisse
a scampare a quell’assurda moda che, con calcolata lentezza,
aveva infettato
gran parte delle nazioni vicine: la dittatura.
Non c’era praticamente
nulla da fare per fermare l’inevitabile, già da
tempo i partiti più
conservatori avevano stretto alleanza con la Germania nazista e di
conseguenza
molti uomini avevano deciso di imbracciare i fucili per tentare di
creare una
blanda resistenza contro un destino già scritto, ma che non
riuscivano in alcun
modo ad accettare.
Meglio morire libero che vivere incatenato al
volere di uno stronzo qualsiasi! Per poi dimostrare cosa? Che anche la
Spagna può
essere una degna prostituta di Hitler?!
Queste erano state
le parole che suo padre aveva pronunciato con orgoglio dopo che con
un’assurda
sentenza, un giudice altrettanto improbabile e fintamente imparziale,
aveva
dichiarato lui e altri uomini, fra cui anche due dei suoi fratelli
maggiori, a
finire i loro giorni in prigione.
Antonio non aveva
mai avuto alcuna abilità particolare con le armi da fuoco,
anzi a dirla tutta
non sapeva assolutamente sparare o fare qualsiasi altra cosa che
sarebbe potuta
tornare utile a una precaria resistenza. L’unico talento che
possedeva era la
fotografia. Decise dunque di arruolarsi nelle file di un piccolo
giornale
indipendente intenzionato a riportare una precisa documentazione degli
eventi
che stavano accadendo in quel periodo.
L’informazione era
forse una delle poche carte che la Spagna poteva ancora giocarsi nel
tentativo
di mantenere, almeno in parte, un brandello di libertà.
Di conseguenza,
armato solo di una macchina fotografica, stava girando in lungo e in
largo da
ormai alcuni mesi. I genitori non erano stati troppo contenti della sua
decisione, ma sapevano anche che opporsi sarebbe stato inutile, il
ragazzo era
piuttosto cocciuto.
Antonio non tornava
a casa da parecchie settimane ormai, l’ultima volta che aveva
visto la sua
famiglia era stato per assistere al processo di suo padre. Solo il
tempo di
ascoltare quell’ingiusta sentenza, consolare come meglio
poteva sua madre,
lasciarle gran parte del suo misero salario e poi, come sempre, era
ripartito
per chissà dove, fino a chissà quando.
Riusciva raramente
a mettersi in contatto con i suoi parenti, i telefoni scarseggiavano e
spesso
non erano funzionanti, al massimo ogni tanto, Antonio riusciva a
mandare due
righe scritte di fretta sul retro di un volantino di propaganda, poche
parole
scarabocchiate con una calligrafia piuttosto malferma, solo per dire
che andava
tutto bene e che non c’era da preoccuparsi per lui.
Per sua madre era
però impossibile non essere in pensiero, le continue notizie
che arrivavano
ormai a valanga prospettavano per la Spagna un periodo
tutt’altro che felice.
L’unica cosa che la donna avrebbe voluto in quel momento era
di poter avere
tutta la sua famiglia vicina, ora che non aveva più il
sostegno del marito e
dei due figli maggiori, sentiva l’impellente bisogno di
tenere tutti gli altri
pulcini sotto la sua ala, anche se si accorgeva ogni giorno di
più che i suoi
figli erano ormai troppo grandi per essere protetti da lei e per di
più, erano
quasi tutti lontani.
Lovino
continuava a
studiare con attenzione il paesaggio che si stagliava davanti a lui,
aveva
immaginato Guernica come un’imponente e maestosa
città e quasi rimase deluso
nel vedere il complesso di edifici piuttosto modesto che componeva
parte del
mediocre centro abitato.
Si voltò lentamente
cercando Antonio con lo sguardo, lo trovò senza troppa
fatica appena pochi
metri più indietro intento a scattare alcune foto che, con
tutta probabilità, non
sarebbero servite che da contorno per uno dei brucianti articoli che il
giornale per cui lavorava avrebbe poi assemblato.
Il ragazzo più
grande, sentendosi osservato, si affrettò a raggiungere il
compagno e non
appena i due furono vicini, l’ennesimo aereo tedesco
sfrecciò sopra le loro
teste producendo un forte rumore irritante. Guernica non era certo uno
dei
posti più sicuri al momento, anzi era ritenuto da molti un
punto perfetto per
un probabile attacco nazista. Proprio per questo motivo ad Antonio era
stato
affidato il compito di fare un reportage fotografico dettagliato di una
delle
ultime città simbolo di una disperata resistenza, il mercato
in particolare
aveva un ruolo di rilievo in quel periodo.
Prima di proseguire
in direzione della meta del loro viaggio, Antonio si prese qualche
altro
secondo per ammirare Lovino ancora intento a seguire con gli occhi la
scia biancastra
che l’aereo aveva disegnato durante il suo passaggio.
- Lovino?
- Uhm
…
- Me lo
fai un favore?
- No
Antonio! Non
torno in albergo.
- Ma
è pericoloso
stare qui! L’hai visto anche tu quell’aereo,
potrebbe succedere qualsiasi cosa
in un posto così.
- Allora
perché ci
siamo venuti?
-
E’ il mio lavoro,
ciò non vuol dire che anche tu debba rischiare di farti
male. Quindi ti prego …
- Antonio
piantala! Io
vengo con te, fine della discussione.
L’intensità
dello
sguardo con cui Lovino fissò Antonio negli occhi fu
sufficiente a far crollare
anche l’ultimo brandello di fermezza a cui lo spagnolo si
stava aggrappando.
Il più grande
chiuse gli occhi qualche secondo, giusto il tempo necessario per
prendere una
lunga boccata d’aria, poi tentò di apparire il
più rilassato possibile mentre
sorrideva al più piccolo tendendogli la mano.
Quel ragazzino
italiano era un osso molto più duro di lui, fin dalla prima
volta che s’incontrarono
Antonio capì che avrebbe sempre perso contro Lovino.
L’unico modo che
aveva per calmarsi era stringere saldamente la mano di Lovino nella
sua, si
voltò ancora una volta verso il silenzioso compagno di
viaggio e, come sempre,
si ritrovò a sorridere senza una ragione particolare. Non si
conoscevano da
molto, si erano incontrati meno di due mesi prima,ma in
quell’esiguo lasso di
tempo avevano sviluppato un forte legame che da amicizia si era ben
presto
trasformato in amore.
Avevano caratteri
molto diversi e, all’inizio, si capivano a fatica. Grazie al
cielo l’italiano e
lo spagnolo sono due lingue piuttosto simili e Lovino non
impiegò più di tanto
ad imparare a comprendere e a esprimersi in maniera quasi sufficiente
in quella
lingua così dannatamente morbida.
I loro sguardi
s’incrociarono per caso e, in quel momento, Antonio fu certo
di aver compreso
appieno cosa fosse un colpo di fulmine. Con una velocità di
cui anche lui
stesso si sorprese, corse verso quello strano ragazzo
dall’aria imbronciata e
successivamente, dopo averlo raggiunto e afferrato per un braccio con
tutta la
delicatezza di cui era capace, iniziò a parlargli incurante
del fatto che
l’italiano capisse a malapena una parola su dieci di quello
che stava dicendo.
Lovino che per
natura era piuttosto sospettoso, ci mise relativamente poco per
cominciare a
fidarsi del pazzo maniaco che aveva deciso di non lasciarlo andare via
senza di
lui.
Antonio ci mise
solo cinque giorni di spietate avance prima di riuscire a far cedere le
difese
del compagno reclamando, di conseguenza, le labbra di
quest’ultimo come
esclusivo territorio spagnolo. Le notti per loro erano troppo corte e i
giorni
sembravano infinitamente lunghi, nessuno dei due aveva mai amato un
altro
ragazzo, ma in questo specifico caso il sesso del partner non aveva
alcuna
importanza. Antonio amava Lovino e viceversa, tutto il resto erano solo
futili
dettagli.
In poco più di
quindici minuti erano riusciti a raggiungere il loro obiettivo: il
mercato.
Le diffidenti e
misere informazioni di qualche scorbutico passante non erano certo
servite a
granché, ma l’innato senso
dell’orientamento di Antonio si era rivelato utile
anche in quest’occasione. Sfortunatamente ben presto i
ragazzi si resero conto
di aver fatto un viaggio a vuoto. Un loquace vecchietto, vedendoli
gironzolare
curiosi nei pressi del mercato, si era avvicinato ai due ragazzi e,
dopo aver
visto Antonio scattare
alcune foto,
aveva deciso di avvertirli riguardo alla chiusura anticipata del
mercato a
scopo di prevenzione in caso di un eventuale attacco da parte della Luftwaffe ,
l’aeronautica tedesca.
-
Perfetto, tanta
fatica sprecata!
- Non
arrabbiarti
Lovino, sei tropo carino imbronciato.
-
Antonio, ma ti
sembra il momento per certe uscite?!
-
Perché no?! Adesso
però ci sbrighiamo e torniamo in albergo, ho bisogno di un
posticino caldo per
riposarci e farti le coccole.
- Antonio
…
- Shh,
tranquillo mi
niño
Appena
finito di sussurrare
quell’ultima frase, il ragazzo più grande
appoggiò delicatamente le labbra su
quelle del compagno. Ormai nessuno dei due aveva più molte
remore a scambiarsi
effusioni in pubblico, quindi Lovino non perse tempo e
approfondì il bacio dopo
pochi secondi.
Quando si
separarono avevano le guance arrossate e il fiato corto, il modo di
baciare di
Antonio era parecchio focoso e raramente si accontentava di quel
semplice
contatto. Con calcolata lentezza portò le mani sui fianchi
dell’italiano e
iniziò ad accarezzare con le dita quel gracile corpo
bollente nascosto da un
sottile strato di stoffa. Antonio andò ad appoggiare il viso
sulla spalla di
Lovino riuscendo in questo modo a godersi sia i deboli gemiti che
riusciva a
strappare dal compagno con le sue lascive carezze, sia a percepire
l’odore
piuttosto intenso della sua pelle.
- Lovino
- Uhm?
- Hai
ancora addosso
il mio odore.
- Non mi
sembra che la
cosa ti dispiaccia.
- Infatti
mi eccita.
- Puerco
- Te
quiero mi niño.
Lovino
sorrise
prima di tornare a baciare il compagno. Sentì di nuovo le
labbra di Antonio
sulle sue, le mani che veloci gli accarezzavano la schiena per poi
terminare la
loro sensuale carezza sul sedere. L’italiano si
lasciò sfuggire un piccolo
gemito decisamente troppo alto quando sentì la gamba dello
spagnolo che cercava
di divaricare le sue, il contatto della sua virilità, ormai
risvegliata, con la
coscia dell’amante lo portò ad arrossire
violentemente e per evitare di
emettere altri rumori sconvenienti cercò di concentrarsi
unicamente sul bacio
che si stavano scambiando.
Probabilmente
sarebbero finiti come al solito a fare l’amore in un vicolo
un po’ fuorimano,
vista la piega che aveva preso la situazione Antonio non avrebbe mai
resistito
fino in albergo. Lovino si stava ormai lasciando completamente andare
quando un
rumore improvviso e sordo ruppe la quiete del silenzio e sconvolse
ancora una
volta le loro vite.
Aerei
della Luftwaffe sfrecciarono sopra il cielo terso di Guernica.
Improvvisamente iniziò una pioggia di piccole sfere, che
raggiunta una
determinata altezza, si trasformavano in mortali fiammelle
pronte
a divorare con il fuoco qualsiasi superficie
su cui
si sarebbero andate a posate.
Successe
tutto in troppo poco tempo.
I
continui scoppi delle bombe e gli innumerevoli roghi
colsero
impreparati gli abitanti malgrado le blande difese che
avevano
inutilmente allestito. Il vento propagò la furia del fuoco
che
non
soddisfatto di aver divorato il mercato, si estese a tutta la
città.
Bastarono
poche ore
e un solo attacco per far crollare Guernica, l’evento fu un
triste preludio del
futuro della Spagna, quel giorno segnò la vita di molte
persone e contribuì a
scrivere la storia di un popolo.
Quando Antonio
riaprì gli occhi, si accorse di essere a più di
un centinaio di metri dal
mercato. Non aveva idea di come fosse riuscito ad arrivare fin
lì, l’ultima
cosa che ricordava erano le soffici labbra di Lovino. Cercò
di alzarsi in piedi
e, non riuscendoci, si accorse di essere ferito a una gamba, questo, al
momento, era il minore dei suoi problemi, la sua priorità
era trovare il suo
compagno. Vincendo l’iniziale avversione del suo corpo al
tentativo di mettersi
in posizione eretta, tornò barcollando verso il mercato. Lo
scenario che gli si
presentò davanti era fra i più sconvolgenti che
avesse mai visto: le fiamme e
il fumo avvolgevano gran parte degli edifici adiacenti, la gente
scappava in
tutte le direzioni e quella che prima poteva apparire come una
città fantasma
si presentava ora come un formicaio attaccato. In tutta quella bolgia
di gente
iniziavano già a spiccare macabri i primi cadaveri, monito
di un destino a cui
le persone restanti volevano sfuggire. Le piccole formichine atterrite
non
collaboravano fra loro tentando di salvare la regina, la loro unica
preoccupazione era scappare dall’inferno, il panico e il
fuoco avevano reso il
tutto ancora più grottesco, aggravando una situazione
già di per se piuttosto
complicata.
Antonio continuava
a farsi largo nella direzione opposta rispetto al flusso disordinato di
persone, cercava di urlare più forte di tutti
nell’irrealizzabile speranza di
ricevere una risposta. Cercò a lungo, ma solo quando la
folla si fu diradata
quasi del tutto, l’orribile presentimento di aver perso la
cosa più preziosa
che avesse si trasformò con una forza violenta in una
disperata consapevolezza.
Sotto un discreto
cumulo di pietre e legno Antonio riuscì a riconoscere la
sagoma, in parte
nascosta, del corpo di Lovino. Si affrettò a raggiungerlo e
mentre continuava a
chiamarlo con la voce rotta da singhiozzi, inginocchiato di fianco a
quella
pila di rovine, con le mani scavò in quell’ammasso
di pietre tentando di
liberare il ragazzo. Con te dita sbucciate e senza più forze
riuscì nel suo
intento e, con la stessa delicatezza che usava per accarezzarlo,
cercò di
spostare il corpo fin troppo freddo dell’italiano.
-
Tranquillo niño, no pasa nada, ci sono io adesso.
-
- Lovino,
rispondimi
accidenti a te, non è il momento di scherzare
-
- LOVINO!
-
-
SVEGLIATI. Lovino,
ti prego svegliati.
Antonio
continuò a
chiamare Lovino finché non perse quasi del tutto la voce,
non smise di
stringerlo e di scuoterlo cercando inutilmente di farlo svegliare,
provò anche
a baciarlo più volte sperando in uno di quegli stupidi
finali con cui spesso si
concludono le favole, ma nulla, le labbra del ragazzo restarono fredde
e i suoi
occhi non si aprirono. Fu in quel preciso momento che Antonio comprese
quanto
la vita fosse diversa dal mondo in cui era sempre vissuto fino a quel
momento,
niente gli avrebbe ridato Lovino, niente avrebbe salvato la Spagna,
niente
avrebbe cambiato le cose.
Improvvisamente
tutto gli sembrava vuoto e privo di un qualsiasi significato, nella sua
mente
si affollavano mille domande mentre continuava ad aggrapparsi a quel
piccolo
corpo gelido in attesa di una qualsiasi reazione che sapeva che non
sarebbe
arrivata. Non avrebbe mai saputo dire quanto tempo passò
seduto fra le macerie
a cullare Lovino, né quando qualcuno venne ad aiutarlo,
l’unica cosa che si
ricordava con certezza era di aver praticamente preso a pugni un uomo
che aveva
cercato di spiegargli che il ragazzo che continuava ad abbracciare era
morto
oramai da ore.
Quel giorno il
sole brillò alto nel cielo.
Ora
stava
tramontando, inondando di nuove sfumature rossastre quello che restava
della
città di Guernica. La notte arrivò quasi
inaspettata e gettò un cupo velo sulle
macerie di un sogno ormai distrutto, le nuvole si ammassarono sopra le
pietre
unendosi al pianto di un giovane innamorato. Le invocazioni a un Dio
muto non
avevano esaudito il suo desiderio, il ragazzo non implorava
più preghiere e il
vento copriva adesso le sue imprecazioni. Il sole non sarebbe tornato a
brillare per lui, ad Antonio restava un'unica cosa da fare e
benché fosse
contraria a gran parte dei suoi principi, raccolse la poca forza che
aveva
ancora in corpo e si apprestò a farla.
-
Antonio, dove hai intenzione
di andare?
- Ad
arruolarmi nella
resistenza.
- Ma non
hai mai preso
un’ arma in mano, se vai ti uccideranno.
- Mi
dispiace mamma,
ma non avrò pace finché non ammazzerò
fino all’ultimo di quei bastardi.
- Non
dire
sciocchezze, è una cosa insensata Antonio tu …
- Antonio
è morto a
Guernica mamma, non preoccuparti per un figlio che hai già
perso.
Epilogo:
«Avete
fatto voi quest’orrore
maestro?»
«No,
è opera
vostra»
( Risposta
di Picasso alla domanda di un
ufficiale
tedesco, in visita al suo studio, alla visione di Guernica
)